L'anthropologia di Galeazzo Capella secretario dell'illustrissimo signor duca di Milano/Libro Terzo: differenze tra le versioni

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{{Capolettera|A}}' Me pare, quanto più la benignità della Natura verso noi considero, che niun maggior dono ch'el parlare à gli altri animali siamo superiori; che possiamo i nostri concetti colla lingua isprimere, essi non possono di che non veggo cosa più utile, ne più aggradevole. Perciò che col parlare troviamo chi in ogni nostra necessità ci sovegna: et tra tutte le dilettationi se non sono mescolati i ragionamenti, i piaceri non solamente non piacciono, ma sovente si convertono in noia. Et se questo aviene tra gli ignoranti, quanto da più esser debbono i parlamenti de gli huomini dotati di dottrina; i quali parlano con più ragione, et di soggietti più eccellenti: et da loro non parte persona mai, che non possa imparare qualche degna cosa. Perciò furono in tanta riverenza que sette savi di Grecia, et gli antichi philosophi, che tra le brigate disputavano del colto degli dei, de movimenti del cielo, delle cagioni di queste cose inferiori, degli uffici che l'huomo era tenuto far per la patria; et finalmente di tutto quello che gli appartenesse. Et si trovarono alcuni, à cui piacque cio che altri dicevano riprovare. Io quale stile parendomi atto à ricercar il vero di tutte le cose, delle quali accade disputare, poi che gia habbiamo recitati i ragionamenti de due primi giorni dal Musicola, et da maestro Girolamo fatti, seguiremo in questo terzo libbro ciò, che il seguente giorno disse messer Lancino: il qual venuto co soliti compagni alla casa di madonna Iphigenia: et portare da familiari le sedie, postisi à sedere, cosi cominciò a dire. <br>
{{Capolettera|A}}' Me pare, quanto più la benignità della Natura verso noi considero, che niun maggior dono ch'el parlare à gli altri animali siamo superiori; che possiamo i nostri concetti colla lingua isprimere, essi non possono di che non veggo cosa più utile, ne più aggradevole. Perciò che col parlare troviamo chi in ogni nostra necessità ci sovegna: et tra tutte le dilettationi se non sono mescolati i ragionamenti, i piaceri non solamente non piacciono, ma sovente si convertono in noia. Et se questo aviene tra gli ignoranti, quanto da più esser debbono i parlamenti de gli huomini dotati di dottrina; i quali parlano con più ragione, et di soggietti più eccellenti: et da loro non parte persona mai, che non possa imparare qualche degna cosa. Perciò furono in tanta riverenza que sette savi di Grecia, et gli antichi philosophi, che tra le brigate disputavano del colto degli dei, de movimenti del cielo, delle cagioni di queste cose inferiori, degli uffici che l'huomo era tenuto far per la patria; et finalmente di tutto quello che gli appartenesse. Et si trovarono alcuni, à cui piacque cio che altri dicevano riprovare. Io quale stile parendomi atto à ricercar il vero di tutte le cose, delle quali accade disputare, poi che gia habbiamo recitati i ragionamenti de due primi giorni dal Musicola, et da maestro Girolamo fatti, seguiremo in questo terzo libbro ciò, che il seguente giorno disse messer Lancino: il qual venuto co soliti compagni alla casa di madonna Iphigenia: et portare da familiari le sedie, postisi à sedere, cosi cominciò a dire. <br>
{{Capolettera|N}}uove cose et rimote dalla commune openione in questi due passati giorni havete qui raccontato: le quale udendo (cosi dottamente erano dette) niente in voi desiderava, che à buono et perfetto oratore si richiedesse. Pur dirò il vero, ch 'l Musicola, dicendo degli huomini, parea predicar le sue laudi: et nella parte che fu contra le donne, forse era à ciò mosso per le troppo delicatezze, nelle quali ogni di più la città nostra si sommerge: et un giorno (come io dubito) le saranno di ruina cagione: generando le sue ricchezze in altri cupidità di rapirle, et non forza in essa per difenderle: et voi Poeta d'amor sospinto più di quella vostra, che c otanto vi piace, che delle laudi feminili mi parevate ragionare. Ma come si sia; appartenendo à me hoggi il parlare, seguirò lo stile, che alcune