Scientia - Vol. VII/Le teorie sulla immunità

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Gino Galeotti

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LE TEORIE SULLA IMMUNITÀ




Si dice che un animale è specificamente immune verso una data malattia infettiva, quando possegga in se stesso i mezzi adatti per difendersi contro l’agente immediato di questa infezione.

Alcune volte l’immunità è un carattere di razza: certi animali sono, per le qualità della loro stessa organizzazione, refrattari alle influenze di alcuni microrganismi patogeni: si parla allora di immunità congenita. Altre volte invece l’immunità è acquisita, cioè i mezzi di difesa contro certi parassiti si producono o in conseguenza di una superata infezione o mercè le così dette pratiche vaccinali.

Anche un’altra distinzione è necessaria. In certi casi gli animali immuni sono tali, perchè hanno la capacità di distruggere i bacteri invasori, ed allora l’immunità si dice antibacterica: in altri casi gli animali sono semplicemente insensibili alle tossine bacteriche, o possono rendere queste inoffensive, mediante la elaborazione di sostanze antitossiche, ed allora l’immunità si dice antitossica.

I. ― L’immunità antibacterica.

Le prime ricerche di coloro, che si sono occupati dello studio della immunità, ebbero per fine la investigazione dei poteri bactericidi dell’organismo.

Si è cercato di spiegare in qual modo i bacteri, introdotti in un organismo immune, non possano quivi svilupparsi, ed anzi siano rapidamente uccisi. Le ipotesi formulate su questo argomento sono diverse, e tutte hanno un grande valore, benchè nessuna di esse debba esser presa in [p. 51 modifica] senso esclusivo e ristretto. Molto probabilmente i modi, con cui avviene la uccisione dei bacteri negli animali immuni, sono molteplici e vari.

A. - La teoria fagocitaria (Metschnikoff).

La teoria fagocitaria si fonda sul fatto che molte cellule capaci di movimenti ameboidi (amebe, rizopodi, eliozoi, mixomiceti, leucociti di varia natura) possono incorporare granuli di differenti sostanze che si trovino in immediata vicinanza di queste cellule. A tale fenomeno si è dato il nome di fagocitosi, e fagociti si chiamano queste cellule mobili.

La fagocitosi fu osservata per la prima volta da Haeckel negli amebociti di un mollusco del genere Tethys, ma è indubbiamente al Metschnikoff che risale l’onore di aver studiato intimamente questo fenomeno e di averlo posto in relazione con l’immunità.

I fagociti dei vertebrati più alti sono dal Metschnikoff distinti in due categorie: microfagi e macrofagi. I primi sono i leucociti polinucleati eosinofili e neutrofili; i secondi sono i leucociti mononucleati, certi endoteli, le cellule connettivali, le cellule plasmatiche, i megacariociti, certe cellule dei granulomi e dei tumori maligni.

Il processo della fagocitosi si può facilmente seguire al microscopio: basta mettere fra due vetrini, o in un preparato a goccia pendente, un po’ di liquido fisiologico che contenga fagociti e corpuscoli inerti, e curare che le condizioni di temperatura, di ossigenazione etc. siano favorevoli. Si può vedere allora che una cellula mobile, che si trovi in contatto con uno dei corpuscoli suddetti, emette prolungamenti (pseudopodi) i quali circondano il corpuscolo e si riuniscono al di là di esso: così il corpicciuolo finisce col trovarsi proprio in mezzo al citoplasma cellulare, e quivi adagio adagio si altera e vien distrutto.

La fagocitosi si esercita specialmente contro i bacteri, ed è per questo che tale proprietà cellulare è un importante fattore di immunità. Per convincersi di questo basta iniettare un po’ di coltura in brodo di bacilli del fieno o di bacilli del carbonchio nel sacco linfatico dorsale di una rana e, dopo qualche ora, raccogliere una goccia della linfa di questo animale ed osservarla al microscopio: si vedrà che quasi tutti i bacilli sono incorporati dai leucociti e, se si prolunga per [p. 52 modifica] qualche tempo l’osservazione microscopica, si potrà constatare che i bacilli incorporati dai leucociti subiscono modificazioni profonde, cioè si frammentano, si disciolgono parzialmente e si riducono in granuli irriconoscibili, che poi vengono eliminati dai fagociti.

