Specchio di vera penitenza/Distinzione quinta/Capitolo settimo/Qui si dimostra quale è la differenza ch'è tra 'l peccato veniale e 'l peccato mortale

Da Wikisource.
Distinzione quinta - Capitolo settimo - Qui si dimostra quale è la differenza ch’è tra ’l peccato veniale e ’l peccato mortale

../Qui si dimostra che cosa è il peccato ../Qui si dimostra s’ e’ peccati veniali si debbono confessare IncludiIntestazione 5 dicembre 2014 75% Da definire

Distinzione quinta - Capitolo settimo - Qui si dimostra quale è la differenza ch’è tra ’l peccato veniale e ’l peccato mortale
Capitolo settimo - Qui si dimostra che cosa è il peccato Capitolo settimo - Qui si dimostra s’ e’ peccati veniali si debbono confessare
[p. 172 modifica]

Qui si dimostra quale è la differenza ch'è tra 'l peccato veniale e 'l peccato mortale.


La seconda cosa che dobbiamo vedere, si è la differenza ch’è tra ’l peccato veniale e l’mortale. Dove è da sapere, che peccato mortale è detto da morte: imperò che induce l’anima a morte; come dice santo Iacopo:1 Peccatum cum con summatum fuerit, generat mortem: Il peccato che viene a compimento, genera morte. La morte è privazione di vita. Vita dell’anima è l’amore e la carità2 di Dio e del prossimo. Adunque, ogni peccato che toglie la carità di Dio e del prossimo induce all’anima morte. E questo cotale peccato si chiama peccato mortale; onde dice san Tommaso: Il peccato mortale è detto quello che toglie la vita spirituale dell’anima, la quale vita è della carità. Or come e quando il peccato tolga la carità di Dio e del prossimo, è da considerare; e quindi potremo conoscere qual sia peccato mortale, e, per comparazione e per rispetto di quello, qual sia veniale. Dove è da sapere, che la carità fa amare Iddio sopra tutte le cose, e ’l prossimo come sé medesimo. Così disse Cristo nel Vangelo: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo, et ex tota anima tua, et ex omnibus viribus tuis, et ex omni mente tua: et proximum tuum sicut te ipsum.3 La qual parola esponendo santo Agostino, dice: Ama il tuo signore Iddio con tutto il quore, cioè con tutti gli tuoi pensieri; con tutta l’anima tua, cioè tutta la vita tua; con tutta la mente tua, cioè che tutto il tuo intendimento ponghi nell’amore di Dio, dal quale hai ciò che [p. 173 modifica]tu hai: e non rimanga nell’anima niuna parte che non si dia a Dio;4 e non si dea in lei luogo all’amore di niuna altra cosa che non si riferisca a Dio. San Giovanni Boccadoro lo spone, e dice: Amare Iddio con tutto il quore è, che ’l quor tuo non sia inchinato all’amore di qualunche altra cosa più che all’amore di Dio. Amare Iddio in tutta l’anima, è avere l’animo certissimo nella verità, e essere fermo nella fede. Altro è l’amore del quore, e altro è l’amore dell’anima. L’amore del quore è in alcuno modo secondo l’affetto della carne e della sensualitade, secondo il quale anche Iddio si può amare:5 la qual cosa fare non si puote se altri al tutto non si parte dall’amore delle cose mondane e carnali. Questo amore del quore si sente nel quore. L’amore dell’anima non si sente, ma intendesi; però che tale amore sta nel giudicio dell’anima:6 chè chi crede che appo Dio sia ogni bene, e fuori di lui non essere nullo bene, costui ama Iddio in tutta l’anima. Amare Iddio con tutta la mente, è che tutti i sentimenti, e quegli dentro e quegli di fuori, intendano a Dio. Onde colui il cui intelletto sì leva in Dio, il cui pensiero tratta le cose di Dio, la cui memoria si ricorda delle cose buone di Dio, con tutta la mente ama Dio. Origene, esponendo la detta parola, dice: Amare7 Iddio con tutto il quore, cioè secondo tutta la tua ricordanza, secondo tutto il tuo pensiero e ogni tua