L'astronomo Giuseppe Piazzi/Capitolo IX: differenze tra le versioni

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Versione delle 20:53, 6 nov 2014

Capitolo IX

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Capitolo VIII Capitolo X

[p. 105 modifica] [p. 106 modifica]repubblica Romana; Mascheroni per la repubblica Cisalpina; Multedo per la repubblica Ligure, e Tralles per la repubblica Elvetica.

Tale impresa era altrettanto ardua quanto umanitaria e grandiosa, toccando immediatamente a’ più vitali interessi delle popolazioni, alle fonti anzi del loro materiale benessere; chè, stabilendo essa su principi ragionevoli ed esatti le forme e le condizioni degli scambi, facilitava i commerci e l’utilità dei prodotti e, costituendo uno dei più potenti veicoli di prosperità e progresso nella vita interna delle nazioni e ne’ loro esteri rapporti, determinava nuova êra di prosperità e di progresso. In ogni tempo e paese legislatori ed economisti avevano segnalato questo bisogno, da Mosè, che aveva scritto: «Tu non avrai che un sol peso giusto e vero, nè riterrai presso te che una sola fedele misura,1» a Carlo Magno (per tacere di altri), il quale spesso ripete ne’ suoi Capitolari: æquales mensuras et rectas omnes habeant. Pondera vel mensuræ ubique æqualia sint et juxta, etc. E il Piazzi che conosceva gli studi che se ne erano fatti, e che anzi aveva accompagnato, come si disse, il Cassini, il Méchain e il Legendre nel settentrione della Francia per istituire la differenza dei meridiani tra Greenwich e Parigi, giunto a Palermo, vi recava, sebbene con idee diverse, i principi di questa riforma.

Pertanto allora che, più tardi, sulla domanda del [p. 107 modifica]generale parlamento di Sicilia, 10 luglio 1806, Ferdinando III accordava la unità e uniformità dei pesi e misure per tutto il regno, pensava doversi tosto costituire una Deputazione, composta di tre illustri e benemeriti professori di quell'università, i quali furono appunto il p. Giuseppe Piazzi, Domenico Marabitti e Paolo Balsamo, con ufficio di «presentare un piano di uniformità di pesi e misure semplice, chiaro e adatto alla intelligenza comune.» Ne fu anima il Teatino, e la relazione presentata al re, il 1° febbrajo 1809, stesa da lui, mostra quant’amore e sapere e’ ponesse nella seria impresa. Da essa però si rivela il suo dissentire dai principi che avevano fatto trionfare in Francia il sistema decimale, al quale Piazzi non previde la fortuna che noi oggi constatiamo quasi dovunque incontrata. Infatto egli scrisse: «Egregio, bellissimo sistema! quante volte si trattasse di darlo o ad una nazione che non ne avesse alcuno, o ad una società di filosofi, ma non tale certamente nè per la Francia istessa, nè per il rimanente dell’Europa. Una rivoluzione generale in un affare di tanta grandezza e di tante conseguenze, opera non è del momento, nè forse di secoli e secoli... Oltre di che, ove insorgesse qualche dubbio sulla vera lunghezza del metro, che si farebbe mai? Converrebbe rimisurare un arco del meridiano...

«E se la nuova misura per la diversità di strumenti, di luogo o di altro accidente, risulterà alquanto diversa dalla prima, come si risolverà la quistione? Converrà, non vi ha dubbio, ricorrere ad una misura [p. 108 modifica]convenzionale. Perchè dunque una misura convenzionale (siccome rifletteva Lalande, quando si propose la lunghezza del pendolo a secondi per misura universale) non si è da principio stabilita per unità fondamentale, e per essa non si è adottato il piede del Re, reso ormai comune in tutta l’Europa? 2» Scientificamente però i suoi dubbi non erano cosa nuova, nè di lieve momento.

Mosso da queste idee, combinando le molteplici misure e denominazioni esistenti a Palermo con quelle di varie nazioni europee, credette mercè una savia riforma renderle preferibili a ogni altra; determinò quindi il nuovo palmo, restituendolo cioè all’originale grandezza dell’antico siciliano, e facendo su lo stesso costruire tre campioni della canna e tre della mezza canna. Dai campioni delle misure di lunghezza e capacità passò a quei di peso, prendendo ad unità fondamentale il rotolo; il tutto ragionando con logica, corroborando con raffronti e con fatti ch’è fuor dell’opera rassegnare. Avversò la progressione decadica, ed è noto quanti dotti l’abbiano avversata e quali e quante controversie, ne sieno sorte; e poiché le misure principali a comodo del commercio voglionsi dividere in parti minori e raccogliere in masse maggiori, così, nei suo sistema, tutto si fa pel numero due e pe’ suoi multipli, divisione la più semplice, la più agevole e [p. 109 modifica]spedita. Questa specie di calcolo, scrive egli stesso, non supera la capacità del più idiota: le nuove unità, sia per aumento, sia per diminuzione, hanno sempre una piccola differenza colle precedenti: a piccoli passi si va dall’una all’altra; l’immaginazione ne vede il rapporto senza fatica, le unisce, le separa a occhiata, ecc. Infatti gli Orientali, ai quali dobbiamo le cifre e l’attuale nostro sistema metrico, che intieramente dipende dalla progressione decadica, mai non si avvisarono di applicar questa alle misure, e certamente non per altra ragione, se non perchè ne conoscevano gl’inconvenienti3. Nè potè valutare l’esempio dei Chinesi, presso i quali essa è in uso, «formando questi una nazione tutta particolare e da noi poco conosciuta.»

