Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli (1920)/XVI. Folgore da San Gimignano

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XVI. Folgore da San Gimignano

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XV. Parlantino da Firenze XVII. Cenne dalla Chitarra d'Arezzo
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XVI

FOLGORE DA SAN GIMIGNANO

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XV

Dedica ad un giovine gentiluomo i sonetti della settimana.

     I’ ho pensato di far un gioiello,
che si’ allegro, gioioso ed ornato,
e si ’l vorrei donare ’n parte e lato,
4ch’ogn’uomo dica: — E’ li sta ben, è bello! —
     Ed or di nuovo ho trovato un donzello
saggio, cortes’e ben ammaestrato,
che gli starebbe meglio l’emperiato,
8che non istá la gemma ne l’anello:
     Carlo di misser Guerra Cavicciuoli,
quel, ell’è valent’ed ardito e gagliardo
11e servente, comandi chi che vuoli;
     leggero piú, che lonza o liopardo:
e mai non fece de’ denar figliuoli,
14ma spende piú, che ’l marchese lombardo.

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XVI

Lunedí.

     Quando la luna e la stella diana
e la notte si parte, e ’l giorno appare,
vento leggero, per polire l’are,
4ne fa la gente star allegra e sana;
     il lunedí, per capo di semana,
con instrumenti mattinata fare,
ed amorose donzelle cantare
8e ’l sol ferire per la meridiana.
     Lèvati sù, donzello, e non dormire,
ché l’amoroso giorno ti conforta
11e vuol che vadi tua donn’a servire.
     Palafren e destrier sian a la porta,
donzelli e servitor con bel vestire:
14e po’ far ciò, ch’Amor comanda e porta.

XVII

Martedí.

     E ’l martedí li do un nuovo mondo:
udir sonar trombetti e tamburelli,
armar pedon, cavalier e donzelli,
4e campane a martello dicer «dón do»;
     e lui primiero e li altri secondo,
armati di loriche e di cappelli,
veder nemici e percoter ad elli,
8dando gran colpi e mettendoli a fondo;
     destrier veder andar a vote selle,
tirando per lo campo lor segnori,
11e strascinando fegati e budelle;
     e sonar a raccolta trombatori
e sufoli, flaúti e ciaramelle,
14e tornar a le schiere i feritori.

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XVIII

Mercoledí.

     Ogni mercoredí corredo grande
di lepri, starne, fagian e paoni,
e cotte manze ed arrosti capponi
4e quante son delicate vivande;
     donn’e donzelle star per tutte blinde,
figlie di re, di conti e di baroni,
e donzellati gioveni e garzoni
8servir portando amorose ghirlande;
     coppe, nappi, bacin d’oro e d’argento,
vin greco di riviera e di vernaccia,
11frutta, confetti quanti li è ’n talento,
     e presentarvi uccellagioni e caccia:
e quanti son a suo ragionamento
14sien allegri e con la chiara faccia.

XIX

Giovedí.

     Ed ogni giovedí torneamento,
e giostrar cavalier ad uno ad uno,
e la battaglia sia ’n luogo comuno,
4a cinquanta e cinquanta e cento e cento.
     Arme, destrier e tutto guarnimento,
sien d’un paraggio addobbati ciascuno;
da terza a vespro, passato ’l digiuno,
8allora si conosca chi ha vénto.
     E po’ tornar a casa a le lor vaghe,
ove serann’i fin letti soprani,
11e medici fasciar percosse e piaghe,
     e le donne aitar con le lor mani:
e di vederle sí ciascun s’appaghe,
14che la mattina sien guariti e sani.

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XX

Venerdí.

     Ed ogni venerdí gran caccia e forte
veltri, bracchetti, mastin e stivori,
e bosco basso miglia di staiori,
4lá, ’ve si troven molte bestie accorte,
     che possano veder cacciando scorte;
e rampognar insieme i cacciatori,
cornando a caccia presa i cornatori
8ed allor vegnan molte bestie morte.
     E po’ ricoglier i cani e la gente,
e dicer: — L’amor meo manda a cotale.
11— A le guagnèle, serà bel presente!
     — E’ par ch’i nostri cani avesser ale!
— Tè’ tè’, Belluccia, Picciuolo e Serpente,
14ché oggi è ’l dí de la caccia reale!

