Scientia - Vol. IX/Nuove teorie sulle cause dell'era glaciale
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NUOVE TEORIE
SULLE CAUSE DELL’ERA GLACIALE
Ormai è universale il consenso tra fisici e geologi che condizione o, diciamolo pure, causa immediata delle grandi espansioni glaciali, che impressero la loro impronta, ancor fresca e recente, su vastissime estensioni di tutti i continenti, fu un abbassamento di temperatura. Questa conclusione, alla quale credo di aver portato conforto di prove quantitative, quando una scuola autorevolissima, che si onorava dei nomi di Tyndall, Stoppani, e Blaserna, sosteneva la conclusione opposta, ricevette di recente la consacrazione definitiva nella grandiosa opera di Penck e Brückner[1], che rimarrà per lungo tempo il codice della glaciologia alpina.
Nel bilancio di un ghiacciaio ha parte predominante l’ablazione, cioè il processo di fusione del ghiaccio, che è tanto più attivo quanto maggiore è la temperatura estiva nella regione dei ghiacciai. Io avevo ammesso, sedici anni or sono, per semplice intuizione che la quantità di ghiaccio fuso è proporzionale al numero di gradi sopra lo 0°, e come intuizione tale concetto è accolto anche da Penck; ma ora possiamo affermare il fatto come dimostrato, dopo le belle e ignorate ricerche del nostro Fantoli sul regime delle acque glaciali nei bacini dell’Adda, del Ticino e del Rodano[2]. Poiché la temperatura media estiva oltre i 2500 m. è di pochi gradi sopra lo 0°, si comprende come l’abbassamento di 4.° o 5.° possa quasi annullare l’ablazione e far sì che le nevi di anni successivi si accumulino e si estendano, invadendo in correnti di ghiaccio valli e pianure. Se si volesse spiegare lo stesso effetto coli’ aumento delle precipitazioni nevose, bisognerebbe supporre una nevosità iperbolica: tanto più se questa si volesse far dipendere da un aumento di temperatura, che consumerebbe una gran parte dell’alimento.
Penck per questo e per altri argomenti, non tutti persuasivi, arriva anzi alla conclusione che nell’era glaciale la piovosità doveva essere minore dell’attuale; ma a tanto non arriverei. Sono dispostissimo ad ammettere che nelle fasi di massima espansione, alle quali si riferiscono gli argomenti di Penck, quando il clima era fortemente influenzato dall’espansione stessa, e si preparavano già le condizioni per il rapido ritiro, la piovosità nelle regioni ghiacciate fosse notevolmente minore dell’attuale. Una vasta estensione di ghiacci, com’è attualmente la Groenlandia, è naturalmente regione di scarsa precipitazione, perchè diventa sede di un’alta pressione. Ammetto cioè che all’apice di ogni espansione possa aver corrisposto un clima freddo e asciutto; ma non posso ammettere che un clima siffatto abbia preparato l’espansione stessa. Come meteorologo, io non so separare nelle variazioni dei climi, almeno nelle nostre regioni non molto lontane dai mari, l’idea di un abbassamento di temperatura media dall’idea di una maggiore nuvolosità e piovosità, tanto più se abbiamo di mira specialmente la temperatura estiva. L’osservazione comune ci dice che le estati più fredde sono anche le più torbide, e il classico lavoro di Brückner[3] sulle oscillazioni dei elimi ha fornito anche i documenti secolari di questo postulato dell’osservazione comune. Le oscillazioni attuali dei ghiacciai rispondono, con ritardo, a periodi freddo-umidi, che determinano gli avanzamenti, alternati a periodi caldo-asciutti, che determinano i ritiri; non vedo ragione plausibile per ammettere che le grandi espansioni quaternarie siano da attribuirsi a periodi freddo-asciutti. Le regioni ove domina attualmente un clima siffatto, come la Siberia orientale, sono relativamente povere di ghiacciai, mentre nella Nuova Zelanda e nella Patagonia, a elima freddo-umido, le lingue di ghiaccio scendono attraverso i boschi fin quasi al mare.
Perciò non metto dubbio che a preparare le grandi espansioni glaciali d’Europa e dell’America settentrionale sia intervenuta una lunga serie di estati torbide e piovose, brevi e meno calde, come se ne verificano tuttora in alcuni gruppi di anni, e sono lieto che il mio collega Taramelli trovi nel glaciale italiano prova non dubbia di una maggiore piovosità. Basterebbe dire che le ere glaciali furono preparate da periodi di tempo ciclonico in Europa e in America, perchè sono le depressioni barometriche che nell’estate portano temperatura più mite, cielo coperto e maggiore piovosità in basso, nevosità in alta montagna. Con ciò potremmo dire di aver risolto il problema glaciale, nei confini entro i quali troppo spesso siamo condannati a spiegare i fenomeni e i capricci del tempo attuale. Noi leggiamo nelle cronache meterologiche dei giornali: le piogge insistenti dei tali giorni, i freddi che ci costrinsero a esumare i soprabiti in Giugno furono conseguenza di un ciclone atlantico, che generò un cicloncino nel Tirreno, dove rimase sei o sette giorni finché si sciolse o si mosse verso l’oriente. Perchè poi al ciclone e al cicloncino sia piaciuto di far così, noi non lo sappiamo, ed è curiosa questa nostra insistenza nel voler cercare la causa della causa di un fenomeno meteorologico remoto, quando non sappiamo trovarla per i fenomi analoghi che si svolgono sotto i nostri occhi. Tuttavia è interessante seguire i tenta ti vi per accostarsi alla soluzione del problema, sia perchè furono l’impulso a ricerche climatologiche e fìsiche di alto interesse già per se stesse, sia perchè il fenomeno si presenta in una scala ben più grandiosa delle piccole perturbazioni attuali e storiche del clima, e possiamo sperare ch11 ci riveli più facilmente il giuoco delle cause e degli effetti, proiettando così dal passato luce sul presente.