Troppo lungo tornerebbe qui riferire gli studi in proposito, le tavole sinottiche, di riduzione, la costruzione dei modelli, l’accuratezza e sagacia di questi lavori; e, non ostante l’inoltrarsi degli anni, la sua operosità continuava lucida, calma e serena. 45 [p. 110 modifica]

Non solo Piazzi aveva dimostrato desiderio sempre vivo di soggiornare costantemente in Sicilia, ma di lasciarvi pur le sue ossa: nè sono semplice finzione poetica i versi seguenti:

«. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vaga terra ospitai, sola mi piaci,
D’alti ingegni feconda, e cuori ardenti:
Ah, son dolci per me lacci tenaci
Que’ de l’affetto, che per me tu senti;
Ed io sarotti in grato affetto avvinto
In fin che giaccia ne la tomba estinto.»6

[p. 111 modifica]

Se non che, dopo il suo ultimo ritorno in Napoli, prevedendo forse il suo prossimo fine, aveva scritto agli amici che si sarebbe presto recato in Palermo [p. 112 modifica]per non mai più allontanarsene: pur, questi cari ed innocenti desiderî non dovevano più avverarsi. Non andò guari che il colse la malattia onde in pochi giorni [p. 113 modifica]doveva essere tratto al sepolcro. Sostennela rassegnato e tranquillo, con la coscienza d’aver compiuto la propria missione, con l’aspettazione d’una quiete immortale; e, sentendosi venir meno, riconciliato con Dio, dettava le sue ultime volontà, si che il 22 luglio 1826 spegnevasi la sua vita mortale. Avendo in que’ momenti mostrato desiderio d’essere sepolto nella chiesa dei Teatini a Napoli, il pio desiderio venne scrupolosamente eseguito, e proprio nel sepolcreto comune a [p. 114 modifica]que’ Padri, cioè nell’ipogeo di S. Gaetano, sotto la chiesa S. Paolo. E là tuttavia riposa il grand’uomo, nella solenne modestia del chiostro, senza una lapide che lo distingua, in attesa di qualche generoso e degno provvedimento dell’età nostra, il quale arrivi a traslatarlo alle affettuose e tranquille aure del clima natio, nel suo Ponte di Valtellina, ove oggi sorge il massimo suo monumento, tra le nevi eterne delle Alpi e gli ultimi purissimi lembi del cielo italiano.

La sua morte fu un avvenimento nel mondo scientifico, notata su’ giornali e le effemeridi di quel tempo; ma, specialmente per gli amici e gli estimatori delle virtù, una perdita dolorosa e irreparabile. Nella sala dei papiri del museo borbonico, ora di Napoli, sotto un suo ritratto a olio, leggesi questo distico:

     Huic coelo emerso Fernandum inscrivere divis,
Et Cererem Siculis restituisse datum est.

Fu il Piazzi alto, diritto e magro della persona; fronte ampia assai e spaziose tempie; naso grosso, la bocca larga e mento sporgente in fuori; occhi piuttosto piccoli e neri, ma pieni di fuoco e lucidissimi, velati da ciglia sottili, angolose; e color della faccia rosso-sanguigno. Fermo di salute, parco ne’ bisogni; vista un po’ risentita negli studi, ma valida sino all’estremo.



  1. Deuteronomio.
  2. Codice Metrico-Siculo, Catania, dalla stamperia dell’Università degli Studi, 1812 (Rel. al Re).
  3. Codice Metrico-Siculo suddetto.
  4. Idem
  5. Nel volume del Codice Metrico-Siculo, esistente nella Biblioteca di Brera di questa città, spedito da Giuseppe Piazzi al suo chiaro amico Barnaba Oriani, havvi un foglio, intercalato a fine della prima parte, scritto tutto di pugno del celebre astronomo valtellinese. Quel foglio essendo inedito, crediamo opportuno offrirlo qui agli studiosi, non tanto per l’interesse della prima pagina, che riguarda le misure ed i pesi, quanto per considerazione della seconda, che nota i «risultati delle osservazioni dal 1791 al 1814.»
    Eccolo:

    Valore di varie misure e pesi nelle misure e pesi di Sicilia.

