Sí forte m'ha costretto

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Bacciarone di Baccone

Guido Zaccagnini/Amos Parducci XIII secolo Indice:Rimatori siculo-toscani del Dugento.djvu Duecento Sí forte m’ha costretto Intestazione 16 luglio 2020 25% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rimatori siculo-toscani del Dugento
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II

Si lagna di Amore, che con tante pene lo tormenta,
e chiede perdono a Dio d'essersi fatto schiavo di lui.

Si forte m’ha costretto
doglia, di che, penando, doler deggio,
siccomo sento e chiar conosco e veggio
che d’ogne ’l corpo meo parte tormenta;
5ch’i’ son, saccio, ’n dispetto
del Signor nostro dibonaire Deo
per lo spiacente, che fei, fallo e reo,
und’è ragion che mortai pene senta:
che non già del fallir posso far menda:
10unde ’l viso mi benda,
in guisa tal, quando ben penso cioè,
che parmi noe
ad esto mondo onor mai poss’avere,
di che fínar non mai deo piangere,
15poi Deo m’ha in displagere,
e tutta per me orranz’è fallita
in està vita,
e lo contraro temmi ed ha ’n podere.
Poi eh ’a tanta perdenza
20solo m’have condutto il meo follore,
ch’ai mondo sono e a Dio ’n disamore,
corno sperare alcun mai posso bene?
Ma deo aver voglienza
che la vita mi falli di presente,
25e de la morte deggi’ esser temente,
pere’ ha l’alma mertato eternai pene.

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Lo viver, donque, e ’l morir mi contrara:
or ecco post’amara,
che la follia del meo fallo m’ha dato!
30Perché fui nato,
poi dovea di me esser micidiale?
Che tanto piagat’aggiomi corale,
che la piaga è mortale
da no sperarne giammai guerigione.
35Ahi che fellone
demonio a far tal mi condusse male!
Assai più è ontoso
e pien di crudeltà, ch’eo non diviso,
lo fallo che si fort’hami conquiso,
40come sovra nel meo contat’ho dire:
che chi era amoroso
più di nuli ’altra di me criatura.
tanta bestiai sommessemi ’smisura
ch’a ’ncontradir suo plager èi ardire;
45e la mainerà fu certo di folle,
qual legger più si volle:
unde confesso che l’onta e ’l dispregio
desi dir pregio
per me, e cosa che più fiata spíco:
50e di ragion ben anche stammi dico
che di Dio sia nimico,
fòr cui impero nente e rege tene
che sia di bene;
ma quanto più ha sensa, più è inico.
55Tuttora in vita moro
del doloroso, ch’addoss’aggio, assedio;
poi non vi poss’alcun prender remedio,
che difesa mi vai né render lasso.
Sed eo forte doloro,
60certo neun si de’ meravigliare,
poi d’ogni parte si mi veggi’ odiare:
ma è miracol com’eo non impasso;

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che di tal non torment’’Icun mainerà
ch’è senza viva spera,
65e se pur isperato in tutto ène,
poi morte bene
del male aspetta e’ ha fatto ’n lui porto;
unde la morte gli è quasi un conforto.
Ma eo d’esso m’ho torto,
70che vita m’odia e morte mi minaccia,
e ciò mi caccia
d’onni loc’u’ sperar possa diporto.
Ahi, signor Deo, com’faccio,
Padre del tutto, fòr nullo par bone,
75che non ardisco a chiedervi perdono
del fallo meo, che si forte v’ho offeso!
Di che ora mi taccio
a non parlar volerne più avante,
che parlat’aggio e dittone sembiante,
80che alcun mi potè ben aver inteso.
Unde voi’ fine a ciò far oramai,
tuttoché non assai
a tal ofesa dir eo porca sovra,
né tal far ovra
85che ne potesse già mai esser mondo,
se Dio mi perdonasse il fallo e ’l mondo.
A ciò cosí rispondo
che la colpa, launque son, mi vede,
sempre mi fède
90in quella parte, ove più mi nascondo.
Fòr di man petra, e di bocca parola,
d’arco saetta, scòla
no è di saver tal, che ’l penter poi
vaglia ad altroi
95in guis’alcuna mostrar possa ’l vero.
Non in tal srei, se ciò fusse, dispero;
ma molto fora clero
che mi varrea, però che ’n cielo stelle,

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né ’n mar candelle
d’aigua, quant’eo, no ha, in tal pentèro.
Te va’, dogliosa mia canzon, mostrando
e mettendomi in bando
di tutte parte, u’ pregio ed onor regna,
e ti sovegna
d’esto far: mai gir sempre seguitando.