Specchio di vera penitenza/Trattato della superbia/Capitolo terzo/Qui si pone un'altra distinzione della superbia, la quale si distingue per dodici gradi
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Qui si pone un'altra distinzione della suberbia, la quale si distingue per dodici gradi.
Un’altra distinzione pone san Bernardo della superbia nel libro de’ Dodici gradi dell’umiltà; e dice che dodici sono i gradi della superbia. Il primo si è curiosità, ch’è una disordinata vaghezza di sapere, udendo, vedendo e sperimentando1 cose disutili, vane e non necessarie. Il secondo grado è levità di mente, la quale si dimostra nelle parole superchievole2 e vane, e ne’ reggimenti dissoluti e leggieri. Il terzo grado è inetta letizia, cioè letizia sconcia e disdicevole, la quale si dimostra nel riso e negli atti incompositi e disonesti. Il quarto grado è ingiattanza,3 cioè vantarsi, lodandosi vanamente. Il quinto grado si è singularità, quando la persona fa alcuna cosa di vista o d’apparenza singularmente oltre agli altri atti. Il sesto si è arroganza, per la quale l’uomo si tiene e crede essere migliore e maggiore che gli altri. Il settimo grado si è presunzione, per la quale la persona riputandosi più valente o più savia4 che gli altri, prosume di fare o di dire oltre al dovere, o fare imprese che non fanno o che non attentano5 di fare gli altri. L’ottavo grado è la defensione de’ peccati, per la quale l’uomo non volendo confessare umilmente i suoi peccati e dirne sua colpa, sì gli difende e scusa, e dice che non gli ha fatti: o se dice che gli ha fatti, iscusa il male dicendo: – Io feci bene; – o, se pure confessa d’aver fatto male, dice: – Non fu così grande male; – o se dice che fu grande male, dice: – Io lo feci per bene e a buona intenzione; – o e’ dice: – Altri me ne fu cagione, e fécemelo fare. – Lo nono grado della superbia è simulata confessione de’ peccati, per la quale avvegna che altri confessi colla sua propia bocca d’essere peccatore, nollo fa sinceramente né con buono quore; ma non potendo ricoprire o scusare i suoi difetti, egli stesso gli dice e aggravagli, dicendo ancora più che non è, e colle parole e co’ sembianti umili, acciò che udendo altri quello che dice e mostra di se medesimo impossibile e incredibile, non si creda quello ch’è, o quello ch’altri creda o sappia. Il decimo grado è rebellione, per la quale altri è contumace e disubbidente6 a’ suoi maggiori, a’ quali dee essere suggetto. L’undecimo grado è libertà di mal fare, la quale l’uomo, posta giù la vergogna e la paura, desidera d’avere, acciò che sanza niuno impedimento possa adempiere i suoi desiderii e fare la sua volontade. Il duodecimo grado della superbia è l’usanza del peccare, per la quale l’uomo, dimenticando il timore di Dio e la propia salute, e a’ carnali desiderii tutto dato, ispregia Iddio e’ suoi comandamenti, non usando la ragione, ma seguitando la viziosa consupiscenzia. Questi dodici gradi della superbia si prendono per lo7 contrario a’ dodici gradi della umiltà i quali pone santo Benedetto nella Regola sua e san Bernardo nel libro suo; e comprendono questi gradi non pure le spezie della superbia, ma certe cose viziose che vanno innanzi e séguitano alla superbia e agli altri vizi: e però non si spongono qui con diligenzia e stesamente, come fu fatto di sopra nelle spezie della superbia; e anche perché più innanzi se ne dirà, trattando di quei vizi a’ quali s’appartengono, nel luogo suo, di ciascuno.
Note
- ↑ Ediz. 25: spermentando; e il Manoscritto, erroneamente: remirando.
- ↑ Ediz. 95: superflue.
- ↑ Così nel nostro Testo. E le edizioni: 95: iniaetantia; 85 e 25: iniattanza (o injattanza). Voce, sotto alcuna di tal forme, non registrata dalla Crusca.
- ↑ Ediz. 95 e 85, più valere et (e) più sapere.
- ↑ Seguitiamo la stampa del 25, leggendo le anteriori non meglio, e con esse il Codice: non attendono.
- ↑ Così nel Manoscritto.
- ↑ Ediz. 95: per il. E il nostro apografo: per contrario di dodici ec.