Come si può ammettere un tempo ciclonico dominante contemporaneamente e per lunga serie di secoli non soltanto sulle due sponde dell’Atlantico, ma in tutte le regioni montuose di ambedue gli emisferi, ove il quaternario è rappresentato da formazioni e da caratteri morfologici di origine indubbiamente glaciale? Il sig. Harmer, [4] che studiò il problema da questo punto di vista, è costretto a supporre che i periodi glaciali e interglaciali si presentarono reciprocamente alternati in Europa e in America, ma i glaciologi non sono disposti ad ammettere tale alternanza e i meteorologi non possono acquetarsi all’artificiosità della sua costruzione. Gli studi di Brückner hanno del resto già messo in evidenza negli alterni periodi climatologici il ripetersi di una condizione analoga di minor pressione lungo la zona più esterna di tutti i continenti, che facilita l’afflusso dell’aria, umida, dagli oceani e quindi una maggiore piovosità continentale, e che è collegata a una minore temperatura media, dovuta principalmente a una minore temperatura estiva. Ma qual’è in questo concatenamento di fenomeni il fenomeno principe dal quale tutti gli altri dipendono? E unii domanda forse artificiosa, analoga a quella sulla precedenza dell’uovo e della gallina, impostaci soltanto dalla velleità della nostra logica di voler stabilire una gerarchia di precedenze tra fenomeni indissolubilmente legati fra loro. Ma a tale valletta non possiamo sottrarci e la domanda comunque ci si impone.
La risposta che a prima vista si impone come più naturale e quella suggeritaci dalle attuali estati fredde. Esse sono tali quando e perchè sono umide; è quindi la maggiore umidità, nuvolosità e piovosità il primo anello della catena. Ma tale condizione impone l'ipotesi di una maggiore abbondanza di vapore acqueo nell’atmosfera e dobbiamo cercare la causa di questo fatto. Fin dal principio degli studi glaciali questa causa parve trovata in una più intensa attività vulcanica che avrebbe lanciato nell’atmosfera, all’inizio di ogni espansione glaciale, una immensa quantità di vapore. Tale ipotesi, enunciata da Charpentier, trova tuttora validi aderenti, tra i quali il mio sempre giovane maestro Taramelli; in generale mi fanno l'onore di ascrivere in questa schiera anche me, nonostante ch’io abbia portato argomenti contrari alla teoria vulcanica. [5]
La quale è oppugnata, con un calore polemico che contraddice alla frigidità dell’argomento, da un’altra schiera di valorosi geologi, a capo dei quali è attualmente il Frech. [6] Essi sostengon che le ere glaciali furono al contrario preparate da periodi di inattività vulcanica; ed io lascio ai geologi discutere gli argomenti di fatto pro e contro, ben lieto che la mia incompetenza mi faccia obbligo di sottrarmi alla pericolosa battaglia. Ma pur ammesso che nella questione di fatto i vulcanisti abbiano ragione, rimarrebbe tuttavia a dimostrare se un'attività vulcanica, che non abbia carattere di cataclisma universale, può gettare nell'atmosfera tanto vapore acqueo da intorbidirla tutta e per lungo periodo d'anni; e la domanda è tanto più giustificata pel fatto che i più recenti studî sulle eruzioni vulcaniche tendono ad abbassare notevolmente la percentuale di vapore acqueo endogeno nelle emanazioni gasose dei vulcani. Inoltre i periodi climatologici degli ultimi due secoli non offrirono alcun legame coll'attività vulcanica, benchè i cataloghi delle eruzioni segnalino un periodo undecennale che risponde a quello delle macchie solari. [7]
In un mio articolo di carattere popolare [8] credetti di potermi sottrarre all'obbligo di giustificare con altre cause la maggiore piovosità sui continenti, considerando i ritmi glaciali, e in generale i ritmi climatologici, come espressioni di un ritmo fisiologico nel processo di distillazione del vapore oceanico sui continenti. Si alternerebbero cioè sui continenti periodi di condensazione più intensa e quindi più torbidi e freddi, con periodi di condensazione ridotta e quindi più sereni e caldi: lo stato normale non si raggiungerebbe mai, perchè in natura ogni trasformazione oltrepassa la linea di equilibrio, alla quale si avvicina per oscillazioni. Confesso che, pensando ora alla immensa durata dei periodi glaciali e interglaciali, tale spiegazione mi fa l'impressione di una scappatoja, come ne offre tante il principio d'analogia tra ordini diversi di fenomeni, ma il forellino è troppo piccolo per un problema così grosso.
