Sorella di Messalina/Parte prima/I

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Parte prima Parte prima - II
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I.


S
ignora nè buona, nè bella, nè giovane, nè ricca, desidera fare la conoscenza di un signore che possegga tutte le doti che a lei mancano. Intelligenza non necessaria. Avventurieri e studenti si astengano dal rispondere. Scrivere X. Y. ecc.».


Piero e Alberto in barca sul Po lessero casualmente l’annuncio nella quarta pagina del giornale, e risero.

— Che cinismo! — disse Alberto, disapprovando.

— Che sfrontatezza! — disse Piero, ridendo. — Rispondiamo?

— Ah, io no! — esclamò Alberto.

— Tu hai l’anima di un trepido coniglio in un corpo di giovane pantera, — disse Piero. — Risponderò io. [p. 10 modifica]

Ma avendo egli l’anima (e la professione) di impiegato di banca in un corpo di Giovane Werther, e non volendo compromettersi con una sconosciuta, firmò col nome di Alberto e diede l’indirizzo dello studio di lui, che era un pittore.

La signora nè buona nè bella nè giovane nè ricca rispose. Alberto aprì la lettera, si stupì, comprese, si sdegnò; ma non ne parlò con Piero. Piero da parte sua non ne parlò ad Alberto perchè il coniglio, quando qualcosa gli spiaceva, non era comodissimo a trattare. E quanto a Piero l’incidente si chiuse lì.

Alberto lesse e rilesse la lettera, ch’era breve.

«Stasera, ore nove. Giardino Ambasciatori. Abbiate una rosa in mano».

— Ridicolo! — mormorò Alberto, sgualcendo la lettera e gettandola in un angolo dello studio disordinato. — «Abbiate una rosa in mano!». Non sarò così idiota. — (Era il coniglio che parlava).

Tuttavia alle otto comprò una rosa (era la pantera che aveva il sopravvento). Però alle nove non andò agli Ambasciatori, bensì a sentire il concerto di Boasso al Balbo, spintovi dal coniglio.

Ciononostante alle dieci e un quarto andò agli Ambasciatori trascinatovi dalla pantera. [p. 11 modifica]

Non aveva la rosa in mano, ma all’occhiello.

Non vide nessuna signora che non fosse bella e giovane; e, in quella penombra soavemente illuminata da lampadette colorate, parevano anche tutte buone e ricche. Allora egli si strappò la rosa dall’occhiello e, prima di gettarla via, la trattenne nelle mani un momento. Poi la rosa cadde.

In quel momento da un tavolino in un angolo appartato nel verde, partì una sommessa risatina femminile.

Alberto si volse a guardare, e vide due signore; una vestita di nero e l’altra di chiaro; una con un cappello piccolo e l’altra con un cappello grande; una sorrideva e l’altra rideva.

Il coniglio fuggì, morsicato e dilaniato dalla pantera che avrebbe voluto restare.


L’indomani Alberto ricevette un’altra lettera:

«Stasera. Ore nove. Al San Giorgio.

«Siete bello».

Allora la pantera mangiò il coniglio e Alberto vi andò.

Strada facendo egli si domandava: — Quale delle due sarà? Spero sia quella vestita [p. 12 modifica] di nero col cappello piccolo. Mi pareva più carina.

Era quella vestita di chiaro col cappello grande. Sedeva sola a un tavolo, e vicino a lei una sedia inclinata all’orlo della tavola indicava che il posto era preso. Alberto esitò molto prima di accostarsi.

Ella alzò gli occhi, e guardandolo senza sorriso, gli fece un gesto d’invito colla mano. Allora egli, scoprendosi, la salutò. Ella studiò un attimo con occhi lampeggianti i folti capelli e la chiara fronte aperta del giovane.

— Segga — disse indicandogli la sedia appoggiata. — La aspettavo.

Invero non era bella. Aveva un tipo quasi orientale; gli occhi però molto chiari (e sciupati, come per aver visto molte cose inusitate); la bocca tinta un po’ viziosa (e amara, come se su di essa fossero passate molte parole e molti baci); le mani bianche e lunghe (dalle dita irrequiete, come cercanti il contatto di denari e di carezze).