volte in simili ragionamenti à molti valenti huomini piacere ho veduto: à quali più tosto soveniva di contradire à ciò, che gli altri affermavano, che di proporre alcuna cosa nuova. Et primieramente contra l'eccellenza dell'huomo: il quale (come disse il Musicola) fu creato da Iddio, per goder tutte queste cose, che sono nel mondo; et per cogliere il frutto delle fatiche di tutti gli altri animali. Io dico che havendo riguardo alla debolezza sua, alle angoscie et miserie nelle quali vive, parmi quella sentenza gia anticamente detta, et da Plinio recitataa verissima. Ottima cosa esser all'huomo non nascere, ò nato tostamente morire. Il che esser vero chiaramente ci dimostra la prima voce, che da lui si sente uscire; cioè guai; i quali dal principio della vita infino alla morte on l'abbandonano. Et perciò fu consuetudine nel paese di Thracia piangere quando i fanciulli alla luce venivano; et alla morte con canto, et allegrezza accompagnarli. Oltra à ciò nasce egli con si poche forze, che infino à lungo tempo non può pur da se stesso sostentarsi: senza favella, se non quanto altri con longa fatica gli insegna: senza giuditio delle cose utili et nocive: sproveduto et in tutto disarmato contra il caldo, e 'l freddo. Che diro dell'empia matrigna Natura? la quale ha creato mille nemici di lui più potenti, leoni, tigri, lupi, serpenti, et molti animali velenosi et fortissimi: da cui se non con gran fatica et pena non può difendersi. Et come che tutte queste cose fossero poche, che sono molte: ha fatto ancora tante et si diverse infermità, fianchi, gotte, febbri, flussi, giuoccioli, ardori, humori, et ne ha etiandio creati tanti assiderati, et attratti, chi di piedi, chi di gambe, chi di braccia, chi d'altre membra: chi cieco, chi sordo chi mutolo, et chi di tante altre maniere di mali tormentato; che pare che l'huomo trovandosi sano, lo si rechi à gratia singolare. Lascio lo insatiabile disiderio, che di continuo ci afflige, commune difetto anzi pene de mortali. Lascio le fatiche degli artefici, et de contadini, i pericoli
{{Capolettera|N}}uove cose et rimote dalla commune openione in questi due passati giorni havete qui raccontato: le quale udendo (cosi dottamente erano dette) niente in voi desiderava, che à buono et perfetto oratore si richiedesse. Pur dirò il vero, ch 'l Musicola, dicendo degli huomini, parea predicar le sue laudi: et nella parte che fu contra le donne, forse era à ciò mosso per le troppo delicatezze, nelle quali ogni di più la città nostra si sommerge: et un giorno (come io dubito) le saranno di ruina cagione: generando le sue ricchezze in altri cupidità di rapirle, et non forza in essa per difenderle: et voi Poeta d'amor sospinto più di quella vostra, che c otanto vi piace, che delle laudi feminili mi parevate ragionare. Ma come si sia; appartenendo à me hoggi il parlare, seguirò lo stile, che alcune volte in simili ragionamenti à molti valenti huomini piacere ho veduto: à quali più tosto soveniva di contradire à ciò, che gli altri affermavano, che di proporre alcuna cosa nuova. Et primieramente contra l'eccellenza dell'huomo: il quale (come disse il Musicola) fu creato da Iddio, per goder tutte queste cose, che sono nel mondo; et per cogliere il frutto delle fatiche di tutti gli altri animali. Io dico che havendo riguardo alla debolezza sua, alle angoscie et miserie nelle quali vive, parmi quella sentenza gia anticamente detta, et da Plinio recitataa verissima. Ottima cosa esser all'huomo non nascere, ò nato tostamente morire. Il che esser vero chiaramente ci dimostra la prima voce, che da lui si sente uscire; cioè guai; i quali dal principio della vita infino alla morte on l'abbandonano. Et perciò fu consuetudine nel paese di Thracia piangere quando i fanciulli alla luce venivano; et alla morte con canto, et allegrezza accompagnarli. Oltra à ciò nasce egli con si poche forze, che infino à lungo tempo non può pur da se stesso sostentarsi: senza favella, se non quanto altri con longa fatica gli insegna: senza giuditio delle cose utili et nocive: sproveduto et in tutto disarmato contra il caldo, e 'l freddo. Che diro dell'empia matrigna Natura? la