Se si deve escludere, come pare, l'ipotesi vulcanica, sembra naturale il processo di collegamento dei fenomeni ideato dal Brückner. La maggiore o minore piovosità sui continenti risponde al minore o maggiore dislivello di pressione fra continenti ed oceani, e poichè tale dislivello dipende dal dislivello della temperatura, e questo dalla intensità della radiazione solare, che riscalda diversamente la terra e l'acqua, il nucleo del problema si ridurrebbe a spiegare le variazioni della radiazione solare ricevuta dalla Terra. È in questa direzione che si movono tutte le ipotesi create a risoluzione del problema glaciale.
Tali ipotesi si dividono in astronomiche e in meteorologiche. Le prime ammettono che le ere glaciali rispondano a periodi di minore intensità di radiazione solare ricevuta dalla Terra fuori dell'atmosfera; le seconde ammettono invece che esse rispondano a variazioni nella trasparenza dell'atmosfera, per effetto delle quali il bilancio fra la quantità di calore ricevuto alla superficie del suolo e la quantità di calore irradiato da questo si chiudesse, per un lungo periodo di anni, in deficit.
La più semplice tra le ipotesi astronomiche è quella che ammette delle oscillazioni nella radiazione propria del Sole, ipotesi che si sottrae a qualsiasi controllo. Essa appare tuttavia poco probabile, perchè a spiegare l'alternanza delle ere glaciali e interglaciali presuppone delle oscillazioni relativamente rapide, e limitate ai periodi glaciali relativamente assai brevi. Inoltre una minore intensità radiante del Sole, oltre determinare un minor dislivello di temperatura fra terre e mari, dovrebbe determinare anche un minor dislivello termico fra le basse e le alte latitudini: e, al contrario, ai periodi di maggior intensità, come le ere terziarie, dovrebbe corrispondere un maggior dislivello termico sia nell'un senso che nell'altro. Ora è un fatto acquisito che le ere terziarie si contraddistinsero invece per una grande uniformità di temperatura fra le varie latitudini, mentre nelle quaternarie e anche nelle anteriori alle terziarie e più fredde di queste, come le mesozoiche, la distinzione in zone climatiche era assai più pronunciata.
Perciò le teorie astronomiche vanno di preferenza alla ricerca di quelle mutazioni, o perturbazioni, nelle posizioni reciproche del Sole e della Terra, che possono dar ragione o di un abbassamento della temperatura in generale o in particolare di un abbassamento della temperatura estiva. Tutte le perturbazioni note furono messe a contribuzione: variazione dell'eccentricità dell'eclittica, precessione degli equinozi, inclinazione dell'asse terrestre sul piano dell'eclittica, spostamento dei poli, considerate da sole o combinate fra loro in modo da rispondere allo scopo preconcetto. Nè si mancò di ricorrere persino a perturbazioni non prevedute dall'astronomia, come la pendulazione di Simroth che, in base ad argomenti puramente biologici, suppone l'asse terrestre mobile entro la terra, in modo che i poli si spostino a spirale da un emisfero all'altro. [9]
Tutte le teorie astronomiche si credevano sepolte perchè o artificiose, o inadeguate, o contradditorie ai fenomeni stessi che si volevano spiegare; ma nelle questioni insolute si ritorna spesso a riprovare quegli argomenti che si erano messi da parte, quando si smussano nelle mani quelli che parevano più atti a sciogliere il nodo. Così la teoria di Croll, che ricorreva assai genialmente alle variazioni dell' eccentricità combinata colla precessione degli equinozi, era stata demolita, fin dal suo nascere, dal nostro grande Schiaparelli [10] con un argomento che merita d'essere ricordato perchè applicabile ad altre teorie che ora hanno maggiore voga. Il Croll [11] riallacciava i periodi glaciali a periodi di massima eccentricità dell'eclittica, in corrispondenza ai quali i due emisferi avevano alternativamente inverni rigidissimi, perchè per lo spostamento degli apsidi l'inverno veniva a cadere prima per l'uno e poi per l'altro nell'afelio e ad una distanza dal sole assai maggiore dell'attuale. Prescindiamo dal fatto che, secondo questa teoria, le espansioni glaciali dovevano essere non simultanee. ma alternate sui due emisferi, ciò che i glaciologi contestano, e dal fatto che a quegli inverni rigidissimi dovevano corrispondere estati assai più calde delle attuali, che abbiamo