Sermoni giovanili inediti/Sermone III

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Sermone III - L’agricoltura

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SERMONE TERZO.


L’AGRICOLTURA.




Chi pria domò delle selvagge glebe
Il sen ritroso, e i fecondati campi
Cinse intorno di fosse e di ripari,
Ei fu maestro primo e primo autore,
5Che l’uman gregge dal ferino pasto,
Dall’incerto vagar, dai sanguinosi
Orridi scontri alla civile usanza
Del viver compagnevole compose,
Fidato all’ombra di secure leggi
10In santi nodi di giustizia e pace.
Lascio le zolle squallide ed incolte.
Se la speranza della bionda mèsse
Nei seminati campi a me non rida:

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Ma germi eletti di feconde piante
15Al suol confido, ripensando ai cari
Figli e nipoti, che i giocondi frutti
Ne coglieranno alla mia vecchia etade
Forse negati. Il tenero virgulto
Con amorosa cura educo e cresco,
20Finche mutato in arbore robusto
Al ciel protenda i verdeggianti rami
Coronati di fiori. O voi diletti,
Quali vi siate del mio nome eredi
E più dell’opre, a questo arbore intorno
25Lieti venendo de’ suoi ricchi doni,
Dell’antico cultor, che altrove posi,
L’opre emulate; e il nome benedetto
Nella cara memoria vi ragioni.
Dall’arte vostra, che d’ogni arte è madre
30E benigna de’ popoli nutrice,
Oh! qual si chiede al braccio ed alla mente
Contender lungo, variato e novo,
Perchè al lavoro la materia appresti,
E il corpo macro e livido per fame
35E per freddo, di cibo riconforti
E di un manto protegga. Il volgo accusa
La rustica progenie che s’indura
L’orme seguendo che i canuti padri
A lei segnaro, alle novelle tracce
40Bieca negando o sospettosa il piede.
Ma tu rammenta quale ordine e modo
Tengan diverso per diversa tempra
L’arte, che mille negli aperti campi
Gravi commette ed alternati uffici
45Al villano, che zotico si appella
Quando s’inurba colle ciglia in arco;
E l’arte, che dispensa ad uno ad uno

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Fra l’umili officine e le superbe
Gl’industri studi ad acconciare adatti
50Le rozze cose trasformando agli usi
Della vita mutabili. L’obbietto,
Che dagli altri per forma o per sostanza
Per infiniti gradi si diparte,
A sè chiama l’ingegno, a sè la mano
55D’una schiera che solo ad esso intende
Con unico pensiero, e in poco d’ora
Della perfezïon tocca la cima.
Questi le chiome a carminar del lino
Curvato vedi sul pungente cardo.
60Quegli in filo il ritorce, altri ne intesse
La finissima tela, altri la imbianca
Od al candor la lucidezza aggiunge;
Finchè l’ago e la forbice lasciando,
All’onor salga delle altere mense,
65O sulle piume morbide si stenda,
Od al pudico sen d’una gentile
Sposa donzella porga il casto velo,
Cui profan occhio indarno invidia porti.
Di loco in loco misurando il passo
70Il tuo candido drappo alfin raccogli
Quasi tributo da più mani offerto.
Ora il fianco riposa ove la mèsse
Ondeggia, e co’ suoi pampani la vite
Uve promette rubiconde e liete.
75Odi il muggito del racchiuso armento,
Che anela scapestrar pel verde prato;
Odi il ronzio della solerte pecchia,
Che l’essenze odorifere libando
Vola a deporre entro ai cerati favi
80Il dolce miele. Tacito ed oscuro
Intanto il verme di farfalla nato,