XXI

Sabato.

     E ’l sabato diletto ed allegrezza
in uccellar e volar di falconi,
e percuotere grue, ed alghironi
4iscendere e salire grand’altezza;
     ed a l’oche ferir per tal fortezza,
che perdan l’ale, le cosce e’ gropponi;
corsier e palafren mettere a sproni,
8ed isgridar per gloria e per baldezza.
     E po’ tornar a casa, e dir al cuoco
— To’ queste cose e acconcia per dimane,
11e pela, taglia, assetta e metti a fuoco;
     ed abbie fino vino e bianco pane,
ch’e’ s’apparecchia di far festa e giuoco;
14fa’ che le tue cucine non sian vane! —

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XXII

Domenica.

A la domane, a l’apparér del giorno
vcnente, che domenica si chiama,
qual piú li piace, damigella o dama,
4abbiane molte, che li sien da torno;
in un palazzo dipinto ed adorno
ragionare con quella, che piú ama;
qualunche cosa, che desia e brama,
8vegna in presente senza far distorno.
Danzar donzelli, armeggiar cavalieri,
cercar Firenze per ogni contrada,
11per piazze, per giardin e per verzieri;
e gente molta per ciascuna strada,
e tutti quanti il veggian volontieri:
14ed ogni di di ben in meglio vada.

XXIII

Incominciano i sonetti delle virtú, che ornano il vero cavaliere.

Ora si fa un donzello cavalieri,
e vuoisi far novellamente degno;
e’ pon sue terre e sue castell’a pegno,
4per ben fornirsi di ciò, ch’è mistieri;
annona, pane e vin dá a’ forestieri,
manze, pernici e cappon per ingegno;
donzelli e servidori a dritto segno,
8camere elette, cerotti e doppieri.
E pens’a’ molti affienati cavagli,
armeggiatori e bella compagnia,
11aste e bandiere, coverte e sonagli
ed istormenti con gran baronia:
e’ giucolar per la terra guidagli;
14donne e donzelle per ciascuna via!

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XXIV

Prodezza.

Ecco Prodezza, che tosto lo spoglia,
e dice: — Amico, e’convien che tu mudi,
per ciò ch’i’vo’ veder li uomini nudi;
4e vo’ che sappi non abbo altra voglia.
E lascia ogni costume, che far soglia,
e nuovamente t’affatichi e sudi;
se questo fai, tu sarai de’ miei drudi,
8pur che ben far non t’incresca né doglia. —
E, quando vede le membra scoperte,
immantenente se le reca in braccio,
11dicendo: — Queste carni m’hai offerte;
i’ te ricevo e questo don ti faccio,
acciò che le tue opere sien certe;
14che ogni tuo ben far giá mai non taccio.—

XXV

Umiltá.

Umilitá dolcemente il riceve,
e dice: — Punto non vo’che ti gravi,
che pur convèn ch’io ti rimondi e lavi;
4e farotti piú bianco, che la neve.
E ’ntendi quel, ched io ti dico breve:
ch’i’ vo’ portar de lo tuo cor le chiavi;
ed a mio modo converrá che navi;
8ed io ti guiderò si come meve.
Ma d’una cosa far tosto ti spaccia,
che tu sai che soperbia m’è nimica:
11che piú con teco dimoro non faccia.
I’ ti sarabbo cosí fatta amica,
che converrá ch’a tutta gente piaccia;
14e cosí fa chi di me si notrica. —

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XXVI

Discrezione.

Discrezione incontanente venne,
e si l’asciuga d’un bel drappo e netto,
e tostamente si ’l mette ’n sul letto
4di lin, di seta coverture e penne.
Or ti ripensa: e ’nfin al di vi ’l tenne
con canti, con sonare e con diletto!
Accompagnollo, per farlo perfetto,
8di novi cavalier, che ben s’avvenne.
Poi disse: — Lieva suso immantenente,
ché ti convien rinascere nel mondo,
11e l’ordine, che prendi, tieni a mente. —
Egli ha tanti pensier, che non ha fondo,
del gran legame, dov’entrar si sente;
14e non può dir: — A questo mi nascondo. —

XXVII

Allegrezza.