veduto essere condizione contraria all'espansione dei ghiacciai, e veniamo alla fallacia rilevata dallo Schiaparelli. Il Croll valuta l'abbassamento di temperatura col calcolo assai semplicista che la temperatura assoluta dalla superficie terrestre sia semplicemente proporzionale alla quantità di calore solare ricevuta, e giustifica perciò facilmente un raffreddamento di decine di gradi. La legge era errata in sè stessa, ma l'errore era aggravato dal fatto che non si teneva alcun conto delle reazioni fatte nascere da ogni variazione dell'equilibrio termico nelle masse fluide dell'atmosfera e degli oceani. In base al calcolo di Croll, alla differenza di quantità di calore solare ricevuta dalla Terra a latitudini diverse dovrebbero corrispondere differenze di temperatura immensamente maggiori di quelle che realmente si osservano, a determinare le quali concorrono le azioni moderatrici delle correnti aeree ed acquee e delle trasformazioni del vapore acqueo. Nonostante questo cumulo di argomenti, la teoria di Croll, più o meno riveduta e corretta, sopravvisse a sè stessa, cosicchè dal Wocikof nel 1886, da me nel 1894, e ancora attualmente dall' Herz [12] si dovette ritornare all'attacco contro di essa; poichè tuttavia essa risorse, almeno come strumento sussidiario, in una recente memoria di quel benemerito climatologo che è lo Spitaler. [13]
Le variazioni dell'obliquità dell'eclittica sembravano troppo piccole per dar ragione delle grandi variazioni dei climi, quand'ecco nel 1902 Ekholm [14] e nel 1907 Spitaler, nel lavoro testè citato, sorsero a riabilitarle, dimostrando come possano realmente dar ragione di variazioni non trascurabili. Un aumento d'inclinazione dell'asse terrestre ha per effetto di prolungare la durata dei giorni estivi e delle notti invernali e in particolare di aumentare il numero dei giorni in cui il Sole sta sempre sopra l'orizzonte entro i cerchi polari; ai periodi di massima obliquità corrispondono quindi estati più caldi e inverni più rigidi, e quindi a periodi di minima obliquità estati e inverni più miti. Ekholm valutando come Croll, ma colla legge rigorosa di Stefan, il raffreddamento come rispondente intieramente alla minore radiazione, valuta a parecchi gradi sotto l'attuale la temperatura del luglio di un periodo di minima obliquità per le latitudini medie (p. es. 2°. C a 55° lat.): Spitaler in base a una delle sue classiche formole empiriche con cui esprime la temperatura su ogni parallelo in funzione della radiazione solare ad esso rispondente nei diversi periodi dell'anno, e del grado di continentalità del paralello stesso, cioè della frazione di esso che è occupata da continenti, arriva a un risultato assai diverso (circa 1° C a 50° lat.). Ambedue i calcoli sono suscettibili di critica, ma certamente più il primo, cui è applicabile l'argomento dello Schiaparelli, mentre il secondo, pur non tenendo conto dell'azione moderatrice delle correnti aeree ed acquee, parte dai dati concreti esprimenti le condizioni attuali. Vediamo tuttavia che tali variazioni (certamente esagerate) non sono sufficienti a spiegare l'abbassamento di 4° o 5° necessario per giustificare l'espansione glaciale; e infatti l'Ekholm, che di fronte al grande problema glaciale aderisce con Arrhenius a un'ipotesi meteorologica, applica questi risultati di un'ipotesi astronomica al problema minore delle variazioni postglaciali del clima, sulle quali però geologi e biologi non hanno ancora trovato l'accordo. Spitaler invece, per rafforzare il suo risultato, ricorre come Croll alle variazioni dell' eccentricità. dimostrando p. es. che colla massima obliquità dell' eclittica (27.31) e la massima sua eccentricità () a 60° lat. si avrebbero -32°.04 e +15°.07 come temperature rispettivamente del gennaio e del luglio; colla minima obliquità (21º. 20) e l'eccentricità nulla si avrebbero invece 16.017 e +11.18. Condizioni così estreme dell' eccentricità non si verificarono negli ultimi periodi di massima e minima inclinazione che rimontano secondo Spitaler a 29400 e 14400 anni a. C. Mentre poi Ekholm riferisce i periodi freddi a periodi di minima, Spitaler li riferisce a periodi di massima obliquità; le ere glaciali risponderebbero cioè a inverni rigidi ed estati calde, cioè a condizioni climatologiche, che sappiamo contrarie a quelle che favoriscono le espansioni glaciali.
