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Sermone (Foscolo)

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Ugo Foscolo

Francesco Silvio Orlandini 1805 Indice:Foscolo - Poesie,1856.djvu Satire Letteratura Sermone Intestazione 2 novembre 2024 75% Da definire

A Vincenzo Monti Strambotto
Questo testo fa parte della raccolta Poesie (Foscolo)
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SERMONE.1


     Pur minacciavi: all’imminente danno,
Orator del Congresso,2 or più non guardi?
In te la patria o l’eloquenza dorme. –
L’eloquenza non so: m’è il cor maestro;
5Ma del presente io gemo, e nel futuro
Vivo talor: perch’io mi taccia, ascolta.
     Canta il Meonio, e tu, Plato,3 con lui
Credevi, e se credean l’età romane,
Che quando un animal bipede implume
10Restituiva alle vicende eterne
Della materia il sangue algente e l’ossa,
Le sue voci supreme erano voci
Che le più vere non vendea Dodona,4
Nè Vate minacció. Ma poichè a Pluto
15Rapi l’elisio tribunal Satáno,
E ch’ei detta a’ morenti i codicilli,
Rare son l’agonie vaticinanti,
Rare; nè credo che Cassandra e il lauro5
Respiri mai sul labbro a quanti or dànno
20Il novissimo vale all’universo;
Com’io non credo che ogni Greco all’Orco
Divinando scendesse. Unico nume
In noi parla l’ingegno: ov’ei si taccia,
Nè saggio vivi, nė morrai profeta.
25Cecropida e Quirite, incliti nomi!6

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Tu a Pericle spremevi ampio oliveto:
Tu stempravi al Felice e a’ suoi trecento
Nuovi coscritti col tuo sangue i rosei
Unguenti di Cirene;7 e tu potevi,
30Giumento ai vivi, andar Sibilla a Dite?
Vulgo fu sempre il vulgo: era l’aratro
E il pane e il boja, e sono, e saran sempre
Vostri elementi: uom cieco accatta e passa. —
— Ugo, dove saetti oggi la punta
35Di tue sentenze? — A questo: eran profeti
Molti, Giove imperante; oggi a taluno
Non sempre è dato dir: Batti ed ascolta;8
Chè ove è mannaja, non bisognan verghe.
Io mi vivrò uditor pitagoréo:9
40Poi, cigno o corvo, io mi morrò cantando.
- Ambagi! — Oh te beato! e non ti cuoci
Se non le intendi. Or mi t’accosta, e premi
Così l’orecchio al labbro mio, che Brera,10
Mercato d’arti belle e di scienze,
45Nė prete, nė scudier valga ad udirmi.
Bello egli è dir: Salva è la patriaĵ; salva
Ell’è da noi, che la canzon maligna11
Udimmo dal poeta, e la svelammo
A chi sorveglia i pubblici scrittori!
50— Ahi, Sfinge! — Eccoti Edìpo. Il Sol dorava12

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Le giubbe del Lione in Orïente;
E le piante, e le fere, e l’operosa
Umana prole un bello inno mandava
A quella diva luce. Or come venne
55A sommo il cielo, fulminava raggi
Tanto superbi, che animanti ed aure
E la terra in altissimo spavento
Stettero. Solo si rivolse in lui
L’immortal Prometéo, se vera è fama,13
60Per pietà de’ viventi, e si gli disse:
Sempre l’alterna vita alle mortali
Cose dispensi, o Sole, e regni immoto;
Ma non sempre all’umano occhio ti mostra
Quel radïante d’astri e di pianeti
65Padiglion dell’Olimpo. I nembi e gli euri,
L’etere rapidissimo inondando,
I nembi assisi sulle alpi, e il fumante
Vecchio Oceáno, a cui son dighe i cieli,
Spesso i sentieri al nostr’aere t’usurpano.
70Muojono i dardi tuoi sul gelo antico
D’Atlante, e dove inviolate guarda
Negli antri le sue prime ombre la Notte.
Cosi ordinò quell’armonia che i mondi
Libra ne’ campi aërei, e l’universa
75Mole e l’eternità volve de’ tempi.
Chè ti rota sul capo altro pianeta,
Che è Sole a te, che al raggio tuo permette
La metà della terra, e t’addormenta
L’altra nel peplo della Notte ombrosa.
80Or troppo splendi: e sempre, e dappertutto
Arderà il mondo? Europa e le sorelle
A te non manderan voti e l’incenso
Mattutino dei monti; a te le selve,
Agitate dall’aure occidentali,
85Non pasceran nè molli ombre, nè canto
D’augei; non suoneran giù per le valli

