Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee nel procedimento C-380-05 (Europa 7)/Conclusioni avvocato generale

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2 giugno 2008 50% Da definire

Organo giudicante: conclusioni avvocato generale
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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE POIARES MADURO presentate il 12 settembre 2007 1(1)

Causa C-380/05 Centro Europa 7 Srl contro Ministero delle Comunicazioni e Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e Direzione Generale Autorizzazioni e Concessioni Ministero delle Comunicazioni [domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Consiglio di Stato (Italia)]


1. Con la decisione di rinvio pregiudiziale in esame il Consiglio di Stato (Italia) chiede alla Corte di pronunciarsi su una lunga serie di questioni riguardanti la concorrenza leale, la libera prestazione dei servizi, la libertà di espressione e il principio del pluralismo dei mezzi di comunicazione. La causa principale concerne una società televisiva la quale, diversi anni dopo aver ottenuto una concessione per la radiodiffusione in ambito nazionale a seguito di pubblica gara d’appalto, non si è ancora vista attribuire le radiofrequenze necessarie per esercitare tale concessione. Nel frattempo, la normativa nazionale ha autorizzato gli operatori esistenti a proseguire le loro attività di radiodiffusione televisiva e ad utilizzare le radiofrequenze occupate, protraendo così una situazione discordante dall’esito della gara d’appalto. Mi riferirò alle questioni sollevate dal giudice del rinvio principalmente alla luce delle norme relative alla libera prestazione dei servizi.

I – Fatti, contesto normativo nazionale e domanda di pronuncia pregiudiziale

2. Il contesto normativo italiano della radiodiffusione televisiva in ambito nazionale è un amalgama complesso di leggi e decreti-legge, ma tre sono i testi che, uno dopo l’altro, hanno costituito il suo nucleo: la legge n. 223/1990 (in prosieguo: la «legge Mammì») (2), la legge n. 249/1997 (in prosieguo: la «legge Maccanico») (3) e la legge n. 112/2004 (in prosieguo: la «legge Gasparri») (4).

3. La legge Maccanico è stata varata nel luglio 1997, dopo che la Corte costituzionale (Italia) aveva dichiarato, con sentenza del dicembre 1994 (5), che la disciplina antitrust della legge Mammì era inadeguata a prevenire l’insorgere di posizioni dominanti che avrebbero potuto pregiudicare il pluralismo dei mezzi di comunicazione. La legge Maccanico istituiva l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (in prosieguo: l’«AGCom») e introduceva nuovi limiti alla concentrazione nel mercato della radiodiffusione televisiva in ambito nazionale con l’intento di garantire la concorrenza e il rispetto del principio del pluralismo. Ai suoi sensi, a decorrere dal 30 aprile 1998 nessun soggetto poteva irradiare più del 20% delle reti televisive nazionali.

4. La legge Maccanico prevedeva anche disposizioni transitorie per gli operatori già attivi con reti eccedenti la soglia del 20%. Essi potevano provvisoriamente proseguire le loro attività di trasmissione dopo il 30 aprile 1998 a condizione che trasmettessero via etere terrestre e simultaneamente via satellite o via cavo. Le reti eccedenti la soglia avrebbero dovuto però liberare le frequenze terrestri all’approvazione di un piano nazionale di assegnazione delle frequenze.

5. In attuazione della legge Maccanico veniva indetta, nel marzo 1999, una gara per il rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva nazionale su frequenze terrestri. Per ragioni tecniche il numero di reti terrestri non avrebbe potuto eccedere un massimo di 11. Tre reti erano riservate al servizio pubblico radiotelevisivo, mentre le restanti otto erano assentibili ad emittenti private. 6. Avendo partecipato con successo alla gara d’appalto, la Centro Europa 7 Srl (in prosieguo: «Europa 7») si aggiudicava una concessione per la radiodiffusione televisiva nazionale. La concessione veniva assentita con decreto ministeriale 28 luglio 1999 e materialmente rilasciata il 28 ottobre del medesimo anno. Rispetto alle specifiche frequenze, il decreto rinviava al piano nazionale di assegnazione ancora da attuare. Ai suoi termini, l’AGCom avrebbe dovuto attuare il piano nazionale di assegnazione, d’intesa con il Ministero delle Comunicazioni, entro 24 mesi dalla notifica della concessione. Nel caso di «impedimenti di carattere oggettivo», tale termine avrebbe potuto essere prorogato di 12 mesi.

7. Il piano nazionale di assegnazione non veniva messo in atto. Conseguentemente, Europa 7 non riceveva alcuna frequenza e, pur se titolare di una concessione per la radiodiffusione televisiva, non poteva iniziare le trasmissioni. Nel frattempo, una serie di leggi e decisioni giudiziarie successive consentiva agli operatori già presenti, compresi quelli che non avevano superato la gara d’appalto, di proseguire le loro attività di trasmissione.

8. Per esempio, la legge n. 66/2001 (6), che ha disciplinato la transizione dalla diffusione in tecnica analogica a quella in digitale, consentiva a detti operatori di proseguire la trasmissione via etere terrestre fino all’attuazione di un piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale. Il piano avrebbe dovuto essere adottato non oltre il 31 dicembre 2002. Nulla di fatto, però, alla scadenza del termine.

