Specchio di vera penitenza/Trattato della superbia/Capitolo sesto
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CAPITOLO SESTO.
Dove si dimostra la punizione e la pena della superbia.
Nel sesto luogo si dee dire della punizione e della pena della superbia. Dove è da sapere che, come è detto di sopra, Iddio ha sommamente in odio questo vizio; e imperò, dov’egli è è detto misericordioso e pietoso a’ peccatori, come tutta la santa Scrittura e coll’opere e colle parole suona,[1] solo contro a’ superbi è aspro e duro. Onde il detto vizio gravemente punisce e danna; sì come si legge del primo Angiolo chiamato Lucifero,[2] che per la superbia fu cacciato di cielo. Anche Adamo, il primo padre dell’umana natura, per questo vizio fu cacciato del[3] paradiso delitiarum. La torre di Babello[4] fu distrutta, le lingue confuse, e’ linguaggi divisi. Golia ne fu morto, Aman impiccato, Nicanore ucciso, Antioco umiliato, Faraone annegato, Sennacherib da’ figliuoli suoi ne fu morto, Saul isconfitto e da’ nemici suoi morto, Roboam del reame privato, Nabucodonosor gittato fuori della signoria e tra le bestie deputato, Erode mal finì e da Dio fu reprobato;[5] e così di molti altri re e principi si legge nella santa Scrittura, che per la loro superbia furono da Dio abbattuti e giudicati. De’ quali dice la santa Scrittura: Sedes ducum superborum destruxit Deus: Iddio ha distrutte le sedie de’ duci e de’ rettori superbi. E in un altro luogo dice il savio Ecclesiastico: Perdidit Deus memoriam superborum: Iddio ha perduta,[6] cioè distrutta, la memoria de’ superbi uomini. Non solamente nella santa Scrittura si truova gli superbi da Dio essere distrutti e giudicati, ma eziandio nelle scritture de’ secolari; come si legge nelle storie de’ Greci e de’ Romani, de’ Caldei, de’ Soriani e Indiani, e di molti altri, de’ quali raccontare sarebbe troppo lungo. I poeti scrivono di molti, che per lo vizio della superbia furono da Dio percossi e fulminati;[7] come dicono spezialmente di certi giganti che, levati in superbia, vollono cacciare gl’iddii del cielo: dell’uno de’ quali, ch’ebbe nome Tifeo, iscrive Ovidio nel libro suo[8] Metamorfoseos, e della sua superbia e della sua punizione, belle cose, poetando; le quali si scrivono stesamente nel nostro libro fatto in latino. Qui basti quello ch’è detto brevemente, a dare ad intendere come Iddio abbia in odio il peccato della superbia, e come gravemente lo punisce. La qual cosa si mostra chiaramente nel libro della Bibbia che si chiama Numeri, dove si scrive così: Anima quoe per superbiam aliquid commiserit, sive civis sive peregrinus, quoniam adversus Deum rebellis fuit, peribit de populo suo: L’anima, cioè l’uomo, che commetterà alcuno fallo per superbia, o cittadino o che sia forestiere, però che fu ribello contro a Dio, perirà del popolo suo; cioè sarà morto. Onde si dà a intendere la gravezza del peccato della superbia; che con ciò sia cosa che Dio comandasse che gli altri peccati si purgassono con sagrifici e con certe offerte, la superbia comandò che si punisse con pena di morte. E ciò si dimostra per uno miracolo espresso che una volta intervenne.[9]
Leggesi scritto da san Piero Damiano, che fu in Borgogna un cherico, il quale aveva[10] acquistato uno grande benificio nella chiesa di san Maurizio, del quale era stato lungo piato tra lui e uno possente cherico del paese: ma costui, non forse perché avesse più ragione, ma perché avea avuto grande favore[11] da ceti baroni della contrada, l’avea vinto, ed erane in possessione. Una mattina, essendo egli in chiesa alla messa, e cantandosi quello vangelo dove nella fine disse Iesu Cristo: Qui se humiliat exaltabitur: Chi s’aumilia sarà esaltato; volsesi costui a’ compagni, e disse: – L’altre parole del Vangelo possono essere vere, ma questa pure è falsa; chè se io mi fossi umiliato al mio avversario, non possedere’ io[12] questo beneficio con tante ricchezze.[13] – Detta questa parola, venne subitamente un tuono grandissimo, e una saetta[14] gli entrò per la bocca, colla quale avea detta quella abominevole parola[15] e lasciòllo in quello medesimo luogo morto, la lingua e la strozza tutta arsa e fattone carbone.[16] Onde santo Iob, considerando la grave offesa de’ superbi, diceva a Dio: Disperge superbos in furore tuo; e più oltre: Respice cunctos superbos, et confunde eos. Ragguarda tutti gli uomini superbi, e confóndigli e spérgigli nel tuo furore, sì che non si trovi l’uno dove l’altro.
Note
- ↑ Sarebbe stato qui da seguir piuttosto l'apografo (giacchè il traslato suona non si confà troppo bene con opere) e la stampa del quattrocento, i quali hanno come tutta la santa scrittura manifesta e coll'opere, se in ambedue non fosse stato omesso di soggiungere e colle parole.
- ↑ Nel Testo: Lucibello; ch'è voce usata oggi pure tra il popolo, in ispecie delle campagne.
- ↑ Di, men bene, nel Codice e nella stampa del 25.
- ↑ Il Manoscritto: di Babilonia.
- ↑ Manca nel Codice la maggior parte di questa allegazione di esempi; e del rimanente, continua: E così di molti altri principi si legge nella Iscrittura: Sedes ect.
- ↑ Esempio, per chi compila vocabolarii, da non dimenticarsi. Le stampe del 95 e dell'85 hanno: perduta e distrutta.
- ↑ É giunta oziosa del Testo a penna: cioè da saetta.
- ↑ Segue qui il Codice, abbreviando: della quale punizione belle cose poetando disse, le quali ec.
- ↑ Il Testo, che in questi capitoli ha varietà degli altri assai più frequenti del solito, stringe qui le parole: per uno miracolo che intervenne.
- ↑ Aveva è nella sola edizione del Salviati. Il Manoscritto ci offre: conquistato ch'ebbe un beneficio; e la stampa del 95: acquistato un gran benefitio; con lunghezza soverchia e rinvoltura del periodo che appena verrebbe a risolversi colle sì lontane parole: volsesi... e disse. Chi tuttavia, dopo noi, stimasse preferibile questa lezione, che più piacque agli Accademici del 25, potrà, con addattarvi le pause e le parentesi, concederle luogo nel testo.
- ↑ Nel Testo: ma perchè ebbe aiuto.
- ↑ Ediz. 95 e 85: non harei (o avrei) io a tenere.
- ↑ Manca con tante ricchezze nel Codice.
- ↑ Ediz. 25 tramette: folgore; 95 e 85: focosa.
- ↑ Nelle stampe: bestemmia.
- ↑ Così le stampe; ed il Testo, non con maggiore eleganza: la lingue e la gola tutta gli arse e fecene carboni.