Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799/Frammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo/Frammento I

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Frammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo Frammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo - Frammento II
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FRAMMENTO I1


. . . . . . . . Pensi tu che sia leggiera impresa pronunziare il suo giudizio su di un’opera, che può esser giudicata solamente dall’esperienza de’ secoli?

Non ho creduto mai facile dare le leggi ad un popolo. Platone, invitato più volte a questo cimento, lo credette sempre superiore alle sue forze. Colui che ambisce la gloria di legislatore deve dire a se stesso: — Io debbo rendere cinque milioni di uomini felici, decidere della sorte di due secoli. Nella nazione che a me si affida vi sono degli scellerati audaci che debbo frenare, de’ buoni ma deboli che debbo confortare, degl’ignoranti e traviati che debbo illuminare e dirigere. Debbo conoscer le idee ed i costumi di un’altra etá: debbo render la nazione felice e, ciò che è piú difficile, debbo farle sentire ed amare la sua felicitá. Che potrei mai io solo quando tutto il popolo non m’intendesse o non mi seguisse? Rimarrei coll’inutile rimorso di avergli tolta la legge antica senza avergliene data una nuova, perché non merita nome di legge quella che il popolo non intende e non ama. — Qual è, domandava Aristotile, la piú gran difficoltá nel dar le leggi ad un popolo? Quella di farle durare. Qual è l’unico mezzo per farle durare? Quello di farle amare.

Io non ispero molto da quelle costituzioni che la forza ha dettate. Che questa forza sia quella di un conquistatore, il quale dispone di centomila baionette, o di un’assemblea di filosofi, i [p. 218 modifica]quali coll’aiuto di una favorevole prevenzione strappano al popolo un consenso che non intende, importa poco: nel primo caso si fa violenza alla volontá, nel secondo all’intelletto. Le costituzioni durevoli sono quelle che il popolo si forma da sé. — Ma questo popolo — tu dirai — non parla. — È vero; ma, mentre egli tace, tutto parla per lui: per lui parlano le sue idee, i suoi pregiudizi, i suoi costumi, i bisogni suoi. Ma perché mai si è mosso un popolo a fare una rivoluzione? Ebbene, l’oggetto per cui il popolo si è mosso dev’essere il solo riformato: se vuoi toccare il resto, offenderai il popolo inutilmente. Ti ricorderai le lodi, che Machiavelli dá alla prudenza di Bruto, il quale, discacciati i Tarquini da Roma, pensò a provvedere il popolo di un re sacrificatore, perché vide che i romani credevano ancora necessario un re ne’ loro sacrifici; ed ei volle che nel nuovo ordine di cose, che pensava istituire, non avessero avuto a desiderare nessun bene che loro dava l’antico.

Le costituzioni sono simili alle vesti: è necessario che ogni individuo, che ogni etá di ciascun individuo abbia la sua propria, la quale, se tu vorrai dare ad altri, stará male. Non vi è veste, per quanto sia mancante di proporzioni nelle sue parti, la quale non possa trovare un uomo difforme cui sieda bene; ma, se vuoi fare una sola veste per tutti gli uomini, ancorché essa sia misurata sulla statua modellaria di Policlete, troverai sempre che il maggior numero è pi alto, piú basso, piú secco, piú grasso, e non potrá far uso della tua veste.

— Voi siete troppo corrotti per poter avere delle leggi — disse Platone a quei di Cirene. Quanti oggi dicono con gravitá platonica: — Questo popolo non è ancora maturo per la libertá! — Ma, quando anche si potesse credere che Platone, il quale, al par di tutti gli uomini, e specialmente filosofi, rispondeva talora per non potere, talora per non sapere, talora per non voler rispondere altro, avesse detto da senno ciò che disse; credi tu che i cirenesi non avrebbero avuto il diritto di ripetergli: — Noi siamo corrotti, è vero; ma, se ciò ci toglie il dritto di esser appieno felici, possiamo però pretendere di esser meno infelici. Dateci delle leggi convenienti ad uomini corrotti. — ? [p. 219 modifica]

