Sopra una pioggetta di sassi/Parte prima
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PARTE PRIMA.
Oggetto dell’Opera. §. 1.
Quì ognun vede che l’oggetto principale, e direi unico, di questo scritto è di verificare tutti e quattro i caratteri della nuvola scintillante, e in special modo il quarto, cioè la caduta de’ sassi, lo che procurerò di fare in questa prima Parte. Nella seconda, siccome pretendo che le pietre precipitate al basso sieno state generate sù tra le nuvole; quindi è, che dopo aver premesse varie storie di turbini ignei, e dopo aver narrate diverse opinioni degli antichi Scrittori sulla pioggia di sassi, esporrò le mie congetture sopra il nostro maraviglioso fenomeno. Finalmente nella terza Parte riporterò tutti quei documenti che potrò aver dagli Amici, e da altre persone sì estere che di Città, per sempre più verificare gli effetti della nostra meteora; essendo molto ben persuaso, che non saranno mai troppo copiosi nè superflui nuovi documenti, e nuovi attestati capaci di rischiarare sempre più un’evento sì prodigioso.
Se questa Dissertazione è in gran parte mal digerita e tessuta, prego il benigno lettore a incolparne non tanto la poca abilità dell’Autore, quanto la strettezza del tempo, in cui è stata composta; mentre (oltre alcune ragioni particolari, che mi hanno mosso a presto sbrigarla), vi è questa, che come dice Boscovich nella dedica del suo libro del Turbine Romano, in simili circostanze la curiosità del pubblico va sodisfatta finchè è accesa, venendo sempre poco a proposito quel che vien tardi.
Lettere che descrivono la meteora, con i suoi effetti. §. 2. Le prime prove, sulle quali si appoggia l’autenticità del fenomeno, scrivo sono due lettere di Persone degne di fede, le quali da diversi luoghi, senza che l’una sapesse dell’altra, e spontaneamente riguardo alla prima, diedero il primo avviso a Siena della portentosa meteora. La semplicità e naturalezza con le quali sono scritte, esprimono i caratteri di una perfetta veracità. La prima è dell’Illustrissimo Sig. Alessandro Piccolomini Naldi, che scrive a Siena a suo Fratello Canonico Sig. Giacinto in questi termini.
Vi darò una nuova aerea, ed è che lunedì nel tramontare del Sole seguì sopra il luogo detto le Solatìe, Castellare, e Mandorlo Forteguerri un accensione in molta altezza la quale fece da trenta scoppj, dieci de’ quali parvero cannonate, e 20. archibusate, e, che si sappia, caddero 4. pietre, cioè una alle Solatìe, che l’ho avuta, due al Castellare che le cercherò, e una al Mandorlo. Quella che ho avuta è di figura irregolare, e pesa libbre 5½; quando verrò costà la vedrete: l’odore è vetriolico, ec.
Lucignan d’Asso 17. Giugno 1794.
Il sasso di cui parlasi, è quello descritto al §. 15. e nella Tavola in fine sotto la lettera A.
Più diffusa e ben dettagliata è l’altra lettera scritta dal Sig. Ferdinando Sguazzini, che allora trovavasi in quelle parti come Computista del Sig. Cav. Sansedoni, alla sua Consorte Sig. Giuditta, la quale per compiacere ad alcuni suoi Amici lo avea richiesto di ragguagliarla sulla nuova sparsasi in Siena di una pioggia di sassi. Ed eccone il contenuto.
S. Giovan d’Asso 20. Giugno 1794.
„Lunedì scorso 16 del corrente alle ore 7 circa della sera si vide nella massima altezza del nostro orizzonte una piccola nuvoletta bianca, la quale ruotando ci fece udire fino a sette replicati, e strepitosi colpi come di grosso cannone staccati l’uno dall’altro, e ad ogni colpo si scorgeva benissimo il giuoco del fumo denso ma bianco; indi si udì come una batteria sempre a colpi di cannone, che durò qualche minuto, e sentendo sdrisciare come palle si videro cadere alcune pietre sin quì ritrovate in num. di 4, o 5. Queste caddero nel circondario di Cosona e Lucignan d’Asso nei poderi del Sig. Niccolò Piccolomini Naldi, Sig. Antonio Forteguerri, ed in altro podere detto lo Spedalone del Mazzi nella distanza alcune d’un miglio, ed altre anche più dall’une all’altre. Esse sono di figura, e di diverso peso: una fra le altre fatta a punta di diamante di peso lib. 5. e mezza cadde ai piedi d’un contadino, che s’insinuò nel terreno, perchè lavorato, un buon braccio sotto; qui ne abbiamo una di lib. 3. e mezzo caduta a Cosona sulla strada, e benchè sul sodo, non ostante s’internò tutta nel terreno: Ella è al di fuori nera dal fumo, dentro poi sembra di materie incenerite, e vi si scorgono delle piccole stille di metalli inclusive oro ed argento: si crede che di tali pietre ne siano cadute molte altre, ma sendo a campagna aperta non si sono potute ritrovare. Tutto questo non ha cagionato alcun male, ma la paura fu grande per quegli che ne furono spettatori oculari, ed auriculari.
Quì notisi, come di passaggio, che i caratteri tanto esterni che interni di quelle pietre vedute dallo Sguazzini, e da Lui superficialmente descritti, convengono mirabilmente a tutte le altre pietre di simil sorte da me vedute finora in num. di 15., con osservare di più che quel nero superficiale in tutte è una effumazione forse-zulfureo-metallica, o vernice fatta a fuoco, perchè refrattaria agli acidi, dura, e resistente alla soffregagion de’ metalli, inclusive della punta d’un temperino (§. 15, e 17). Questa simiglianza tanto uniforme in tutte le pietre di tal genere serve mirabilmente a confermare il fatto, e a distinguerle da ogn’altra sorte di pietra della Toscana (§. 20).
Altra lettera che conferma la Meteora con le sue fasi. §. 3. Ancor più estesa e precisa è un’altra relazione, che il Sig. Andrea Montauti Curato di Monte Contieri trasmette al Sig. Dott. Luigi Pascucci Medico Fisico di Monte Oliveto Maggiore, il quale lo ricercava di ciò che avesse veduto mentre era in viaggio per quei luoghi, sopra i quali appunto passando il turbine infuocato aveva scagliati de’ sassi. La lettera è la seguente, il di cui autografo esiste presso il suddetto Sig. Pascucci.
Eccellentiss. Sig. Prone Colmo
„Eccole la bramata, e richiesta descrizione dell’osservazioni da me fatte nella Meteora ignita del 16 Giugno.
„Il detto giorno tornando da Pienza verso Lucignan d’Asso, giunto alla Tuoma piccol torrente distante da detta Città tre miglia in circa per linea retta, incominciai a sentire a Settentrione, ma in grandissima distanza, de tuoni; onde osservando verso la Provincia del Chianti, veddi una nuvola burrascosa, che fendevasi in spessi lampi, uno de’ quali smezzando rettamente la nuvola, con uno striscio arrivò ad altra nuvoletta molto lontana, e totalmente separata dalla prima, la quale veniva ad essermi quasi perpendicolare. Il color di questo lampo per quanto fendeva la nuvola prima era rosso oscuro, lo striscio poi, che si communicò alla seconda nuvola a me perpendicolare, comparve un semplice fumo agl’occhi miei, effetto forse della serenità, e del Sole; Tale striscio fù veduto da molti altri ancora, come mi è stato asserito, e progrediva con lentezza, e non con la velocità propria de’ fulmini.
„Questa seconda nuvola altro non pareva, che un denso fumo di fornace elevato molto sopra la regione solita de’ Nuvoli, e non riceveva impressione alcuna dal sole, sebbene investita al di sotto dal medesimo, essendo l’ore sette in circa, e però verso il tramontare: la qual cosa mi mosse a voltarvi spesso lo sguardo, ed osservarla per il cammino d’un miglio e mezzo.
„La di lei figura era quasi un otto, o sia simile ad un paro d’occhiali: la sua lunghezza poteva essere di circa otto canne da Levante a Ponente, 4 in 6 la larghezza. Ne’ punti a, e b (tav. in fine) era più densa, e più nera, e composta di globi.
Arrivato finalmente al podere di Salviano de’ RR. MM. di Monte Oliveto Maggiore, distante in linea retta da Levante in Mezzogiorno da Pienza circa quattro miglia: uno da Cosona, e Lucignano in Ponente, e due da San Giovan d’Asso in Tramontana, essendo già le sette, e 25. minuti, sentii un’esplosione simile ad una cannonata, ed in seguito altre fino al num. di sette distinte una dall’altra, e subito provai una gravezza, e commozione d’aria accompagnata da uno striscio, o fragore simile alle palle d’archibuso, ma molto più orribile, e spaventevole, che andava verso il Mezzogiorno in Ponente per la vallata tra Cosona, e Lucignano.
„Sebbene sorpreso dallo spavento osservai la mia nuvola, e la veddi incendiata, e divenuta candida nel punto a, dove veduto avevo terminare il conduttore sopradescritto. Nel tempo medesimo incominciò altra esplosione nel punto b, e mi parve che la commozione dell’aria si dirigesse ora verso Levante al Poggio di Sant’Anna, e Poggio Ragnuzzi (antica abitazione di Brandano), ed ora verso Cosona. In questa da esplosione tre furono i colpi simili al cannone, e circa 25, o 30 non tanto distinti uno dall’altro, e più piccoli, ma a guisa d’una batteria di mortari, o di fuochi d’artifizio: allora osservai, che avanti qualunque scoppio formavasi un globo bianco, e poi aprivasi, e da quest’apertura nasceva il tonfo, e la commozione dell’aria, e rimaneva così incendiata la nuvola in guisa che due terzi mutarono il color fosco in un bianco infuocato.