Anche lo spostamento dei poli si credeva di averlo messo definitivamente a riposo coll' argomento che la glaciazione quaternaria abbracciava i poli (nella loro posizione attuale) da tutte le parti, chiudendoli, come si disse argutamente, in trappola. Inoltre, anche ammettendo che le grandi glaciazioni abbiano predominato nel bacino atlantico, e possano attribuirsi a un abbassamento del polo da questo lato, tale abbassamento dovrebbe essere stato di parecchi gradi, quando si voglia giustificare con esso un raffreddamento di 4°-5° nella regione alpina. A così enorme spostamento doveva corrispondere tale trasporto nelle masse oceaniche da mutare notevolmente la distribuzione delle terre e dei mari, ciò che i geologi escludono. Per fortuna le prove di espansione glaciale anche a basse latitudini, sia in Africa che in Asia e in America, dimostrano che la trappola era realmente chiusa. Tuttavia anche questa ipotesi risorge nell' opera già ricordata, di Hertz. Non lo seguirò qui nella costruzione del suo formidabile edificio di formole colle quali, partendo dalle equazioni del moto di uno sferoide rigido, dimostra che se lo sferoide si allunga nel senso dell'asse minore d'inerzia, il periodo dell'oscillazione periodica del polo, che egli ammette di 305 giorni (Periodo di Eulero), si allunga e nello stesso tempo l'oscillazione si accentua, finchè, quando il periodo raggiunge i 365 giorni, la Terra diventa folle intorno al suo asse di rotazione. La diminuzione dello schiacciamento l'Herz la immagina dovuta alla formazione di due calotte polari di ghiaccio, effetto di un raffreddamento preventivo, a spiegare il quale si può ricorrere ad altra causa, p. es. a una diminuzione dell' obliquità dell' eclittica. A tale allungamento, per sovrapposizione, dello sferoide sarebbe seguito uno spostamento sempre crescente del polo, che spiegherebbe il ghiacciamento lungo il bacino Atlantico. Parmi inutile esporre e discutere punto per punto i dettagli della teoria che, a mio avviso, non regge sulle fondamenta. La Terra infatti non è rigida: e il suo grado di plasticità è tale che il periodo di oscillazione dell'asse d'inerzia attorno all'asse di rotazione è notevolmente superiore a un anno (Periodo di Chandler di 14 mesi); le formule di Herz perdono perciò ogni applicabilità. [15]
Dopo questa breve rivista delle teorie astronomiche, pur nelle nuove vesti da esse assunte in questi ultimi anni, credo che non parrà ingiustificata la conferma della condanna alla quale erano già sottoposte nelle più semplici vesti antiche. La condanna condizionale potrà essere riservata soltanto alla ipotesi di una variazione periodica della costante solare, per insufficienza d'indizî. Passiamo ora all'esame delle ipotesi meteorologiche. La temperatura del suolo, e quindi dell'aria negli strati inferiori, dipende dall' equilibrio fra il calore ricevuto dal Sole attraverso l'atmosfera e quello che il suolo irradia verso l'atmosfera stessa e verso lo spazio, equilibrio regolato però anche dai movimenti dell'aria, che tendono a pareggiare orizzontalmente la temperatura, e a stabilire verticalmente una determinata legge di diminuzione, che risponde ad una condizione di equilibrio dinamico indifferente. Le misure, eseguite da Maurer, Trabert e Pernter, della radiazione notturna di una superficie nera dimostrano che essa è molto minore di quella che la superficie stessa irradierebbe in uno spazio allo zero assoluto. Ciò significa che la massa atmosferica sovrastante, il cielo, irradia verso il suolo come una superficie vera a una temperatura notevolmente superiore allo zero assoluto. [16] Questa temperatura del cielo è la manifestazione del calore assorbito dagli strati sovrastanti dell'aria, o trasportato in essi dai movimenti convettivi, o sviluppato in essi dalla condensazione del vapore; essa dipende quindi dalla trasparenza dell'aria per il calore solare e per il calore oscuro emanante dal suolo, e in generale dalle condizioni meteorologiche.
La radiazione solare è pochissimo assorbita dall' aria pura, ma fortemente assorbita dalle impurità, rappresentate dal pulviscolo atmosferico e dalle goccioline d'acqua e dagli aghetti di ghiaccio, che sono diffusi anche a cielo sereno o leggermente caliginoso. Ciò fu provato, in seguito a 11 anni di misure attinometriche sull' Etna, dal nostro Bartoli. È noto inoltre che dopo la grande eruzione della Pelée nel 1902, che lanciò nell'aria una massa non certo molto rilevante di minutissima cenere vulcanica, si ebbe, non solo il fenomeno dei crepuscoli rossi in tutta la terra, ma una notevole diminuzione, durata parecchi mesi, nella intensità della radiazione. solare. Il pulviscolo diffuso nell' aria esercita infatti un forte potere dispersivo e diffusivo sulla radiazione solare, mentre nello stesso tempo facilita la condensazione del vapore acqueo, cui offre un gran numero di nuclei condensatori, e anche con ciò contribuisce a diminuire la trasparenza atmosferica.
L'assorbimento che l'atmosfera esercita sulle radiazioni oscure del suolo è un assorbimento eminentemente selettivo; sono cioè quasi esclusivamente alcuni fasci di radiazioni dell'ultrarosso che vengono in gran parte arrestati dall'aria, che per tutte le altre è quasi perfettamente trasparente, e si dimostra che tale assorbimento è dovuto al vapore acqueo e all' anidride carbonica diffusi nell'atmosfera.
L'equilibrio termico del suolo dipende, prescindendo da altre influenze meteorologiche, da ambedue gli assorbimenti e quindi dalla maggiore o minor copia di pulviscolo atmosferico, e in generale di nuclei condensatori del vapore acqueo, per la radiazione solare, dalla maggiore o minore umidità e dalla percentuale di anidride carbonica per la radiazione terrestre.