operazione: in tutta l’anima amarlo, si è che altri sia apparecchiato a porre la vita sua8 per l’amore di Dio: in tutta la mente, che niuna altra cosa si pensi o dica se non di Dio. Santo Basilio, esponendo la detta parola, dice: In ciò che dice in tutta l’anima, s’intende che Dio s’ami interamente, sanza divisione: imperò che quantunque amore [p. 174 modifica]altri pone nelle creature, tanto altri scema dell’amore del Creatore, nel quale si dee porre tutto l’amore. Siccome interviene se alcuno vasello pieno d’alcuno licore, abbia alcuno foro per lo quale esca o trapeli di quello cotale licore, tanto quanto n’esce, iscema della plenitudine del vasello; così quanto si pone dell’amore alle cose non lecite, tanto scema l’amore di Dio; e tanto ne potrebbe uscire a poco a poco, o per un foro o per più, che non ve ne rimarrebbe niente, e ’l vasello rimarrebbe vôto. Così è dell’amore di Dio. E però si vogliono riturare i fori del quore, che sono i sentimenti e gl’intendimenti e gli affetti che s’aprono a’ piaceri delle creature. Onde il venerabile dottore Massimo dice, esponendo questo passo: La legge ci ammaestra che amiamo Iddio con tutto il quore e con tutta l’anima e con tutta la mente, acciò che ci ritragga dall’amore della gloria mondana,9 e delle ricchezze e della carne. E la Chiosa spone, che s’ami Iddio con tutto il quore, cioè con tutto lo ’ntendimento; con tutta l’anima, coè con tutta la volontà; con tutta la mente, cioè con tutta la memoria, in tal guisa che l’uomo non voglia né senta né ricordisi di cosa contraria a Dio. Con tutto il quore si dee, dunque, amare Iddio, cioè con tutto lo ’ntendimento, sanza errore; con tutta l’anima, cioè con tutta la volontà, sanza contraddizione; con tutta la mente, cioè con tutta la memoria, sanza dimenticanza. E aggiúgnevisi a questo comandamento: con tutte le forze tue; dove si dà ad intendere, che ad amare Iddio, come detto è, l’uomo si dee isforzare con tutto suo potere; e a ciò dare istudiosa opera con diligenza e sollecitudine, non tiepidamente e mollemente, ma ferventemente. Il secondo comandamento si è dell’amore e della carità del prossimo, quando si dice: Ama il prossimo tuo come te medesimo. Sopra la quale parola dice santo Agostino, che l’uomo dee amare sé medesimo in tre [p. 175 modifica]modi. O in quanto egli è giusto, o acciò che sia giusto; e dêsi amare ad avere il premio del giusto vivere, ch’è la beatitudine di vita eterna.10 E similmente dee amare il prossimo suo, ch’è ogni uomo. In prima, dee amare la bontà e la giustizia ch’è nell’uomo, di qualunque condizione si sia, o amico o nimico; e così dee avere in odio la rêtà, la malizia e ’l vizio. E dee amare che l’uomo sia e diventi buono e giusto, giustamente e dirittamente vivendo; e dêlo amare che bene, giustamente e dirittamente vivendo, pervenga alla beatitudine di vita eterna. E questo è amare propriamente il prossimo come sé medesimo. Intendesi ancora questo amore del prossimo, che come l’uomo vuole, per l’amore ch’egli ha a sé medesimo, essere sovvenuto ne’ suoi bisogni, così dee covvenire a’ bisogni del prossimo: e come vuole che gli sieno perdonate le ’ngiurie ch’e’ fa altrui, e non se ne faccia vendetta, così dê perdonare le ’ngiurie fatte a lui, e non voler fare o vedere farne vendetta: e come e’ vuole essere sopportato ne’ suoi difetti, così dee sopportare i difetti altrui: e come l’uomo non vuole essere giudicato delle cose occulte, così non dee giudicare altrui. E, brievemente, quello che volesse che fosse fatto a lui di bene o di cose lecite e oneste, dee egli fare altrui: e quello che non volesse che fosse fatto a lui di male, di danno o di vergogna, non dee volere egli farlo ad altrui. E per questo