„Allora formossi nel punto b quasi un catino d’un infocata fornace, ed il suo lucido, e il suo moto vorticoso per molte parti non mi permettevano fissarci lo sguardo.
„L’esplosione si fece in termine di 5 minuti, l’incendio poi durò sopra otto, e quindi in lunghissima fascia bianca incominciò a dissiparsi, andando insensibilmente verso Ponente, e durò ad esser visibile fin’all’un’ora di notte.
„Sono stato poi assicurato da varj testimonj, che per una mezz’ora prima dell’esplosione fù veduta incendiata, e bianca la detta nuvola, e dalle varie posizioni in cui erano posti i riguardanti, a chi sembrava un monte, a chi due colonne, a chi due palloni, a chi un dragone infuocato, ma tutti però convengono, che nella base era oscura; ond’è che a me, che l’osservavo al di sotto, e perpendicolarmente comparve infuocata solo dopo l’esplosione.
„Arrivato a Lucignan d’Asso in casa del Nobil Signore Alessandro Naldi Piccolomini, e trovati tutti sbigottiti fui interrogato da detto Sig. cosa credessi essere stato quel fenomeno. Confessai in vero la mia ignoranza, mentre la mia professione non è di fisico, ma soggiunsi, che dubitavo che potessero esser cadute delle Pietre, o cose simili, e che se ogni tonfo aveva scagliata la sua, dovevano essere circa quaranta. Da qualcuno venni deriso, ma nell’istesso tempo ci fu riferito, che al podere detto Le Solatie d’un certo Lucherini un quarto di miglio lontano dal posto, ove mi trovavo nel tempo dell’esplosione, era caduta una pietra a’ piedi del colono di detto podere, ed era entrata sotto terra. Si mandò la mattina a far ricerca della medesima, e fù ritrovata mezzo braccio sotto terra. Questa ha quattro faccie, o superficie: la piú grande è 5 pollici in lunghezza, e 4 in larghezza rappresentante quasi un quadrato, ed è levigata, le altre sono triangolari, e terminano in figura conica. E’ affumicata, e quasi nera al di fuori, dentro poi è quasi pietra serena con varj pinottoli simili al ferro greggio, o sia minerale non bollito, con varie stellette metalliche lucidissime; il di lei peso è lib. 5 e mezza, è in mano del detto Sig. Alessandro Piccolomini.
„Eccole la pura, e nuda descrizione di quanto osservai il 16. Giugno. Ho piacere, che vi sia chi brami opinare sopra di quanto accadde in quel giorno, ec.
- „Monte Contieri 20. Luglio 1794.
Devoriss Obbligatiss. Servitore |
Questa lettera essendomi pervenuta nelle mani il dì 23. del mese di Luglio, cioè dopo aver distesa sul fondamento delle precedenti memorie gran parte della presente Dissertazione, ho avuta la compiacenza di essermi combinato nell’idea del Sig. Montauti, che tanti sieno i sassi caduti, quanti sono stati i colpi sonori mandati dalla meteora (§ 17.), con osservare però che i sassi piccoli come d’un oncia ed anche meno, due de’ quali ho veduti presso Madama Forteguerri, devono aver prodotto piccolo scoppio; e siccome di questi piccoli scoppj ve ne saranno stati molti non osservati, così anche molti possono esser caduti i sassi questa mole abbandonati e negletti.
Che la nuvola igneo-tempestosa, o quel tifone aereo avesse preso diverse forme, e varie figure, specialmente quella di Drago infocato, secondo la diversità de’ luoghi, da’ quali veniva osservato, lo avevo udito da molti anche precedentemente alla suddetta Lettera, ed in modo particolare dal Reverendiss. Sig. Tesoriere Silvio Campioni, che in quel tempo trovandosi in villa a Castel Nuovo aveva la sera stessa udite da’ Contadini le più alte stravaganze del mondo, con le quali essi rozzamente spiegavano le apparenze, e i movimenti curiosi e straordinarj di quella nuvola ignea non meno che detonante.
Repugnanza dell’Autore in credere al fatto. §. 4. Non sarà superfluo il narrare, come io, che ero non men renitente degli altri in credere il già espresso fenomeno, incominciai a non più disprezzare i fatti che si narravano sù tal proposito. La mattina del dì 4. del corrente mese di Luglio. mi fù portata dal Sig. Felice Nispi di San Quirico una pietra nerastra del peso di circa libbre 4., l’osservai attentamente, e compresi subito (benchè io non avessi ancora idea alcuna delle pietre recentemente cadute), che questa essendo un impasto meramente calcareo forse con mescolanza di ocra marziale e venature di spato facile a calcinarsi, giudicai, non aver quella mai patita azione alcuna di fuoco, e però fosse come affatto spuria da rigettarsi, confermandomi sempre più nell’opinione de’ dotti, i quali con qualche ragione negavano un fenomeno sì portentoso. Non fù così quando la sera stessa dal Sig. Canonico Carlo Piccolomini Naldi presentatami una scheggia del sasso di libbre 5½ (§ 15), restai sorpreso dal vedere una recente semilava cristallizzata. Crebbe ancor più in me la sorpresa, allora quando il Sig. Cav. Ansano Ghigi mi mostrò altro sasso, intero, tendente alla figura parallelepipeda, smussato negl’angoli, e tutto al di fuori inverniciato di nera patina, e dalle piccole rotture palesava la sostanza istessa dell’altro sasso veduto prima. Bene osservate queste nuove pietre giudicai nell’istante, o che queste erano state trasportate a noi dal Vesuvio, di cui già sapevasi la grande eruzione, o propendevo a credere che fossero realmente cadute dall’ignito vortice, come portava la comune asserzione. Ecco il motivo della mia svanita incredulità. Una vetrificazione costante, una vernice a fuoco, la total mancanza di simili pietre almeno nel Sanese, la contestazion finalmente di sì rispettabili Cavalieri non potevano che dileguare in gran parte le mie dubbiezze. Imperciocchè per quante migliaja di sassi che io abbia veduti nella Provincia di Siena, non mi sono mai incontrato in pietra che non fosse di specie molto diversa da’ nostri sassi fulminei. Ne vedremo alcuni più a basso. Intanto procurerò di verificare gli effetti i meno maravigliosi di questa nuvola.
Alcuni vedono la nuvola, e ne odono i sonori colpi. §. 5. La sera stessa dopo le ore 7. trovavansi a spasso per la strada Romana fra S. Quirico e Torrineri, e precisamente verso il torrente detto la Tuoma quattro Persone, e queste erano l’Illustriss. Sig. Caterina Azzoni, il Sig. Cav. Commendator Petrucci, e le due cameriere Maria Signorini ed Anastasìa Bacci. Queste, come mi hanno raccontato, mentre l’aria era alquanto caliginosa, con qualche nuvolo spezzato, ma in perfetta calma, e senza timore di pioggia, sentirono in un subito uno sparo come di cannonate che le sorprese, e dubitarono non fosse l’effetto del cannoneggiamento, o bombardamento di Corsica, come altre volte ne è stato udito fino da queste parti il rumore. Ma dopo breve tempo udita altra scarica, come di mortaretti pensarono che a S. Quirico facessero feste di gioja, tanto è vero che l’esplosione seguita non era a lor parere un effetto di nuvole e tuoni, ma piuttosto una cosa affatto straordinaria; quando voltandosi a caso verso Ponente s’imbatterono a vedere alla lor sinistra, e in distanza di circa tre miglia, una nuvola temporalesca, che pareva distendersi a guisa di colonna, e che or mostravasi bianca, ora infocata ed ora nera con frequenti raggi. Allora fù che s’intimorirono a segno, che credendola foriera di imminente pioggia si accinsero frettolosamente a ritornare alla villa. La minacciata tempesta d’acqua o di grandine non accadde altrimenti, poichè si era già sciolta in una pioggia di sassi.
Persona del Pero vede il fumo, nella nuvola, e ne ode i colpi. §. 6. La nuvola di brutto aspetto fù anche osservata da Radicofani, verso la parte di Siena, e ne furono ascoltati i colpi da lei vibrati. Di ciò ne fa fede Lorenzo Pinzuti fattore del Pero in vicinanza di Radicofani, che scrivendo alla suddetta Sig. Caterina Azzoni sua padrona così si esprime sotto di 17. Giugno 1794.
Quà nel giorno di Venerdì prossimo passato ebbemo un gran rovescio d’acqua. Nella sera scorsa in circa alle ventitre e mezzo viddemo scappare una nuvola bianca, e incominciò a dar fuori del fumo, e fare tonfi; questa mi credo, che l’averanno veduta da per tutto, ma in me ha fatta una gran sensazione. Questa lettera, che conservasi presso di me originale ed è come ognun vede semplice, naturale, e non ricercata, sebbene non provi la caduta de’ sassi, pure mi conferma nella mia opinione, cioè, che quella nuvola fosse un grand’elaboratorio della natura, e qual nuovo e non mai udito vulcano aereo, fabbricasse attualmente delle materie di nuova foggia, per esser poi vibrate con gran furore alla terra.