quale ha creato mille nemici di lui più potenti, leoni, tigri, lupi, serpenti, et molti animali velenosi et fortissimi: da cui se non con gran fatica et pena non può difendersi. Et come che tutte queste cose fossero poche, che sono molte: ha fatto ancora tante et si diverse infermità, fianchi, gotte, febbri, flussi, giuoccioli, ardori, humori, et ne ha etiandio creati tanti assiderati, et attratti, chi di piedi, chi di gambe, chi di braccia, chi d'altre membra: chi cieco, chi sordo chi mutolo, et chi di tante altre maniere di mali tormentato; che pare che l'huomo trovandosi sano, lo si rechi à gratia singolare. Lascio lo insatiabile disiderio, che di continuo ci afflige, commune difetto anzi pene de mortali. Lascio le fatiche degli artefici, et de contadini, i pericoli de soldati, i sudori, il freddo, la fame, che per non perdere le liti i procuratori et poveri clienti sopportano, le angoscie, le ferite, le morti violente, che ogn'hora in mille luoghi accadono: gli affanni, gli odi, i fastidi, et le calomnie, che per tutto nascono. Ne solamente fuori, et nelle cose publiche, ma dentro le case private; quanta noia, quanta scontentezza credete che habbiano i padri de lor figliuoli, vedendogli infermare, et innanzi il tempo spesse volte morire? Quanta doglia pensate sia alle madre il partorirgli, nodrirgli, et ammaestrargli? Qual cruccio à gli uni et à gli altri, se gli accade havergli disubidienti, et à suoi commandamenti rubelli? se sono di brutte fattezze? se si trovano di tardo et sciocco ingegno? Che dirò delle mogli? la cui dote da alloro di che gire altiere: la bellezza al marito di sospettare: la difformità di che odiarle: colle quali io non ho mai voluto sapere quanto sia (come voi dite maestro Girolamo) il viver giocondo: per non provar dentro que letti; ove stimate esser tanta dolcezza, quante contese, quanti rammarichi si chiudano: mentre ch'ella si duole. ò che la vicina vada più di lei ornata al tempio, ò che il marito habbia il cuore ad altra volto, per farsi la via più agevole all'errore. Il che se per caso gli aviene risapere; ne punire lo più delle volte senza scorno; ne senza cruccio grandissimo si può tolerare. Et non tanto la vita delle persone private è misera: ma gli signori et prencipi sono sopra gli altri infelicissimi. Et gl'immensi thesori, la moltitudine di servi, et superbi palagi non possono non che fargli beati, ma etiandio non sono bastanti à scemarli una minima particella

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Libro Secondo
IL TERZO ET ULTIMO LIBBRO DELL'ANTHROPOLOGIA DI
GALEAZZO CAPELLA.


A
' Me pare, quanto più la benignità della Natura verso noi considero, che niun maggior dono ch'el parlare à gli altri animali siamo superiori; che possiamo i nostri concetti colla lingua isprimere, essi non possono di che non veggo cosa più utile, ne più aggradevole. Perciò che col parlare troviamo chi in ogni nostra necessità ci sovegna: et tra tutte le dilettationi se non sono mescolati i ragionamenti, i piaceri non solamente non piacciono, ma sovente si convertono in noia. Et se questo aviene tra gli ignoranti, quanto da più esser debbono i parlamenti de gli huomini dotati di dottrina; i quali parlano con più ragione, et di soggietti più eccellenti: et da loro non parte persona mai, che non possa imparare qualche degna cosa. Perciò furono in tanta riverenza que sette savi di Grecia, et gli antichi philosophi, che tra le brigate disputavano del colto degli dei, de movimenti del cielo, delle cagioni di queste cose inferiori, degli uffici che l'huomo era tenuto far per la patria; et finalmente di tutto quello che gli appartenesse. Et si trovarono alcuni, à cui piacque cio che altri dicevano riprovare. Io quale stile parendomi atto à ricercar il vero di tutte le cose, delle quali accade disputare, poi che gia habbiamo recitati i ragionamenti de due primi giorni dal Musicola, et da maestro Girolamo fatti, seguiremo in questo terzo libbro ciò, che il seguente giorno disse messer Lancino: il qual venuto co soliti compagni alla casa di madonna Iphigenia: et portare da familiari le sedie, postisi à sedere, cosi cominciò a dire.