Questo processo di digestione intracellulare dei bacteri si crede che avvenga per opera di fermenti elaborati dal protoplasma dei fagociti; di questi fermenti alcuni avrebbero la proprietà di distruggere la membrana di rivestimento delle cellule bacteriche, e questi si chiamano citasi, altri produrrebbero scissioni nel protoplasma stesso dei bacteri (proteasi).

Non sempre però i fagociti sono capaci di digerire i microbi incorporati per fagocitosi; spesso questi ultimi, specialmente se si tratta di spore (Trapeznikoff), restano inalterati entro i fagociti o anche vi si sviluppano rigogliosamente.

Vediamo ora il nesso che, per opera del Metschnikoff, unisce questi fenomeni della fagocitosi con il problema dell’immunità. Il Metschnikoff fu indotto a stabilire questo legame, studiando al microscopio la malattia di un insetto delicatissimo del genere Dafne, che si può sottoporre vivo ed intiero alla osservazione microscopica, e che è spesso invaso da un parassita della classe degli ifomiceti. Da un esame accurato e paziente risultò al Metschnikoff che se i germi dell’ifomicete, venuti a contatto dell’insetto, erano distrutti per fagocitosi dagli amebociti di questo, la malattia non si sviluppava; se la fagocitosi invece non avveniva, la Dafne soccombeva all’infezione.

Il Metschnikoff da queste prime ricerche passò agli esperimenti col carbonchio sulle rane e sulle cavie, e concluse che, dopo la introduzione di germi patogeni in un animale, la malattia non si sviluppa, se i fagociti dell’animale sono capaci di incorporare e distruggere i bacteri; se i bacteri invece resistono alla fagocitosi, l’animale si ammala e muore.

La immunità naturale verso una infezione consiste in una capacità congenita dei leucociti ad incorporare e a distruggere i bacteri di quella infezione: la immunità acquisita sarebbe la risultante di mezzi atti a stimolare i leucociti e le altre cellule dell’organismo ad una efficace fagocitosi: la guarigione di una malattia infettiva incomincia, appena che i fagociti divengono capaci di distruggere i germi invasori. Quindi, secondo il Metschnikoff, i leucociti costituiscono un [p. 53 modifica] esercito di difesa dell’organismo per lottare contro la propagazione dei microbi patogeni, ed il prodursi o no di una infezione dipende dall’esito di questa lotta, la quale è combattuta per mezzo di sostanze specifiche elaborate sia dai bacteri, sia dai fagociti.

Se i fagociti sono insensibili alle toxine bacteriche, essi riescono ad incorporare il nemico, se oltre a ciò posseggono la capacità di elaborare enzimi bacteriolitici, i germi incorporati vengono rapidamente distrutti: se invece i fagociti non posseggono poteri bacteriolitici, se sono troppo sensibili ai veleni segregati dai bacteri, la fagocitosi non ha luogo, e la malattia si sviluppa.

Alla teoria della fagocitosi, che così fu dapprima formulata dal Metschnikoff, furono rivolte numerose e gravi obbiezioni, tantochè l’autore stesso si trovò costretto e a trasformarla e ad ampliarla.

B. - Teorie umorali.

Il fatto sicuramente stabilito, che cioè può talvolta avvenire distruzione dei bacteri in un organismo immune senza il concorso di fagociti, è stato la prima origine di un secondo gruppo di teorie che sono le teorie umorali.

Fu il Pfeiffer che fece per il primo questa osservazione così importante. Egli constatò che gli spirilli del colera, iniettati nella cavità peritoneale di conigli e di cavie, non provocano alcun fenomeno di fagocitosi e nondimeno vanno incontro a processi degenerativi, si trasformano, si riducono in granuli, infine poi a poco a poco si dissolvono e spariscono.

