Specchio di vera penitenza/Distinzione seconda/Capitolo quinto

Da Wikisource.
Distinzione seconda - Capitolo quinto

../Capitolo quarto ../Capitolo sesto IncludiIntestazione 30 settembre 2015 75% Da definire

Distinzione seconda - Capitolo quinto
Distinzione seconda - Capitolo quarto Distinzione seconda - Capitolo sesto
[p. 25 modifica]

CAPITOLO QUINTO.


Dove si dimostra che a fare penitenzia c'induce la malagevolezza del pentere dopo la lunga usanza.


La quinta cosa che c’induce a fare penitenzia, e presto, è la malagevolezza del pentere dopo la lunga usanza del peccare; chè, come dice santo Agostino: L’usanza alla quale non si contasta, diventa necessitade; e ’l detto comune [p. 26 modifica]si verifica, che uso si converte1 in natura. Onde sono molti, i quali adusati del mal fare e del vizioso vivere, non pare che si possano astenere dal peccato; chè la loro ragione è sì offuscata, e sommessa all’appetito sensitivo, e il libero albitro e sì legato, che non si può recare al bene, se speziale grazia non l’aiuta. E interviene di questi cotali come degl’infermi, a’ quali le lunghe infermitadi invecchiano addosso, che è quasi impossibile o molto malgevole a curargli. E però si vorrebbe tosto, e sanza indugio, colla medicina della penitenzia curare la ’nfermità del peccato, innanzi che raccresca2 o invecchi; chè, come dice san Gregorio: il peccato che colla penitenzia tosto non si lava, col suo peso tosto trae all’altro peccato. E così aggiugnendo l’uno peccato all’altro, cresce la malizia, e incorre l’uomo in molti inconvenienti. In prima: che quanto l’uomo più pecca, si dilunga tanto più da Dio, e tanto più tempo farà bisogno di ritornare a lui; e colui che indugia insino alla morte e alla vecchiezza, si toglie il tempo di potere a Dio tornare. E avvegna che si truovi d’alquanti che pentendosi alla morte furono salvi, non si vuole istare a quello rischio; chè, come dice santo Ierolimo: Il privilegio di pochi non fa legge comune. Anzi dicono i Santi, che Dio sottrae spesse fiate la grazia sua nella fine a molti i quali la rifiutarono quando erano vivi e sani.

Come conta santo Gregorio d’uno, il quale venendo alla infermitade della quale morì, e vedendosi venire grande moltitudine di demonii per portarne l’anima sua, comandando quegli che parea il maggiore di loro, che l’anima gli fosse ischiantata di corpo, cominciò a gridare ad alta boce: Indugia pure in sino a domani; indugia pure in sino a domani.3 Infra le quali parole non essendo esaldito, con doloroso pianto, [p. 27 modifica]traendo guai, morì; e l’anima sua fu portata da’ diavoli alle pene dello ’nferno. L’altro inconveniente si è, che quanto l’uomo più indugia la penitenzia, più pecca; e più peccando, fa maggiore soma; sotto la quale conviene che perisca, se non tiene il consiglio di san Paolo, che dice: Deponentes omne pondus, et circumstans nos peccatum: Poniamo giuso il peso, e ’l peccato che ci sta d’intorno d’ogni parte.

Leggesi nella Vita de’ Santi Padri, che una volta santo Arsenio udì una voce, la quale disse: Vieni, e io ti mostrerò l’opere degli uomini. E andando, vide uno che tagliava legne, e fattone uno grande fastello, s’ingegnava di portarnelo; e non potendo per lo grave peso, lo posava giuso: e anche tagliava delle legne e aggiugneva al fascio, e riprovavasi se portare lo potesse: e non potendo, ancora tagliava delle legne e arrogeva al fascio, donde ne dovea iscemare se portare lo volea. E pure accrescendo del peso, e ponendosi addosso, vi cadea sotto. E disse la voce: Questi sono coloro che arrogendo peccati a peccati vivendo, vi periscono sotto. Anche vide due uomini a cavallo, che portavano due grandi legni attraverso, e voleano entrare per la porta d’uno tempio, e non poteano. E di costoro disse la voce, che significano coloro che portano la giustizia delle buone opere colla superbia.

Anche vide uno che stava alla riva d’uno pelago, e traevane con uno vasello dell’acqua, e mettevala in una citerna forata e rotta, sì che non ne ritenea niente. E disse la voce: Questi significa coloro che avendo alcune buone opere, hanno tante delle ree, che fanno perire le buone. Ingegnânci dunque, fratelli, di non accrescere, ma di scemare il grave peso del peccato. Il qual peso sentiva David profeta, il quale si rammaricava e dicea: Quoniam iniquitates meoe supergressoe sunt caput meum, et sicut onus grave gravatoe sunt super me: Le mie iniquità mi sono salite in capo, e come uno grave peso sono gravate sopra di me. Ma l’uomo stolto la [p. 28 modifica]maggiore soma serba alla vecchiezza e alla infermità, la quale piccola non puote portare giovane e sano. L’altro inconveniente si è, che quanto l’uomo più pecca, più si torce e più indura, e però poi più malagevolmente si piega e dirizza; come il legno vecchio è torto più tosto si rompe e arde, che non si dirizza e piega. Tegnamo adunque il consiglio di san Piero, il quale dice: Poenitemini igitur, et convertimini, ut deleantur peccata vestra: Pentetevi e convertitevi, acciò che i vostri peccati vi sieno perdonati. E ciò si vuol fare tosto, come ci ammaestra il profeta Ioel, che dice: Nunc convertimini ad Dominum Deum vestrum, quoniam benignus et misericors est: Ora sanza indugio vi convertite al vostro Singore Iddio, però ch’egli è benigno e misericordioso. Onde santo Agostino, sponendo il Salmo, dice: La penitenzia tua, acciò che sia fruttuosa, non sia serotina né tardi. Oggi ti correggi tu che se’ peccatore; imperò che colui che sarà tuo giudice, cioè Iesu Cristo, oggi è tuo avvocato; siccome dice santo Giovanni Vangelista: Advocatum habemus apud patrem Iesum Christum iustum: Noi abbiamo appo il Padre per avvocato nostro Iesu Cristo giusto; nel quale dobbiamo avere fidanza che ci darà vinto il piato. E però, dolci fratelli, sappiâllo usare ora per favorevole advocato, che iscusi i nostri falli; che alleghi la naturale fragilitate; che accusi i nostri avversari; che interponga il merito della sua passione, per la quale tutte le offese ci sono perdonate: e nolla indugiamo tanto, che ce lo convenga avere giudice de’ nostri peccati, e delle nostre colpe duro e giustissimo punitore.

Note

  1. Il Manoscritto: che usanza converte.
  2. Ediz. del 95: cresca.
  3. La replicazione, non mancante di efficacia, è solo nella stampa del primo secolo.