E invero non era giovane. Aveva quell’età indefinita, così difficile a indovinare, della donna molto sicura di sè e molto esperta, che ha talora i gesti di una bambinetta viziata e talora gli sguardi dell’antico serpente del giardino d’Adamo. Aveva quell’apparenza raffinata, stanca e insidiosa di chi molto ha [p. 13 modifica] sofferto e fatto soffrire, e di chi molto ha gioito e fatto gioire, che per alcuni uomini ha un fascino assai maggiore che non la sana, candida e impacciata giovinezza.

Non per Alberto, però, il quale era un’anima semplice e che — eccetto in arte — aveva dei gusti elementari e primitivi. Nella sua pittura egli metteva tutte le stravaganti e morbose eccentricità ch’egli nè sentiva nè credeva sentissero gli altri; ma che, essendo prescritte dalla moda del momento, diventavano ipso facto regolamentari e convenzionali.

Nulla essendovi oggi in arte di più normale dell’anormale, Alberto dipingeva delle mostruosità per paura di sembrare bizzarro.

— Avrete trovato strano il mio annuncio; — disse la signora in una calda voce vellutata, poggiando il mento sulla mano sottile, e fissandogli in viso gli occhi chiari e lunghi.

— Sì, — ammise Alberto — l’ho trovato un poco strano.

— Ebbene — diss’ella, sempre guardandolo fisso — a me pare più strano che voi abbiate risposto.

— Già, — fece Alberto, e i suoi pensieri corsero a Piero con un senso di ostilità. Poi, riprendendosi: — Posso offrirle qualche cosa? [p. 14 modifica]

La signora ordinò svariate bevande che non bevve e vivande che non mangiò. Aveva molta sicurezza e «aplomb», e Alberto si sentiva come un collegiale impacciato e maldestro al suo cospetto.

— Siete giovane, — constatò ella squadrandolo con lentezza dalla punta dei capelli bruni alla punta delle scarpe di vernice: il percorso era lungo ed attraente.

Alberto rise.

— L’annuncio lo esigeva, — disse. — Chiedevate un signore che possedesse tutte quelle doti.... — Tacque.

— ... Che mancano a me? È vero — disse la signora. — Io non sono giovane. Non sono affatto giovane. Quando la vostra bocca suggeva il latte, la mia era già bruciata dai baci degli uomini.

Alberto ebbe uno strano senso di dispetto. La sua gioventù, che gli sembrava una innegabile superiorità, cessava di esserlo, presentata a quel modo. Anche gli fece orrore l’immagine di quegli uomini ch’ella aveva baciato, e gli parve di odiare loro e lei.

— D’altronde — disse la signora, — che cos’è la gioventù? Che cosa conta? Noi donne che l’abbiamo oltrepassata siamo molto più interessanti; e siamo anche più felici. Conosciamo il valore di ogni cosa. Non vi è nulla [p. 15 modifica] di più inquieto ed infelice che la gioventù. — E additando una fanciulla in diafane vesti colle gambe snelle scoperte fino alle ginocchia che passava in quel momento: — Un po’ di tempo fa io ero così. Un po’ di tempo ancora e lei sarà come me. E poi, un po’ di tempo ancora... e saremo morte tutt’e due. Anzi, — disse, volgendosi a guardare Alberto cogli occhi semichiusi, stringendo ed alzando la palpebra inferiore fino a dare ai suoi occhi una strana forma triangolare — anzi, saremo morti tutt’e tre. Anche voi.

— Già! — sospirò Alberto, che non trovava la conversazione soverchiamente gaia. — Anch’io.

— Voi forse prima di noi, — soggiunse la donna, contemplandolo pensosa. — Forse prima di noi.

— E perchè? — fece Alberto, risentito. La signora si strinse nelle spalle che erano esili e spioventi.

— Mah! Così... Un pensiero... — Indi, cambiando tono: — E dunque? che cosa fate di bello al mondo?

Alberto glielo disse, dilungandosi in molti particolari riguardo alla vecchia scuola accademica e il nuovo movimento separatista, raffrontando le tendenze della scuola olandese di Van Gogh a quelle della scuola spagnuola di Bertran Massès, [p. 16 modifica] deplorando le ingiustizie dei concorsi e la inettitudine delle giurìe.

