Satire di Tito Petronio Arbitro/27

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Capitolo ventesimosettimo - Viaggio alla volta di Crotone. Progetti per far danaro

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Petronio Arbitro - Satire (I secolo)
Traduzione dal latino di Vincenzo Lancetti (1863)
Capitolo ventesimosettimo - Viaggio alla volta di Crotone. Progetti per far danaro
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CAPITOLO VENTESIMOSETTIMO

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viaggio alla volta di crotone.

progetti per far danaro.



Finì, quando Dio volle, tanto travaglio, ed entrammo abbattuti in una casupola da pescatore, dove ci ristorammo colle vettovaglie affatto guaste dalla tempesta, e passammo una pessima notte.

Il giorno dopo mentre tenevam consiglio a qual parte indirizzarsi, vidi ad un tratto il cadavere di un uomo sulle acque, che da un leggier gorgo fu trasportato a riva. Ciò mi fè stare sopra pensiero, e tristamente mi posi a considerare con attenzione la perfidia del mare.

E gridai: forse in alcuna parte del mondo la moglie aspetta con fiducia costui, o forse un figlio, che di questa procella non ha notizia, o fors’anche ha egli abbandonato suo padre, cui partendo baciò. Or ecco i progetti de’ mortali, ecco l’esito degli ambiziosi disegni; ecco come navighi l’uomo.

Ancora per un incognito si compiangea colui, quando gittato a terra dall’onda, senza esser guasto, conobbi essere quel sì terribil poc’anzi e implacabile Lica, ora quasi calcato da’ miei piedi.

[p. 151 modifica] Non potei trattener più a lungo le lagrime, anzi una e più volte battutomi il petto sclamai: dov’è ora la tua collera? ove la tua forza? eccoti fatto giuoco di pesci e di fiere, e tu, che le forze del tuo dominio poco fa decantavi, adesso una tavola pur non ti resta nel tuo naufragio di così ampio vascello. Ora andate, o mortali, ed empietevi l’animo di superbi pensieri: usate vostre precauzioni, e preparatevi a contar per mille anni sulle ricchezze malamente acquistate. Ieri ei fece i conti di tutte le sue entrate: ieri avea disposto anche il giorno del suo ritorno in patria. Oh numi del cielo, quanto è costui lontano da’ suoi disegni! Ma non è il mar solamente, che questa perfidia usi ai mortali. Chi combattendo cade vittima dell’armi, chi mentre sta pregando gli Iddii resta sepolto sotto la rovina de’ suoi tetti, chi rovescia dal cocchio e s’ammazza. Il cibo dà morte all’ingordo, il digiuno allo astinente. Se tu ben guardi, dappertutto vi è pericolo. Ma l’annegato non ha sepoltura, alcun dirà: come se ad un corpo, che è giunto a morire, possa importare se il fuoco o l’onda, o una lenta consunzione il consumi. Fa pur quanto sai, che ad ogni modo bisogna a questo passo venire. Ma le fiere mi dilanieranno; forse il fuoco ti tratta meglio? questa anzi reputiamo gravissima pena, colla quale ci sfoghiamo contra gli schiavi. Che pazzia è dunque codesta di far di tutto perchè nulla del nostro rimangasi senza sepoltura, quando ha pure così stabilito il destino anche per chi non ci pensa?

Dopo tali riflessioni resimo gli estremi ufficj al cadavere: e Lica venne così incenerito sopra un rogo dispostogli da gente a lui nemica: ed Eumolpione, mettendosi a fargli l’epitaffio, stendea lontani i suoi sguardi, onde risvegliar l’estro.

Adempiuto di buon grado questo dovere, ci avviammo per il proposto sentiero, e in poco tempo giugnemmo sudati alla cima di un monte, poco lungi dal quale [p. 152 modifica]vidimo un paese con un alto castello, nè sapevamci qual fosse, finchè un villano ci ebbe istruiti, che quella era Crotone,1 città antichissima, e già principale in Italia. Cercando poi con maggior diligenza qual fosse il carattere di color che abitavano quella illustre città, ed a qual genere di traffico principalmente si dedicassero, dopo aver tanto perduto nelle continue guerre, il villan ci rispose: o viaggiatori miei cari, se mercadanti voi siete, cangiate consiglio, ed altro mestiere cercatevi per mantener la vita: se poi come uomini di più gentil costume sapete navigare costantemente in mezzo alle doppiezze, siate certi di trarne guadagno. In questa città non si onoran gli studj delle amene lettere, non si conosce eloquenza, nè frugalità, nè in tanti costumi acquistan con lode lo scopo loro, ma gli uomini, che costà vedrete, formano per vostro avviso due classi, di cui l’una inganna, l’altra è ingannata. Qui nessuno raccoglie i suoi figli perchè un che abbia eredi necessari non è introdotto nè a cene, nè a spettacoli, ma privo di tutte le dolcezze della vita va a nascondersi trammezzo alla feccia del volgo. Bensì ottengono i primi onori color che non hanno obbligazioni di parentado,2 e soli sono considerati guerrieri, valorosissimi, e financo dabbene. Vedrete insomma, diceva, un paese simile ad un terreno appestato, dove non altro vi ha che i cadaveri lacerati, e i corvi che li lacerano.