Il signor Arrhenius [17] dà esclusiva importanza a questo ultimo elemento, al quale sarebbe subordinata l' influenza della umidità, mentre ritiene trascurabili le variazioni della trasparenza per il calore solare. La sua teoria, per il nome del creatore e di molti autorevoli aderenti, e per l'interesse delle ricerche fisiche delicatissime a cui diede l'impulso, merita un esame dettagliato. Egli attribuisce le variazioni geologiche del clima a variazioni nella percentuale dell' anidride carbonica dell' atmosfera.
Quando iniziò i suoi studî non esistevano misure dell' assorbimento termico dell' anidride carbonica e del vapore acqueo per radiazioni emananti da un corpo a bassa temperatura come la Terra (in media + 15º) e si valse perciò delle ricerche allora recenti di Langley sullo spettro lunare, cioè sullo spettro d'assorbimento attraverso l'atmosfera delle radiazioni emananti da un corpo a circa 100° C., calcolando le masse di CO° e di vapore, attraversate sotto varia altezza della Luna, dallo spessore d'aria nelle corrispondenti direzioni. L'assorbimento totale gli risultò, colla Luna allo zenit, di circa il 70 % della radiazione di un corpo a 15° C e crescente rapidamente col crescere della distanza zenitale dell' astro. Di qui dedusse quale variazione nell' assorbimento, e quindi nel raffreddamento di un corpo radiante in un'atmosfera di acido carbonico e vapore acqueo, può corrispondere a una variazione nella densità dei due costituenti, e reciprocamente di quanto deve variare questa densità per spiegare una determinata variazione nel raffreddamento, e quindi una determinata variazione nella temperatura del corpo. Una valutazione così elevata dell' assorbimento del calore oscuro attraverso un' atmosfera di CO 2 contraddiceva ad esperienze dirette di Angstrom [18] in base alle quali, e ad altre istituite in seguito dall'illustre fisico e dalla sua scuola, l'assorbimento totale del calore per l'acido carbonico non può superare il 16%, e, quando lo strato di gas attraversato superi un quinto dello strato omogeneo cui può essere ridotto il CO2 atmosferico, non dipenderebbe più da ulteriori aggiunte. In altri termini quello spessore limite assorbirebbe tutto il calore che può essere assorbito dal CO2, come, per usare un'immagine ingegnosa di Clemens Schäfer, [19] un'assicella di un millimetro di spessore assorbe tutta la luce, e l'aggiunta di altre non ha quindi alcun effetto. Arrhenius, con misure dirette di assorbimento, attraverso spessori crescenti di CO2, di radiazioni emananti da un corpo a 15° verso un corpo a 802, ed Ekholm con extrapolazione delle misure stesse di Angstrom e Koch, elevarono il valore dell' assorbimento massimo al 30%. Lo Schäfer contrappose alle esperienze di Arrhenius altre esperienze, ma su radiazioni a 100° C, le quali dimostrerebbero che l'assorbimento non dipende solo dalla massa attraversata, ma anche dalla sua densità, essendo sempre piccolissimo per densità piccolissime, com'è quella del CO* nell'atmosfera. A ravvivare, e pare a risolvere, il dibattito scese l'alta autorità di uno tra i più industri esploratori dell'ultrarosso spettrale, il Rubens in collaborazione col Ladenburg. [20] Le loro recenti ricerche dimostrarono come le osservazioni della scuola di Angstrom, e quelle di Schäfer, non sono concludenti, perchè essi operarono con corpi a temperatura molto alta, che non emettono radiazioni di grande lunghezza d'onda, mentre per le radiazioni fredde l'assorbimento del CO² è rappresentato prevalentemente da una forte fascia attorno alla lunghezza d'onda di 14. 7 micron. L' assorbimento di 400 cm. di CO alla pressione ordinaria, equivalenti alla colonna dell' acido carbonico nell'atmosfera, rappresenta il 21 % della radiazione totale della fascia, ed è indipendente dalla densità, cosicchè ancora a 0. 04 atmosfere l'assorbimento di una data massa è eguale a quello alla pressione ordinaria. Dimostrarono inoltre che per colonne diverse a pressione eguale l'assorbimento cresce come il logaritmo dello spessore, cosicchè, partendo da una colonna di massa eguale a quella della colonna di CO² atmosferico, all' aumento o alla diminuzione di non corrisponde che l'aumento o diminuzione di o soltanto dell'assorbimento primitivo. Perciò essi ritengono che una variazione nella percentuale dell' anidride carbonica atmosferica, quale si può ammettere plausibilmente per il breve periodo postglaciale, non può dar ragione del fenomeno glaciale.