si toglie un falso amore, col quale altri non dee amare né sé né altrui; del quale dice la Scrittura: Qui diligit iniquitatem, adit animam suam: Chi ama il peccato, ha in odio l’anima sua. Dove si dà ad intendere che l’uomo non dee amare né desiderare quella cosa ch’è dannosa e nociva, né per sé né per altrui, come è il peccato. Onde, chi a fare o a poter fare il peccato, sé amasse,11 non sarebbe amarsi, ma sarebbe aversi in odio: imperò che tale amore, che è di fare la propia volontà, e non quella di Dio; seguitare la sua concupiscenzia o [p. 176 modifica]la sua malizia, e non la dirittura della ragione e della virtù; conduce l’uomo al peccato, e ’l peccato alla eterna morte,12 ch’è il maggiore male che sia e che essere possa. E tale amore non dee avere l’uomo né a sé né al prossimo: chè non sarebbe amare ma odiare; non sarebbe carità, ma impietà; non sarebbe volere altrui bene, ma volere male. Isponsi ancora quello che si dice che tu dèi amare il prossimo come te medesimo, in altro modo. Onde santo Agostino dice: Tu dèi amare te medesimo non per te, ma per Dio; cioè a dire che Dio dee essere il fine dell’amore tuo, al quale, come a sommo e perfetto bene e beatitudine e tuo ultimo fine, si dee ordinare e terminare l’amore tuo, acciò che ’l possi avere, e di lui sanza fine possi godere. E non dèi amare te per te; cioè a dire che tu facci fine te di te, il quale non se’ tal bene, né sì perfetto né sì sofficiente, che tu ti possa fare beato e contento godendo di te; la qual cosa puote fare solamente il sommo e perfetto bene, ch’è Iddio, e non verun’ altra cosa fuori di Dio. Onde amare sé per sé, è amore vizioso, e principio e cagione d’ogni vizio e d’ogni peccato; e chiamasi amore propio, del quale dice san Bernardo: Togli l’amor propio,13 e non sarà lo ’nferno. E santo Agostino dice, che l’amore propio, per lo quale di dispregia Iddio, edifica la città dello ’nferno; come l’amore di Dio, per lo quale sprezza l’uomo sé medesimo, edifica la città di paradiso e di vita eterna. E questo pare che volesse dare ad intendere Iesu Cristo nel Vangelo, quando disse: Qui amat animam suam, perdet eam; et qui odit animam suam in hoc mundo, in vitam oeternam custodit eam: Chi ama l’anima sua, cioè di fare la propia volontà, che non è altro che amare sé medesimo col propio amore, sì la perderà; però che peccando e [p. 177 modifica]vivendo viziosamente (chè ciò fa fare l’amore propio), si perde l’anima: ma chi ha in odio l’anima sua mentre che vive in questo mondo, cioè la sua propria volontà (chè ciò fa fare l’amore di Dio), sì la salverà e guarderà in vita eterna. Non dei dunque, o uomo, amare te medesimo per te, ma per Dio, per lo modo ch’è sposto. E così dei amare il prossimo, non per te, cioè a tua utilità o a tuo diletto; né per lui, ch’egli sia il fine dell’amore tuo: ma per Dio, al quale e per lo quale dei amare te e lui; e dèiti ingegnare che ’l prossimo ami Iddio con tutto il quore e con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutte le forze, come dèi amare e ami tu: e allora tu amerai bene il prossimo tuo come te medesimo. Onde, se consideri bene ciò ch’è detto, vederai chiaramente ch’è uno medesimo amore e una medesima carità quella colla quale s’ama Iddio e ’l prossimo. E però séguita quello che dice la Scrittura, e’ santi dottori che la spongono: che non si puote amare Iddio sanza il prossimo, né ’l prossimo sanza Iddio. Anzi ti dico più: che l’uomo non puote amare Iddio né ’l prossimo, che non ami sé medesimo; né non puote amare sé medesimo, che non ami Iddio e ’l prossimo. Una medesima carità14 e uno amore è. E però dicendo Iesu Cristo nel comandamento dato: Ama il tuo Signore Iddio, e quello che séguita; aggiunse