Scritti giovanili inediti/IX

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GLI SCRITTI SU DANTE

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VIII X

Berlino, 14 settembre 1321-14 settembre 1921

Giovani di tutto il mondo, compagni, amici. Seicento anni fa esalava l'ultimo respiro, a Ravenna, dove l'avevano trascinato in esilio le lotte fratricide dei suoi concittadini, Dante Alighieri, il Divino Poeta.

Seicento anni fa moriva colui che aveva concepito e scritto il Poema «...al quale han posto mano e cielo e terra...».

Compagni,
in questa solenne ricorrenza, la più solenne forse a cui avrete occasione di partecipare durante tutta la vostra vita, raccoglietevi ed onorate nel modo più degno che vi sia possibile il Genio Immortale, che soffrì per essere stato buono, pio, amante della Patria, per poi lavorare alla più grande opera poetica che fosse mai stata concepita.

Compagni latini,
a voi soprattutto, che avete la gloria di essere della stessa Sua stirpe, della stessa Sua razza, si rivolge questo nostro appello, a voi che meglio Lo potete intendere, a voi che meglio Lo potrete gustare, per mezzo della Sua Opera in avvenire, affinché ascoltiate la nostra voce.

Compagni d'Italia,
a voi poi non abbiamo niente da aggiungere, perché Dante, se è di tutto il mondo, è più che altro vostro.

Siatene orgogliosi.

Cercate di seguire i Suoi precetti, di amare la vostra Patria come Egli immensamente l'amò.

Cercate di essere degni, di essere figli della stessa terra, discendenti dagli stessi padri.

Compagni di tutto il mondo, amici,
«Onorate l'Altissimo Poeta...»

Per il gruppo del «Ciò che pensiamo»
Leone Ginzburg
Mario Toscano
Andrea Forzano



Italia – Germania, 14-IX-921

Dante Alighieri. La sua vita.

Dante (diminutivo di Durante) Alighieri, il Divino Poeta di cui ora si celebra solennemente il sesto centenario in tutte le parti del mondo, nacque a Firenze, nel Sesto di Porta S. Piero, da Alighiero di Bellincione di Alighiero, nell'anno 1265.

Ben poco si sa della sua vita, e la maggiore fonte di notizie su di essa sono il Divino Poema e gli scritti dei contemporanei di Dante.

Non si sa precisamente quando Egli sia nato: certo fra il 21 maggio e il 22 giugno, giacché il canto XXII del Paradiso dice (115-118), a proposito della costellazione dei Gemelli:

«...con voi nasceva e s'ascondeva vosco
Quelli ch'è padre d'ogni mortal vita,
Quand'io senti' da prima l'aer tosco...»

Il poeta fu battezzato (anche questo lo sappiamo dalla Sua Opera) nella celebre chiesa fiorentina di San Giovanni:

«...ed in sul fonte
Del mio battesmo prenderò 'l cappello...»

Paradiso, XXV 8-9


Amò Beatrice o Bice, figlia di Folco Portinari, che conobbe fino dal 1274, e per essa, che morì nel 1290 (era minore di un anno di Dante) sposa a Simone de' Bardi, scrisse vari componimenti poetici che poi, fra il 1292 ed il 1295 furono da Lui raccolti e, illustrati da una narrazione in prosa, pubblicati col titolo di «Vita Nova».

Si è molto disputato sull'esistenza o no di Beatrice, tanto più che Dante nella Divina Commedia la pose come la figurazione della teologia, ma anche Giosuè Carducci è propenso a credere che la figlia del Portinari sia stata veramente una figlia di Firenze.

Dante, come era suo obbligo, fu soldato di cavalleria dal 1288 al 1289, combatté a Campaldino nella famosa battaglia contro i Ghibellini d'Arezzo e si trovò come Egli stesso ricorda, alla resa del castello di Caprona.

Nell'esilio cominciò ad illustrare delle proprie canzoni d'indole scientifica, nel «Convivio», che però fu lasciato incompiuto.

A difesa della lingua volgare scrisse, ma non finì, «De vulgari eloquentia». Quindi compose il celebre libro «De Monarchia», per propugnare i diritti dell'Impero.

Iscrittosi nell'Arte («maggiore») de' Medici e Speziali, Dante ebbe parte attiva alla politica fiorentina, e fu Priore dal 15 giugno al 15 agosto del 1300 e sostenne diverse ambascerie per conto della Sua città.

Egli fu poi esiliato da Firenze, per opera di Messer Carlo di Valois, creatura di Bonifacio VIII, essendo reo di appartenere ai Bianchi (Guelfi moderati), con decreto del podestà Cante de Gabrielli da Gubbio (10 marzo 1302), come reo di «baratteria, estorsione e trame»...

«...tal di Fiorenza partir ti conviene...»

