Riverenza ed Amor: ma pur sì pio
Aprivi il riso, e non so che di noto
Mi splendea de’ tuoi guardi, che Amor vinse,
E m’appressai securo. E quel cortese,
Di cui cara l’immago ed onorata25
Sarammi infin che la purpurea vita
M’irrigherà le vene, a me rivolto,
Con gentil piglio la tua man levando,
Fea d’offrirmela cenno. Ond’io più baldo
La man ti stesi; ma tremò la mano30
E il cor: chè tutto in su la fronte allora
Vidi il dio sfolgorarti, e tosto in mente
Chi sei mi corse, ed in che pura ed alta
Aria nutrita, ed a che scorte avvezza.
Mesto allor la tua vista abbandonai;35
Ma l’inquïeto immaginar, che sempre
Benchè d’alto caduto in alto aspira,
Sovra l’aspro sentiero a vol si mosse
Del tuo vïaggio, e a te fidato, al sommo
Stette de l’Alpe, e si librò securo40
Sovra i vestigi e i desidèri umani.
Poi riverito il tuo celeste nido,
Di pensiero in pensier, di monte in monte,
Seguitando il desìo, vêr la mia sacra
Terra drizzai le penne, ed i cognati45
Rèti giganti valicando, alfine
Vidi l’Orobia valle. Ivi un portento
Al mio guardar s’offerse: una indistinta
Aeria forma or si movea qual pura
Nuvoletta d’argento, ed or di neve50
Fiocco parea che un bel cespuglio vesta.
Ma pur l’immagin bella e fuggitiva
Tanto con l’occhio seguitai, che vera
Alfin m’apparve, a te simile alquanto,
Vergin nè tocca nè veduta ancora,55
E d’immortal concepimento anch’ella.
Non tenea scettro, non cingea corona