Il Pfeiffer, dopo aver iniettato colture di colera nell’addome delle cavie, raccolse l’essudato che si era formato nella cavità peritoneale e, pur avendolo separato da tutti i leucociti per mezzo della centrifugazione, vide che era ancora capace di distruggere gli spirilli del colera.

Inoltre fu anche osservato da diversi sperimentatori, che i microrganismi superstiti difficilmente vivono e si sviluppano nel siero di sangue da poco raccolto, e se mai vi vegetano più tardi, quando il siero comincia ad alterarsi. Le proprietà bactericide del siero di sangue furono constatate primitivamente dal Fodor e studiate in seguito da Nuttall, da Nissen, da Behring, da Buchner e da altri: secondo questi autori non [p. 54 modifica]sono le cellule gli speciali agenti bactericidi nell’organismo, ma i succhi organici: alle cellule spetta invece l’ufficio di inglobare e trasportare i germi uccisi per opera di detti liquidi.

Gli animali sono congenitamente refrattari, quando sussistono nel loro sangue sostanze bactericide e divengono immuni o guariscono dalle malattie infettive, allorchè nel siero del sangue si formano queste sostanze.

Il potere bactericida del sangue di un animale diviene più efficace ed intenso, quando l’animale è trattato con mezzi specifici di vaccinazione ed allora si dice che esso ha conseguito una immunità attiva. L’animale immunizzato attivamente, fornisce un siero che in vitro è capace di distruggere i bacteri, verso cui l’animale era stato vaccinato, e questo siero agisce così, anche se introdotto nel corpo di un altro individuo sano, il quale allora acquista pure uno stato di immunità, che dicesi immunità passiva. Anche se l’animale in cui si introduce il siero attivo è infetto, può avvenire la distruzione dei bacteri, e aversi così la guarigione; su ciò è fondata la sieroterapia.

In questo modo si è data una interpretazione chimica ai fenomeni della immunità, in contrapposto al carattere prettamente biologico della teoria fagocitaria.

Stabiliti i fondamenti della teoria umorale, si pose il problema della natura e della origine delle sostanze bactericide.

Il Buchner fu il primo ad occuparsi di tale questione e affermò che sono i leucociti che producono, per un processo di secrezione, queste sostanze bactericide, alle quali egli dette il nome di alexine.

Uno dei principali argomenti in favore della teoria del Buchner è questo, che un essudato ha tanto maggior potere bactericida, quanto più leucociti contiene, anche se questi sono privi di attitudini fagocitarie.

Se, mediante il congelamento, si distruggono tutti i leucociti di un essudato, non diminuiscono tuttavia le proprietà bactericide di questo liquido; in qualche caso anzi si esaltano (Latschenko), il che dimostrerebbe che le sostanze bactericide sono contenute entro il corpo dei leucociti.

Questa teoria del Buchner, che assegna ad una sola specie di cellule la capacità di elaborare sostanze bactericide, è da molti trovata troppo esclusiva, e invero non si può a priori negare che anche le cellule di altri tessuti possano produrre sostanze antibacteriche, destinate a versarsi poi nel sangue e [p. 55 modifica] a conferire a questo liquido il potere di difendere l’organismo dai germi patogeni.

In ogni modo le teorie umorali hanno avuto ed hanno ancora una grande importanza per il problema dell’immunità, sebbene contro di esse vi siano ancora vivaci e fondate opposizioni, per opera dei sostenitori della teoria cellulare e di altri ancora (Baumgarten, Walz, Jetter). Si obbiettò anzitutto che il potere distruggitore dei bacteri non è una proprietà vitale del sangue; che un potere dissolvente è esercitato sui bacteri anche da molte altre sostanze e da alcuni terreni artificiali di nutrizione; che il fenomeno bactericida, studiato fuori dai vasi sanguigni, non ha nulla di comune con la bacteriolisi intravascolare.