9. Con sentenza 20 novembre 2002 la Corte costituzionale fissava al 31 dicembre 2003 il termine improrogabile per il trasferimento dall’etere al cavo o al satellite delle reti eccedenti la soglia antitrust del 20%, a prescindere dal grado di sviluppo della televisione digitale (7). Ciononostante, il decreto legge n. 352/2003 (8) (in seguito convertito nella legge n. 43/2004 (9)) e la legge Gasparri prorogavano ancora la possibilità per le emittenti di reti eccedenti la soglia antitrust di trasmettere via etere terrestre.

10. La legge Gasparri consentiva, infatti, alle vecchie emittenti di usare ancora frequenze per reti eccedenti la soglia antitrust, così da bloccare il rilascio delle stesse per le emittenti nuove, come Europa 7, e da sospendere l’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la televisione digitale. Solo le emittenti già attive, poi, avrebbero potuto richiedere licenze per la trasmissione in tecnica digitale. In ultimo, la legge Gasparri ridefiniva la soglia del 20% introdotta dalla legge Maccanico.

11. Pertanto, all’epoca dei fatti, emittenti attive nella radiodiffusione televisiva nazionale ma prive della relativa concessione erano autorizzate a proseguire le loro attività, sebbene eccedessero la soglia antitrust. Europa 7, invece, pur titolare di una concessione per la radiodiffusione televisiva, non poteva iniziare ad operare perché ancora sprovvista delle necessarie frequenze. Inoltre, non essendo un’emittente già attiva, essa non poteva ottenere una licenza per la radiodiffusione della televisione digitale.

12. Trascorso inutilmente il termine di 24 mesi dalla notifica della concessione per la radiodiffusione televisiva, Europa 7 adiva il Tribunale amministrativo regionale (TAR) Lazio affinché ingiungesse alle autorità amministrative competenti di assegnare le frequenze necessarie e risarcire i danni nel frattempo subiti. In subordine, nel caso in cui l’assegnazione delle frequenze si fosse rivelata impossibile, Europa 7 concludeva per il risarcimento dei danni. Il TAR Lazio riteneva che Europa 7 non avesse un diritto soggettivo all’assegnazione di frequenze specifiche e respingeva il ricorso nel suo insieme. Europa 7 ha allora proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato.

13. In giudizio le autorità italiane hanno dedotto a propria difesa il decreto legge n. 352/2003 e la legge Gasparri. Il Consiglio di Stato ha perciò sottoposto alla Corte di giustizia una lunga serie di questioni pregiudiziali:

1) «Se l’art. 10 della [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»)], come richiamato dall’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, garantisca il pluralismo informativo esterno nel settore radiotelevisivo, con ciò obbligando gli Stati membri a garantire un pluralismo effettivo ed una concorrenza effettiva, nel settore, basata su un sistema antitrust che, in relazione allo sviluppo tecnologico, garantisca accesso alle reti e pluralità degli operatori, senza possibilità di ritenere legittimi assetti duopolistici del mercato;

2) se le disposizioni del Trattato CE che garantiscono la libertà di prestazione di servizi e la concorrenza, nell’interpretazione datane dalla Commissione con la comunicazione interpretativa del 29 aprile 2000 sulle concessioni nel diritto comunitario, esigano principi di affidamento delle concessioni capaci di assicurare un trattamento non discriminatorio, paritario, nonché trasparenza, proporzionalità e rispetto dei diritti dei singoli, e se con tali disposizioni e principi del Trattato contrastino le disposizioni del diritto italiano di cui all’art. 3, settimo comma, della legge n. 249/1997, di cui all’art. 1 del decreto legge 24.12.2003, n. 352, convertito in legge n. 112/2004 (legge Gasparri) [(10)], in quanto hanno consentito a soggetti esercenti reti radiotelevisive “eccedenti” i limiti antitrust di continuare ininterrottamente ad esercitare la loro attività escludendo operatori come la società appellante che, pur in possesso della relativa concessione, assegnata a seguito di regolare procedura competitiva, non hanno potuto svolgere l’attività concessionata per mancata assegnazione di frequenze (dovuta alla loro insufficienza o scarsità, determinata dalla anzidetta prosecuzione dell’esercizio da parte dei titolari delle c.d. reti eccedenti);

3) se, a decorrere dal 25 luglio 2003, l’art. 17 della [direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni),] imponesse l’efficacia diretta di tale direttiva nell’ordinamento interno ed imponesse l’obbligo, allo Stato membro che avesse rilasciato concessioni per l’attività di radiodiffusione televisiva (comprensive del diritto d’installare reti o di fornire servizi di comunicazione elettronica o diritto all’uso di frequenze), di allinearle alla disciplina comunitaria e se tale obbligo dovesse comportare la necessità di effettivamente assegnare le frequenze necessarie per svolgere l’attività;

4) se l’art. 9 della [direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/21/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro),] e l’art. 5 della direttiva autorizzazioni, prevedendo procedure pubbliche, trasparenti e non discriminatorie (art. 5) svolte in base a criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionali (art. 9), siano in contrasto con un regime di generale assentimento, previsto dal diritto nazionale (art. 23, quinto comma, della legge n. 112/2004), che, consentendo la prosecuzione delle c.d. “reti eccedenti” non selezionate a mezzo gare, finisce per ledere i diritti di cui godono altre imprese in forza della normativa comunitaria (art. 17, secondo comma, della direttiva [2002/20]), le quali, pur vincitrici di procedure competitive, si vedono preclusa la possibilità di operare;