La nuvola era nella sublime regione dell’aria §. 7. Apparisce da varj luoghi di questa memoria, che la nostra nuvola poggiava alla più alta parte dell’Ammosfera, come costa dalla testimonianza di molti, che l’osservarono. Ciò viene avvertito anche dal Sig. Prior Montauti nella sua relazione al §. 3., il quale, benchè gli sovrastasse quasi perpendicolarmente la nuvola ignea, pur comprendeva, che questa era ad una grande altezza nell’Ammosfera e forse molto più superiore a quella solita region delle nuvole, le quali sogliono comunemente somministrarci dell’acqua, e della grandine. Frattanto vedeasi la nuvola fino dal Pero luogo poco distante da Radicofani, come è chiaro dal §. 6. Fù bene osservata anche da Siena da quasi tutti coloro che verso le 7½. della sera passeggiavano per la Fortezza, e ne furono uditi i colpi, sebbene lo credessero un effetto di tuoni, tanto frequente in quella stagione stravagantissima. Ma molto più e degno di riflessione, che si scorgesse la nuvola fino dalla piazza di Siena, la quale, per essere circondata per ogni verso da fabbriche alte, avrebbero impedita la vista della nuvola quando questa fosse stata nella bassa regione dell’aria; poichè ammesso che la nuvola detonante in quel tempo passasse, come è verisimile, sopra a Lucignan d’Asso, o Cosona, sarebbe stata dal Zenit di Siena distante circa 20 miglia: eppure fù osservata assai bene, come n’è testimone oculare il Sig. Giuseppe Pazzini Carli il quale dalla finestra del suo negozio ebbe la comodità di vederla. Ma quello che molto più mi sorprende si è il comparire la nuvola, anche non. molto lontana dal perpendicolo, fino da Monterotondo (Terra nelle Maremme Volterrane lontana circa 34 miglia da Lucignan d’Asso); lo che proverebbe che la detta Nuvola fosse stata lontanissima dalla terra. Questo è ciò che rende vie più maraviglioso il fenomeno, e quasi incredibile la discesa de’ sassi, e molto più la lor formazione in quella sublime regione, ed in quell’etere sì sottile.
Cosa significhi la nuvola fumante e detonante. §. 8. Se dunque da varj luoghi lontani, e specialmente da’ più vicini vedevasi la nuvola in strana guisa scintillante, fumante, e detonante; questo fumo, e queste esplosioni indicar dovevano certamente una qualche maravigliosa operazione nella Natura. In fatti se la vista di una nuvola sì lontana fu capace di sorprendere un fattor di villa (§. 6.), avvezzo in questa stagione quasi ogni giorno a vedere fulminar l’aria, convien dire che questa nuvola contenesse qualche cosa di grande, e quei colpi si nuovi ed inusitati significassero qualche prodigio o non mai accaduto sopra la terra, o inaudito da molti secoli. E in verità, chi il crederebbe! Vi si formavan delle materie gravi, le quali dovevano poi esser vibrate alla terra, ed in sostanza non eran che pietre di nuova moda; lo che è uno di quelli effetti prodotti dalla nostra nuvola maravigliosa, il quale sarà da noi spiegato, e confermato sempre più ne’ susseguenti paragrafi.
Vi è chi fa fede dell’esplosione della nuvola e della caduta de’ sassi § 9. L’Illustrissima Sig. Giovanna Forteguerri Dama dotata non men di onestà e modestia che di spirito e vivace talento, nell’esplosione del turbine trovavasi a Cosona sua Villa, ed essendo all’aria aperta vide la nuvola turbinosa che nell’incamminarsi verso Lucignan d’Asso scintillava, e dava frequenti colpi, da’ quali sommamente atterrita senza più osservare, e senza vedere i sassi i quali cadevano in qualche lontananza dalla medesima, si ritirò in casa. Quindi seguitò ad udire con orrore frequenti colpi, che a Lei parvero di cannonate, e moschetterie, unite ad un continuato ed orrendo suono di bronzi, come Ella si esprime, i quali pareva, che predicessero a quel Popolo l’ultimo eccidio. In fatti nel podere delle Capanne spettante all’Illustrissimo Sig. Antonio Forteguerri quei Contadini nell’udire il cannoneggiamento, e la prima moschetteria, dirò cosí, della nuvola fiammeggiante, non s’intimorirono gran fatta credendoli puri tuoni, sebbene affatto straordinarj, ma nel veder cadere con gran rumore due sassi nel loro prato vicino a casa, uno de’ quali, benchè scottasse, fù raccolto da una giovine Contadina, e di più in udire per l’aria l’orrendo continuato strepito de’ suddetti bronzi, allora impauriti sopra ogni credere si serrarono in casa ponendosi in ginocchioni a pregare Iddio che li liberasse dal grave disastro che loro venia minacciato dalla nuvola tempestosa. Il racconto di Madama Forteguerri allora dimorante in Cosona tanto più merita fede, quanto più è coerente col fatto narrato di sopra dal Sig. Ferdinando Sguazzini (§. 1). Questa modestissima Dama avendo qui in Siena con tutta sincerità raccontati e questi ed i seguenti fatti da Lei per la maggior parte auricularmente ascoltati da circonvicini Coloni, molti de’ quali testimonj oculari e dell’esplosion della nuvola, e della caduta de sassi, ha provata più volte la mortificazione di sentirsi dire da persone dotte, Madama tutto è illusione: ma ogn’altro è rimasto sommamente edificato dall’ammirabil modestia con la quale ha sempre risposto in questi precisi termini: se Vosignoria si fosse trovata presente a quell’orrendo spettacolo, ed avesse uditi quei colpi sì straordinarj non penserebbe in tal guisa. Ma passiamo ad altri effetti prodotti dalla caduta de’ sassi.
Altri effetti prodotti da’ sassi. §. 10. Varj effetti hanno cagionato molti di questi sassi nel cadere secondo ciò che narra la più volte nominata Madama Forteguerri, ed altre persone come Testimonj oculari. Uno di questi, per esempio, cadde sopra un Moro, sia Gelso, a cui avendo troncato un ramo, appassì la pianta, che minaccia di seccarsi del tutto. Lo che dimostrerebbe che il sasso infuocato nel percuotere il ramo avesse comunicato al resto del Gelso un eccesso di fuoco elettrico, o altra sostanza nemica alla vegetazione, e capace di urtare, e guastare la tessitura, o alterarne i sughi, che concorrono alla conservazion della pianta. Si sono veduti simili effetti in altri turbini ignei (§ 32., e 34.). Altra pietruzza caduta sopra un beccuccio di cappello d’un Giovinetto contadino, lo forò bruciando ciò che avea toccato nella discesa. Mentre i Machetti lavoratori del podere della Guardia del Sig. Giov. Forteguerri della Cura di Cosona in atto che falciavano un prato a pie della Bandita di detto podere, viddero e sentiron cadere nel fosso vicino, dov’è una sorgente d’acqua, un globo come di fuoco, il quale non solo fece grande strepito cadendo nell’acqua, ma fù osservato, che vi produsse una specie di fumo, un bollore, ed un fischio molto sensibile. Quel globo igneo che cadde in quell’acqua, era verisimilmente un gran sasso, ma benchè alquanto ne ricercassero i Contadini, non lo poteron trovare.
Deve aggiungersi a tutto questo, che de’ sassi scagliati dalla nuvola fulminante, quelli che caddero nella terra smossa, penetrarono molto a fondo della medesima fino a un braccio; quelli che scagliati furono in terreno solido, specialmente i più piccoli, o poco s’internarono dentro la terra, oppure battendo ne’ sassi ribalzarono con violenza. Tutto questo per relazione della Signora Forteguerri, che il tutto ascoltato aveva da contadini della sua Tenuta, i quali pieni d’orrore raccontaron la sera stessa alla Padrona i diversi casi poco innanzi accaduti; e verisimilmente li narrarono con quella semplicità e schiettezza, che è propria di gente non preoccupata da passione, nè mossa da secondi fini. Voglio credere che in alcuni di questi fatti possa esservi qualche esagerazione; ma è certo altresì, che ne’ punti essenziali tutti convengono, cioè nell’aver osservata co’ propri occhj la nuvola scintillante, fumante, in strana guisa romoreggiante, è finalmente ejaculante pietre di varia grandezza. Era di giorno, e in conseguenza, come è proprio della gente di campagna, molti potevano comodamente osservare quello non men curioso che stravagante fenomeno.
Sasso, veduto cadere. §. 11. Altro sasso di circa 2 once trovasi in Siena presso la Nobil Donna Sig. Porzia Borgognini, e di questo non sarà inutile tesserne una brevissima storia. Il casiere della Villa di questa Dama avendo potuto acquistare il piccolo sasso, lo trasmette come in regalo alla sua Padrona, accompagnandolo con la seguente lettera esistente presso la medesima, e che io riporterò fedelmente correggendone soltanto qualche piccolo errore d’ortografia. Il presente è uno di quei sassi caduti dall’aria il dì 16. Giugno, veduto cadere da una Fanciulla, che pasceva le pecore nelle vicinanze di Pienza, che può credere senza adulazione, che è verità. Ne sono stati trovati per fino di di cinque libbre, altro non occorrendomi, che rispettarla caramente, e resto. Di VS. Illustrissima, Vergelle 24. Giugno 1794.