il secondo comandamento, e disse ch’era simile al primo, cioè: Ama il prossimo tuo come te medesimo. Onde il primo comandamento contiene l’amore di Dio, come cosa più degna; il secondo l’amore del prossimo e di te medesimo. A questi due comandamenti, come séguitano le parole15 di Cristo, tutta la legge e i profeti si riducono: sì come santo Agostino espressamente espone, mostrando ciò e de’ dieci comandamenti delle Tavole di Moisé, che si chiama el Dicalogo, e dell’altra Scrittura profetica, evangelica e appostolica. E Rabano dice nella sposizione del [p. 178 modifica]Vangelo: A que’ due comandamenti si riduce tutto il Decalago della legge: i comandamenti della prima Tavola s’appartengono all’amore di Dio; quegli della seconda all’amore del prossimo. Onde san Paolo dice: Fine, cioè finale perfezione16 d’ogni comandamento è la carità. E in un altro luogo dice: Qui diligit proximum, legem implevit: Quegli che ama il prossimo, ha adempiuta la legge. Sopra la qual parola dice santo Agostino: Con ciò sia cosa che sia uno medesimo amore quello con che s’ama Iddio e ’l prossimo, spesse volte la Scrittura prende l’uno per l’altro; come dice l’Appostolo: Diligentibus Deum, omnia cooperantur in bonum. E in un altro luogo: Omnis lex in uno sermone impletur: Diliges proximum tuum sicut te ipsum: A coloro che amano Iddio, tutte le cose s’aoperano in bene. E poi: Tutta la legge si compie in una parola; cioè: Ama il prossimo tuo come te medesimo. E conchiude finalmente l’Appostolo, e dice: Plenitudo ergo legis est dilectio: Adunque, compimento17 della legge è l’amore; col quale si dee amore Iddio per sé medesimo, come finale e perfetto bene; e ’l prossimo e sé medesimo, a Dio, in Dio e per Dio. E non si schiudono da questo amore i nimici, non in quanto sono nimici, ma in quanto s’appartengono a Dio, e sono creature di Dio, fatte alla sua immagine e del suo sangue ricomperate; onde per lo suo amore amare si debbono. Tutte l’altre cose che sono meno che Dio e meno che l’uomo, meno si debbono amare; anzi si debbono amare sì temperamente, che elle non tolgano e non impediscano o diminuiscano l’amor di Dio, e ’l suo medesimo, e quello del prossimo, che tutto è uno. Quando interviene che l’uomo ami cosa veruna quanto Iddio o contro a Dio o più che Dio, allora perverte l’uomo l’ordine della carità che si dee avere a Dio, e peccasi mortalmente. Quando l’uomo fa al [p. 179 modifica]prossimo e contra di lui quello che non vorrebbe che fosse fatto a sé o contro a sé, allora si perverte l’amore della carità del prossimo, e peccato mortale si commette. E non è però da intendere che ogni piccola ingiuria e leggieri offesa che si facesse verso il prossimo sia sempre peccato mortale; ma come si dirà più innanzi. E acciò che s’intenda bene quello ch’è detto dell’amore di Dio, e della carità che si dee avere a lui, alla quale niun altro amore si dee pareggiare o agguagliare; è da sapere ancora, come già in parte è detto di sopra, che Iddio è il sommo bene e l’ultimo fine, ed è finale beatitudine della creatura razionale, cioè dell’uomo; e perciò tutto l’amore, tutto il desiderio, tutto l’affetto in lui si dee ragunare e porre: ogni altra cosa si dee amare in ordine a Dio, cioè che le cose s’amino sì e in tanto, in quanto elle aiutano e inducono18 ad amare Iddio, e fare la sua volontà, la quale ci si manifesta per quelle cose che ci comanda Iddio; onde l’amore e la finale intenzione si dee porre tutta in lui, come nel fine. L’altre cose si debbono amare come cose ordinate al fine, e allora è l’amore e la carità diritta e bene ordinata. Ma se l’uomo perverte questo ordine dell’amore, e, seguitando sua concupiscenzia o sua cupidità o sua vanità, e ’l piacere della propia volontà, ama le cose che sono al fine, per loro medesime,19 come s’ella fossono il fine; e in loro si diletta e riposa coll’amore e coll’affettuoso desiderio, facendo di loro suo fine, e pospognendo l’intenzione20 coll’amore dell’ultimo fine; allora mortalmente pecca: imperò che si spegne la carità, ch’era vita dell’anima e che l’ordinava all’ultimo fine; e l’amore della propia volontà, che parte l’ [p. 180 modifica]anima da Dio e dàlle morte, in lui finalmente risiede. È, adunque, cosa manifesta, che quella cosa è peccato mortale la quale ha il suo originale principio nella volontà, la quale è perversamente iscostata dall’ultimo fine Iddio, amando le creature che sono al fine, come s’elle fossono l’ultimo fine. Poi procede il peccato dall’atto drento della disordinata volontà, agli atti di fuori, vedendo, udendo, parlando, toccando e operando co’ sentimenti o co’ membri del corpo, secondo che la volontà perversa comanda e muove: e ciascuno atto al quale tale volontade muove, è peccato mortale, come da mortale principio si produce e viene. E quando la mala volontà si congiugne coll’atto di fuori, è pure uno peccato mortale; ma quando tra la mala volontà e l’atto o vero l’operazione hae intervallo e spazio di tempo, sono due peccati mortali: l’uno, la mala volontade, con consentimento e diliberazione fermata a volere lo male; l’altro è l’atto di fuori, o vero l’operazione alla quale induce e muove la mala volontade. Onde puote intervenire, anzi tutto dì interviene, che innanzi che si vegna all’atto di fuori d’un peccato mortale, come sarebbe uno omicidio o uno adulterio o altro atto simile, molte volte innanzi mortalmente si pecca: imperò che, quante volte la volontà col consentimento della ragione diliberatamente consente e vuole fare il peccato o pervenire infino all’atto del peccato, o accetta o consente d’avere diletto del pensiero e della immaginazione o della ricordanza del peccato, o già fatto o di quello che s’avvisa che sia possibile a fare, avvegna che non lo volesse fare; per ogni volta si commette peccato mortale. Onde la persona che si confessa, non solamente dê dire i peccati, e le volte che si fanno con gli atti e coll’operazioni di fuori; ma eziandio le male volontadi, con diliberati consentimenti che sono iti innanzi all’atto del peccato, o che si sono avute, sanza mai venire o volere venire all’atto di fuori, o all’operazione del peccato. Peccato veniale è detto quello ch’è leggiere e che è degno di venia; [p. 181 modifica]cioè che agevolmente si perdona, imperò che non toglie la grazia e la carità di Dio e del prossimo, che è cagione di rimessione e di perdono, anzi con essa sta nell’anima: il cui contrario fa il peccato mortale, e però non ha luogo né cagione di perdono; con ciò sia cosa egli schiuda dell’anima la grazia e la carità, senza la quale non si dà perdono. Ma il peccato veniale non schiude e non ispegne l’amore e la carità dell’ultimo fine, cioè Iddio; e non si posa la volontà perversamente, amando le creature che sono al fine, come s’elle fossono l’ultimo fine: avvegna che un poco soprastìa, dimorando in loro per amore21 più che non è bisogno per pervenire, secondo che sono ordinate, all’ultimo fine. E quello cotale soperchio col quale sta la ’ntenzione e l’amore dell’ultimo fine, si chiama peccato veniale. E tante volte si commette, quante l’anima più, che non è mestiere, con vaghezza e soperchievole piacere dimora nelle creature, amandole: nientemeno, conservando sempre principalmente l’amore e la carità del Creatore, il quale è l’ultimo fine,22 non ischiude e non ispegne l’amore e la carità sua, cioè di Dio: il quale è benedetto in secula seculorum, amen.