5) se gli artt. 9 della direttiva 2002/21 (…), 5, n. 2, secondo comma, e 7, n. 3, della direttiva 2002/20 (…) e l’art. 4 della [direttiva della Commissione 16 settembre 2002, 2002/77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica,] imponessero agli Stati membri di far cessare, quantomeno a decorrere dal 25 luglio 2003 (v. art. 17 direttiva autorizzazioni), una situazione di occupazione di fatto delle frequenze (esercizio d’impianti senza concessioni o autorizzazioni rilasciate a seguito di comparazione degli aspiranti) con riferimento all’attività di radiodiffusione televisiva, quale quella svolta, così non consentendo uno svolgimento di tale attività al di fuori di qualsiasi corretta pianificazione dell’etere ed al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo oltre che in contraddizione con le stesse concessioni assegnate dallo Stato membro all’esito di una procedura pubblica;

6) se la deroga prevista dall’art. 5, n. 2, secondo comma, della direttiva 2002/20 (…) e dall’art. 4 della direttiva 2002/77 (…) fosse e sia invocabile dallo Stato membro solo a tutela del pluralismo informativo e per garantire la tutela della diversità culturale o linguistica e non a favore degli esercenti di reti eccedenti i limiti antitrust già previsti dalla normativa nazionale;

7) se, per avvalersi della deroga di cui all’art. 5 della direttiva 2002/20 (…), lo Stato membro debba indicare quali sono gli obiettivi effettivamente perseguiti con la normativa derogatoria nazionale;

8) se tale deroga possa applicarsi al di fuori del caso della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo (RAI in Italia) anche a favore di operatori privati non vincitori di procedure competitive ed a danno di imprese che abbiano invece regolarmente visto assentita una concessione a seguito di gara;

9) se, ancora, il quadro di regole derivanti dal diritto comunitario dei Trattati e derivato, improntato a garantire una concorrenza effettiva (workable competition) anche nel settore del mercato radiotelevisivo, non avrebbe dovuto imporre al legislatore nazionale di evitare la sovrapposizione della proroga del vecchio regime transitorio analogico collegata all’avvio del c.d. digitale terrestre, poiché solo nel caso del c.d. switch-off delle trasmissioni analogiche (con il conseguente passaggio generalizzato al digitale) sarebbe possibile riallocare frequenze liberate per vari usi, mentre, nel caso del mero avvio del processo di transizione al digitale terrestre, si rischia di ulteriormente aggravare la scarsità delle frequenze disponibili, dovuta alla trasmissione analogica e digitale in parallelo (simulcast);

10) se, in ultimo, la tutela del pluralismo delle fonti d’informazione e della concorrenza nel settore radiotelevisivo garantita dal diritto europeo sia assicurata da una disciplina nazionale – come la legge n. 112/2004 – che prevede un nuovo limite del 20% delle risorse, collegato ad un nuovo paniere (il c.d. SIC: art. 2, lett. g); art. 15 della legge n. 112/2004) molto ampio che include anche attività che non hanno impatto sul pluralismo delle fonti d’informazione, mentre il “mercato rilevante” nel diritto antitrust è costruito normalmente differenziando i mercati, nel settore radiotelevisivo, perfino distinguendo fra pay-tv e televisioni non a pagamento che operano via etere (si vedano inter alia le decisioni della Commissione [21 marzo 2000, che dichiara la compatibilità con il mercato comune di una concentrazione (caso COMP/JV. 37-BSKYB/Kirch Pay TV)], basata sul [regolamento (CEE) del Consiglio 21 dicembre 1989, n. 4064, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese], e [2 aprile 2003, che dichiara la compatibilità di una concentrazione con il mercato comune e con l’accordo sul SEE (caso COMP/M. 2876 – Newscorp/Telepiù)], basata sul [regolamento n. 4064/89])».

II – Osservazioni preliminari in merito alla competenza della Corte a verificare la conformità dei provvedimenti nazionali ai diritti fondamentali

14. Con la prima questione il giudice del rinvio chiede un’interpretazione dell’art. 10 CEDU e invita la Corte di giustizia a precisare gli obblighi derivanti agli Stati membri dal diritto alla libertà di espressione e la nozione accessoria di pluralismo dei mezzi di comunicazione.

15. Il rispetto della libertà di espressione è un principio cardine dell’Unione europea. Nondimeno, la Corte di giustizia non è automaticamente competente ad accertare ogni sua violazione da parte degli Stati membri. Come essa stessa ha più volte affermato, la Corte è legittimata soltanto a verificare la compatibilità con i diritti fondamentali delle disposizioni nazionali che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto comunitario (11).

16. In passato si è argomentato per estendere la competenza della Corte in sede di accertamento della conformità delle disposizioni nazionali ai diritti fondamentali. Nelle conclusioni per la causa Konstantinidis l’avvocato generale Jacobs ha ritenuto che qualunque cittadino di uno Stato membro che svolga un’attività economica in un altro Stato membro possa, nell’ambito di applicazione del diritto comunitario, invocare la tutela dei suoi diritti fondamentali:

«È mia opinione che un cittadino comunitario che si rechi in un altro Stato membro come lavoratore dipendente o autonomo (…) abbia il diritto non solo di svolgere la sua attività commerciale o professionale e di godere delle stesse condizioni di vita e di lavoro dei cittadini dello Stato ospitante, ma altresì di contare sul fatto che, dovunque egli si rechi per guadagnarsi da vivere all’interno della Comunità europea, egli sarà trattato in conformità ad un codice comune di valori fondamentali, in particolare quelli proclamati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In altre parole, egli ha il diritto di dichiarare “civis europeus sum” e di invocare tale status per opporsi a qualunque violazione dei suoi diritti fondamentali» (12).