Affezionatiss. suo casiere Biagio Cavallini,
Parrebbe da questa lettera che la pioggetta de’ sassi procedente dalla nuvola fulminante non si restringesse solamente al recinto di poche miglia, cioè di Cosona, Lucignano, e San Giovan d’Asso, ma incominciasse molto prima nella Diogesi di Pienza. Ma comunque siasi, questa pietra è di figura quasi parallelepipeda con gli angoli affatto rotondati, l’interna sostanza è simile a tutte le altre, se non che è molto più copiosa di spruzzi e particelle metalliche, specialmente veduta con la lente, o col microscopio. La crosta, o sia patina nera esteriore, è scabra e minutissimamente cristallizzata, e se in qualche superficie venga la pietra un pochetto levigata, mediante il soffregamento d’altro corpo duro, mostra meglio che ogn’altro sasso di simil sorte spruzzi metallici lucentissimi.
Altri sassi che esistono in Siena. §. 12. Molti sono i sassi, che oltre ai già menzionati, trovansi in Siena presso alcuni di questi Signori. Uno ne ha S. Eccellenza Martini Luogotenente Generale per S. A. R. il Granduca Ferdinando. Questo è tendente alla figura parallelepipeda con angoli smussati, del peso di circa quattr’once. Dalla rottura si vedono spruzzi metallici lucentissimi, ed alcuni come cristalli cubici, i quali una volta avrei considerati gemme, o altre pietrine dure e conglutinate insieme, ma in verità non sono che la medesima sostanza cristallizzata, di cui è composta la crosta, o sia patina esteriore; poichè sì quelli che questa contengono gran quantità di spruzzi metallici; come ne’ primi si può osservare dopo aver levigata e lustrata la pietra alla ruota, e nella seconda si vedono, quando vien soffregata alcun poco quella vetrina superficiale.
Altra pietra simile a questa ho veduta presso la Nobil Donna Sig. Rinieri nata Martini, Dama in cui van del pari la vivacità de’ talenti, e la vasta erudizione con il gusto il più brillante e sopraffino di poetare. Questa pietra fù dal Fattore del Bianco di Monte Follonica mandata al suo padrone l’Illustrissimo Sig. Ansano Landucci: è di peso circa mezza libbra, di figura quasi irregolare; negli angoli rotondata, è di sei in sette facce, una delle quali è curiosamente ripiena d’incavature ellittiche; questa pietra, come tutte le altre, è, coperta dalla solita patina nera durissima: dalle rotture mostra una pasta granitosa con cristalli o particelle cubiche durissime a grani irregolari, alcuni de’ quali sono rotondi: nella sostanza è simile a tutte le altre, sebbene questa e ancor più copiosa di parti metalliche, e però lustrata che fosse, comparirebbe d’un impasto ancor più metallico che ogn’altra pietra di simil genere.
Sassi recentemente trovati a Cosona. §. 13. Dopo le prime relazioni che a bocca recommi Mad. Forteguerri, Ella ebbe occasione per pochi giorni di tornare alla sua Villa di Cosona, dove si era presa l’incomodo unitamente all’Illustrissimo Sig. Antonio Forteguerri suo stretto parente, di far cercar nuovi sassi, di prendere ulteriori informazioni sù la loro discesa, e di notare nome e cognome di quelle Persone che erano state testimonj oculari della caduta de’ sassi. In fatti ella mi raccontò, che essendo alcuni guardianelli d’armenti non lungi dalla sua villa, viddero nella valle, dove erano, a poca distanza cader de’ razzetti frequenti, che venendo con qualche fragore simile a quello della grandine, e udendo un suono straordinario, giudicaron sulle prime, che fosse, come dicevan essi, una grandine infuocata. Pareva loro altresì che cadesse dal Cielo come una pioggetta di rena, che così descrissero la sera stessa nella loro privata famiglia, e che poi confermarono alla prefata Signora. I genitori stimolarono i lor figliuoli a cercare nel posto che forse vi avrebbero trovati de’ sassi, conforme già si sapeva che n’era stato scoperto alcuno de’ grossi. E difatto la seguente mattina cercando ne trovaron alcuni del peso di due, o tre once. Finalmente fatte nuove ricerche ad instanza della Dama, ne portarono a quella non meno di venti, de’ quali alcuni erano piccolissimi fino d’un quarto d’oncia; tutti veduti e osservati da me con i proprj occhj. È dunque verisimile che ciò che parve ai Fanciulli pura rena che cadesse sù gli alberi con qualche rumore, fossero piccoli lapilli, come semi di frumento, di ceci, e simili, i quali saranno stati trascurati da quei Giovinetti. Appoggiata a queste osservazioni è di sentimento la prefata Dama, che non soli 40., ò 60. sieno i sassi caduti, conforme è stato creduto fin’ora, ma piuttosto fra i 200., e i 300. se si voglino computare i piccoli e i grandi. Tutti però e piccoli e grandi sono medesimi, e similissimi nella sostanza interna e nella vetrina esteriore, che in queste due cose non differiscono punto fra loro. Le grandi però e le mezzane sono di figura regolare, o tendenti alla regolare, mentre sono o piramidali, o prismatiche. Le piccole poi, pare a me, che non conservino nella loro figura alcuna regolarità; anzi che quanto sono più piccole tanto meno son regolari.
Testimonianza del Sig Forteguerri e suo sasso d’once 26. §. 14. Presente al discorso della Dama fatto nel precedente paragrafo fù fra alcuni altri Cavalieri anche l’Illustrissimo Sig. Antonio Forteguerri parente della medesima, il quale essendo stato ancor egli a Cosona sua Villa, confermò questi ed altri fatti raccontatimi dalla Dama, e fra le altre pietre da esso recentemente acquistate me ne fece veder una del peso di libbre 2. e 2. once, che è simile a un parallelepido bislungo ad angoli smussati alto circa un pollice, sebbene le due faccie maggiori non sieno fra se perfettamente parallele, ma una alquanto inclinata all’altra. Questa è perfettamente intera non avendo rottura alcuna, e benchè non si veda l’interna sostanza, la quale deve esser simile a tutte le altre, pur tuttavia la sola vernice esterna nera, leggermente scabra, e durissima, fa bastantemente conoscere, che è una di quella specie di pietre venute dal Cielo. Evvi in questa pietra un cerchietto come un piccolo quattrinello, in cui si vede la patina liscia e lucida come vetro, dal che si comprende, che in quel luogo forse riceve un grado di fuoco ancor superiore a quello che soffrì il resto della vernice.
Il medesimo Cavaliere garbatamente mi diede una nota, in cui vi erano scritti i nomi e cognomi di quelle Persone, che avevan veduti o sentiti cader i sassi, che io qui trascrivo, acciò ognuno possa, se vuole, interrogare i contadini sopra quella parte del fenomeno la più difficile a credersi.
Nota di alcuni i quali hanno veduto cader le pietre dall’alto.
Giuseppe Monaci mezzajolo al podere del Palazzo di Cosona.
Cammilla Scartocci al podere delle Cantine.
Giov. Antonio Vestri delle Cappanne, e sua Famiglia.
Pasquino Machetti della Guardia.
Giovanni Robegni del Pozzo.
I Mezzajoli di Casa a Tuoma.
Andrea Galluzzi, e sua Famiglia del Mandorlo.
Mezzajolo del Sig. Pievano.
Spiegazione della Tavola in fine, e caratteri di queste pietre. §. 15. La tavola in fine contiene la figura di quattro sassi. A rappresenta la grandezza naturale del sasso, il di cui peso e di libbre 5 e mezza, che essere ora alquanto diminuito pesa libbre 5. La base nella sua maggior lunghezza è di 5 pollici, la larghezza poco più di 4, e l’altezza di 4 pollici. La sua figura è di un solido tendente alla piramide quadrangolare, avendo una superficie non bene sviluppata: in realtà è un solido, che sopra base esagona inalzandosi per circa un pollice, forma sei facce, le quali tutte si determinano ad una perfetta piramide triangolare appuntata, e di facce quasi tutte fra loro eguali, la di cui altezza forma gli altri tre pollici. La sostanza, come dalle rotture si scuopre, è di color cinereo, manda fuoco battuta coll’acciarino, ed è ripiena di cristalli cubici, o parallelepipedi rettangoli nerastri, quasi di schorl, ma più duri, de’ quali i maggiori si estendono tra le quattro e cinque linee, e vanno gradatamente riducendosi a piccoli grani; onde talvolta forma una materia simile al granitello, o peperino vulcanico, ma non di tante materie eterogenee composta, con spruzzi piritacei o metallici di color d’oro e d’argento. Notisi quì, che i surriferiti cristalli nella mole seguono una certa proporzione alla grandezza delle pietre, come è naturale; cosicchè in questa, che è la più grande che io abbia veduta, sono assai maggiori di quelli, che vedonsi nelle medie, e molto più nelle minime.