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Poi che si fu dell’arbore pasciuto
Che d’infelici amori un dì fu segno,
Nella serica stanza s’imprigiona,
85Onde il varco schiudendo all’aura torna
Rivestito dell’ali di farfalla.
L’agricoltor colla famiglia a lato
Alla mèsse, alla vite, al pingue armento,
All’ape industre, al baco redivivo
90Intento veglia, ed al mutar del tempo
Sempre in nove fatiche si trasmuta.
Ora all’aratro aggioga il lento bue
E il suo campo dirompe, or gli ridona
Cogli addensati succhi il vital nerbo,
95Onde rampolli dagli sparsi semi
Con orgoglio maggior la sua speranza.
Ora alle sonnacchiose acque la via
Apre, rincalza i vacillanti fusti.
Qui le male erbe toglie, e là de’ tralci
100La lascivia corregge, e al vicin olmo
Con felice presagio li marita.
Qui schermo oppone d’innocenti insidie
Agi’ importuni augelli. Oh! così fosse
Atto le voglie a sgomentar del ladro,
105Che baldo per gli altrui cólti si aggira
E pesta e guasta al fulgido meriggio;
Il favor delle tenebre lasciando
Al masnadier che getta a terra ignudo
Il vïandante, o scassina le porte
110Con raddoppiate sbarre indarno chiuse.
Dalla prim’alba al morïente giorno
Ferve l’opra de’ campi. Or della falce
L’occhio ti abbaglia il luccicar benigno:
Or della scure i noverati colpi
115Eco riporta. L’avida maciulla,

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Rumoreggiando col percosso dente,
La macerata canapa dissolve
Dalla legnosa fibra. Il tardo autunno
Invita al vendemmiar, e con allegri
120Canti risponde la giocosa turba.
Chi spreme il latte dalle irsute mamme,
E l’addensa, lo stringe e lo figura
In varie forme, sì che la sembianza
Ed il vario sapore i sensi punge:
125Chi l’intatta giovenca al poderoso
Toro concede, o l’importuno gallo
Dalla chioccia rimove. Io parlo o taccio
Dell’immondo animai, cui rassomiglia
La rinnovata razza di Epicuro,
130Che, se alla scorza lucida ti arresti,
All’occhio move ed alla mente inganno?
L’ingentilito secolo ricusa
Nello specchio mirar, che in sè ritragga
Le turbe che al grugnir fatte son mute,
135Ma che il grugnito, il raglio ed il belato
Ad un tempo ricordano. Felici
Tre e quattro volte voi, che dalle mura
Di corrotta città lungi traete
I dì sereni, dall’impuro soffio
140Mai non turbati della magra invidia,
O della stolta ambizïon che pasce
Delle fraterne lagrime e del sangue
I duri petti dei fratelli insani.
A voi sorride liberal natura
145Colle schiette bellezze, onde più cara
Nella natia semplicità risplende.
Con libero aleggiar l’aura rinfranca
Il capace polmone, e il capo grave
Per torbido vapor, che ad esso salga,

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150Fatto non è dalla indigesta mensa.
Nei riposati sonni si rintegra
A novi sforzi il nerboruto braccio;
Nè con larve terribili la fame
Fa del letto balzar, pane chiedendo
155Pei cari figli che domandan pane
Là sulla terra maceri ed ignudi.
Un nembo sorge e con lampi e con tuoni
Devastatrice grandine minaccia.
Voi chinate la fronte a lui, che solo
160I turbini governa e le tempeste.
La beffa no, la noncuranza nuoce
Di chi ozïando nelle aurate sale
Al rustico garzon scioglier non degna
Veraci detti e coll’esempio e l’opra
165Porre ai detti suggello. Io so che l’arte
Ai campi nega il facile compenso
Dell’officina, che ad ognun misura,
Entro a breve confin, di cento parti
Quella parte che a ognun meglio si attempri.
170L’arte in colpa chiamare io non presumo;
Ma voi condanno, che il cultor lasciando
Nelle tenebre sue, biasmo gli date
E mala voce, allor che un improvviso
Raggio ne offende la pupilla incerta.
175Voi co’ rigidi patti, a cui s’inchina
In vista, ribellando in suo segreto,
Non di umano signor che il pondo libra
E il sacrifizio alla mercede adegua,
Ma di superbo vincitor, che il piede
180Calca sul vinto e la sua legge impone,
Modo tenete. Oh! dura legge e stolta,
Onde col danno la vergogna resta.
Tanto l’alma vigor al braccio infonde,