Ella parve interessarsi intensamente a tutto ciò ch’egli le narrava.

— Vi comprendo! — esclamava ogni tanto — ah; vi comprendo. Voi siete «un puro»! Avete la sublime semplicità del genio. Siete come Parsifal: «ein reiner Tor».

Alberto che non capiva il tedesco abbozzò un sorriso che poteva essere di assenso o di protesta.»

— Quanto a me — diss’ella subitamente, — vi avverto che sono una persona corretta e per bene, nonostante il mio strano contegno. Ho molte conoscenze eminenti, e frequento la migliore società.

— Non ne dubito, — disse Alberto.

— Ho messo quell’annuncio un po’ per capriccio, un po’ per trovare qualchecosa o qualcuno di nuovo, di inedito, di diverso... di attraente.... d’inquietante....

— Ed io, sarei forse tutto ciò? — chiese Alberto appoggiandosi indietro alla spalliera della seggiola.

— Tutto ciò, — disse la signora, guardandolo fisso. — Ed altro ancora.

Alberto, sentendosi molto disinvolto e mondano, fece un inchino. E le chiese il permesso di accendere una sigaretta. [p. 17 modifica]

— Siete anche molto bello, — soggiunse la signora, guardandolo mentre il fiammifero gli illuminava il volto di sotto in su. E, per prevenire l’immancabile risposta di lui, che ella indovinava, aggiunse subito sorridendo:

— Anche questo, è vero, l’annuncio lo esigeva! Non essendo bella io...

Alberto fece un debole mormorio di protesta.

— D’altronde... la bellezza... — riflettè lei, stringendosi nelle spalle, — in fondo qual’è la bellezza che conta? la bellezza che veramente ci dà la gioia? Quella degli altri. A me che importerebbe ora di essere una Venere Anadiomène se dovessi star qui seduta accanto a uno spauracchio? Se dovessi parlare e sorridere con un gorilla o un orangutan? No, no! ciò che conta — e di nuovo fissò il giovane con quello strano sguardo penetrante e acuto — ciò che conta è la bellezza altrui. Per me, l’importante è che siate bello voi.

Alberto, non sapendo che cosa rispondere, tacque. Ed ella, dopo un breve silenzio, riprese:

— Quanto a noi donne non belle, abbiamo sulle altre un immenso vantaggio; questo: che l’uomo non ci teme. L’uomo anche più cauto e circospetto si avvicina alla donna non [p. 18 modifica] bella con un senso di tranquillità e di sicurezza, «Questa donna», egli pensa, «non è pericolosa; sarà una creatura di tutto riposo che non mi farà mai soffrire». E calmo egli si confida e si affida a lei. La donna, frattanto, se è astuta e sa quello che fa e quello che vuole, ha il tempo di esplicare le sue arti, di tramare le sue insidie... E quando l’uomo vuole riprendersi, liberarsi, lasciarla... non lo può. La donna brutta lo tiene, lo possiede più profondamente che qualsiasi altra.

— Ah!... certo! — fece il cortese Alberto, crollando saggiamente il capo.

La signora lo guardò e rise. Indi gli offrì l’astuccio delle sue sigarette ch’erano violentemente profumate. — Voi, per esempio, non avete per nulla paura di me.

— Paura? Veramente, no. — disse Alberto.

— Lo so; io sono una creatura innocua. — E sorrise ancora. (Se il biblico rettile del giardino d’Eden possedeva un sorriso, doveva assomigliare al suo). — Mi accompagnate fino a casa?

Alberto la accompagnò fino a casa, una bella casa in corso Umberto; e camminando conversarono di svariate cose. Sulla porta ella gli tese la mano da baciare. [p. 19 modifica] — Venite a trovarmi domani alle cinque. Volete?

Sì; Alberto voleva. E lasciatala con un corretto inchino egli rientrò nella sua «garçonnière» in Corso Cairoli, sentendosi molto calmo e molto soddisfatto di sè, del suo fisico, della sua serata e del mondo in generale. E, sì!... anche di Piero.

Si svestì in fretta; e dormì bene.