Paradiso, XVII 48


Il Divino Poeta prima si unì agli altri esuli fiorentini, ma poi se ne separò:

«...E quel che più ti graverà le spalle,
Sarà la compagnia malvagia e scempia
Con la qual tu cadrai in questa valle;
Che tutta ingrata, tutta matta ed empia
Si farà contr'a te; ma, poco appresso,
Ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
Farà la prova; sì che a te fia bello
Averti fatta parte per te stesso...»

Paradiso, XVII 61-69


Poi si rifugiò presso Bartolomeo (o forse presso Alboino) della Scala, signore di Verona:

«Lo primo tuo rifugio e 'l primo ostello
Sarà la cortesia del gran Lombardo,
Che in su la Scala porta il santo Uccello...»

Paradiso, XVII 70-73


In seguito abitò in Lunigiana, presso la celebre famiglia Malaspina:

«...che cotesta cortese oppinione
Ti fia chiavata in mezzo della testa
Con maggior chiovi che d'altrui sermone...»

Purgatorio, VIII 136-139


Quindi fu a Parigi e, pare, ad Oxford. Ritornato in Italia, l'Esule visse per alcuni anni presso Uguccione della Faggiola, signore di Pisa e di Lucca e poi fu alla corte di Can Grande della Scala, del quale tanto bene disse nel Paradiso (XVII, 76 e seguenti):

«...con lui vedrai colui che impresso fue...»


Quindi si stabilì a Ravenna, alla corte di Guido Novello da Polenta, ed ivi morì, dopo un viaggio a Venezia, il 14 settembre 1321.

E così finì la sua avventurosa vita il Sommo Poeta, di cui ora celebriamo il sesto centenario.

Gli scopi della Divina Commedia


La Divina Commedia, uno dei monumenti più insigni del genio umano. È un monumento morale, oltre a tutto.

Ma che scopi ha?

Dante, come già nel Poema Divino per la Sua vita, ci dice Egli stesso le intenzioni che aveva nello scrivere la Sua opera maggiore, in una lettera al celebre signor di Verona, Cangrande della Scala, che ho potuto trovare in una vecchia pubblicazione per la gioventù.

Vi farò conoscere i brani più salienti:

«...il soggetto di tutta l'opera, se si prenda solo letteralmente, è lo stato delle anime dopo la morte semplicemente preso...»

«...se poi l'opera si prenda allegoricamente, il soggetto ne è l'uomo, in quanto meritando o demeritando per la libertà d'arbitrio è soggetto alla giustizia di premio e di pena...»

«...il fine di tutta l'opera e di ogni parte di essa, è di rimuovere gli uomini che vivono in questa terra dallo stato di miseria, e condurli allo stato di felicità...»

E questi sono gli scopi allegorici che sono esplicati poi, in quello che Raffaello Fornaciari dice in una introduzione ad una sua edizione del Divino Poema (Milano, 1919):

«...in senso allegorico, Dante rappresenta l'uomo peccatore e per misericordia divina, convertito: il quale, scorto dalla retta ragione in lui risvegliatasi, e questa a sua volta guidata dalla teologia, prende a considerare con fatica e dolore i vizi umani, studia e pratica i mezzi più acconci per emendare le male tendenze che lo fecero peccare, e, riacquistata l'innocenza battesimale, si eleva poi, illuminato dalla rivelazione, a conoscere le virtù soprannaturali e finalmente a meditare per contemplazione i misteri della divinità...»

Ma non solamente scopi morali ha la Divina Commedia, ma anche scopi politici.

Infatti in tutta la Sua Opera sono propagandate le idee politiche di Dante, che si possono riassumere nel motto di Cavour: «libera Chiesa in libero Stato» con, naturalmente, l'aggiunta dell'allora comunissimo ideale dell'Impero Universale, e che poi, con l'andare del tempo e con il progresso della civiltà umana, si è visto essere una cosa impossibile, anche per il principio delle nazionalità del quale si è parlato altra volta su queste pagine.

Dante però non era – benché molti lo «vadan cantando» – ghibellino: anzi fu guelfo, certo di frazione molto moderata (se tutti i guelfi fossero stati così, povero Papa...).

Era guelfo, ma non poteva vedere le corrottezze del clero di allora, che erano tremende, anche perché esso, avendo un potere temporale, si occupava spesso e volentieri (e troppo assiduamente...) dei beni terreni.

Di qui le invettive del Poeta contro i Papi simoniaci e contro la Chiesa corrotta, che troveremo in tutte e tre le Cantiche.

Ancora di più nel XXVII canto del Paradiso Dante introduce S. Pietro stesso a condannare nel modo più severo i Papi e tutti i sacerdoti in genere, che si dedicano alla Simonia e ad altri peccati:

«...Non fu la Sposa di Cristo allevata
del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
per essere ad acquisto d'oro usata...»

(40-43)


e più sotto:

«...né ch'io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci...»

(52-53)


E con ciò il Divino Autore seguiva una morale altissima.

Ecco gli scopi del Poema immortale.

L.G.