Specchio di vera penitenza/Trattato dell'umiltà/Capitolo quinto

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Trattato dell'umiltà - Capitolo quinto

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Trattato dell'umiltà - Capitolo quinto
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CAPITOLO QUINTO.


Dove si dimostra quali sono i segni della vera umiltà.


La quinta cosa che resta a dire, si è de’ segni della vera umilità. Et è il primo segno che altri sia umile, s’egli ama le persone umili, e se volentieri usa con loro; imperò che, come dice il savio Ecclesiastico: Omne animal diligit sibi simile: Ogni animale ama il suo simile. Il secondo segno è l’amore della propia viltà; cioè che l’uomo si tenga vile e ami d’essere reputato vile; del quale dice San Bernardo: Il vero umile vuole essere reputato vile, e non vuole esser tenuto umile né della umiltà lodato. Onde, come a lui medesimo non pare essere umile ma sì vile, così da altrui vuole essere tenuto vile, ma non umile. E di ciò interviene, come dice santo Gregorio, che quanto l’uomo è più vile dinanzi agli occhi suoi, tanto è più prezioso dinanzi agli occhi di Dio. E però quel santo re David dicea: Io mi farò più vile, e sarò umile negli occhi miei. Il terzo segno della vera umilità si è che l’uomo voglia ne’ fatti suoi il consiglio altrui, e credalo; chè, come l’uomo superbo crede più al senno suo che all’altrui consiglio (del quale dice san Gregorio, che se non si tenesse migliore che gli altri, non posporrebbe1 gli altrui consigli alla sua [p. 258 modifica]diliberazione), così l’umile crede più all’altrui consiglio che al suo parere. Il quarto segno è ch’altri fugga gli onori e grandi ofici, e volentieri faccia gli ofici vili.

Leggesi nella Vita de’ Santi Padri, che un santo padre, adornato di molte virtude, pregò Iddio che gli mostrasse in che stava la perfezione dell’anima. E domandando di ciò un altro santo padre, egli rispose per rivelazione di Dio, e domandòllo s’egli era acconcio di fare tutto ciò ch’egli dicesse; e quello rispondendo di sì: – Or va, dissegli, e pasci i porci; – e così fece. Per la qual cosa diceva la gente, ch’egli era impazzato, e facevansi beffe di lui; ma egli conservava dentro la virtù dell’umltà, e godeva dello scherno di fuori e del vile oficio. E dopo certo tempo,2 e’ santi padri conosciuta la sua perfetta umilità, lo rivocarono al monastero suo.

Il quinto segno della vera umilità si è se altri è obbediente prontamente, sanza indugiare o scusare la ingiunta obbedienza. Onde, come la disubidienza viene da superbia (come si dimostrò ne’ primi parenti dell’umana natura, siccome è detto di sopra),3 così la pronta obbedienza nasce dalla vera umilitade. Insegno di ciò, parlando l’Appostolo della ubbidienza di Cristo, premisse l’umilità, dicendo: Egli umiliò sé medesimo, fatto4 obbediente insino alla morte. Il sesto segno d’umilità si è sostenere le ’ngiurie e gli oltraggi, e le villanie de’ fatti e delle parole,5 non solamente con pazienzia, ma con letizia. Onde dice santo Ierolimo: La pazienzia nelle ’ngiurie mostra l’uomo essere umile. E san Gregorio dice: La villania fatta altrui, pruova chente l’uomo sia dentro appo sé.

[p. 259 modifica]Il quale scrive ch’ e’ fu uno santo uomo ch’ebbe nome Costanzio, il quale avvegna che fosse molto sparuto e di piccola statura, era di virtù e di santità grande appo Dio. E crescendo l’oppenione e la fama della sua santità appo le genti, molti venivano di diversi paesi a vederlo, e domandare lo benificio delle sue orazioni. Fra l’altre, vi venne una fiata uno villano materiale e grosso per vederlo; e domandando di lui, gli fu mostrato che accendea le lampane e rifornivale d’olio. Vedendo costui la persona piccola e sparuta, l’abito dispetto e l’oficio vile, non potea credere che fosse colui del quale per fama avea udite sì gran cose. Ed essendogli pure affermato ch’egli era desso, disse: – Io mi credea trovare6 uno uomo grande e appariscente, del quale si dicevano tali e sì maravigliose cose: costui non ha niente d’uomo: che potrebbe egli avere in sé di bene? – Udendo ciò il servo di Dio, lasciò stare le lampane, e corse e abbracciò colui e baciòllo, dicendo: – Or tu se’ colui c’hai giudicato il vero di me: tu m’hai conosciuto: tu solo hai avuto gli occhi aperti de’ fatti miei;7 – e profferéndoglisi, molto lo ringraziò. Di quanta umilità, dice san Gregorio, fu costui il quale più amò colui che lo spregiava! Chè, come i superbi degli onori si rallegrano, così gli umili si rallegrano degli spregi e de’ disonori; e son contenti di vedersi tenere vili e dispetti nel parere altrui, come sono appo sé nel parere loro. E della umilità basti quello che brievemente n’è scritto.

Note

  1. Il Testo a penna: non sottoporrebbe.
  2. Nel Codice nostro si legge: Ed a poco tempo; che i raccoglitori delle quisquilie grammaticali non lasceranno forse passare inosservato. Ma badino i raccoglitori siffatti, che un dopo male scritto potè da un menante esser inteso da po, e facilmente mutata in co una delle abbreviazioni di certo.
  3. Mancano le parole da noi poste tra parentesi, così nel Testo nostro come nelle due antiche edizioni.
  4. Nel Manoscritto: essendo.
  5. Ivi: di fatti e di parole.
  6. Così nel Testo, e nelle stampe: ch' e' fussi (o fosse).
  7. Avere gli occhi aperti di una cosa, è frase non raccolta finora dagli spigolatori delle nostre eleganze.