Questa bella pietra sarebbe tutta uniformemente inverniciata di una patina nera, forse marziale-bituminosa, o sulfurea, se non fosse stata notabilmente spezzata da due parti opposte verso la base. Questo è un carattere costante di cui godono tutte le pietre di simil sorta fin’ora da me vedute. Questa crosta sarebbe simile nel colore alle grosse etiti o geodi del Casentino, ma di queste molto più dura, mentre la punta d’un temperino non l’offende, e vi lascia le tracce d’ogni metallo, dal quale venga soffregata con forza, come accade nel lapis lydius, o sia pietra di paragone.
Le superficie di questo sasso sono frequentemente incavate e scabrose ad eccezione della base esagona, la quale è piana, se non che un pò scabrosetta. sopra di che è degna di speciale osservazione la faccia x, la quale è frequentemente incavata, come se nell’indurirsi la pietra fosse stata percossa da piccole palle, che ci abbiano lasciata mezza la loro impronta, effetto forse di scintille elettriche, o di altri piccoli sassolini, che insieme con esse si fabbricavano in quel gran vortice (§. 13). Sono però anche queste superficie ricoperte dalla surriferita vetrina. La pietra conservasi in Siena presso i Nobb. Sigg. Piccolomini Naldi.
Segue l’istesso soggetto. §. 16. B. rappresenta una pietra della stessa specie, che sarebbe di peso di circa ort’once, tendente alcun poco alla figura di piramide triangolare qualora si prenda per base un piano quasi esagono; che se per base piglisi un’altra superficie quadrangolare, allora ella la affetta la forma di parallelepipedo irregolare, come in C, la di cui lunghezza è di due pollici scarsi, la larghezza di un pollice e mezzo. La tiene presso di se Madama Forteguerri, la quale essendo nella sua Villa di Cosona nel tempo dell’esplosione, ebbe la comodità di acquistare non meno di sei di quelle pietre grandicelle, che cadute ne’ suoi poderi, e in altri vicini luoghi, le furon portate da’ contadini narrandole con gran sorpresa i prodigj di quella nuvola.
D Rappresenta uno de’ soliti nostri sassi, che esiste presso l’Autore. Questo è del peso di once 4, con base pentagona, ineguale, con porzione di superficie risaltante, e che nel resto rappresenta una vera piramide quadrangolare, che termina in punta acuta: una delle quattro facce è, come nella B, tutta incavata a piccole impronte. In questa, come in molte altre a riserva d’uno o di due angoli, gli altri son rotondati nel vortice igneo-aereo forse per le medesime cause, per le quali è stata prodotta la durissima vernice, da cui è investita e ricoperta tutta la pietra. La sostanza interna è perfettamente l’istessa, che in tutte le altre, cioè di pura lava durissima e composta di materie cristallizzate o vetrificate. La di lei grandezza è quella medesima espressa nella figura D.
E Esprime la grandezza e figura di una delle solite pietre, ed è posseduta da Sua Eccellenza Martini Luogotenente di Siena per S. A. R. La pietra a simiglianza di molte altre, pende alla figura parallelepipeda alcun poco irregolare con gli angoli smussati o rotondati, ed è del peso di circa once quattro.
Se vi siano altre pietre nascoste. §. 17. Già abbiamo veduto che le esplosioni fatte dalla nostra meteora seguirono in diversi tempi, ed in varj luoghi; tanto che i sassi caddero l’uno dall’altro distanti per più d’un miglio, come risulta dalla lettera del Sig. Sguazzini al §. 2, e forse più, se prestisi fede a ciò che si narra al §. 11. E qui mi sia lecito di trarne una conseguenza legittima. Le pietre, che si son trovate fino a quest’oggi, e che son dotate tutte egualmente di quei caratteri, che le distinguono da tutte le altre, sono, per quanto io giudico, fino al numero di 40, o 50. Ma se queste son sì diverse in peso e grandezza che da un quarto d’oncia vanno gradatamente fino alle 6. libbre in circa, pare assai verisimile, che queste debbano essere proporzionali alle esplosioni che succedevano nella nuvola, tanto che alle cannonate corrispondesse l’ejaculazione de’ sassi grandi, ed i minori scoppi fossero l’effetto della formazione de’ piccoli. Questo fù avvertito con molta verisimiglianza anche dal Sig. Priore Montauti nella sua descrizione al § 3. Ed io rifletto che quell’orrido strepito di bronzi, che si percuotevano insieme espressi al §. 9. potevano significare la produzione d’innumerabili altre pietruzze, che come rena caddero nella vallata indicata nel §. 13. Ma comunque siasi, le pietre dell’ignita meteora, dall’aereo Vulcano scagliate devono essere molte più di numero di quello credasi comunemente. Imperciocchè se tre solamente più gravi fin’ora a me note, cioè una di libbre 5½, la seconda nel Museo di Monte Oliveto Maggiore, e descritta dal Sig. Pascucci al §. 63; la terza finalmente d’attinenza dell’Illustrissimo Sig. Antonio Forteguerri di once 26. come al §. 14; se queste si son trovate tutte confitte e penetrate più o meno sotto la terra, ne viene per conseguenza, che non si sarebbero così facilmente trovate, se alcuno non le avesse vedute cadere dall’alto. Che però dentro l’area di 3, o quattro miglia, dove è seguito il getto delle pietre, non è verisimile, che ve ne sieno cadute tre sole; anzi possiamo credere o sospettare, che delle pietre di qualche mole ne cadesser dell’altre, o almeno tante, che corrispondano alle più sonore esplosioni.
E quì giova ridire l’istoria da me udita da Madama Forteguerri, cioè, che una Giovine per nome Lucrezia Scartocci contadina del Sig. Antonio Forteguerri, che trovavasi per la via di Cosona vedendo cadere in poca distanza da se una piccola pietra l’andò a prendere per curiosità ma la sentì scottante: poco dopo udito con gran fragore e sibilo precipitare dall’alto un sasso più grande, allora senza punto pensare a raccoglierlo sbigottita si diede frettolosamente a fuggire. Se dunque in poca distanza sono stati veduti cader due sassi, è assai probabile, che nel circondario di alcune miglia ve ne sieno caduti molti, e fra questi i più difficili a ritrovarsi saranno i più pesanti, e quelli che sono caduti in terreno o più umido, o più facile ad essere penetrato. Molti altri dunque se ne scuopriranno col tempo, giacchè per essere prodotti del fuoco, e perciò durissimi anche nella crosta superficiale, si conserveranno intatti per lungo tempo sì all’aria che all’umido sotto terra. Quindi ritrovati dai Contadini potranno arricchire i nostri Musei, e sodisfare alla curiosità degli Esteri, e insieme porgeranno comodità ai Chimici di fare un’analisi più esatta sù queste pietre aereo-vulcaniche.
Che cosa mostrino nell’interno queste pietre, e loro vetrina. §. 18. Abbiamo osservato in più luoghi di questo scritto, che l’interno impasto di queste pietre era di cristalli nerastri di diversa specie, e spruzzi metallici o piritacei, tutti uniti insieme con una specie di cenere; materie tutte che ben si comprende aver patita l’azione del fuoco, ed aver fatto un solidissimo composto. Sappiamo altresì, che questa maravigliosa patina, o sottil corteccia, dalla quale tutte queste sorte di pietre vengono costantemente ricoperte, è una vetrina a fuoco poco men dura di quei neri cristalli che la compongono internamente. Ma dopo ciò avendo io fatte lustrare due di quelle pietre di media grandezza, una_mia, e l’altra della Sig. Giovanna Forteguerri, compresi, che l’interna sostanza non è più un composto, come io credei per l’avanti, e come dimostravan le stesse rotture, di una gran mescolanza di corpuscoli eterogenei, ma bensì una pasta uniforme di materia nerastra in forma di cristalletti di figura diversa, ma specialmente cubica, e di varia mole secondo la maggiore o minor grandezza della pietra. Il colore della superficie levigata diventa cinereo oscuretto che ne costituisce il fondo, in cui manifestamente brillano due sostanze, una piritacea lucente color d’argento, e qualche volta d’oro, l’altra di cristalletti nerastri, i quali nella figura, nel colore, e nella durezza rassomigliano ai granati nero-lucidi che si trovano in una miniera di rame del Ducato d’Aosta, colla differenza, che se in questa il fondo è tutto color di rame, nelle nostre pietre il fondo è cenerino, aggiuntivi li spruzzi argentei.
Del rimanente questi cristalletti sono uniti, e come impastati insieme da innumerabili particelle di piriti o semimetalli lucentissimi, i quali non compariscono più, come per l’avanti, una varietà di metalli, ma bensì tutti del medesimo colore, cioè di lucido acciaro, oppur d’argento in un fondo oscuro. lo qui non saprei dire se il metallo oppure la sostanza nera formi l’impasto maggiore di queste pietre: certo è che li stessi cristalli neri racchiudono spruzzi metallici, o piritacei, conforme la patina esteriore ne contiene anch’essa moltissimi, come rilevasi quando detta patina venga leggermente consumata, e lustrata; e però io faccio poca differenza dalla sostanza della patina, e dalla materia di cui son composti i cristalli, se non che questi sono talvolta più duri che la nera vetrina esteriore. Questa in alcune pietre somministra al fondo stesso un color nero cupo, per essersi, o nel tempo della combustione o dopo di essa per qualche fessura, insinuata alcun poco entro la sostanza della pietra.