Contro le teorie umorali si portarono innanzi anche questi altri fatti, invero assai sorprendenti, e cioè che il siero di coniglio ha un forte potere bactericida contro il bacillo del carbonchio e tuttavia il coniglio è molto sensibile alla infezione carbonchiosa e che per contrario il cane, che è quasi refrattario al carbonchio, possiede un siero che non ha alcuna azione bactericida.

Il problema del potere bactericida del siero di sangue negli animali congenitamente refrattari e in quelli che hanno acquistato l’immunità, si ricollega strettamente a tante altre questioni sui sieri specifici che verranno più tardi discusse.

C. - Le teorie umorali cellulari.

Constatata la insufficienza delle teorie cellulari ed umorali esclusive, sorse naturale l’idea di spiegare il fenomeno dell’immunità come la risultante di complessi fattori: da una parte cioè come dipendente da azioni prettamente biologiche, svolte dalle cellule dei tessuti, dall’altra come la conseguenza di azioni chimiche, esercitate dai liquidi dell’organismo sui protoplasmi bacterici.

Il Metschnikoff stesso, come è stato accennato, trasformò la sua teoria, prima prettamente cellulare, in teoria umorale cellulare, ammettendo che gli enzimi bacteriolitici, elaborati dai fagociti (citasi e proteasi), possano agire, non solo sui bacteri incorporati da questi, ma anche al di fuori, sui microrganismi rimasti liberi.

Ma una moderna teoria, che meglio può chiamarsi umorale-cellulare, è quella delle Opsonine. Gli studî sulle opsonine [p. 56 modifica] traggono origine dalle ricerche di Denys e di Lecleff (1895), i quali videro che il siero antistreptococcico è capace di aumentare l’azione fagocitaria dei leucociti. Wright e Douglas osservarono in seguito che, se si mettono insieme leucociti umani ben lavati e bacilli del tifo o stafilococchi o streptococchi e si tiene il preparato a 38° per 15 minuti, si riscontra, all’esame microscopico, che i fenomeni di fagocitosi sono scarsissimi o nulli: se poi si aggiunge una piccola quantità di siero fresco di cavia o di coniglio, i leucociti spiegano una rapida e intensa azione fagocitaria.

In base a questa e ad altre numerose osservazioni fatte dal Wright e dai suoi allievi, il Wright affermò che nel corpo dell’uomo e degli animali si trovano sostanze speciali che egli chiamò opsonine, capaci di legarsi chimicamente ai bacteri e di provocare in essi alterazioni tali, da renderli più facile preda dei fagociti.

Si distinguono due specie di opsonine: opsonine cioè esistenti nel sangue normale e opsonine del siero di animali immunizzati. Le prime sono sostanze termolabili, giacchè vengono distrutte dal riscaldamento a 58°-60°; le seconde termostabili, in quanto resistono al riscaldamento a 60°.

Le opsonine del siero normale possono agire su svariate specie bacteriche, quelle dei sieri specifici agiscono prevalentemente sui germi, contro i quali il siero è attivo.

Potter, Ditman e Bradley però ammettono che nel siero normale, oltre le opsonine termolabili, si trovino anche alcune opsonine specifiche termostabili; così nel siero umano esisterebbero tifo-opsonine che resistono al riscaldamento a 60°, nel siero dei topi bianchi carbonchio-opsonine resistenti a 70°.

Wright e i suoi seguaci distinguono nettamente le stimuline di Metchnikoff, che pure si troverebbero nel siero di sangue e che agirebbero direttamente sui fagociti, accrescendo la loro attività, dalle vere opsonine, capaci di agire sui bacteri soltanto.

Wright vide difatti che, mediante il riscaldamento, si annulla il potere opsonico del siero solo, mentre, riscaldando miscele di siero attivo e di bacteri, il fenomeno opsonico non si altera. Ciò prova appunto che i bacteri assumono e legano le opsonine e che, dopo questo legame, esse diventano insensibili alla temperatura, capace di inattivare le opsonine libere.