Eumolpione più savio di tutti noi diessi a pensare su questo nuovo sistema, e dichiarò che non gli dispiaceva un cotal modo di arricchirsi. Io mi credetti che il buon uomo poeticamente scherzasse, quand’egli soggiunse: Così avess’io teatro più comodo, ed abiti più sfarzosi, onde accattar fede alla mia impostura! io non indosserei più per Dio questa valigetta, e voi ben presto di molte ricchezze farei possessori!

Io gli promisi quanto fosse per chiedermi, perchè partecipando al mio furto accettasse la veste, e [p. 153 modifica]tuttociò che poteano dare coloro, che avean saccheggiata la villa di Licurgo; giacchè la madre degli Iddii in premio della nostra fede ci avrebbe rimborsato le spese, che in questo incontro avessimo fatto.

Rispose Eumolpione a che dunque tardiam più oltre a disporre questa commedia? fatemi adunque vostro capo, se il progetto vi piace.

Non fuvvi alcuno che ardisse opporsi ad uno artificio, che nulla ci costava. E perchè questa trappoleria rimanesse tra noi segreta, giurammo fede ad Eumolpione, sotto pena di essere abbruciati, legati, battuti, ammazzati, e quant’altro fosse esatto da lui, consecrandogli religiosissimamente, come i veri gladiatori consacrano a’ loro padroni, i corpi nostri e le vite.

Fatto il giuramento ci misimo in aria di schiavi, e salutammo il padrone, il quale ci istruì a fingere, che a lui fosse morto un figliuolo, giovine egregiamente facondo, e di grande speranza, e perciò l’afflittissimo vecchio esser partito dal suo paese per ischivar la vista della tomba e de’ seguaci e colleghi del figlio suo, cagioni a lui di continuo pianto. Aggiugnersi a questa disgrazia un poc’anzi sofferto naufragio, per cui avea perduto 400 sesterzj: di che però non rattristarsi egli tanto quanto di non poter palesare la sua nobiltà per la perdita del suo corteggio. Oltre a ciò possedere in Africa3 un capitale di 30,000 sesterzj in terre; ed uomini, per, avendo sì numerosa famiglia sparsa nelle campagne della Numidia, financo conquistare Cartagine.

Dopo questa intelligenza avvisammo Eumolpione di tossire di spesso come un che abbia lo stomaco guasto, e che mostrasse nausea di ogni sorta di cibi, e avesse sempre in bocca oro ed argento, e i terreni ingannevoli, e la perpetua sterilità delle campagne. Si ritirasse oltr’a ciò tutti i giorni a far suoi conti e [p. 154 modifica]rinnovasse gli scritti del suo testamento, e a compimento della scena ogni qual volta volesse chiamare alcun di noi, scambiasse i nomi, onde ognun si accorgesse che come padrone ricordavasi pur di que’ servi, che non eran con lui.

Disposta in tal modo la macchina, e pregati gli Iddii, che a felice esito la conducessero, ci mettemmo in cammino. Ma non resistea Gitone al peso della valigia, cui non era accostumato, e il servitore Corace, arrabbiato di quell’ufficio, riponea spesse volte i fagotti, bestemmiava quei che correvano, e giurava che avrebbe gittato il carico, o sarebbesi fuggito con esso. Pensate voi, diceva egli, che io sia un asino, o una barca da trasporto? Io mi son dato in affitto per servir come uomo, non come cavallo; e sono libero al par di voi, benchè mio padre mi abbia lasciato povero. E non contento di questi improperj, andava di tratto in tratto rialzando la gamba, e la strada riempiendo di sucidi e fetenti crepiti.

Godevasi questa stizza Gitone, e ad ogni scoppio di colui corrispondea similmente, onde mitigarne il puzzore.



Note

  1. [p. 306 modifica]Crotone, città della Calabria ulteriore, o meridionale poco distante dal Golfo di Taranto. L’antica Crotone fu già, come Sibari sua vicina e sua rivale, una delle più fiorenti repubbliche d’Italia. I Romani la conquistarono, e sin dai fondamenti distrussero. Oggi appena vi rimangono alcune rovine di case, di sepolcri, e di tempj, fra i quali veggonsi de’ frammenti considerabili del tempio di Giunone Lucina, e chiamasi Capo Colonna. Distante sei miglia havvi una nuova Crotone, piccola ed infelice città situata in mezzo alle paludi, ed al pantano. Veggasi Pilati a pag. 238 del Tomo II. de’ suoi Voyages en differens pays de l’Europe.
  2. [p. 307 modifica]Il celibato fu sempre dalle saggie nazioni considerato perniciosissimo, perciò è vietato, o almeno multato. E un segnale di corruzione trovano i politici nel numero soverchio di celibatarj di un popolo qualunque.
  3. [p. 307 modifica]Era l’Affrica reputata la più fertile e la più ricca Provincia del mondo.