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Riscintillanti del tuo raggio l’onde;
I deserti di Libia invaderanno
Quanta è la terra, e avran confine i mari.
     90Vere cose parlavi, o Prometéo;
Ma il tuo fato immortale a te non dava
Scampar dall’ira de’ Celesti sotto
Le grand’ale di Morte. Il generoso
Cor che nutrire il suo dolor non seppe,14
95Al ministro d’Olimpo or pasce il rostro.
     Quando il mio sangue innaffierà con onde
Rare e stagnanti il cor, nè più la Speme
M’adescherà la vita a nove cure,
Squarcerò quel regal paludamento
100Che tanta piaga or copre: e la mia voce
Volerà ovunque l’idïoma suona
Aureo d’Italia, allor ch’io sarò in parte
Ove folgore d’aquile non giunge;
Ch’or mi torrebbe al mio fratello, inerme
105D’anni virili, e a lei che nel suo grembo
Scaldò l’ingegno mio, sicchè la fredda
Povertà non lo avvinse: oggi canuta,
E sull’avello de’ congiunti assisa,
Del latte che mi porse aspetta il frutto.

Note

  1. Questo componimento in dialogo fra un Amico e il Poeta sembra che fosse dettato sulla fine del 1805. Lo pubblicò primo il signor Achille Mauri nel 1837.
  2. Allude alla Orazione al Buonaparte pei Comizj di Lione.
  3. Omero pone in bocca di Patroclo morente la predizione della morte d’Ettore: e Socrate vicino a morte, secondo Platone, predice l’avvenire a’ suoi giudici.
  4. Fu celebre nell’antica Grecia l’oracolo di Giove nella sacra foresta di Dodona.
  5. La trojana Cassandra fu profetessa famosa. I vaticinanti, presso gli antichi, masticavano le foglie dell’alloro: quindi si trova nei poeti cibarsi delle frondi del lauro per significare d’esser dotato di spirito profetico. Così Tibullo, lib. 2.
  6. Gli Ateniesi discendenti da Cecrope; i Quiriti, o Romani, da Quirino o Romolo. — L’Attica era assai ferace d’ulivi, ed in Atene anche i primi cittadini negoziavano d’olio. Quindi il Poeta dice che gli Ateniesi, con tutta la boria della loro origine da Cecrope, pure sopportavano di essere signoreggiati da Pericle, che intanto aumentava i suoi mezzi di corruzione anche col mercantare l’olio della sua patria; come i Romani, soggiacendo alla tirannide del Felice (Silla) o de’ suoi satelliti da lui assunti al senato, pareano godere di esser materia adatta a servire ai piaceri di costui: perciò l’an popolo e l’altro, divenuto branco di giamenti sotto quegli oppressori, non poteva aver più in sè la forza e la virtù di annunziare il vero nò in vita, nè in morte.
  7. La città di Cirene sulla costa d’Affrica era celebratissima per la sua essenza di rose.
  8. Sono le parole con le quali Temistocle fece vergognare Euribiade di averlo percosso, perchè gli diceva una verità. Ma il Poeta vuol significare che, ai tempi a cui si riferisce questo suo componimento, se taluno avesse avuto anche la nobile costanza di Temistocle, non avrebbe potuto far udire la verità; e tanto più perchè alla verga era stata sostituita la mannaja. — La completiva civiltà posteriore ha adottato più sapientemente verga e mannaja.
  9. Gl’iniziati alla scuola di Pitagora dovevano serbare il silenzio per lungo tempo.
  10. Punge la congrega dell’Istituto di Brera in Milano, alla quale presiedeva il conte Giovanni Paradisi.
  11. Il signor Achille Mauri crede che per la canzon maligna debba intendersi l’Ode alla Verità, una delle giovanili del Foscolo; ma a noi ciò non sembra probabile, poichè essa fu pubblicata fino dal 1796 nel tomo 4 dell’Anno poetico. Crediamo invece che debba intendersi in senso generico di qualunque poeta e di qualunque poesia non adulante il potere assoluto. Del resto, qui il Poeta sembra presentire ciò che poi gli avvenne circa all’Ajace.
  12. È noto che la Sfinge proponeva oscuri quesiti ai Tebani, e che Edipo, per averli interpretati, acquistò il regno di Tebe.
  13. Prometeo è tipo presso i mitologi degli zelatori dell’umano miglioramento. Tutti sanno il premio ch’ei n’ebbe; ma non perciò l’altare di questo nume fu e sarà mai, speriamo, senza sacerdoti e senza ghirlande.
  14. Chi soffre in silenzio il suo dolore lo alimenta: chi ne favella lo consuma. Ma è di pochi nutrire il dolore.