Conseguenze che se ne deducoпо. §. 19. Dunque da queste osservazioni si rende chiaro, che la nostra pietra non e più un impasto d’innumerabili corpicciuoli fra se diversi, ma di tre semplicissime sostanze, una sempre lucida e risplendente forse metallica o semimetallica, la seconda nera forse sulfureo-minerallizzata, o anche ferreo-bituminosa, e la terza una cenere quasi impalpabile sottilissima conglutinata strettamente con quelle due sostanze, la quale dal cinereo si muta in color oscuro, quando la pietra vien pulita e lustrata. Questa che io chiamo cenere, la stimo nata da una calcinazione di uno o più metalli: è certo che contiene anch’essa gran quantità di particelle di ferro, come vedrassi più sotto. Ne seguirebbe da tutto questo, che la generazione di queste pietre non fosse più tanto indegna della celeste regione quanto si era creduto finora da molti. Ne vi sarebbe bisogno di ricorrere ai turbini, che avessero esaltate nella più sublime parte dell’aria certe materie terrestri, forse atte ancor esse alla formazione di queste pietre; mentre le sole esalazioni metalliche unitamente alle sulfuree e bituminose sarebbero sufficientissime per poter generare in aria le nostre pietre, facendovi anche con correre il fuoco elettrico, il gas infiammabile, e gli acidi ammosterici, e minerali.
Frattanto l’analisi di una delle nostre pietre (giacchè una serve per mille, essendo tutte d’un’istessa indole e di una istessa natura) fatta da bravo chimico (§. 69), e che io, essendomi venuta in tempo, fedelmente stampo in fine della terza Parte, porrà in chiaro la verità delle mie esperienze (§. 21), e delle mie congetture. Di quì anche s’intenderebbe, come possa essersi formata la maravigliosa vetrina in ciascuna di queste pietre, come vedremo in appresso.
Le pietre caddero infuocate, e donde nasca la vetrina che le circonda. §. 20. Se queste pietre fossero cadute dalla nuvola ignea, sarebbero state calde per qualche tempo, o infuocate. Difatto tutti quelli che viddero cader queste pietre, e andarono per raccoglierle, le trovarono calde. Ciò resta evidentemente provato anche dal ramo fattosi secco per la percossa ricevuta da uno di quei sassi, dal cappello bruciato del villanello, e dal globo di fuoco caduto nella pozzanghera della Bandita (§. 10). Resta tutto ciò confermato da quei Guardianelli di Pecore, che vedevan cadere quelle pietruzze in forma di razzi, o come essi dicevano di grandine infuocata (§. 13), e dalla villanella che raccolse la pietra, e la trovò calda (§. 17). L’istessa verità mi confermò a bocca il Sig. Antonio Forteguerri, che già di tali infuocati sassi ne avea dato avviso per lettera a qualche suo amico di Napoli (§. 62).
Non può dunque dubitarsi per una parte, che le pietre cadute dall’ignita nuvola non fossero infuocate, o almeno calde; per l’altra, veduto l’impasto delle medesime esser quasi l’istessa cosa con la vetrina che le circonda, prenderei motivo di dubitare, che questa fosse nata o dall’infuocamento, che nel passaggio fatto dalla pietra per l’ammosfera, quando percorse lo spazio che è fra la nuvola e noi, avesse nel raffreddarsi formata quella crosta vitreo-fuliginosa: oppure perchè dopo unite le parti insieme formanti il sasso dentro l’ignita nuvola, ivi ruotasse per alcun poco di tempo, onde la materia fulminea potesse inverniciare le nostre pietre di dura patina: lo che è assai più verisimile che non è l’ipotesi precedente. Comunque siasi è certo però, che la suddetta crosta è della medesima natura de’ neri interni cristalli, e sì l’una che gli altri sono aspersi di frequenti spruzzi metallici.
Due pietre, e loro impasto, e vetrina. §. 21. Avendo ottenute da Mad. Forteguerri due pietre per esaminarle, ciascuna del peso di once 7, una raffigurava un parallelepipedo di 6 facce, tre delle quali sono frequentemente incavate, l’altra è di figura totalmente irregolare tendente alla figura globosa con tuberi alquanto rilevati. In una superficie di quest’ultima osservai con meraviglia molti cristalletti come d’oro vivissimo appuntati, e frequentissimi, da non potersi però distinguere se non che per mezzo della lente.
Sopra delle medesime volli fare qualche esperienza, soffregai insieme una superficie con l’altra, senza però distruggerne affatto la vernice, ne ottenni i seguenti sicuri resultati, che possono da ognuno ripetersi e verificarsi a sua voglia. Primieramente le due facce perdettero quel nero morato, e presero il colore nero chiaro in guisa di ferro rugginoso. Secondo, accostato alla lingua non mi mostrò alcun sapore di sale. Terzo, dopo la soffregagione accostate alle narici, tramandano un odore disgustoso, e maggiore di quello che danno due pietre selci soffregate insieme con violenza: che sia ciò un effetto di ferro e zolfo o bitume non se ne può dubitare. Quarto, comparvero le due superficie dopo breve soffregamento piene di lustrini metallici, che sono quei piccoli risalti, che rendono le superficie di questi sassi più o meno scabrose secondo la maggiore o minor quantità di particelle metalliche che in se contien questa crosta ferruginosa. Questi lustrini metallici, che si fanno vedere dopo il soffregamento nelle facce, l’ho notati di sopra al §. 18. in fine questo è stato osservato anche dal dottissimo Sig. Pascucci nella lettera posta al §. 63. Osservai in quinto luogo, che siccome dal soffregamento delle due pietre ne cadevano piccolissime particelle, come una polvere, vi accostai ad esse la calamita artificiale, e compresi che quella polvere era benissimo attratta dalla calamita. 6. Fra le ceneri stesse, e dentro ai cristalli dell’interne sostanze, siccome vi si contengono spruzzi d’altro metallo, così vi si trovano anche particelle ferrigne attratte dal medesimo acciaro calamitato, come ho potuto osservare più volte col separare la cenere, e l’altra sostanza interna dal sasso di 5 libbre non già per mezzo di martello di ferro, ma con un cogolo d’Egitto appuntato. Dal che se ne può con certezza dedurre che non so. lo la crosta o corteccia di queste pietre sia in gran parte ferruginosa, ma anche la sostanza interna, non esclusi neppur i cristalli cubici, e talvolta esaedrici come compariscono nelle pietre piccole guardate colla lente.
Non sarebbe poi maraviglia che in queste pietre vi predominasse il ferro sopra ogn’altro metallo; imperciocchè essendo il nostro globo carico di ferro e sua ocra superiormente ad ogn’altro metallo, ne segue, che anco le parti volatili di questo metallo esser debbano le più copiose.
Che se altro valente Chimico non vi ha trovate particelle retrattorie, ciò sarà accaduto per essersi egli servito di debole calamita. Anzi dicendo egli (§. 63) stritolatone un poco (d’una delle pietre cadute dall’aria), ed espostolo all’azione della calamita non è stato punto attratto; questo le ne annetto un pocolino, io avendo adoprato un acciaro calamitato fabbricatomi dall’abilissimo Sig. Matteucci, ho trovato anche quel pocolino sommamente attraibile dalla suddetta calamita artificiale.
Pietre simili mancano in Toscana: e loro patina esterna. §. 22. Ma qualunque fosse la formazione di queste pietre, sarebbe sempre sorprendente e maravigliosa. Poichè tali sono i caratteri delle medesime che tutti insieme in verun modo convengono ad alcuna pietra, qualunque siasi, della Toscana, neppure eccettuate quelle vulcaniche di Radicofani e S. Fiora. Parrà alcun poco ardimentosa la mia asserzione. Prendiamo ad esaminarla. Essendo la sostanza delle nostre pietre materia in parte vetrificata, in tutte uniforme, e simile all’apparenza ad una mezza lava, o ad un peperino d’origin vulcanica, ed ognuna di quelle inverniciate all’esterno (§. 15) di una patina nera, è certo per ognuno che abbia una benchè leggiera cognizione delle pietre della Toscana, non trovarsi in questa vasta Provincia alcun prodotto lapideo, che eguagli perfettamente le nostre pietre. La sola sottil corteccia, da cui vengono costantemente, senza eccezione alcuna tutte ricoperte, dimostra la verità dell’asserto. §. 13. Già si è veduto che questa patina è una vetrina formata a fuoco (§. 15, e 18); all’apparenza però, e in riguardo al colore si potrebbe confondere con l’Etiti o Geodi del Casentino; ma la crosta di queste è grossa, e talvolta distendesi o in forma di aghi, o a guisa di più camicie fino al centro, talvolta lascia un vuoto con terra impalpabile variamente colorita, e compone l’Etiti mute, o contien delle arene e de sassolini, e forma l’Etiti sonanti. In somma la patina in tali pietre è tenera e fragile, e fregata con la carta la sporca di nero; è calcareo-marziale-bituminosa generata ad umido; finalmente l’esterior superficie è liscia morata, e talvolta lucida perfettamente. Ma la crosta de’ nostri sassi fulminei è meramente superficiale, sottile, non oltrepassando la grossezza d’un quattrino, ed eguale per tutto; è dura, resistente alla punta del temperino, ed a guisa di pietra di paragone vien segnata da metalli che la soffregano, nè mai tinge la carta per quanta forza si usi nel soffregarIa; resiste agli acidi vegetabili, ed marziale-piritaceo-sulfurea formata a fuoco, e fuoco elettrico violentissimo. Finalmente al di sopra comparisce un nero chiaro, una certa levigatezza in alcune facce, in altre poi una tal quale leggiera scabrosità, ed anche una minutissima cristallizzazione in forma di aghi ritorti o di piccole papillette visibili per mezzo di lente, con spruzzi semimetallici, e piritacei, i quali tanto più si rendono lucidi come spruzzi di acciaro lustrato, qualora si soffreghino con corpi duri, e specialmente con altro sasso della medesima specie, per cui si consumi un poco quella patina, e si schiaccino, per così dire, quelle papillette o aghi, che in tal guisa si scuoprono di natura metallica. Sono dunque le nostre pietre di nuova moda, c fabbricate entro quella nuvola tempestosa, e in quell’aereo vulcano. E quantunque nelle montagne di Radicofani e Santa Fiora, come antichissimi vulcani estinti, non manchino produzioni di simil genere e fatte a fuoco, come pomici, peperini, ec. questi però non uguagliano perfettamente le nostre pietre, anche a riguardo della sola sostanza interna; mentre o sono in gran massi, e strati irregolari, e non solitarj; o se si trovano separati, son già staccati da quelle rupi di peperino; ne mai, che io sappia, incontransi simili sassi solitarj del tutto verniciati uniformemente da una patina fatta a fuoco. Vedasi il §. 26.
