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Versione delle 18:44, 28 nov 2013

Questo è quanto all’universale esplicazione della figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante secondo l’opinione del Manetti, mi parea necessario doversi dire.

Resta ora, per intera satisfazione di quanto al principio promettemmo, con una breve narrazione del viaggio fatto dal Poeta per tale Inferno, che comprendiamo alcune cose particolari e degne d’esser sapute; e nel medesimo tempo accenneremo di nuovo l’ordine, numero, distanze e larghezze de i cerchi infernali, acciò che meglio nelle menti vostre restino impressi.

Nel mezzo del cammin di nostra vita
  Mi ritrovai in una selva oscura,
  Che la diritta via era smarrita;

e questo fu l’anno della nostra salute 1300, anno di giubbileo, di notte, essendo la luna piena. La selva dove si trovò è, secondo il Manetti, tra Cuma e Napoli, e qui era l’entrata dell’Inferno; e ragionevolmente la finge esser quivi: prima, perché ’l cerchio della sboccatura dell’Inferno passa a punto intorno a Napoli; secondo, perché in tal luogo, o non molto lontani, sono il lago Averno, monte Drago, Acheronte, Lipari, Mongibello e simili altri luoghi, che da gli effetti orribili che fanno paiono da stimarsi luoghi infernali; e finalmente giudica, aver il Poeta figurata ivi l’entrata dell’Inferno per imitar la sua scorta, che in tal luogo la pose. Quindi arrivati alla porta dell’entrata, sopra la quale erano scritte di colore oscuro le parole:

Per me si va nella città dolente,
  Per me si va nell’eterno dolore,
  Per me si va tra la perduta gente;

cominciarono a scendere per una china repente, finché arrivarono alla grotta de gli sciagurati, spiacenti a Dio ed al suo inimico.