17. La Corte non ha, tuttavia, accolto tale argomentazione. Non ha convenuto, cioè, che ogni violazione, da parte dello Stato ospitante, di un diritto fondamentale di un cittadino di un altro Stato membro possa ostacolare l’esercizio del diritto alla libera circolazione. Non intendo proporre alla Corte di ritornare su una giurisprudenza ormai consolidata, ma credo che i tempi siano maturi per una precisazione di questo filone.

18. Dall’adozione del Trattato di Amsterdam il rispetto dei diritti fondamentali è una condizione giuridica formale per l’adesione all’Unione europea (13). L’art. 6 UE, come modificato da tale Trattato, ora sancisce espressamente che l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri. L’art. 7 UE istituisce un meccanismo per sanzionare lo Stato membro nel quale vi sia un rischio evidente di violazione grave di tali principi, così confermando che il rispetto dei diritti fondamentali è una condizione indispensabile per l’appartenenza all’Unione europea.

19. Senza dubbio queste disposizioni non intendono ampliare l’ambito di applicazione dei diritti fondamentali, come materia di diritto comunitario, nei confronti di qualsiasi provvedimento di uno Stato membro. Non si può comunque negare che sono espressione della profonda convinzione che il rispetto dei diritti fondamentali è intrinseco all’ordinamento giuridico dell’Unione europea e che, senza di esso, l’azione comune da parte e a favore dei popoli europei risulterebbe inutile e irrealizzabile. In questo senso l’Unione europea fonda la propria essenza sul rispetto dei diritti fondamentali. La tutela di un «codice comune» di diritti fondamentali costituisce, perciò, un requisito esistenziale dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea.

20. Su queste premesse, la Corte adempie la sua funzione garantendo l’osservanza da parte degli Stati membri dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto (14). A tale riguardo si deve operare un distinguo tra la competenza ad esaminare qualsiasi provvedimento nazionale alla luce dei diritti fondamentali, da una parte, e la competenza ad accertare se gli Stati membri garantiscono il livello di tutela dei diritti fondamentali loro richiesto in quanto membri dell’Unione, dall’altra. Il primo tipo di accertamento ancora non esiste e non rientra fra gli attuali compiti dell’Unione. Il secondo, invece, scaturisce dalla natura stessa del processo di integrazione europea. Esso è inteso a garantire le condizioni necessarie per l’adeguato funzionamento dell’ordinamento giuridico comunitario e per l’effettivo esercizio del complesso dei diritti conferiti ai cittadini europei. Il grado di tutela dei diritti fondamentali in ambito nazionale può non essere identico al corrispondente livello nell’Unione europea, ma devono esistere misure di equivalenza per garantire che il diritto dell’Unione trovi effettiva realizzazione negli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri.

21. Lo scenario appare forse inizialmente inverosimile, però non escludo a priori l’idea che in uno Stato membro possa avvenire una violazione seria e persistente dei diritti fondamentali, che gli impedisca di adempiere molti degli obblighi comunitari e limiti di fatto la possibilità per i cittadini di beneficiare pienamente dei diritti che l’ordinamento comunitario loro riconosce. Sarebbe difficile, per esempio, immaginare cittadini dell’Unione che esercitano i loro diritti alla libera circolazione in uno Stato membro ove vi siano lacune sistemiche nella tutela dei diritti fondamentali. Lacune del genere equivarrebbero, infatti, ad una violazione delle norme sulla libera circolazione.

22. Non voglio dire che qualsiasi violazione dei diritti fondamentali costituisca di per sé, ai sensi dell’art. 6, n. 2, UE, un’infrazione alle norme sulla libera circolazione. Sole serie e durevoli trasgressioni che evidenziano un problema di natura sistemica nella tutela dei diritti fondamentali nello Stato membro considerato possono integrare, a mio parere, una violazione delle norme sulla libera circolazione, dato il pregiudizio diretto che comporterebbero alla dimensione transnazionale della cittadinanza europea e all’integrità dell’ordinamento giuridico comunitario. Fintantoché la tutela dei diritti fondamentali in uno Stato membro non sia gravemente insufficiente nel senso così inteso, ritengo che la Corte debba esaminare la conformità dei provvedimenti nazionali ai diritti fondamentali solo quando rientrino nel suo ambito di competenza come definito dalla sua attuale giurisprudenza (15).

23. Ai fini della presente controversia propongo alla Corte di restare fedele al suo costante orientamento. Ciò non significa che la prima questione del giudice nazionale, in quanto riguarda il diritto alla libertà di espressione, sia irrilevante. Tuttavia, come si vedrà, essa è accessoria alla questione relativa ai limiti alla libera circolazione.

III – Riformulazione delle questioni pregiudiziali

24. Ciò detto, passo alle altre questioni sollevate dal giudice del rinvio. La loro modalità di formulazione è purtroppo sotto diversi aspetti problematica. Anzitutto, il Consiglio di Stato chiede, in sostanza, alla Corte di giustizia di accertare la compatibilità della normativa nazionale con il diritto comunitario. Ma non è questo il compito della Corte in un procedimento pregiudiziale. Essa si limita a fornire un’interpretazione delle disposizioni pertinenti di diritto comunitario. Spetta al giudice del rinvio decidere se la normativa nazionale è compatibile con dette disposizioni (16).

