Sentenza Tribunale penale di Perugia - Vicenda Federconsorzi/16

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- Così se da un lato fallivano le prospettive di ripresa della Federconsorzi, vedeva la luce la procedura concorsuale che più da vicino interessa in questa sede.

Ma quasi a delineare un programma scritto a più mani, risulta che già alla fine di giugno il dott. Greco, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Roma, attendeva il ricorso e si mostrava prodigo di consigli, suggerendo altresì di far presto . Del resto dopo la presentazione del ricorso, avvenuta il 4-7-1991, il dott. Greco non fu meno accondiscendente, al punto da concordare con i commissari i tempi per il successivo deposito della ratifica assembleare della decisione di far ricorso alla procedura di concordato e da prestarsi ad accedere direttamente presso la sede di Federconsorzi, per visionare le scritture contabili.

Ed invero, sarebbe gravato sulla ricorrente l’onere di provare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 160 L.F., fra l’altro presentando con il ricorso le scritture contabili, uno stato analitico-estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori ai sensi dell’art. 161 L.F.

L’accesso del dott. Greco, in veste di relatore, pose rimedio al vizio formale del mancato deposito delle scritture e soprattutto consentì al predetto di rendersi arbitro del giudizio riguardante la regolarità della tenuta.

E non si tratta di un rilievo da poco, giacché, per quanto già risultassero alcune irregolarità e soprattutto fosse conclamata l’inaffidabilità dei bilanci, i quali, secondo quanto dichiarato anche pubblicamente dal Ministro Goria dissimulavano ingenti perdite, il magistrato nel decreto di ammissione non formulò rilievi di sorta, semplicemente demandando alla successiva fase dell’omologa ogni valutazione definitiva circa il possesso dei requisiti formali e sostanziali.

Sorprende peraltro che nessuno avesse fin dall’inizio rilevato la mancanza del prescritto stato analitico ed estimativo delle attività. Risulta invero che nel ricorso e anche successivamente, su sollecitazione dello stesso Tribunale, furono forniti dati aggregati di carattere generale, aventi la funzione di consentire una valutazione per categorie del valore dei cespiti.

Ma mai fu predisposto un inventario dei beni e neppure fu fornita la stima di ciascun cespite.

Tale dirimente violazione, per quanto non enunciata nel capo di imputazione, dà fin d’ora la misura del coinvolgimento del giudice relatore, cioè di colui che più di ogni altro avrebbe dovuto guidare le valutazioni del collegio, in un preciso disegno, sostanzialmente volto all’attuazione del concordato con cessione dei beni.

Si badi altresì che una pronuncia di segno negativo non avrebbe necessariamente aperto la strada al fallimento, ma avrebbe con ogni probabilità innescato procedure diverse, quali la liquidazione coatta amministrativa, ciò che equivale a dire che il Giudice Greco in quella fase non palesò affatto l’intenzione di volersi liberare di una procedura oggettivamente complessa e scomoda, come sarebbe stato umanamente comprensibile, ma al contrario mostrò di volerla mantenere tal quale sotto il suo controllo.

Proseguendo nella disamina di tale aspetto, è d’uopo rilevare che dopo il decreto di ammissione alla procedura di concordato l’amministrazione della Federconsorzi continuava a fare capo ai commissari governativi, peraltro sottoposti alle limitazioni di cui all’art. 167 L.F.

Risulta in proposito che la gestione si appalesava quanto mai difficile, poiché la Federconsorzi risultava priva di liquidità e inoltre aveva partecipazioni totalitarie o di maggioranza in un nutrito gruppo di società, che ovviamente risentivano della crisi della partecipante e si trovavano a loro volta in difficoltà, tutto ciò senza parlare della situazione dei consorzi agrari e dei loro rapporti con la Federazione.

Nell’ottica della liquidazione globale, propria del concordato con cessione dei beni, la gestione avrebbe dovuto mirare al mantenimento dello status quo, senza alcuna compromissione delle esigenze di conservazione del patrimonio destinato ai creditori, ma ciò collideva con la struttura stessa di Federconsorzi, che richiedeva una conduzione assai più dinamica e soprattutto imponeva interventi conservativi da valutarsi nel quadro del complesso sistema di cui l’ente era a capo.

In altre parole sarebbe stato necessario che i commissari governativi potessero dispiegare un’effettiva opera di risanamento attraverso una adeguata acquisizione di risorse, ottenute anche attraverso un piano di dismissioni, da destinare poi alla conservazione dei cespiti e delle società di maggior significato. Orbene, a fronte di tutto ciò il giudice delegato, cioè lo stesso Presidente Greco, tenne sempre un atteggiamento di assoluta rigidità, limitando a casi del tutto sporadici le autorizzazioni alla vendita di cespiti o all’erogazione di finanziamenti infra-gruppo.

Si sosteneva infatti dal punto di vista formale che l’art. 167 L.F. non consentisse operazioni di amministrazione attiva al di fuori di quelle strettamente connesse all’esigenza di conservazione del patrimonio con la conseguenza che fosse possibile la cessione di cespiti solo nei casi in cui si prospettasse come altrimenti ineluttabile il loro depauperamento o la loro compromissione. Ma una siffatta interpretazione, che l’art. 167 L.F. non legittima , pur richiedendo cautela, era comunque d’ostacolo alla realizzazione di qualsivoglia progetto di risanamento.

Ciò è tanto vero, che progressivamente si determinarono frizioni tra i commissari governativi e gli organi della procedura, che condussero ad una sorta di chiarimento, ma solo limitatamente all’affare Fedital.

Sta di fatto che, se per davvero fosse stata legittima l’interpretazione restrittiva dell’art. 167 L.F. fatta propria dal Presidente Greco, vi sarebbe stato motivo di dubitare fortemente della adattabilità della procedura di concordato ad un ente quale la Federconsorzi, che avrebbe avuto invece bisogno di strumenti diversi. E non è un caso che nel corso dei mesi gli stessi commissari avessero cominciato ad affacciare l’ipotesi di un cambio della procedura, in favore ad esempio della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, trovando anche in questo caso la forte contrarietà del magistrato.

Per concludere sul punto, il dott. Greco fin dall’inizio mostrò di privilegiare la procedura di concordato preventivo, che meno di tutte si attagliava al caso di specie, e nel corso dei mesi la gestì in modo fin troppo rigido, astenendosi sistematicamente, salve rarissime eccezioni, dall’autorizzare i commissari governativi, che di continuo formulavano istanze in tal senso, a cedere beni o partecipazioni societarie, ciò che finì con il vanificare le prospettive di utile dismissione che a mano a mano si presentavano, il tutto in funzione della nominale conservazione del patrimonio destinato ai creditori, ma di fatto a beneficio del semplice mantenimento dello status quo e della medesima composizione di quel patrimonio, scongiurandosi il “rischio” di cessione dei cespiti più appetibili, che per primi, ragionevolmente, avrebbero trovato un acquirente.

Tale condotta e tale atteggiamento risultano d’altro canto in linea con gli auspici iniziali del Ministro, si badi, già sostenuto dal prof. Capaldo.