A tale conclusione si ribella il sig. Arrhenius che si fa forte anzi delle esperienze di Rubens e Ladenburg per affermar dimostrata la sua teoria contro le precedenti obbiezioni. In base ad esse egli calcola che per giustificare il raffreddamento di 4º, 5 C, che i glaciologi richiedono a spiegazione del fenomeno glaciale, è necessario supporre che nell'era glaciale la percentuale del CO fosse la metà dell' attuale. Con quali principî di equilibrio termico egli giunge a questi risultati ? 1 È questo, a mio avviso, uno dei punti più deboii della sua teoria. Egli, modificando i principî e le formole che gli servirono di base al calcolo nella prima memoria e ch' io sottoposi allora a una critica che ho ragione di credere fondata, [21]ammette ora che tutta la quantità irradiata in più o in meno dal suolo per il diverso assorbimento dell' aria carbonicata, si manifesti come aumento o diminuzione di energia termica superficiale, secondo la legge di Stefan. Il raffreddamento prodotto da una diminuzione dell' acido carbonico determinerebbe poi una diminuzione nell' umidità assoluta, e, poichè anche il vapore acqueo è assorbente delle radiazioni oscure, un ulteriore raffreddamento per irradiazione, che va ad aggiungersi al primo.
Nessun meteorologo può accogliere un calcolo così schematico come espressione delle leggi immensamente complesse che governano l'equilibrio radiante e la distribuzione del calore nell'atmosfera. Esso è, con corredo più scientifico, la ripetizione della fallacia di Croll, e contraddice al principio fondamentale, che è valido in meteorologia come in ogni altro campo della fisica, secondo il quale ogni causa, che tende a determinare una variazione nell' equilibrio fisico di un sistema, provoca fenomeni di reazione che ne diminuiscono l'effetto. Nel caso speciale questi fenomeni di reazione sono, oltre i movimenti convettivi dell' atmosfera e dell'oceano, la condensazione del vapore acqueo, (che attenua il raffreddamento, sia per il corrispondente sviluppo di calore, sia perchè arresta l'irradiazione del suolo colla formazione di nebbie e nubi), e il ricambio continuo di CO2 fra aria e suolo, e fra aria e mare che è il grande magazzino regolatore del bilancio del gas nell' atmosfera. L'osservazione comune ci dice che la percentuale di CO2 varia in modo sensibilissimo, colla stagione, coll'ora, colla pressione, col vento; varia poi da luogo a luogo, essendo naturalmente maggiore in vicinanza delle sorgenti naturali o artificiali del gas, ed io non credo che alcuno possa attribuire a queste variazioni un effetto sulla temperatura, che possa venir isolato in modo evidente dal complesso delle altre cause meteorologiche.
Non credo poi che la maggior parte dei geologi sia disposta ad ammettere che nel breve periodo postglaciale l'attività vulcanica (alla quale Arrhenius attribuisce le variazioni della carbonicità nell' aria) sia stata così forte da spiegare, nonostante l' estendersi della vegetazione nelle grandi aree prima ghiacciate, il raddoppiamento della massa di CO2 nell'atmosfera, che suppone la produzione di parecchie volte la massa totale attuale perchè una massa ben maggiore va sciolta nell' oceano. Tanto meno saranno disposti ad ammettere che ognuno dei tre periodi interglaciali trovi la sua spiegazione in un precedente periodo vulcanico.
L'altro punto debole della teoria di Arrhenius è l' assoluta, e voluta, esclusione di qualsiasi variabilità nella trasparenza dell'aria per la radiazione solare, come se nell' atmosfera esistessero solo gas e vapore acqueo trasparente. Dico voluta, perchè fin dalla pubblicazione della sua prima memoria, io gli contrapposi quei fatti ai quali ho indietro accennato a sostegno della teoria contraria. Aggiungo ora che, volendo con lui attribuire le ere glaciali a periodi di minore umidità, e quindi minore nuvolosità e piovosità, specialmente nei mesi estivi (é abbiamo già visto come ciò non sia ammissibile), dovremmo ammettere estati più serene e quindi di più intensa radiazione solare e di più attiva ablazione.
Nel mio lavoro sulle Cause dell'era glaciale io tenni conto, ammetto in modo schematico, di ambedue i coefficienti di trasparenza dell' atmosfera per il calore del Sole e per il calore del suolo, valutando nel primo anche lo stato del cielo più o meno nuvoloso o caliginoso. Esprimendo in equazione l'equilibrio radiante di un elemento del suolo, con formole che essenzialmente coincidono con quelle stabilite poi nella prima memoria di Arrhenius, io determinai la distribuzione sulla terra della cosidetta temperatura solare, cioè di quella temperatura che sarebbe determinata soltanto dal detto equilibrio radiante, fra la quantità di calore solare che il suolo riceve a varie latitudini, e la quantità di calore che il suolo irradia verso il cielo, indipendentemente dalle altre influenze meteorologiche. Riscontrai così che le differenze tra i valori calcolati e i reali valori medî della temperatura presentano una distribuzione affatto conforme a quella delle anomalie termiche del Dove, rispecchianti, come è noto, appunto le influenze delle correnti aeree ed oceaniche. Non giuro naturalmente sul numero, ma credo non si possa dubitare della razionalità dei principî messi a base della discussione, nè credo che la grande complessità del problema permetta una formulazione come quella recentemente tentata dal sig. Herz, [22] che vorrebbe essere più rigorosa, ma che è assolutamente illusoria, per l'introduzione di troppi elementi inafferrabili e di troppi postulati arbitrari.
