Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XIV. - Sui Parapegmi o Calendari astro-meteorologici degli antichi/IV. - Origine comune dell'Astronomia e della Meteorologia presso i Greci. Prime scoperte e speculazioni
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La connessione dei fenomeni delle stelle col corso delle stagioni e colle vicende dell’atmosfera fu per tempo notata anche da altri popoli dell’antichità e messa a profitto per regolare il Calendario. Così presso gli Egiziani era da tempo immemorabile notato il levare mattutino di Sirio, e presso gl’indiani quello di Canopo. Ma in nessun altro luogo che in Grecia sembra che da tali ripetute osservazioni l’uomo sia stato condotto a considerare la detta connessione sotto un aspetto scientifico. Per l’Egiziano il levare eliaco di Sirio era un fatto d’ordine soprannaturale e divino, predisposto per avvertirlo dell’imminente cresciuta del Nilo. I Cinesi, e gl’Itali antichi ed i Romani ancora assai tardi, in questa relazione fra il cielo e la terra non videro altro, che il punto dell’utilità pratica. I Babilonesi e gli Assiri ne trassero nuovi procedimenti di magia e di divinazione. Solo il popolo ellenico ebbe dalla natura quel genio indagatore e quella potenza di speculazione, che è necessaria per arrivare alla scienza propriamente detta. Esso solo, dalle occorrenze quotidiane della vita e dalle osservazioni dei fatti seppe assorgere alla considerazione delle cause; e per esso veramente si può dire, che la necessità fu madre della filosofia.
Una prima e splendida manifestazione del pensiero scientifico presso i Greci corrisponde al massimo fervore della loro espansione coloniale, 600-500 avanti Cristo. Essi dominavano allora colle loro navi tutto il bacino orientale del Mediterraneo e quello del Ponto Eusino. Centro di tutto questo gran movimento era l’Ionia, e nell’Ionia la città di Mileto, divenuta una delle più grandi piazze del commercio mondiale. Mileto aveva fondato, o stava fondando una lunga serie di colonie e di fattorie le quali si estendevano da Abido nell’alto Egitto e da Naucrati nel Delta nilotico, fino alle bocche dell’Istro e del Boristene; nei suoi fondaci si accumulavano i prodotti della Scizia accanto a quelli dell’Arabia e dell’Etiopia. Il colono del Ponto, che aveva navigato in sul Boristene ed esperimentato l’inverno scitico, a Mileto narrava le sue avventure e le sue osservazioni al soldato di Caria, che militando agli stipendi di Psammetico e di Necao avea visto le cataratte del Nilo, provata l’arsura della Tebaide, e ricevuto sul suo capo il Sole perpendicolare di Siene. Quanta materia di narrazioni e di riflessioni, di dispute e di confronti! Così si vennero elaborando i materiali del primo libro di geografia, che fu scritto da Ecateo di Mileto; e si preparò la prima carta generale delle regioni conosciute, che fu delineata da Anassimandro, pur di Mileto.
Che il moto periodico annuale del Sole e il conseguente ritorno delle identiche apparizioni delle stelle fossero in diretta connessione colle stagioni e coi fenomeni della vita animale e vegetale, era sempre stato evidente in ogni tempo. Ora divenne manifesto anche un altro genere di correlazione fra il cielo e la terra, quella che si riferisce alla posizione geografica dei luoghi. Non senza meraviglia nel variare dei climi si scoperse un progresso regolare dal settentrione verso mezzodì, al quale corrispondeva manifestamente una diversa inclinazione del Sole e della sfera stellata. Tutta la natura organica e l’aspetto stesso degli uomini attestava questo fatto; ad influssi diversamente combinati degli agenti celesti ed atmosferici dovevasi il color bianco dello Scita e quello dell’Etiope adusto; la produzione degli orsi e degli abeti in un luogo, quella dei coccodrilli e delle palme in un altro. Per la prima volta dunque si affacciò alla mente degli uomini riflessivi l’idea, che essi, con quanto li circondava, dovevano far parte di un gran sistema, ordinato sapientemente secondo un principio superiore, del quale i fatti particolari erano manifestazioni connesse fra di loro. Fu la ricerca di questo principio e lo studio di queste manifestazioni, che diede origine alla filosofia naturalistica degli Ionii, la quale cominciò appunto in Mileto con Talete ed Anassimandro.