Giugne Allegrezza con letizia e festa,
tutta fiorita che pare un rosaio;
di lin, di seta, di drappo e di vaio
4allor li porta bellissima vesta,
vetta, cappuccio con ghirlanda ’n testa;
e si adorno l’ha, che pare un maio:
con tanta gente, che trema’l solaio;
8allor si face l’opra manifesta.
E ritto I ’ha in calze ed in pianelle,
borsa, cintura inorata d’argento,
11che stanno sotto la leggiadra pelle;
cantar sonando ciascuno stormento,
mostrando lui a donne ed a donzelle
14e quanti sono a questo assembramento.

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XXVIII

In vituperio dei pisani.

Piú lichisati siete, ch’ermellini,
conti pisan, cavalieri e donzelli,
e per istudio de’ vostri cappelli
4credete vantaggiare i fiorentini; •
e franchi fate stare i ghibellini
in ogni parte, o ciltadi o castelli:
veggendovi si osi e si isnelli,
8sotto l’arme parete paladini.
Valenti sempre come lepre in caccia
a riscontrare in mare i genovesi:
11e co’ lucchesi non avete faccia;
e, come i can de Possa son cortesi,
se Folgore abbia cosa, che gli piaccia,
14siete voi contro a tutti li foresi.

XXIX

Contro Dio, che protegge i ghibellini a detrimento dei guelli.

Io non ti lodo, Dio, e non ti adoro,
e non ti prego, e non ti ringrazio,
e non ti servo: ch’io ne so’ piú sazio,
4che l’anime di stare ’n purgatoro:
per che tu hai mess’i guelfi a tal martòro,
ch’i ghibellini ne fan beffe e strazio;
e, se Uguccion ti comandasse il dazio,
8tu ’l pagaresti senza perentoro.
Ed hanti certo si ben conosciuto,
tolto t’han San Martin ed Altopasso
11e San Michel e’l tesor, c’hai perduto;
e hai quel popol marzo cosí grasso,
che per superbia chcrranti ’l tributo:
14e tu hai fatto ’l cor, che par d’un sasso.

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XXX

Rampogna la viltá dei guelfi.

Guelfi, per fare scudo de le reni
avete fatti i conigli leoni,
e per ferir si forte di speroni
4tenendo vólti verso casa i freni.
E tal perisce in malvagi terreni,
che vincerebbe a dar con gli spuntoni;
fatto avete le púpule falconi,
8si par che ’l vento ve ne porti e meni.
Però vi do conseglio che facciate
di quelle del pregiato re Roberto:
11e rendetevi in colpa e perdonate.
Con Pisa ha fatto pace, quest’è certo;
non cura de le carni mal fatate,
14che son rimase a’ lupi in quel deserto.

XXXI

E sferza le loro funeste dissensioni.

Cosi faceste voi o guerra o pace,
guelfi, si come siete in divisione,
ché ’n voi non regna punto di ragione,
4lo mal pur cresce e ’l ben s’ammorta e tace.
E l’uno contra l’altro isguarda, c spiace
lo suo essere e stato e condizione;
fra voi regna il pugliese e ’l Ganelone,
8e ciascun soffia nel fuoco penace.
Non vi ricorda di Montecatini,
come le mogli e le madri dolenti
11fan vedovaggio per gli ghibellini,
e babbi, frati, figliuoli e parenti?
E chi amasse bene i suoi vicini
14combatterebbe ancora a stretti denti!

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XXXII

In lode della liberalitá.

Cortesia cortesia cortesia chiamo,
e da nessuna parte mi risponde;
e chi la dèe mostrar si la nasconde,
4e per ciò, a cui bisogna, vive gramo.
Avarizia le genti ha prese a ramo,
ed ogni grazia distrugge e confonde:
però, s’io me ne doglio, io so ben onde;
8di voi, possenti, a Dio me ne richiamo.
Che la mia madre cortesia avete
messa si sotto ’l piè, che non si leva;
11l’aver ci sta, voi non ci rimanete;
tutti siem nati di Adam e di Èva;
potendo, non donate e non spendete
14mal’ha natura chi tai figli alleva.