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Quanto la speme del merlato premio
185Le baleni dinanzi. Abborro l’uso
Di chi la tronchi o pur la tocchi in fiore,
Imitando la facile rapina
Dell’importuna passera che vola
I primi semi a decimar sull’aia.
190Tu che non basti a misurar col guardo
Il mal diretto solco, al tuo vicino
Bada, che doppia dall’angusto giro
Del ben diretto vomere ritrae
Mèsse, che stimol novo e novo polso
195Con novo premio a faticar gli dona.
Di picciolo poder quanto si piace
L’orto, la vigna ed ogni gentil pianta
De’ suoi frutti cortese o delle foglie,
Onde il drappo si tinga e si colori,
200pel celato farmaco la smorta
Guancia e l’infermo corpo si ravvivi!
Ma l’umile poder mai non aspiri
Ad impresa maggiore, in cui prevalga
Il vasto imperio, che la sua possanza
205Or pei fioriti pascoli dilata,
Or per un lago di natanti biade;
E ovunque alle minute opre sottili,
Che il pazïente ingegno o compie o veglia,
Prevalgano le grandi opre, che molta
210Ghiedon facil secura e ricca vena,
Che pel tranquillo letto in vario giro
Libera scorra a fecondare il piano.
Fra le opposte sentenze il mezzo tiene
L’accorto ingegno, che dal loco prende
215E dall’opra e dal fine il suo consiglio.
Del censo avito e non del senno erede
Tu confida il tesor, che si nasconde

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Nell’ampie terre, alla più dotta mano
Di lui che a fondo lo ricerchi, e nove
220Ignorate dovizie al mondo arrechi,
E nova appresti salutar vivanda
A popol novo; se a lui basti il tempo,
Che pel discreto canone gli assegni.
Già scocca un’ora e l’ultima s’avanza:
225E tu con fioca voce e moribonda
Per infiniti secoli presumi
Delle cose fermare il moto eterno?
L’uno il frutto raccolga, all’altro lascia
La borïosa pianta, e il tuo decreto
230Saldo rimanga come in rupe scritto.
Oh! dalla tomba sollevare il capo
Dato un giorno ti fosse, e le deserte
Ville mirare, e le cadenti case,
E da infami paludi il suol coperto
235Non più lieto di mèssi e di felici
Abitatori, che l’aure omicide
Ad uno ad uno spensero col lento
Avvelenato sorso. Orrido e muto
In tetra solitudine converso
240Lo sterminato campo i tuoi divieti
Ricorda al mondo che s’adira e piange;
Mentre, all’orgoglio degli estinti i vivi
Sagrificando, i posteri condanni
All’inerzia de’ vivi, al debil nerbo
245Od al corto veder: chè il tuo decreto
All’intelletto un raggio non infonde,
Ma le torpide voglie rassicura,
Le pronte arresta e le gagliarde fiacca.
Langue la pianta cogli aridi rami,
250O di maligno umore il dente allega,
Se a chi nell’arte dell’industre taglio

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O dell’innesto è sperto il passo nieghi.
Tu del cultore improvvido fomenti
L’ozio codardo, se non manchi il frutto
255Quando cessi lo studio e la fatica.
E a lui che giova faticando i sonni
Anzi tempo turbar, se lo ridesti
Dell’erede non suo la immagin bieca,
Che in atto quasi di carpir la preda
260Attende e freme dal desio sospinta?
Del baldanzoso figlio, a cui l’avito
Retaggio scende pel giurato patto
Che i nomi lega e le virtù discioglie,
Odi gl’insulti che il paterno cenno
265Male in vita a frenare e peggio basta
Dopo morte a punir. Del nascer primo
Egli tripudia, ed al minor fratello
Delle sue mense le reliquie serba,
Se il fratello minor non volge altrove,
270Mendico illustre e pur superbo, in cerca
Di spoglie opime. A glorïosa impresa
Forse corre talor, se il cielo arrida
Ai sublimi concetti; e tu non segui
L’esempio che ad altrui vanto prescrivi?
275Ognun coltivi libero e securo
La nativa sua pianta; e maggior frutto
Di lui, de’ figli e della intera gente
Le speranze consoli e i voti adempia.