25. Va poi limitato l’ambito della domanda di pronuncia pregiudiziale. Le questioni sollevate dal giudice remittente riguardano diversi aspetti della normativa italiana, ma non occorre che la Corte esamini questioni di diritto comunitario che non sono necessarie alla risoluzione della causa principale. La Corte medesima ha dichiarato siffatte questioni irricevibili (17). In conformità a tale giurisprudenza non esaminerò, quindi, i quesiti pregiudiziali pertinenti ai criteri di ammissione al rilascio di licenze per la televisione digitale e alla nuova definizione, secondo la legge Gasparri, del mercato rilevante di radiodiffusione televisiva.

26. Un’altra parte della domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile per una ragione differente. Nell’ambito di un procedimento di pronuncia pregiudiziale è importante che il giudice del rinvio definisca le circostanze di fatto relative ai suoi quesiti in modo che la Corte possa fornire un’interpretazione utile delle rilevanti disposizioni di diritto comunitario (18). Come la Corte ha dichiarato nella sentenza Telemarsicabruzzo, ciò risulta «in modo del tutto particolare nel settore della concorrenza, caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse» (19).

27. Sembra che, ove chiede, con la seconda questione, un’interpretazione delle norme del Trattato sulla concorrenza, il giudice del rinvio si riferisca anzitutto all’art. 86, n. 1, CE, in combinato disposto con l’art. 82 CE. Secondo la giurisprudenza della Corte, uno Stato membro infrange il divieto sancito da queste due disposizioni quando riconosce diritti speciali o esclusivi ad un’impresa che è indotta «con il mero esercizio di [tali diritti] a sfruttare abusivamente la sua posizione dominante, o quando questi diritti sono idonei a creare una situazione in cui l’impresa è indotta a commettere tali abusi» (20). Ma la questione pregiudiziale non contiene alcuna indicazione riguardo, in particolare, alla definizione del mercato rilevante, al calcolo delle quote di mercato detenute dalle diverse imprese che ivi operano e al presunto abuso di posizione dominante. Le questioni del giudice del rinvio vertenti sulle disposizioni del Trattato in materia di concorrenza devono pertanto essere considerate irricevibili (21).

28. La domanda di pronuncia pregiudiziale è invece ricevibile dove pone sostanzialmente il problema «se il diritto comunitario si opponga alla normativa nazionale che autorizza gli operatori esistenti di servizi di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a proseguire la trasmissione su radiofrequenze, bloccando con ciò il rilascio di radiofrequenze per i nuovi competitori che hanno ottenuto un diritto per fornire gli stessi servizi». Affronterò la questione con riferimento all’art. 49 CE (22) e al quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (23).

29. Si potrebbe obiettare che, riformulata in questo modo, la questione pregiudiziale naufraghi sullo scoglio dell’irricevibilità, dal momento che fa leva sull’art. 49 CE mentre i fatti della causa principale sembrano mancare di implicazioni transfrontaliere. Tale argomento non è però convincente.

30. Nella sentenza Guimont (24), così come nella sentenza Anomar e a. (25), la Corte ha accolto le questioni sollevate dal giudice del rinvio relativamente alle norme del Trattato sulla libera circolazione, sebbene la controversia fosse priva di elementi transfrontalieri. Analogamente, nella sentenza Cipolla e a., dove i fatti della causa erano limitati all’interno del territorio italiano, la Corte ha dichiarato che «una risposta può tuttavia essere utile al giudice del rinvio, in particolare nel caso in cui il diritto nazionale imponga, in un procedimento come quello in esame, di riconoscere ad un cittadino italiano gli stessi diritti di cui godrebbe nella medesima situazione, in base al diritto comunitario, un cittadino di uno Stato diverso dalla Repubblica italiana» (26). A mio parere, questa tesi è avallata dallo spirito di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia e dall’esigenza di evitare applicazioni della legge nazionale congiunta al diritto comunitario che determinino un trattamento sfavorevole dei propri cittadini da parte di uno Stato membro (27). La Corte dovrebbe quindi fornire un’interpretazione dell’art. 49 CE anche nel caso di specie, come se la controversia riguardasse una situazione transfrontaliera.

IV – Valutazione

31. Il Trattato non obbliga gli Stati membri a privatizzare settori specifici del mercato. In principio, consente loro di conservare monopoli nazionali o la proprietà pubblica di certe imprese (28), ma non li autorizza a limitare selettivamente l’accesso degli operatori di mercato a determinati settori economici una volta che tali settori sono stati privatizzati (29).

32. Ne consegue che il diritto comunitario non suole riconoscere agli operatori un diritto ad intervenire in un settore specifico. Il Trattato si oppone, ad ogni modo, ad ostacoli che abbiano l’effetto di rendere più difficile, per gli operatori di altri Stati membri, l’accesso al mercato nazionale rispetto agli operatori nazionali (30). In conformità alle norme sulla libera circolazione, qualsiasi misura nazionale che possa, direttamente o indirettamente, comportare un tale effetto può essere salvaguardata solo se sia idonea e necessaria al perseguimento di un legittimo pubblico interesse e se la disparità di trattamento tra operatori nazionali e operatori di un altro Stato membro sia proporzionata alle differenze oggettive tra gli stessi (31).

33. Provvedimenti di diritto interno che limitano il numero di operatori in un settore specifico del mercato possono causare restrizioni alla libertà di circolazione, in quanto rischiano di solidificare le strutture del mercato nazionale e di proteggere gli operatori che abbiano acquisito in tale settore una posizione di forza. È probabile, inoltre, che detti operatori siano operatori nazionali. Le restrizioni al numero di esercenti in un settore del mercato nazionale devono perciò essere giustificate.