23Avvegna che mostrato sia secondo la dottrina de’ santi dottori qual è peccato mortale e quale veniale, e la differenza ch’è tra l’uno e l’altro; tuttavia, imperò che la materia è malagevole ad intendere, non solo a’ laici che sono sanza lettera (per li quali spezialmente si fa questo libro), ma eziandio a’ cherici letterati; qui appresso porremo uno esemplo, ovvero una similitudine e parabola, per la quale si darà meglio ad [p. 182 modifica]intendere quando si commette il peccato mortale e quando il veniale: la quale sarà dilettevole alle orecchie, e allo intendimento piacevole e grata; e sarà adornamento e perfezione di tutto il nostro libro.

Note

  1. Nel nostro Testo, e nelle stampe del quattrocento e del Salviati: san Paolo.
  2. Così nel Manoscritto. Le stampe dell'85 e del 25, con forma in questo libro frequente: l'amore della carità.
  3. Mancano al nostro Testo, come all'edizione del Salviati, le parole non necessarie e all'autore non solite, che sono in quelle del 95 e del 25: nell'Evangelio di Sancto Luca.
  4. Nel Codice: a lui.
  5. Ediz. 95: si può trovare et amare.
  6. Nel Testo nostro: sta nell'anima.
  7. Ediz. 95 e 85: ama.
  8. Lezione preferita dagli editori del 25. Le altre stampe, e il Manoscritto nostro: l'anima sua.
  9. Così nelle stampe del 95 e dell'85. Nell'altra e nel Testo: delle cose mondane.
  10. Il Manoscritto, abbreviando: ad avere il premio di vita eterna.
  11. Ediz. 95: s'amassi.
  12. Agli antichi editori più piacque: all'eterna damnazione.
  13. Il solo nostro Codice qui aggiunge, snervando: da te. Gli editori poi del 25, leggendo non sarà allo 'nferno, mostrarono di non comprendere il bel concetto racchiuso nelle parole che seguono.
  14. L'edizione del primo secolo: Una carità.
  15. Il Manoscritto: come seguita nelle parole.
  16. Il nostro Testo: finale perfetto.
  17. Per la cagione detta alla pag. 155 nota 1, l'antica stampa ha qui pure: finimento.
  18. Ediz. 95: sì e in tal modo che l'adiutino e induchino. E non molto diversamente il Salviati.
  19. Non so perchè gli accademici preferissero il leggere a questo luogo: med-esimo. Certo erra il Codice nostro, che pone: medesimi.
  20. Erra pure il medesimo, scrivendo: la tentazione ec. (errore ripetuto poco più innanzi in questo stesso capitolo). Ma noi stiamo colle più vecchie stampe, che nel rimanente col nostro concordano.
  21. Nel Manoscritto: dimorando il loro amore.
  22. Mancano le seguenti e assai legittime parole (conchiudendo il periodo et è benedetto ec.) nelle edizioni del 95 e del 25.
  23. Nel Codice delle Murate non leggesi il pezzetto che segue sino al termine di questo paragrafo. Esso è da noi lasciato sussistere per ovviare ad ogni pretesto di chiamar mutila la nostra edizione; comecchè in esso promettasi un esemplo o parabola, che in tutto il libro, comìè a noi parso, non si rinviene.