Eguale netta distinzione viene fatta da Wright tra azione bacteriolitica e azione opsonica del siero ed egli osservò che, [p. 57 modifica] mentre alcuni bacteri sono sensibilissimi e in egual grado, all’azione bacteriolitica e opsonica, come il vibrione del colera e il bacillo del tifo, altri invece sono insensibili all’azione bacteriolitica e sensibilissimi all’azione opsonica; così il micrococco melitense, lo streptococco, il bacillo della peste.

La dottrina di Wright non è andata esente da severe critiche e da discussioni vivaci.

Un’altra teoria umorale-cellulare è quella delle bacteriotropine. Con questo nome sono state descritte sostanze, presenti nel siero di animali immunizzati, le quali agirebbero anch’esse, come le opsonine, sui bacteri, facilitando la loro distruzione per parte delle cellule dei tessuti.

Queste sostanze sono state studiate da Neufeld e Rimpau, e hanno in comune con le opsonine specifiche, la termostabilità (non sono inattivate dal riscaldamento a 60°); esse quindi vengono da alcuni identificate con le opsonine termostabili e, dagli oppositori della dottrina di Wright, con le altre sostanze bactericide presenti nei sieri specifici.

D. - Teoria degli enzimi bacteriolitici di origine bacterica.

Molti bacteri, in dati momenti della loro vita, hanno la proprietà di elaborare sostanze, capaci di distruggere loro stessi (enzimi bacteriolitici) e questo fatto, che fu per la prima volta messo in evidenza da Emmerich e Loew, è la cagione dei processi degenerativi che, con tanta facilità, si riscontrano nelle cellule batteriche, ricavate da vecchie colture. Non è difficile separare da vecchie colture, liquidi che contengono questi enzimi ed allora si può constatare al microscopio che tali liquidi esercitano un’azione dissolvitrice anche su bacteri che si sono sviluppati da poco tempo. Si è visto anche che alcuni bacteri secernono enzimi, che sono capaci di disciogliere solo certe specie microbiche, altri, come il piocianeo, elaborano enzimi, che hanno una notevole azione dissolvente su numerosi bacteri.

A questi enzimi bacterici si dà il nome generico di nucleasi e si designano con nomi diversi gli enzimi che, con una tecnica speciale, si possono preparare dalle diverse specie bacteriche. Così l’enzima del piocianeo viene distinto col nome di piocianase, quello del bacillo del carbonchio col nome di antracase.

Secondo Emmerich e Loew, i bacteri elaborano nucleasi anche quando si sviluppano negli animali, e su questi fatti è [p. 58 modifica] stata fondata una teoria sull’immunità acquisita, poichè si è detto, che diviene immune quell’animale che, per aver servito come terreno di sviluppo per un dato microrganismo, ha acquistato nucleasi in certa quantità, e si è quindi così fornito di mezzi di difesa contro nuovi invasori. Emmerich e Loew, sono poi di opinione che le nucleasi entrano in combinazione con certe sostanze proteiche dell’organismo e formano così un composto da loro chiamato immunproteina, che facilmente è trattenuto nell’organismo, che non si altera e che è dotato di squisito potere bactericida. Mediante iniezioni di immunproteina, preparata artificialmente con l’enzima del piocianeo i suddetti autori sono riusciti ad immunizzare i conigli contro il carbonchio.

È stato anche proposto di usare alcune nucleasi e specialmente la piocianase e la antracase per la cura di certe malattie infettive, ma sopra i risultati di questi esperimenti non ci possiamo ancora pronunciare.

Anche a questa teoria sono state fatte molte e gravi obbiezioni, e specialmente quella che essa non viene in alcun modo a spiegare i fenomeni dell’immunità congenita, che pure non differiscono da quelli dell’immunità acquisita.

II. - L’immunità antitossica.

Immunità antitossica, nel senso più lato, significa insensibilità di un organismo ad un dato veleno. Questo fenomeno biologico era già noto agli antichi, poichè si era osservato che certi individui e certe specie animali potevano impunemente assorbire quantità rilevanti di sostanze, che in altri esseri producevano di necessità la morte. Di più gli antichi avevano trovato anche il modo di rendere insensibili alcuni individui contro certi veleni, abituandoli a piccole dosi di questi.