Le costituzioni si debbono fare per gli uomini quali sono e quali eternamente saranno, pieni di vizi, pieni di errori; imperocché tanto è credibile che essi voglian deporre que’ loro costumi, che io reputo una seconda natura, per seguire le nostre istituzioni, che io credo arbitrarie e variabili, quanto sarebbe ragionevole un calzolaio che pretendesse accorciare il piede di colui cui avesse fatta corta una scarpa. Quando una costituzione non riesce, io do sempre torto al legislatore; come appunto, quando non calza bene una scarpa, do torto al calzolaio.

Il voler tutto riformare è lo stesso che voler tutto distruggere. Il volere immaginare una costituzione, la quale debba servire agli uomini savi, è lo stesso che voler immaginare una costituzione per coloro che non ne hanno bisogno, e non darla intanto a coloro che ne abbisognano. Tu sai che questa è l’idea che io ho della costituzione francese del 1795. Questa costituzione è buona per tutti gli uomini? Ebbene: ciò vuol dire che non è buona per nessuno, e dopo due costituzioni repubblicane ce ne vuole ancora un’altra per formar la felicitá della repubblica.

I nostri filosofi, mio caro, sono spesso illusi dall’idea di un ottimo, che è il peggior nemico del bene. Se si volesse seguire i loro consigli, il mondo, per far sempre meglio, finirebbe col non far nulla. Il tempo dopo un costante periodo rimena le stesse idee, le stesse veritá, gli stessi errori. Noi rassomigliamo ai filosofi della Grecia de’ tempi di Platone e di Aristotile, quando, stanchi de’ vizi di tutt’i popoli e de’ disordini di tutt’i governi loro noti, si occupavano della ricerca di una costituzione che fosse senza difetti, da servire ad un popolo che non avesse vizio alcuno. Allora fu moda, come lo è oggi, che ognuno, il quale ambisse fama di pensatore, formasse un progetto di costituzione; e ciascuno spacciava la sua come l’unica che potesse stabilirsi e durare. Che ne avvenne? Allora appunto fu che la Grecia perdette tutte le sue costituzioni: prima si contentava delle migliori leggi che potesse avere, e con esse temperava i suoi vizi; quando volle le ottime, i suoi vizi non ebbero piú freno. L’ottimo non è fatto per l’uomo... [p. 220 modifica]

Oh! perdona. Non mi ricordava di scrivere a colui, che, sull’ orme della buona memoria di Condorcet, crede possibile in un essere finito, quale è l’uomo, una perfettibilità infinita. Scusa un ignorante avvilito tra gli antichi errori: travaglia a renderci angioli, ed allora fonderemo la repubblica di Saint-Just. Per ora contentiamoci di darcene una provvisoria, la quale ci possa rendere meno infelici per tre o quattro altri secoli, quanti almeno, a creder mio, dovranno ancora scorrere prima di giugnere all’esecuzione del tuo disegno. Parliamo della costituzione da darsi agli oziosi lazzaroni di Napoli, ai feroci calabresi, ai leggieri leccesi, ai spurei sanniti ed a tale altra simile genia, che forma nove milioni novecentonovantanovemilanovecentonovantanove diecimillonesimi di quella razza umana che tu vuoi tra poco rigenerare.

Per questa razza di uomini parmi che il progetto donatoci da Pagano non sia il migliore. Esso è migliore al certo delle costituzioni ligure, romana, cisalpina; ma al pari di queste è troppo francese e troppo poco napolitano. L’edificio di Pagano é costrutto colle materie che la costituzione francese gli dava: l’architetto è grande, ma la materia del suo edifizio non è che creta...

Se io fossi invitato all’impresa di dar leggi ad un popolo, vorrei prima di tutto conoscerlo. Non vi è nazione quanto si voglia corrotta e misera, la quale non abbia de’ costumi, che convien conservare; non vi è governo quanto si voglia dispotico, il quale non abbia molte parti convenienti ad un governo libero. Ogni popolo che oggi è schiavo fu libero una volta.