    Palmo Siciliano 1,00000 Questi rapporti dipendono tutti da quello del palmo siciliano col campione della Tesa francese, che si conserva in quest’Osservatorio.
    Piede Francese 1,23815
    Piede Inglese 1,18097
    Piede Milanese 2,30660
    Piede del Reno 1,18838
    Metro Francese 3,87440
    Tesa Francese 7,54890
    Fathom Inglese 7,08582


    La libbra di Marco Francese corrisponde a oncie 14,67438, peso di Sicilia;
    Il kilogramma corrisponde a rotolo 1,265695, peso di Sicilia.
    Una giunta di Uffiziali Inglesi, alla testa della quale era il Commissario Gen. Verbeke, pesò con iscupolosa diligenza sotto gli occhi miei, con bilancie e pesi lavorati in Inghilterra, un certo numero di verghe di oro massiccio, che in Inghilterra erano state trovate 900 lib. 0 onc. 14 dan. 0 grani, e qui in Sicilia 900 lib. 0 onc. 12 dam. 0 gr. 3/4 di peso Troy, cioè grani Troy 5184.20275; queste pesate coi pesi siciliani, furono trovate 1057 libbre, 10 oncie, 451 grani, ossia 6093,571 grani di Sicilia.
    Quindi la libbra Troy alla libbra siciliana come 1 9092780/5184293 a 1.
    Nota.

    Le proporzioni della libbra Troy sono: Le proporzioni della libbra Siciliana sono:
    1 lib. = 12 oncie 1 libbra = 12 oncie

    20 denari

    480 grani

    24 grani

    Palermo, 8 aprile 1815.


    Risultati delle osservazioni dall’anno 1791 al 1814.


    Corretti, a tenore di quanto si è detto, i calcoli delle osservazioni dal 1791 al 1814, e conformemente ridotte le altre dal 1804 al 1814, ne ho ottenuti li seguenti risultati. Ciascuno di essi è il medio di tutte le osservazioni tentate nel corrispondente solstizio, e calcolate come nell’iemale del 1814. che qui recherò in esempio.


    Calcolo del Solstizio iemale del 1814.


         5 dicembre — Cerchio I
         Distanza dal Zenit
    8 dicembre — Cerchio D
    bordo inferiore 60.41.49,0 .................... 61. 4.20", 0
    bordo superiore 60. 9.14,5 .................... 60.31.41, 0
    Centro del ☉ 60.25.31,75 .................... 60.48. 0,50
    Rifrazione media + 1.41,60 ...................+ 1.43,16
    Riduzione in vera - 1,40 ...................- 1,00
    Parallasse del ☉ - 7,60 ...................- 7,60
    60.27. 4,35 ................... 60.49.35,06
    Riduzione agli 8 dicembre + 21.23,20
    Distanza de’ 5 ridotta agli 8 60.48.27,55 ...................- 60.48.27,55
    Medio 60.49. 1,30


    Latit. ☉ ai 5 dic. +0,81* Riduzione al Solstizio + 45.30.30
    ai 8 +0,76*
    Medio +0,78* Correzione per la Latitudine ☉ + 0,78
    61.34.32.38
    Altezza del Polo 38. 6.44.00
    Obbliquità apparente 23.27.48.38

    * Delle tavole di Carlini

    Riducendo l’osservazione degli 8 a quella dei 9, e così mano a mano le altre, si avranno li seguenti valori, corrispondenti ai rispettivi giorni nei quali è stato osservato il Sole.

    Obbliquità apparente.

    1814, Dicembre    8
     
    23.° 27.' 48." 38
    9
     
    47. 21
    10
     
    43. 93
    11
     
    45. 02
    12
     
    44. 97
    13
     
    45. 79
    14
     
    44. 53
    15
     
    42. 66
    16
     
    41. 87
    19
     
    44. 14
    20
     
    42. 52
    21
     
    45. 53
    23
     
    46. 18
    27
     
    46. 46
    1815, Gennajo    1
     
    50. 33
    2
     
    46. 91
    3
     
    45. 31
    4
     
    45. 95
    Medio 23.27.45,43
    Nutazioni Luni-Solare + 2,90
    Obliquità media 23.27.48,33
  6. Canto funebre in morte di Giuseppe Piazzi, di Agostino Gallo — Palermo, presso Lorenzo Dato, 1827 — , che di fatto v’aggiugne tal nota:
    «Eran questi precisamente i sentimenti del Piazzi a me soventi espressi; ed io mi ricordo ancora con piacere d’avermi detto, ch’egli era per cuore «due volte Siciliano.»