Colonizzare la noosfera/La gioia dell'hacking: differenze tra le versioni

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Versione attuale delle 15:42, 8 set 2014

La gioia dell'hacking

../La cultura hacker come economia del dono ../Le molte facce della reputazione IncludiIntestazione 8 settembre 2014 75% Open Source

Eric Steven Raymond - Colonizzare la noosfera (1998)
Traduzione dall'inglese di Bernardo Parrella (1999)
La gioia dell'hacking
La cultura hacker come economia del dono Le molte facce della reputazione


Nell’affrontare l’analisi del “gioco della reputazione” non intendo qui affatto svalutare o ignorare la pura soddisfazione artistica di progettare un software bellissimo e farlo funzionare. Una soddisfazione che abbiamo provato un po’ tutti e che ogni volta ci fa rifiorire. Le persone per cui ciò non rappresenta una motivazione significativa, non diventeranno mai degli hacker, proprio come quanti non amano la musica non potranno mai divenire compositori.

Forse dovremmo quindi considerare un altro modello di comportamento per il quale motivazione primaria è la pura gioia dell’artigiano creativo. Secondo tale modello, le abitudini degli hacker vanno spiegate come un modo per massimizzare sia le opportunità “dell’artigianalità” sia la qualità dei risultati. È forse vero che ciò si pone in conflitto con (o suggerisce esiti diversi da) il modello del “gioco della reputazione?”

Non proprio. Analizzando il modello “dell’artigianalità”, torniamo ai medesimi problemi che impongono al regno hacker di operare come una cultura del dono. Come è possibile massimizzare la qualità se non esiste un metro per misurare quest’ultima? Se non è possibile applicare l’economia della scarsità, quali unità di misura sono disponibili oltre la valutazione dei colleghi? In definitiva sembra che ogni cultura dell’artigianalità debba auto-strutturarsi attraverso il gioco della reputazione – in realtà, possiamo osservare tali dinamiche all’interno di molti contesti storici, dalle corporazioni medievali in poi.

Sotto un aspetto importante il modello dell’artigianalità appare comunque più debole di quello della cultura del dono; da solo non basta a spiegare la contraddizione con cui abbiamo iniziato questo saggio.

Alla fin fine, la motivazione dell’artigianalità in sé può non rivelarsi così psicologicamente lontana dal gioco della reputazione come potremmo invece ritenere. Immaginiamo che quel bellissimo programma appena realizzato rimanga chiuso in un cassetto senza mai essere usato un’altra volta. E fantastichiamo invece che possa essere utilizzato efficacemente e con piacere da molta gente. Quale dei due sogni sceglieremmo?

Ciò nonostante, è il caso di tenere un occhio aperto sul modello dell’artigianalità. Intuitivamente attira molti hacker, oltre a illustrare abbastanza bene alcuni aspetti dei comportamenti individuali.

Dopo aver pubblicato la prima versione di questo saggio, ho ricevuto un commento anonimo: “Non è che lavori per farti una buona reputazione, ma se hai fatto un buon lavoro il pagamento concreto che ne deriva sono le conseguenze della buona reputazione.” Si tratta di una questione sottile e importante. È la buona reputazione a costituire un continuo incentivo a lavorare, sia che l’artigiano ne sia cosciente o meno. In definitiva, quindi, sia che un hacker comprenda o meno il proprio comportamento come parte del gioco della reputazione, sarà tale comportamento a dar forma al gioco stesso.