Il dispotismo non si è mai elevato ad un tratto, ma a poco a poco; il potere del popolo di rado è stato conquistato, ma il più delle volte usurpato; ed in tutte le usurpazioni i despoti hanno avuto sempre in mira di nascondere i loro passi, e conservare, quanto più si poteva, le forme esterne e le apparenze antiche.

Quanto più pesante sarà la schiavitù di un popolo, tanto più questi avanzi degli altri tempi gli saran cari; perché non mai tanto, quanto tra le avversità, ci son care le memorie dei tempi felici. Quanto più il governo che voi distruggete è stato [p. 221 modifica]barbaro, tanto piú numerosi avanzi voi rinvenite di antichi costumi; perché il governo, urtando troppo violentemente contro il popolo, l’ha quasi costretto a trincerarsi tra le sue antiche istituzioni, né ha rinvenuto nei nuovi avvenimenti ragione di seguirli e di abbandonare ed obbliare gli antichi. Tu incontrerai ad ogni passo nelle province nostre sotto il piú arbitrario dei governi delle istituzioni evidentemente sannitiche e greche; i napolitani di oggigiorno sono quegli stessi di Petronio; scorri la Grecia, e tu attraverso della barbarie riconoscerai i greci, ed il popolo piú oppresso ti sembrerá il piú capace di libertá.

Questi avanzi di costumi e governo di altri tempi, che in ogni nazione s’incontrano, sono preziosi per un legislatore saggio, e debbono formar la base dei suoi ordini nuovi. Il popolo conserva sempre molto rispetto per tutto ciò che gli viene dai suoi maggiori; rispetto che produce talora qualche male, e spesso grandissimi beni. Ma coloro, che vorrebbero distruggerlo, non si avvedono che distruggerebbero in tal modo ogni fondamento di giustizia ed ogni principio di ordine sociale? Noi non possiamo piú far parlare gli dèi come i legislatori antichi facevano: facciamo almeno parlare gli eroi, che agli occhi dei popoli son sempre i loro antichi. Un popolo, il quale cangiasse la sua costituzione per solo amor di novitá, non potrebbe far altro di meglio che darsi una costituzione all’anno. Ma, per buona sorte, un tal popolo non esiste che nella fantasia di qualche filosofo.

Che non può mai fare un legislatore, il quale ami la nazione e segua la natura anziché un sistema? Di nulla ei deve disperare: non vi è nazione che ei non possa render felice. Ma tutto è perduto quando un legislatore misura la infinita estensione della natura colle piccole dimensioni della sua testa, e che, non conoscendo se non le sue idee, gira per la terra come un empirico col suo segreto, col quale pretende medicar tutt’i mali.

Io non posso considerar senza pena la sorte di una nazione, cui si è tolta una costituzione per darne un’altra, forse anche migliore, ma tutta diversa. — Voi ci volete democratici — potrebbero dire quei popoli, — e noi vogliamo esserlo; noi siamo però [p. 222 modifica]

anche virtuosi, perché abbiamo una costituzione e l’amiamo. Ma voi ce ne volete dare un’altra che non possiamo amare, e noi non saremo più né liberi né buoni: poiché la libertà non consiste già nell’avere una costituzione anziché un’altra, ma bensì nell’aver quella che il popolo vuole; e la virtù non è che l’amore di quella costituzione che si ha... —

Noi abbiamo nella nostra nazione la miglior base di un governo repubblicano; base antica, nota e cara al popolo, ed, elevando sulla medesima l’edifizio della sovranità del popolo, forse sarebbe organizzata meglio che altrove.

  1. Queste lettere furono scritte in occasione del progetto della costituzione napolitana formato da Mario Pagano, il quale per mezzo del comune amico Russo ne avea fatta pervenire una copia all’autore delle lettere, invitandolo a darne un giudizio. Si è creduto utile conservarne taluni frammenti, onde far conoscere e la costituzione di Pagano, e la nazione per cui si era progettata.