La immunità congenita verso i veleni di origine animale o vegetale è stata oggetto di molti studî e ricerche. Si è visto per esempio che il riccio è insensibile al veleno della vipera, il monguse al veleno del cobra: le tartarughe, i pesci, i polli non risentono alcun danno dalla tossina tetanica, anche se vien loro iniettata in forti dosi: i ratti sono refrattari alla azione della tossina difterica.

La immunità antitossica si può poi facilmente provocare in molti animali, mercè il trattamento ripetuto con piccole [p. 59 modifica] quantità di tossina. Allora si parla di immunità antitossica acquisita attiva. In questo caso tale immunità è esseuzialmente differente da quella abitudine ad alcuni veleni (nicotina, arsenico, morfina), alla quale si dà il nome di mitridatismo, poichè negli animali immunizzati mercè le tossine, il siero di sangue acquista proprietà antitossiche e questo siero può essere utilizzato per l’immunizzazione o per la cura di altri animali: invece il siero degli animali, che hanno acquistato un semplice mitridatismo, non possiede alcuna qualità antitossica.

I fenomeni più importanti della immunità antitossica furono per la prima volta studiati dal Behring, ed a lui ed all’Ehrlich dobbiamo le nostre conoscenze fondamentali su questo argomento.

L’Ehrlich riuscì ad immunizzare gli animali contro la ricina e la abrina e vide che, elevando le dosi di questi veleni, la immunità dell’animale trattato cresceva sino ad un certo limite, e che da esso si poteva ricavare un siero sempre più efficace.

Calmette ed altri immunizzarono i conigli contro i veleni dei serpenti, Klemperer le capre contro la tossina del bacillo botulinico e, poi, dopo queste prime ricerche, innumerevoli sono stati gli esperimenti fatti con analoghi metodi sui veleni che si son potuti ricavare dalle colture di tutti i microrganismi patogeni conosciuti.

È da notarsi anche che sussiste una certa indipendenza fra immunità antibacterica e immunità antitossica, poichè può darsi che in un animale, reso insensibile ai prodotti tossici di un bacterio, questo bacterio possa benissimo vivere e moltiplicarsi, senza dar luogo a fenomeni patologici.

La immunità antitossica acquisita è essenzialmente specifica poichè, mediante il trattamento di un animale con un dato veleno, si riesce a rendere l’animale insensibile soltanto di fronte a quel dato veleno e non verso altri. Anche le antitossine che si producono nel sangue dell’organismo durante il trattamento vaccinale, hanno potere di neutralizzare solo quel veleno, che servì alla vaccinazione dell’animale, da cui si ricava il siero.

Premesso ciò, vediamo come si è tentato di spiegare e di rappresentare i fenomeni dell’immunità antitossica.

È necessario anzitutto ricordare alcune brevissime nozioni sul meccanismo delle intossicazioni specifiche.

Su questo proposito si ammette ormai unanimemente che [p. 60 modifica] la intossicazione dipenda sopratutto dalla fissazione delle molecole tossiche sulle molecole protoplasmatiche; sensibilità d’un dato tessuto per una certa tossina significa capacità che il tessuto possiede di fissare le molecole di questa tossina: l’immunità ha luogo quando non sussistono le condizioni di questa fissazione. La possibilità della fissazione di una tossina su di un protoplasma è pure condizione necessaria, ma non sufficiente per la intossicazione, poichè, affinchè questa si verifichi, vi è bisogno che la tossina fissata possa esercitare la sua azione distruttiva nel protoplasma cellulare.

Ora, vi sono due diverse ipotesi, destinate a rappresentarci questi fenomeni: una è la ipotesi di Ehrlich, secondo la quale debbono esistere corrispondenze specifiche tra le strutture molecolari delle tossine e dei protoplasmi, affinchè questi secondi siano sensibili alle prime; inoltre la tossina possederebbe due gruppi atomici distinti, il gruppo aptoforo, destinato ad unirsi con un corrispondente gruppo molecolare del protoplasma che è detto ricettore, e il gruppo tossoforo, a cui si debbono le vere proprietà tossiche.