34. Come chiarisce la sentenza Placanica, è possibile che un sistema di concessioni che limita il numero totale di operatori nel territorio nazionale sia giustificato da considerazioni di interesse pubblico (32). Pertanto, una limitazione nazionale al numero totale di operatori in un settore specifico del mercato dei servizi potrebbe, in principio, essere ritenuta conforme all’art. 49 CE. Ciò richiederebbe, tuttavia, non solo un motivo legittimo per limitare il numero di operatori, ma anche un processo di selezione che escluda discriminazioni arbitrarie fornendo garanzie sufficienti che il diritto ad operare sia assegnato in base a criteri oggettivi. Per questo, quando concede un tale diritto, uno Stato membro deve osservare procedure trasparenti e non discriminatorie. Lo scopo di tale condizione è garantire che gli operatori godano in tutta la Comunità di pari opportunità di accesso ad ogni settore del mercato interno.

35. Identica è la ratio delle disposizioni comunitarie che disciplinano le procedure per l’assegnazione di appalti pubblici e concessioni. Tali procedure sono rette dai principi di non discriminazione e di trasparenza. In dati settori il diritto derivato definisce tali principi e detta normative specifiche in materia di appalti pubblici (33). Ma anche riguardo ai contratti che esulano dall’ambito di tali disposizioni armonizzate la Corte ha affermato che gli Stati membri devono rispettare i principi di non discriminazione e di trasparenza sanciti dal diritto comunitario primario (34).

36. Ciò vale anche ove uno Stato membro conceda ad un numero limitato di operatori privati il diritto di fornire servizi di radiodiffusione televisiva nazionale su radiofrequenza. Gli Stati membri possono voler limitare l’accesso a tale specifico mercato, ostacolando, quindi, la libera prestazione dei servizi. La restrizione può essere giustificata da motivi di ordine pubblico qualora sia idonea e necessaria per ridurre il rischio di interferenze radio dannose, ma non se risulti da discriminazione arbitraria. Pertanto, la gara di appalto per l’assegnazione di concessioni per fornire servizi di radiodiffusione televisiva nazionale deve, in forza dell’art. 49 CE, rispettare il principio di non discriminazione e garantire l’obbligo di trasparenza.

37. Detti principi rivestono una posizione importante anche nell’ambito del quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (35). Il quadro normativo comune che gli Stati membri avevano l’obbligo di attuare entro il 25 luglio 2003 prevede disposizioni per la gestione delle radiofrequenze e la procedura per limitare il diritto all’uso delle stesse. L’art. 9, n. 1, della direttiva quadro dispone che gli Stati membri «garantiscono che l’allocazione e l’assegnazione di (…) radiofrequenze da parte delle autorità nazionali di regolamentazione siano fondate su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati». Allo stesso modo, l’art. 7, n. 3, della direttiva autorizzazioni enuncia che, «qualora sia necessario concedere i diritti d’uso delle frequenze radio solo in numero limitato, gli Stati membri ne effettuano l’assegnazione in base a criteri di selezione obiettivi, trasparenti, proporzionati e non discriminatori». Il quadro normativo comune sviluppa, così, principi che scaturiscono dal Trattato.

38. L’osservanza di tali principi implica naturalmente che gli Stati membri si attengano alla decisione di accordare concessioni di esercizio agli operatori che siano stati selezionati conformemente a procedure trasparenti e non discriminatorie. Verrebbe meno la ragione stessa di queste procedure se uno Stato membro non rispettasse il loro esito, bensì consentisse agli operatori privati già presenti di occupare indefinitamente il mercato, frustrando in tal modo l’applicazione delle norme sulla libera circolazione. Come la Commissione ha giustamente stabilito nella sua comunicazione sulle concessioni, il «principio di parità di trattamento esige non soltanto la fissazione di condizioni d’accesso non discriminatorie all’attività economica, ma altresì che le autorità pubbliche adottino ogni misura atta a garantire l’esercizio di tale attività» (36). Pertanto, riguardo all’aggiudicazione di concessioni per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a favore di operatori privati, il diritto comunitario richiede che siano istituite procedure di selezione trasparenti e non discriminatorie e che, inoltre, sia data piena attuazione al loro esito.

39. Tali esigenze vanno a fortiori rispettate in una situazione come quella in esame, dove la gara pubblica di appalto per l’assegnazione di concessioni di radiodiffusione televisiva è stata indetta per garantire il pluralismo dei mezzi di comunicazione. Il ruolo spesso svolto dai mezzi di comunicazione di «editors of the public sphere» (redattori della sfera pubblica) (37) è essenziale alla promozione e alla tutela di una società aperta e pluralistica, nella quale sono presentate e discusse idee differenti del bene comune. A questo proposito la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sottolineato che il ruolo fondamentale della libertà di espressione in una società democratica, in particolare dove è a servizio della trasmissione di idee e informazioni al pubblico, «non può essere realizzato con successo a meno che non sia fondato sul principio del pluralismo, del quale lo Stato è il sommo tutore» (38). L’applicazione del diritto comunitario relativamente ai servizi di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale è pertanto retta dal principio del pluralismo e assume in più un significato particolare ove ne rafforza la tutela (39).

40. Ne consegue che i giudici nazionali, i quali hanno l’obbligo di garantire l’effettiva applicazione del diritto comunitario, devono esaminare attentamente le ragioni addotte da uno Stato membro per ritardare l’assegnazione di frequenze ad un operatore che ha ottenuto diritti di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a seguito di una gara pubblica d’appalto e, se necessario, ordinare rimedi appropriati per garantire che tali diritti non rimangano illusori.