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uove cose et rimote dalla commune openione in questi due passati giorni havete qui raccontato: le quale udendo (cosi dottamente erano dette) niente in voi desiderava, che à buono et perfetto oratore si richiedesse. Pur dirò il vero, ch 'l Musicola, dicendo degli huomini, parea predicar le sue laudi: et nella parte che fu contra le donne, forse era à ciò mosso per le troppo delicatezze, nelle quali ogni di più la città nostra si sommerge: et un giorno (come io dubito) le saranno di ruina cagione: generando le sue ricchezze in altri cupidità di rapirle, et non forza in essa per difenderle: et voi Poeta d'amor sospinto più di quella vostra, che c otanto vi piace, che delle laudi feminili mi parevate ragionare. Ma come si sia; appartenendo à me hoggi il parlare, seguirò lo stile, che alcune volte in simili ragionamenti à molti valenti huomini piacere ho veduto: à quali più tosto soveniva di contradire à ciò, che gli altri affermavano, che di proporre alcuna cosa nuova. Et primieramente contra l'eccellenza dell'huomo: il quale (come disse il Musicola) fu creato da Iddio, per goder tutte queste cose, che sono nel mondo; et per cogliere il frutto delle fatiche di tutti gli altri animali. Io dico che havendo riguardo alla debolezza sua, alle angoscie et miserie nelle quali vive, parmi quella sentenza gia anticamente detta, et da Plinio recitataa verissima. Ottima cosa esser all'huomo non nascere, ò nato tostamente morire. Il che esser vero chiaramente ci dimostra la prima voce, che da lui si sente uscire; cioè guai; i quali dal principio della vita infino alla morte on l'abbandonano. Et perciò fu consuetudine nel paese di Thracia piangere quando i fanciulli alla luce venivano; et alla morte con canto, et allegrezza accompagnarli. Oltra à ciò nasce egli con si poche forze, che infino à lungo tempo non può pur da se stesso sostentarsi: senza favella, se non quanto altri con longa fatica gli insegna: senza giuditio delle cose utili et nocive: sproveduto et in tutto disarmato contra il caldo, e 'l freddo. Che diro dell'empia matrigna Natura? la quale ha creato mille nemici di lui più potenti, leoni, tigri, lupi, serpenti, et molti animali velenosi et fortissimi: da cui se non con gran fatica et pena non può difendersi. Et come che tutte queste cose fossero poche, che sono molte: ha fatto ancora tante et si diverse infermità, fianchi, gotte, febbri, flussi, giuoccioli, ardori, humori, et ne ha etiandio creati tanti assiderati, et attratti, chi di piedi, chi di gambe, chi di braccia, chi d'altre membra: chi cieco, chi sordo chi mutolo, et chi di tante altre maniere di mali tormentato; che pare che l'huomo trovandosi sano, lo si rechi à gratia singolare. Lascio lo insatiabile disiderio, che di continuo ci afflige, commune difetto anzi pene de mortali. Lascio le fatiche degli artefici, et de contadini, i pericoli de soldati, i sudori, il freddo, la fame, che per non perdere le liti i procuratori et poveri clienti sopportano, le angoscie, le ferite, le morti violente, che ogn'hora in mille luoghi accadono: gli affanni, gli odi, i fastidi, et le calomnie, che per tutto nascono. Ne solamente fuori, et nelle cose publiche, ma dentro le case private; quanta noia, quanta scontentezza credete che habbiano i padri de lor figliuoli, vedendogli infermare, et innanzi il tempo spesse volte morire? Quanta doglia pensate sia alle madre il partorirgli, nodrirgli, et ammaestrargli? Qual cruccio à gli uni et à gli altri, se gli accade havergli disubidienti, et à suoi commandamenti rubelli? se sono di brutte fattezze? se si trovano di tardo et sciocco ingegno? Che dirò delle mogli? la cui dote da alloro di che gire altiere: la bellezza al marito di sospettare: la difformità di che odiarle: colle quali io non ho mai voluto sapere quanto sia (come voi dite maestro Girolamo) il viver giocondo: per non provar dentro que letti; ove stimate esser tanta dolcezza, quante contese, quanti rammarichi si chiudano: mentre ch'ella si duole. ò che la vicina vada più di lei ornata al tempio, ò che il marito habbia il cuore ad altra volto, per farsi la via più agevole all'errore. Il che se per caso gli aviene risapere; ne punire lo più delle volte senza scorno; ne senza cruccio grandissimo si può tolerare. Et non tanto la vita delle persone private è misera: ma gli signori et prencipi sono sopra gli altri infelicissimi. Et gl'immensi thesori, la moltitudine di servi, et superbi palagi non possono non che fargli beati, ma etiandio non sono bastanti à scemarli una minima particella