Opinioni contrarie. §. 24. Il detto fin qui sarebbe sufficientissimo per provare non solo la caduta delle pietre dall’atmosfera, ma anche la lor formazione in quelle sublimi regioni; poiche in riguardo alla prima, oltre la moral certezza, che resulta dall’autorità degli Uomini, abbiamo ancora una tal quale evidenza fisica nell’esistenza de’ sassi, in quanto che questi non trovansi in alcuna parte del Sanese: e conseguentemente non possono essere stati in altra guisa generati che dentro la nuvola procellosa, dalla quale furono esplosi. Lo che viene ad essere il principale scopo della seconda Parte. Ma perchè molti vi sono, i quali dopo aver anche ammessa la pioggia de’ nostri sassi, negano che si sieno generati in aria, e perciò ricorrono o ai turbini, o all’eruzion del Vesuvio, o agli antichi e spenti Vulcani di Radicofani, e S. Fiora o ad altre cause, che gli abbiano portati in aria; quindi non sarà superfluo di prima esaminare scrupolosamente donde mai venir potessero le nostre pietre; lo che eseguiremo ne’ seguenti paragrafi.
I nostri sassi non procedono dal Turbine. §. 25. Potrebbe alcun sospettare che i nostri sassi fossero stati inalzati all’aria da’ venti per mezzo d’un turbine, e poi lasciati cadere alla terra. E’ certamente immensa la forza del turbine, quando specialmente è del genere de’ Tifoni, o Presteri, come vengon chiamati da Aristotile e Plinio, e perciò sono capaci talvolta di trasportare in aria de corpi sopra ogni credere pesantissimi, come si vedrà ai §§. 32, 33, e seg. esser pur troppo seguito in varj luoghi, ed in diversi tempi. Ma qui osservo non esservi stato in quel giorno alcun vento furioso, che strisciando sulla superficie della terra abbia portato in aria de’ sassi. E chi di noi ha saputo mai, che in queste parti, o in altro luogo non lungi dalla scarica seguita de’ no. stri sassi, sia stata tempesta o procella atta a portar in aria pietre di libbre 5½, che anzi piuttosto ognun fa fede, che in quel giorno l’aria era quieta e tranquilla almeno nella bassa regione. Tutti attestano che la sera del dì 16 fù il cielo in parte sereno, specialmente avanti la vibrazion delle pietre, e in parte caliginoso e non si sa, che nè verso il Chianti, di dove pare, che avesse origine la nostra meteora (§. 3), nè in altro luogo vicino vi fosse turbine sì impetuoso da poter trasportare i sassi per aria.
E poi, se mai avesse in alcuna parte della Toscana infuriato il turbine, o aereo o igneo che fosse, avrebbe prodotto alcuno di quei tanti funesti effetti, che soglion nascere da simili orrende meteore; come pur troppo fece quel turbine, che pochi giorni dopo, cioè il dì zo Giugno danneggiò il territorio di Trequanda paese di questa Provincia (§. 47).
E quand’anche in quel giorno avesse avuto luogo un tal turbine, e si fosse levato un vento quanto immaginar si voglia impetuoso, come inalzare tant’alto i sassi da un quarto d’oncia fino alle 6 libbre, tenerli tutti egualmente sospesi in aria per lungo tempo, ed aspettare finalmente il momento della grande scarica di cannonate, e moschetteria, per essere in quel punto scaricati alla terra, e tutti cadere, e piccoli grandi, entro lo spazio di 3, o 4 miglia, quanti presso a poco importano i territorj di Lucignan d’Asso, e Cosona?
Come dunque spiegare gli effetti tutti di quella nuvola maravigliosa, i quali non possono nè devono assolutamente distinguersi e separarsi dalla caduta de’ sassi, che gli accompagna? E dove finalmente questo Turbine così ingegnoso seppe trovare e scegliere queste pietre (tanto fra di loro simili nella sostanza, quanto lo può essere un uovo simile ad un altr’uovo) per poterle trasportare in aria, e poi vibrarle alla terra? Io dico francamente che in nessun luogo della Toscana si trovano questi sassi; e la ragione è evidente, perchè vi manca questa specie di pietre metalliche a cristalli e grani piriticosi e ferruginei, tutte egualmente spalmate e inverniciate al di fuori d’una ve trina assai dura, e simile a cert’altri cristalletti nerastri e duri, forse ematitici, che racchiudonsi nell’interna sostanza. di queste pietre.
Se dunque questo turbine di vento avesse da qualche parte della Toscana trasportati in alto de sassi, non gli avrebbe raccolti tutti dell’istessissima specie, ma avrebbe presi indistintamente i calcarei, i silicei, gli argillosi, gli arenarj, le breccette, i refrattarj, ec., ed in particolar modo i più leggieri, come più facili ad essere sollevati in aria. Quando poi si volesse supporre, che questi sassi portati in aria dal turbine fossero stati entro l’ignito vortice tutti trasmutati in altra sostanza, fusi, vetrificati, inverniciati, ec. (oltre che una tal mescolanza non avrebbe prodotto la specie de’ nostri sassi), questa supposizione non solamente sarebbe contraria alla buona critica filosofica, ma ancor più strana assai e maravigliosa, che non è la semplice generazione de’ nostri sassi nella nuvola eterea.
lo forse mi sarò diffuso di troppo in confutar questa ipotesi. Ma, Dio buono! Eppure questo è l’Achille fra gli argomenti, sù quali si fondano tutti i critici (§. 43), i quali hanno spiegate come favolose le pioggie de sassi raccontate dagli antichi Scrittori (§§. 42, 44). Questo è l’Achille di quasi tutti coloro, che ammessa la caduta de’ sassi (e sarebbe oramai vergognosa cosa il negarsi), non vogliono assolutamente ammettere, non dirò l’attuale, ma nemmeno la possibilità della formazione de’ sassi in aria.
Neppur da Radicofani, e S. Fiora. §. 26. Ammessa per dimostrata la nostra pioggetta di sassi, non poche dotte persone, fra le quali un Inglese eccellente chimico e Naturalista porta ferma credenza, che questi sieno stati trasportati dalla nuvola turbinosa fino al di sopra dell’orizzonte di Lucignan d’Asso e Cosona, ed ivi essendo state abbandonate a se stesse, siano poi precipitate alla terra (§§. 60, 66). La vicinanza di questi monti da’ suddetti luoghi, le copiose lave di pomici, che si vedono sulle pendici del monte di Radicofani, e le molte produzioni vulcaniche, che si hanno nel monte di S. Fiora, renderebbero a prima vista non dispregievole questa opinione. Ma qui riflettasi che in questa ipotesi, oltre il non rendersi ragione alcuna delle straordinarie esplosioni della nuvola, e degl’altri effetti che l’accompagnano, le lave e i peperini di S. Fiora sono tutt’altro che i nostri sassi. Che se mai da questi luoghi fossero state trasportate per aria le pietre vulcaniche, le prime certamente fra queste sarebbero state le pomici, come le più leggiere, che in grand’abbondanza ritrovansi nella sommità del monte di Radicofani.
Nulla finalmente vi è di men verisimile di questa opinione; poichè dagli abitatori di questi luoghi e suoi circondarj niun vento gagliardo fù udito, niun turbine fù veduto nella sera de’ 16 Giugno; anzi che la nuvola infuocata e detonante, senza essersi partita da questi monti fù veduta appunto nella parte opposta, come risulta da ciò che vien notato al §. 6.
Non dal Vesuvio per projezione. §. 27. Convinti alcuni della verità del fenomeno in riguardo alla caduta de’ sassi, nè potendo per altro immaginarsi come pietre di tanto peso siansi formate in aria, hanno sospettato, che queste fossero state eruttate e scagliate fino a Noi dal Vulcano di Napoli; tanto più che l’esplosione de’ sassi in Toscana è accaduta solo 19 ore dopo la grand’eruzion del Vesuvio. Ma troppo eccessiva è la distanza da Napoli a noi per poter credere che pietre di questa mole abbiano percorso si lunghi e sì alti spazi sopra la superficie terrestre.