41. Le norme e le condizioni per ottenere un risarcimento dei danni dinanzi ai giudici nazionali sono, in principio, una questione di diritto interno (40). Si deve ricordare, tuttavia, che, qualora le norme nazionali non prevedano mezzi di tutela efficaci, il diritto comunitario esige che i giudici dello Stato membro provvedano nondimeno ad evitare situazioni in cui «sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti» (41).

42. La Commissione ha fatto valere, nelle sue osservazioni scritte, che si dovrebbe tenere conto del diritto di proprietà e delle legittime aspettative degli operatori esistenti. È impossibile approfondire la questione sulla base delle informazioni fornite alla Corte nel presente procedimento. Concordo con la tesi secondo cui, nell’applicare il diritto comunitario, il principio della tutela del legittimo affidamento e il diritto di proprietà devono essere rispettati in quanto principi generali del diritto. Tuttavia, l’adesione a questi principi può richiedere che lo Stato risarcisca gli operatori esistenti, ma non giustifica necessariamente il proseguimento di una situazione nella quale i diritti dei nuovi competitori svaniscono dinanzi ai diritti consolidati degli operatori già presenti (42).

V – Conclusione

43. Per i motivi sopra indicati ritengo che le questioni sollevate dal Consiglio di Stato debbano essere risolte come segue:

«L’art. 49 CE richiede che l’assegnazione di un numero limitato di concessioni per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale a favore di operatori privati si svolga in conformità a procedure di selezione trasparenti e non discriminatorie e che, inoltre, sia data piena attuazione all’esito di queste ultime.

I giudici nazionali devono esaminare attentamente le ragioni addotte da uno Stato membro per ritardare l’assegnazione di frequenze ad un operatore che così ha ottenuto diritti di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e, se necessario, ordinare rimedi appropriati per garantire che tali diritti non rimangano illusori».


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1 – Lingua originale: l'inglese.

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2 – Supplemento ordinario n. 53 allaGazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 185 del 9 agosto 1990.

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3 – Supplemento ordinario n. 154 allaGazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 177 del 31 luglio 1997.

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4 – Supplemento ordinario n. 82 allaGazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 104 del 5 maggio 2004.

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5 – Sentenza 5-7 dicembre 1994, n. 420.

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6 – Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 70 del 24 marzo 2001.

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7 – Sentenza 20 novembre 2002, n. 466.

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8 – Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 300 del 29 dicembre 2003.

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9 – Gazzetta ufficialedella Repubblica italiana n. 47 del 26 febbraio 2004.

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10 – La citazione è errata: in realtà, il decreto legge in questione è stato convertito nella legge n. 43 del 24 febbraio 2004. ________________________________________

11 – V., per esempio, ordinanza 6 ottobre 2005, causa C-328/04, Vajnai (Racc. pag. I 8577); sentenze 29 maggio 1997, causa C-299/95, Kremzow (Racc. pag. I 2629); 4 ottobre 1991, causa C-159/90, Society for the Protection of Unborn Children Ireland (Racc. pag. I 4685), e 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel (Racc. pag. 3719).

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12 – Conclusioni presentate il 9 dicembre 1992 nella causa C-168/91 (Racc. 1993, pag. I-1191, paragrafo 46). ________________________________________

13 – Art. 49 UE.

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14 – V., per esempio, sentenze 18 giugno 1991, causa C 260/89, ERT (Racc. pag. I 2925); 11 luglio 2002, causa C 60/00, Carpenter (Racc. pag. I 6279), e 16 giugno 2005, causa C 105/03, Pupino (Racc. pag. I 5285). La Corte ha definito i diritti fondamentali «parte integrante dei principi generali del diritto, di cui essa garantisce l'osservanza» nelle sentenze 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft (Racc. pag. 1125, punto 4), 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold (Racc. pag. 491, punto 13), e 13 dicembre 1979, causa 44/79, Hauer (Racc. pag. 3727, punto 15). Ad ogni buon conto, queste ultime tre sentenze riguardano l'obbligo delle istituzioni comunitarie di rispettare i diritti fondamentali. ________________________________________

15 – V., segnatamente, sentenze 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf (Racc. pag. 2609); ERT, cit. alla nota 14; 25 marzo 2004, causa C 71/02, Karner (Racc. pag. I 3025), e Pupino, cit. alla nota 14.

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16 – V., per esempio, sentenze 9 settembre 2003, causa C-151/02, Jaeger (Racc. pag. I-8389, punto 43), e 23 marzo 2006, causa C-237/04, Enirisorse (Racc. pag. I-2843, punto 24).

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17 – V., in tal senso, sentenze 3 febbraio 1983, causa 149/82, Robards (Racc. pag. 171, punto 19); 16 luglio 1992, causa C 83/91, Meilicke (Racc. pag. I 4871, punto 25), e 21 marzo 2002, causa C 451/99, Cura Anlagen (Racc. pag. I 3193, punto 26).

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18 – V., per esempio, sentenze 13 luglio 2006, causa C-295/04, Manfredi (Racc. pag. I 6619, punto 27), e 14 settembre 2006, causa C-138/05, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (Racc. pag. I-8339, punto 30).

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19 – Sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C 320/90 a C 322/90, Telemarsicabruzzo (Racc. pag. I 393, punto 7). V. anche sentenze 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I-2099, punto 39); 15 giugno 2006, causa C 466/04, Acereda Herrera (Racc. pag. I-5341, punto 48); e 5 dicembre 2006, cause riunite C-94/04 e C-202/94, Cipolla e a. (Racc. pag. I 11421, punto 25).