Secondo un’altra ipotesi la fissazione delle tossine sui protoplasmi non avverrebbe secondo proporzioni definite, ma dipenderebbe da affinità di assorbimento del protoplasma di fronte alle tossine, e la quantità delle tossine assorbite dipenderebbe dalla legge della azione delle masse e dal principio di ripartizione, e così si potrebbero paragonare i fenomeni della intossicazione specifica ai fenomeni delle colorazioni elettive.

Si ha l’immunità, quando cangiano le relazioni tra tossine e protoplasmi, o quando le tossine si uniscono con altre sostanze (antitossine) e non possono più fissarsi sui costituenti cellulari.

Per questo si usa anzi tutto distinguere la immunità in istogena e in umorale.

a) L’immunità istogena è quella che dipende da una speciale struttura dei protoplasmi cellulari, che costituiscono l’organismo refrattario al veleno.

Possono darsi i seguenti casi:

1.° Per una condizione naturale e congenita mancano, nei protoplasmi dell’animale insensibile, le condizioni per la fissazione su questi di una data tossina. Si parla allora di immunità istogena congenita.

Ciò è stato messo in evidenza da Metschnikoff, il quale [p. 61 modifica] trovò, che le lucertole e le tartarughe sono insensibili all’azione della tossina tetanica. Si possono iniettare in questi animali grandi quantità di tossine, senza che compaiano segni di avvelenamento, e tuttavia nel sangue loro rimane la tossina intatta, tanto è vero che, anche dopo qualche mese, si può con questo sangue uccidere topi e cavie. Dunque i protoplasmi cellulari delle lucertole e delle tartarughe non son capaci nè di fissare, nè di trasformare, nè di neutralizzare con antitossine la tossina tetanica.

L’Ehrlich spiega questo fatto ammettendo che manchino nelle cellule delle lucertole e delle tartarughe i ricettori specifici per la tossina tetanica, e perciò parla di immunità da mancanza di ricettori.

Possiamo però interpretare tali fenomeni come dipendenti dal fatto che il coefficiente d’assorbimento del protoplasma di fronte alla tossina è assai minore che il coefficiente di soluzione delle tossine nei liquidi dell’organismo, in modo che la tossina resta in soluzione in questi liquidi, come, per es., il citoplasma delle cellule di un tessuto qualsiasi non assorbe i colori basici di anilina sciolti nell’alcool, ma lascia questi inalterati nel solvente.

2.° I protoplasmi di un animale, congenitamente sensibile, dopo un adatto trattamento dell’animale stesso, diventano incapaci di fissare ulteriori quantità di tossina.

Questa specie di immunità si chiama immunità istogena acquisita e, secondo l’Ehrlich, si può spiegare o con la scomparsa dei ricettori durante il trattamento vaccinale, o perchè i ricettori esistenti vengono saturati con derivati delle tossine dei quali il gruppo aptoforo è intatto ed il gruppo tossoforo è alterato (tossoidi).

3.° I protoplasmi di un animale sono capaci di fissare la tossina, ma non ne subiscono l’azione deleteria. Anche questa immunità istogena è congenita, ed un bell’esempio di essa ci è stato fornito dal Metschnikoff.

Il caimano (alligator mississipiensis) è, come, la tartaruga, insensibile alla tossina tetanica e può sopportare, senza mostrare fenomeni morbosi, grandi dosi di questa sostanza. Ma dal sangue di questo scompare ben presto la tossina; il sangue non è più tossico per i topi ed esercita anzi un’azione antitossica, il che ci dimostra che la tossina non è stata distrutta, ma fissata dalle cellule del caimano, poichè è certo [p. 62 modifica] che non vi è produzione di antitossine, se la tossina non è stata fissata dai tessuti.

4.° Può darsi che in un animale tutti i tessuti posseggano affinità per una tossina, ma che questa affinità sia maggiore per i tessuti meno importanti e che d’altra parte questi non risentano l’azione deleteria del veleno, che pur sono capaci di fissare. Allora il veleno viene assorbito tutto da questi tessuti, i quali producono anche antitossine e i tessuti più elevati e più sensibili restano liberi dal veleno.