Le formole da me ottenute permettono di determinare quale influenza abbia sulla temperatura media, e sulla sua escursione annua, una variazione dei due coefficienti di trasparenza; e in particolare dimostrano che, quando essi diminuiscono contemporaneamente, anche di poco, si ha una diminuzione nella tenperatura media la quale si accentua colla latitudine fino al cerchio polare per attenuarsi di lì verso i poli, e una diminuzione nella escursione annua, che risponde a un maggior abbassamento della temperatura estiva.
Le condizioni che abbiamo riconosciute necessarie per Pagina:Scientia - Vol. IX.djvu/334 Pagina:Scientia - Vol. IX.djvu/335 Pagina:Scientia - Vol. IX.djvu/336
Note
- ↑ Penck u. Brückner, Die Alpen in Eiszeitalter, Leipzig, 1909.
- ↑ G. Fantoli, Alcune note d’idrografia. Sulla estensione dei ghiacciai nel dominio dei nostri fiumi alpini, sul tributo e sul regime delle acque glaciali, «Il Politecnico», Milano, 1902.
- ↑ E. Brückner, Die Klimuschwanktmaen seit 1700, «Geogr. Abbattili. IV», Wieu. 1890.
- ↑ F. W. Harmer, Influence of Winds upon Climate during the pleistocene Epoch, «Quart. Journ. of Geol. Soc.», LVII, 1901.
- ↑ L. De Marchi, Le cause dell’era glaciale, Pavia, 1895.
- ↑ Memorie diverse in «Neues Jahrb. Mineral. und Geol.» e annesso «Centralblatt», e nella «Zeitschr. Gesellsch. f. Erdkunde».
- ↑ De Marchi, Cause dell' era glaciale.
- ↑ Il problema glaciale, «Boll. Club Alpino ital.», 1895-96.
- ↑ H. Simroth, Die Pendulationstheorie, Leipzig, 1907.
- ↑ «Rendic. Istit. Lombardo», Milano, 1868.
- ↑ Croll, Climate etc.
- ↑ Herz, Die Eiszeiten und ihre Ursachen, Leipzig u. Wien, 1809.
- ↑ Spitaler, Jährl. u. period. Aenderungen der Wärmevertheilung und die Eiszeiten, «Beiträge zur Geophysik VIII», Stuttgart, 1907.
- ↑ N. Ekholm, On the Variations of the Climate, «Quart. Journ. of the Meteor. Soc. », 1901.
- ↑ Questo studio era già redatto quando apparve nel precedente fascicolo di questa Rivista (vol. IX, 1) l'articolo Die Eiszeiten ove l'Herz riassume la sua teoria; sarà quindi facile al lettore comprenderne le basi fondamentali.
- ↑ Un cm. irradiava a Zurigo 0.130 grammi calorie al minuto primo, mentre nel vuoto allo 0° assoluto avrebbe dovuto irradiarne 0.50. Secondo 10° C. la legge di Stefan il cielo irradiava quindi come un corpo nero a Analogamente sul Rauriy (950 m) e sul Sonnblick (3100) la tempertura del cielo risultò rispettivamente di 40° e di 74° C. È naturale che essa vada diminuendo coll' altezza.
- ↑ 1 S. Arrhenius, On the Influence of carbonic Acid in the Air upon the Temperature of the Ground. «Philos. Magazine, Vol. XLI, 1896 ». Vedi la memoria, riassuntiva delle polemiche posteriori, Die vermutliche Ursache der Klimaschwankungen, «Meddel. f. k. Svenska Vetenskapakad. Nobelinstitut », Bd. I, 1906.
- ↑ 1 K. ÅNGSTROM, << Drude's Ann. d. Physik » Bd. 3. KOCH, « Oversigt d. Stockholm Akad. », 1901, e recentemente una memoria di EVA BAIR, che non ho potuto consultare.
- ↑ "CL. SCHAFER, «Drude's Ann. d. Physik » B. 16.
- ↑ 3 RUBENS e LADENBURG, «Verhandl. d. deutsch. physik. Gesellsch. », VII, 1905.
- ↑ Di un articolo del signor S. Arrhenius sulle cause della variazione dei climi, «Rendic. Istituto Lombardo», S. 2.ª, XXXI, Milano, 1898.
- ↑ Herz, op. cit.
- Testi in cui è citato Antonio Stoppani
- Testi in cui è citato Pietro Blaserna
- Testi in cui è citato Albrecht Penck
- Testi in cui è citato Eduard Brückner
- Testi in cui è citato Torquato Taramelli
- Testi in cui è citato Giovanni Virginio Schiaparelli
- Testi in cui è citato Norbert Herz
- Testi in cui è citato Svante Arrhenius
- Testi con errata corrige
- Testi in cui è citato Samuel Pierpont Langley
- Testi in cui è citato il testo Il Politecnico
- Testi in cui è citato Luigi De Marchi
- Testi in cui è citato il testo Scientia - Vol. IX/Die Eiszeiten
- Geologia
- Testi SAL 25%
- Testi di Luigi De Marchi