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20 – V., per esempio, sentenze 12 settembre 2000, cause riunite da C-180/98 a C-184/98, Pavlov e a. (Racc. pag. I-6451, punto 127); 25 ottobre 2001, causa C-475/99, Ambulanz Glöckner (Racc. pag. I 8089, punto 39), e 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti (Racc. pag. I-2941, punto 23).

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21 – V., per esempio, sentenza 17 settembre 2005, causa C-134/03, Viacom Outdoor (Racc. pag. I 1167, punti 25-29).

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22 – Si potrebbe obiettare che anche l'art. 43 CE ha rilevanza. Non ritengo, tuttavia, necessario esaminare la presente causa alla luce sia dell'art. 49 CE, sia dell'art. 43 CE, dal momento che entrambi, a mio parere, condurrebbero al medesimo risultato.

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23 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) (GU L 108, pag. 33). V. anche direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni) (GU L 108, pag. 21), e direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/19/CE, relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime (direttiva accesso) (GU L 108, pag. 7).

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24 – Sentenza 5 dicembre 2000, causa C-448/98, Guimont (Racc. pag. I-10663, punti 22-23).

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25 – Sentenza 11 settembre 2003, causa C-6/01, Anomar e a. (Racc. pag. I-8621, punti 39-41).

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26 – Sentenza cit. alla nota 19, punto 30. V. anche sentenza Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti, cit. alla nota 20, punto 29. La Corte ha argomentato sostanzialmente allo stesso modo nella sentenza 13 gennaio 2000, causa C-254/98, TK-Heimdienst (Racc. pag. I 151).

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27 – V. anche paragrafi 121-154 delle conclusioni dell'avvocato generale Sharpston presentate il 28 giugno 2007 nella causa C-212/06, Gouvernement de la Communauté française e Gouvernement wallon, in corso, nonché le mie conclusioni nella causa Carbonati Apuani (sentenza 9 settembre 2004, causa C-72/03, Racc. pag. I 8027, paragrafi 61-63).

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28 – V. artt. 31 CE e 86, n. 1, CE nonché, per esempio, sentenze 23 ottobre 1997, causa C 189/95, Franzén (Racc. pag. I 5909); 21 settembre 1999, causa C-124/97, Läärä e a. (Racc. pag. I 6067), e 5 giugno 2007, causa C-170/04, Rosengren e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta).


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29 – V. paragrafo 26 delle mie conclusioni nelle cause riunite C-463/04 e C-464/04, Federconsumatori e a., in corso.

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30 – V., per esempio, sentenza 8 settembre 2005, cause riunite C-544/03 e C-545/03, Mobistar e Belgacom Mobile (Racc. pag. I-7723, punti 31-33).

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31 – V., per esempio, sentenza 11 dicembre 2003, causa C-322/01, Deutscher Apothekerverband (Racc. pag. I 14887), e le mie conclusioni nella causa Ahokainen e Leppik (sentenza 28 settembre 2006, causa C-434/04, Racc. pag. I 9171).

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32 – Sentenza 6 marzo 2007, cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Placanica (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 53). V. anche la sentenza della Corte EFTA 30 maggio 2007, causa E-3/06, Ladbrokes, punti 40-48.

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33 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), come modificata dalla direttiva del Consiglio 20 novembre 2006, 2006/97/CE (GU L 363, pag. 107); direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/17/CE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (GU L 134, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 20 novembre 2006, 2006/97/CE (GU L 363, pag. 107).

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34 – Sentenze 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria (Racc. pag. I-10745, punto 62); 21 luglio 2005, causa C-231/03, Coname (Racc. pag. I 7287, punto 17); 13 ottobre 2005, causa C-458/03, Parking Brixen (Racc. pag. I 8585, punti 48 e 49); e 6 aprile 2006, causa C-410/04, ANAV (Racc. pag. I 3303, punto 21). V. anche la comunicazione interpretativa della Commissione 23 giugno 2006, relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive appalti pubblici (GU C 179, pag. 2).

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35 – V. nota 22.

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36 – Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario (GU 2000, C 121, pag. 2).

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37 – V. Pettit, P., Republicanism,A Theory of Freedom and Government, Oxford University Press, Oxford, 1997, pag. 168.

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38 – Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 24 novembre 1993, Informationsverein Lentia e a./Austria, Serie A, n. 276, punto 38.

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39 – Sotto tale profilo la presente causa è notevolmente diversa da quella definita dalla sentenza 25 luglio 1991, causa C-353/89, Commissione/Paesi Passi (Racc. pag. I 4069), dove la tutela del principio del pluralismo era stata avanzata per derogare alle norme sulla libera circolazione, la cui applicazione – si asseriva – avrebbe altrimenti compromesso, e non rafforzato, le misure a garanzia del pluralismo dei mezzi di comunicazione. V. anche sentenza 26 giugno 1997, causa C-368/95, Familiapress (Racc. pag. I 3689).

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40 – V., per esempio, sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-430/93 e C-431/93, Van Schijndel e Van Veen (Racc. pag. I-4705, punto 17).

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41 – Sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I-5357, punto 33). V. anche sentenze 19 giugno 1990, causa C 213/89, Factortame e a. (Racc. pag. I 2433, punto 21), e 2 agosto 1993, causa C-271/91, Marshall (Racc. pag. I 4367, punti 22, 30 e 31).

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42 V., in tal senso, sentenza 8 luglio 2007, causa C-503/04, Commissione/Germania (non ancora pubblicata nella Raccolta).