Questa immunità, che pure è congenita, non è assoluta, perchè con dosi crescenti di veleno si giunge ad un limite, dopo il quale i tessuti insensibili non sono più capaci di fissare tutto il veleno e questo attacca anche gli altri. Un esempio di questa immunità ci è stato fornito da Roux e Borrel, i quali hanno dimostrato che certe specie animali sono sensibilissime alla iniezione intracerebrale del veleno tetanico, mentre, se il veleno viene iniettato sotto la pelle, non compaiono i fenomeni di intossicazione. Ciò fa credere che gli altri tessuti assorbano la tossina tetanica, la quale non può arrivare agli elementi nervosi, che specificamente risentono del veleno.

b) La immunità umorale o ematogena è quasi sempre acquisita e consiste in questo, che la tossina introdotta o formatasi nell’organismo immune, non si può più fissare nei tessuti di questo perchè trova nel sangue dell’animale sostanze (antitossine) che hanno di fronte alla tossina una affinità maggiore, che non i protoplasmi cellulari. Secondo l’Ehrlich, il gruppo aptoforo della tossina verrebbe saturato dall’antitossina e perciò scomparirebbe ogni possibilità della fissazione di essa nelle cellule.

Dell’immunità umorale si distinguono due forme: immunità antitossica attiva e immunità antitossica passiva.

) L’immunità antitossica ematogena attiva si produce in un animale, per sua natura sensibile, mediante il trattamento con piccole dosi di tossine. Sotto l’azione di queste tossine, vengono elaborate dai tessuti stessi dell’animale le antitossine specifiche alle quali l’animale deve poi la refrattarietà, quando nel suo corpo vengano introdotte anche cospicue quantità di tossine.
2°) L’immunità antitossica ematogena passiva si produce in un animale iniettando in esso antitossine già preparate e pronte a neutralizzare ogni quantità di tossine.

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Nel meccanismo di queste due forme di immunità sussiste dunque la differenza che, nel primo caso, le antitossine sono elaborate nell’animale stesso, che diviene immune, in conseguenza di una reazione dei suoi tessuti (e perciò questa forma si chiama attiva); mentre nel secondo caso le sostanze antitossiche vengono dall’esterno fornite all’animale, il quale si comporta passivamente, poichè la neutralizzazione avviene in esso, come avverrebbe in vitro.

Un’altra differenza però, che ha anche grande interesse pratico, è la seguente. L’immunità attiva, che dipende da alterazioni e cangiamenti del metabolismo di certi tessuti, è caratterizzata da una grande stabilità e può durare mesi ed anni. Al contrario la immunità passiva è sempre di breve durata, poichè le antitossine introdotte nell’animale presto scompaiono dal suo organismo perchè vengono eliminate per gli emuntori o perchè subiscono l’opera trasformatrice e distruttiva dei tessuti, nè se ne rinnova la produzione.

Al contrario la insensibilità alle tossine comparisce molto più rapidamente nel caso dell’immunità passiva, che non quando l’animale venga vaccinato attivamente, e ciò si comprende con facilità, se si pensa che, nel primo caso, le antitossine son già pronte, nel secondo debbono venire elaborate dall’organismo vaccinato. Quindi se vi è bisogno di produrre una immunità rapida (come per es. quando il medico debba provvedere subito alla protezione di individui, che si sono già esposti ad un contagio) è bene usare un siero come mezzo vaccinale, se invece non vi è fretta per produrre la resistenza contro una infezione, è meglio applicare i metodi che valgono per stabilire una immunità attiva e duratura.

Dovrei ora accennare a quanto si è trovato e discusso sulle leggi che governano le azioni delle tossine e delle antitossine, ma questo argomento rientra nella dottrina generale dei sieri specifici e di esso mi occuperò in un prossimo articolo.

Napoli, Università, Istituto di patologia generale.

Note