In questo stadio incipiente della scienza non poteva aver luogo ancora la distinzione così netta, che ora si fa, dei fenomeni atmosferici dai fenomeni astronomici. Tutto ciò che appare in cielo era soggetto di curiosa speculazione. Alenile di queste apparenze presentavano certamente un carattere di periodicità più regolare e parevano assoggettate ad un ordine più rigoroso e più manifesto; ma non era facile allora condurre quella linea di separazione che a noi pare così evidente, e che del resto fu completamente stabilita soltanto in tempi moderni, quando s’imparò a conoscere la vera origine delle comete e delle piogge meteoriche. Per quei primi indagatori tutto quanto si proietta sulla volta apparente del firmamento apparteneva ad un identico gruppo di fatti, e si designava anche con un solo nome, τὰ μετέωρα, le meteore, che è quanto dire le cose sublimi, o sospese in alto. Nessuno aveva ancora insegnato a separare la sede del Sole da quella dell’iride o del parelio, che al Sole sono così manifestamente collegati; nè il luogo della Luna, da quello dell’alone, che la circonda; nè vi era allora ragione di credere, che le stelle cadenti essenzialmente si distinguessero dalle stelle vere. L’atmosfera, con diversi gradi di purezza, dai più si supponeva estesa fino agli ultimi limiti dell’universo, e non priva d’influenza sul corso degli astri stessi. Questo è da tener in mente per interpretare al vero il contenuto dei molti libri sulle meteore (περὶ μετεώρων) attribuiti ad antichi scrittori. Così presso i Greci nacque e crebbe l’Astronomia, strettamente abbracciata con la Meteorologia; una separazione sistematica fra l’una e l’altra dottrina già pare fosse nelle idee di Democrito, ma non si manifesta in modo completo che ai tempi d’Aristotele.
Nulla ora potrebbe esser più interessante ed istruttivo, che il seguire passo passo i primi ed incerti tentativi, che quelle vergini intelligenze nella loro piena potenza ed originalità andarono successivamente facendo per intendere il perchè di tanti fatti grandiosi e straordinari, che il cielo e l’atmosfera offrivano ai loro sguardi. Sventuratamente le informazioni che possediamo su questa parte della storia scientifica sono, e per quantità e per qualità, troppo inferiori ai nostri desideri; e troppo spesso da cenni imperfetti e da indicazioni d’oscuro significato si è costretti ad indovinare i concetti di quei primi eroi del pensiero. Il moto periodico degli astri maggiori, come la parte più semplice del problema, fu il primo oggetto d’indagine. Leggiamo che Talete Milesio (639-546)1 fu il primo ad investigare con qualche cura la lunghezza dell’anno solare; al quale effetto è da credere che gli fossero utili le osservazioni solstiziali fatte, come si narra, dal suo amico e coetaneo Ferecide a quello stesso eliotropio di Syros, che già vedemmo celebre ai tempi d’Omero, e che ancora si cita come esistente parecchi secoli dopo. Anassimandro (610-547) discepolo di Talete, riconobbe che il continuo cambiare del parallelo diurno che si osserva nel Sole da un giorno all’altro, e il moto spirale che esso sembra fare fra i due paralleli estremi (i tropici) sono il risultato del moto diurno della rotazione celeste, combinato col moto annuo del Sole fra le stelle in un circolo obliquo. Anassimandro aveva visitato le colonie del Ponto; dove la comparazione dell’aspetto delle stelle con quanto era stato osservato da lui e da altri a Mileto ed in Egitto sotto latitudini assai più basse lo condusse alla grande ed importante scoperta della convessità della Terra nel senso del meridiano. E poichè la rotazione diurna della sfera stellata già lo aveva convinto esser la Terra sospesa senza appoggio al centro dell’universo, combinando queste due idee egli si persuase dover esser la Terra qualche cosa di simile ad un gran cilindro (o come egli diceva, ad un tronco di colonna) coll’asse disteso nella direzione dal levante al ponente. Come egli abbia potuto più tardi assicurarsi che la Terra è convessa anche nel senso perpendicolare al meridiano, non è ben noto; tuttavia pare che nei suoi ultimi anni abbandonasse quella singolare (benchè logica conseguenza delle osservazioni) ipotesi del cilindro, e preferisse attribuire alla Terra la figura della sfera, più simmetrica e meglio corrispondente a quella dell’universo sferico, che Anassimandro supponeva circondarla da ogni parte. Queste grandi scoperte della sfericità della Terra e del suo isolamento nello spazio non sono inferiori, per merito e per difficoltà, a quelle per cui vanno celebrati i nomi di Copernico e di Newton. Ma per esser tanto lontane dal comune concetto e dalle quotidiane apparenze, durarono fatica ad esser comprese, anche da menti dotte: e più di un secolo dopo, uomini come Empedocle ed Anassagora e Democrito non ne erano ancora convinti. Bensì pare che l’adottasse subito Pitagora di Samo (569-170) discepolo di Ferecide, e con esso tutte le scuole dei Pitagorici.