Sappiamo dalla Meccanica per legge di projezione, che un sasso acciò possa giungere alla distanza di dugento miglia, che è quel meno che prender si possa per linea retta da Napoli a Lucignan d’Asso, fa d’uopo, 1. che il sasso sia vibrato ad angolo semiretto, che è quello che importa la maggior ampiezza della parabola: 2. che sia scagliato con quella sorprendente velocità, che avrebbe acquistata un grave cadendo dall’altezza di 100 miglia; e in questo caso l’apice o sia l’elevatezza della parabola percorsa da’ nostri sassi sarebbe di so miglia (supponendo che si movesser nel vuoto), c conseguentemente questi scagliati dall’eruzion del Vulcano, avrebber dovuto, secondo il calcolo de la Hire, sorpassare per alquante miglia l’altezza della nostra atmosfera. Ma tutto questo non è forse più sorprendente, e più incredibile assai, che la generazione de’ sassi in aria?
Ripugna altresì alle leggi della buona Fisica, che sassi di diversa mole, quali sono i nostri da una mezz’oncia, e qualche cosa di meno, alle libbre sei, gettati in aria colla medesima forza dal nuovo cratere del monte di Somma, siano poi tutti caduti, e piccoli e grandi, entro il recinto di poche miglia, e non piuttosto siansi dispersi secondo le varie resistenze, che patir doveano in un si lungo viaggio, anche camminando per aria.
Di più aggiungasi che la nuvola scagliante sassi non venne dalla parte di Roma, e Napoli, ma bensì da MontePulciano e Pienza, distendendosi verso Ponente, come costa da molte testimonianze, e specialmente da chi vide fino da Radicofani (§. 6) la nuvola fumante, congiunta con esplosioni di fieri colpi. Si veda ciò che fù scritto da Napoli sotto di 22. Luglio, come ai §§. 62, 66.
Il trasporto poi in aria del grande ed antico cratere, eseguito sul bel principio dell’eruzione, e in conseguenza nella massima furia del Vulcano, avrà sparse in gran distanza croste, e sassi vulcanici d’ogni genere per quelle infelici campagne, ma non mai pietre tutte omogenee, e perfettamente simili alle nostre sopra descritte.
E poi, se è vero ciò, che osserva M. Thomson al §. 66, non trovarsi intorno al Vesuvio prodotti vulcanici uguali alle nostre pietre piovute dall’aria, dunque non potevano da quello a noi pervenire: nemo dat quod non habet.
La direzion similmente della nuova voragine o cratere apertosi recentemente alle falde del monte di Somma si oppone a questa ipotesi; Mentre questo non risguarda la Città di Siena costituita al Nord-ouest, ma bensì la Città di Palermo nelle Sicilie, o il regno di Tunisi, luoghi, che gli stan dirimpetto, come postati al Sud-ouest del nuovo cratere, verso dove sicuramente sarebbonsi indirizzate le pietre, e non mai alla nostra Toscana; qualora un turbine non avesse rivoltate indietro le materie gettate in aria dalla nuova voragine del Vulcano. Ma neppur un turbine potea aver luogo nel trasporto di queste pietre, come vedremo in appresso.
Non dal Vesuvio per via di turbine. §. 28. Vi e chi dubita, che i sassi caduti al Nord-ouest di S. Quirico nel recinto di tre o quattro miglia, siano effetto della grande eruzion del Vesuvio, in quanto che un turbine ce li abbia a noi portati per aria. Ma qui rifletto che se parlasi di sassi belli e formati, pare inverisimile affatto, che da sì lontani paesi siano stati dal turbine trasportati, senza che il turbine stesso. abbia prodotti per via de’ funesti effetti, ed i sassi, come di peso e di figura fra se diversi, non abbiano lasciata. a chiaro giorno alcuna traccia di se pel lungo viaggio di dugento e più miglia. Anzi che possiamo con sicurezza affermare, che l’accensione della nuvola, i frequenti e straordinarj strepiti che si udirono, uniti al getto de’ sassi infuocati, la nuvola veduta da Radicofani nella parte opposta, finalmente l’uniformità della vetrina esteriore, e la perfetta simiglianza della interna materia in tutte le pietre cadute dalla nostra nuvola, escludono del tutto, ed abbattono una tale ipotesi.
Che se poi alcun volesse, che dell’enorme quantità di cenere trasportata in aria da vortici ignei del gran cratere, la più grandicella, in alto refrigerandosi, cadesse ne’ circondarj del Vesuvio (in fatti è pesantissima); altra più sottile persistendo infuocata, specialmente, in una stagione sì calda, e per conseguenza di maggior volume, ina nel tempo stesso di gravità specifica minor di quella dell’aria, si fosse diffusa a maggiori distanze, e trasportata fino a noi da un venticello del Sud, non saprci confutare perfettamente una tale ipotesi. Ne meno potrei oppormi, se alcun altro s’imaginasse, che una cenere così sottile avesse in questi luoghi formata una specie di caligine atta ad unirsi e accozzarsi insieme con altre sostanze semimetalliche e piritacee, e così combinate tutte entro una nuvola ignea e procellosa avesser prodotta la nostra meteora generante e scagliante sassi.
Sebbene son da notarsi due cose: prima che la maggior eruzion delle ceneri seguì nel Vesuvio dopo la nostra Meteora, come si può vedere al §. 56: seconda, che le ceneri ultimamente eruttate (e dall’insigne letterato il Cav. Hamilton, Inviato per S.M. Britannica in Napoli, regalate a S. Ecc. Milord Bristol) paragonate colla terra in cui si scioglie la sostanza interna delle nostre pietre, qualora vengano battute da una selce acuminata, sono da quella molto diverse; Imperocchè quelle sono assai gravi, compariscono di color cenerino cupo, e prive per quanto parmi d’ogni metallo: La nostra terra separata dalla pietra è alquanto leggiera, di color cenerino chiaro (all’apparenza è perfettamente simile alla terra delle nostre biancane, dette comunemente crete, che è terra plastica e figulina), contiene molte particelle ferree attraibili dalla calamita, come osserva anche M. Thomson al §. 66, e forse con mescolanza d’altri metalli, o piriti. Posta l’una e l’altra in un crogiuolo per un’ora nel fuoco ardente, la cenere Vesuviana fece piccola mutazion nel colore, e non calò sensibilmente di peso: la terra delle nostre pietre passò dal cenerino chiaro al rosso smorto, e perdendo circa un tredicesimo del suo peso si rendè più attraibile dalla calamita, in segno d’essere molto ferruginosa: tutto questo accade ancora alle nostre crete, o sieno argille figuline, e molto più al sedimento delle medesime, il quale in apparenza mostra d’essere un composto di rene comuni, e cristalline; ma in sostanza è un aggregato di minutissime conchigliette di nuova specie, o loro noccioli piritacei, i quali dopo una anche leggiera adustione divengono sommamente attraibili dalla calamita, come meglio apparirà nel secondo tomo della mia Testaceografia microscopica.
Non son l’effetto d’alcun Vulcano. 29. Dopo ciò che abbiamo osservato in principio del precedente paragrafo, parrebbe affatto inutile investigare, se le nostre pietre cadute dalle nuvole fossero l’effetto di qualche Vulcano apertosi in Toscana, da cui, come da un cratere, sieno state scagliate in aria le nostre pietre. Vi è chi ne dubita (§§. 60. 61. 66.). Ma quì ognun vede non essersi aperto alcun nuovo Vulcano, ne veruno de’ vecchj, come di Radicofani e Santa Fiora, aver eruttate materie solide dalle loro viscere: questo sarebbe ben altro che la nuvola fulminante e vibrante sassi! E come poteva in paesi sufficientemente popolati ignorarsi un fenomeno sì rovinoso? Ma anche concesso, che apertosi un nuovo cratere fossero state vibrate all’aria materie gravi, si potrebbe mai credere, che queste fosser pietre tutte della medesima specie e natura, e tutte egualmente inverniciate di sostanza nera e semimetallica?
Che se poi da questo recente Vulcano (per altro affatto ideale e chimerico nella Toscana) si fossero alzati degli igniti vortici contenenti delle materie sciolte nel fuoco, e che nel raffreddarsi avessero formato in aria le nostre pietre, una teoria di questa sorta poco o nulla differirebbe dalla nostra opinione; perchè finalmente ammetterebbe la fabbricazione de’ sassi in aria; poco importando al nostro presente assunto il sapere come realmente siasi diportata la Natura nel manipolare de’ Bassi sù fra le nubi. Ma forse saranno stati vulcani muti, come è stato detto da alcuni. Io però non intendo cosa sieno questi vulcani muti. Se per questi intendere si volesse certe aperture dalle quali fossero state fuori scagliate materie grosse, si tornerebbe a ripetere le medesime stravaganze di sopra espresse. Che se per vulcani muti e instantanei si volesse intendere certe fessure, o crepature della terra, per le quali vengano esaltate delle sostanze sottili, e specialmente metalliche e piritacee tenute dal fuoco clettrico, dal Gas, dal zolfo, o per altra via sciolte nell’aria, onde elevate alla più alta regione dell’ammosfera, quivi, come in una fornace aerea, ben abbozzata da Plinio (§. 52), siansi costrutte le nostre pietre, non vi sarebbe in tal caso fra noi discrepanza notabile.