La forma sferica della Terra condusse subito a scoprire la vera teoria dei climi geografici. Infatti allora per la prima volta si potè comprendere il motivo del fatto (già a quanto pare riconosciuto da Talete), dell’essere i climi terrestri ordinati secondo strisce parallele precedenti da levante a ponente; e tale fu l’origine della dottrina delle zone, che dicesi proclamata per la prima volta da Parmenide di Elea (520-450). Nell’ipotesi della Terra piana coperta da una volta emisferica doveano i paesi più caldi esser quelli, nelle cui vicinanze si credeva sorgesse e tramontasse il Sole; il che aveva dato origine all’antichissimo mito geografico degli Etiopi orientali ed occidentali, abitanti le plaghe estreme del disco terrestre verso levante e verso ponente.
Fu in questo intervallo di tempo (550-450) che nacquero le prime specole astronomiche e meteorologiche. Quei nobili ingegni, veramente degni del nome di filosofi, fin da principio non avevan dubitato della necessità di stabilire lo studio della natura sull’accurata osservazione dei fatti. L’incessante vicenda dei moti celesti e dei fenomeni atmosferici domandava uno studio diligente e costante; nè mancarono persone, che a tale studio consacrassero per anni ed anni la loro vita. Le loro specole eran tutte in luoghi elevati; perchè da esse si doveva dominare un orizzonte libero, che permettesse di ben fare le essenzialissime osservazioni del levare e dell’occaso mattutino e vespertino delle stelle. Sono a noi pervenuti i nomi di Matriceta da Metimna nell’isola di Lesbo, il quale osservava sul vicino monte Lepetinmo; di Cleostrato da Tenedo (520), che aveva la sua specola sul monte Ida di Troade; di Faino Ateniese (450), che l’aveva presso Atene sul monte Licabetto; di Anassagora Clazomenio (500-430), che prima d’insegnare in Atene aveva da giovane osservato sul monte Mimas, poco discosto da Clazomene sua patria. L’idea di seppellire le specole tra il fumo, la polvere, e il fracasso delle città popolose è tutta moderna.
- ↑ I numeri così posti fra parentesi indicano anni avanti Cristo, e sono per lo più da interpretarsi come dati approssimativamente.
- Testi in cui è citato Ecateo di Mileto
- Testi in cui è citato Anassimandro
- Testi in cui è citato Democrito
- Testi in cui è citato Aristotele
- Testi in cui è citato Talete
- Testi in cui è citato Ferecide di Atene
- Testi in cui è citato Omero
- Testi in cui è citato Niccolò Copernico
- Testi in cui è citato Isaac Newton
- Testi in cui è citato Empedocle
- Testi in cui è citato Anassagora
- Testi in cui è citato Pitagora
- Testi in cui è citato Parmenide
- Testi in cui è citato Matriceta
- Testi in cui è citato Cleostrato di Tenedo
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