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{{Pt|suiti|Gesuiti}}, {{AutoreCitato|Claudio Acquaviva|{{Sc|Claudio Acquaviva}}}}, il quale nel suo famoso libretto: ''Industriæ ad curandos animæ morbos'' (Florentiæ, 1600 e molte altre edizioni successive) dice: «''Fortes in fine conseguendo et suaves in modo et ratione assequendi simus''» (verso la fine del cap. 2: ''De suavitate et efficacia in gubernatione coniungendis''). È chiara la reminiscenza biblica del {{TestoCitato|Sacra Bibbia/Antico Testamento/Sapienza|libro della Sapienza}} ({{TestoCitato|Sacra Bibbia/Antico Testamento/Sapienza|cap. VIII, v. 1|Sacra Bibbia/Antico Testamento/Sapienza/Capitolo VIII}}): «Attingit ergo a fine usque ad finem fortiter et disponit omnia suaviter.»
suiti, Claudio Acquaviva, il quale nel suo famoso libretto: Industria

ad curandos anima: morbos (Florentiae, 1 600 e molte altre
Non molti anni più tardi c’imbattiamo nel famoso:
edizioni successive) dice: «Fortes in fine conseguendo et suaves
{{Cld|346|Eppur si muove!}} che la leggenda voleva detto da {{AutoreCitato|Galileo Galilei|{{Sc|Galileo}}}} quando, dopo aver letto in ginocchio l’abiura delle sue dottrine cosmografiche innanzi agli Inquisitori, sorse vacillando in piedi (22 giugno 1633). Ma di queste parole non si trova traccia negli scrittori del secolo XVII, comparendo soltanto in quelli della fine del settecento. Lo scrittore più antico che ne faccia menzione, finora conosciuto, è il {{AutoreCitato|Giuseppe Baretti|Baretti}} nella ''Italian Library'', London, 1757, pag. 52: non si conoscono finora autorità più antiche a stampa. Tuttavia è probabile, come ritiene il prof. {{AutoreCitato|Antonio Favaro|Antonio Favaro}}, di cui è nota la profonda conoscenza di quanto riguarda la persona e gli studi di {{AutoreCitato|Galileo Galilei|Galileo}}, che la leggenda, orale o scritta, risalga alla prima metà del secolo XVII, cioè sia di poco posteriore all’anno 1633: ed a ciò lo conforta, con altre ragioni, la scoperta di un quadro, firmato dal {{AutoreCitato|Bartolomé Esteban Murillo|Murillo}}, e che può realmente assegnarsi a lui e con la data, a quanto sembra, del 1645, nel quale il motto famoso è ripetuto (ved. un articolo del {{AutoreCitato|Antonio Favaro|Favaro}} nel ''Giornale d’Italia'', del 12 luglio 1911). L’''Eppur si muove'' ha già una piccola bibliografia, ma tutti coloro che se ne occuparono, furono concordi nel negarne la autenticità. Il primo che abbia formulato pubblicamente i suoi dubbi a tale proposito fu il dott. {{AutoreCitato|Eduard Heis|E. Heis}}, professore all’Accademia di Münster, con una nota inserita negli ''Annales de la Société scientifique de Bruxelles'', 1876. Omettendo gli scrittori sulla vita di {{AutoreCitato|Galileo Galilei|Galileo}} in generale, e sul suo processo in particolare, che quasi tutti si occuparono della questione, citerò soltanto un articoletto del compianto {{AutoreCitato|Antonino Bertolotti|A. Bertolotti}} nel giornale popolare ''Il Mendico'' di Mantova, del 1º settembre 1866; un altro articolo nell’''Intermédiaire des chercheurs et des curieux'' (année XXII, 1889, col. 78-80), e la risposta di {{AutoreCitato|Gilberto Govi|Gilberto Govi}} nello
in modo et ratione assequendi simus» (verso la fine del cap. 2:
De suavitate et efficacia in gubernatione coniungendis). È chiara
la reminiscenza biblica del libro della Sapienza (cap. Vili, v. 1):
«Attingit ergo a fine usque ad finem fortiter et disponit omnia
suaviter.»
Xon molti anni più tardi e’ imbattiamo nel famoso:. Eppur si muove!
che la leggenda voleva detto da Galileo quando, dopo a^ver letto
in ginocchio 1* abiura delle sue dottrine cosmografiche innanzi agli
Inquisitori, sorse vacillando in piedi (22 giugno 1633). Ma di queste
parole non si trova traccia negli scrittori del secolo xvn, comparendo
soltanto in quelli della fine del settecento. Lo scrittore
più antico che ne faccia menzione, finora conosciuto, è il Baretti
nella Italian Library, London, 1757, pag. 52: non si conoscono
finora autorità più antiche a stampa. Tuttavia è probabile, come
ritiene il prof. Antonio Favaro, di cui è nota la profonda conoscenza
di quanto riguarda la persona e gli studi di Galileo, che
la leggenda, orale o scritta, risalga alla prima metà del secolo xvn.
cioè sia di poco posteriore all’anno 1633: ed a ciò lo conforta, con
altre ragioni, la scoperta di un quadro, firmato dal Murillo, e che
può realmente assegnarsi a lui e con la data, a quanto sembra,
del 1645, Be l quale il motto famoso è ripetuto (ved. un articolo
del Favaro nel Giornale d’Italia, del 12 luglio 191 1). IS Eppur
si muove ha «Sii una piccola bibliografia, ma tutti coloro che se ne
occuparono, furono concordi nel negarne la autenticità. Il primo
che abbia formulato pubblicamente i suoi dubbi a tale proposito
fu il dott. E. Heis, professore all’Accademia di Münster, con una
nota inserita negli Annales de la Société scientifique de Bruxelles,
1876. Omettendo ^li scrittori sulla vita di Galileo in generale,
e sul suo processo in particolare, che (piasi tutti si occuparono della
questione, citerò soltanto un articoletto del compianto A. Bertolotti
nel giornale popolare // Mendico di Mantova, del I ° settembre 1 866;
un altro articolo mài? Intermédiaire des chercheurs et des curieux
XXII, 1889, col. 78-80), e la risposta di Gilberto Gori nello

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[346] Costanza, fermezza, perseveranza 97

suiti, Claudio Acquaviva, il quale nel suo famoso libretto: Industriæ ad curandos animæ morbos (Florentiæ, 1600 e molte altre edizioni successive) dice: «Fortes in fine conseguendo et suaves in modo et ratione assequendi simus» (verso la fine del cap. 2: De suavitate et efficacia in gubernatione coniungendis). È chiara la reminiscenza biblica del libro della Sapienza (cap. VIII, v. 1): «Attingit ergo a fine usque ad finem fortiter et disponit omnia suaviter.»

Non molti anni più tardi c’imbattiamo nel famoso:

346.   Eppur si muove!

che la leggenda voleva detto da Galileo quando, dopo aver letto in ginocchio l’abiura delle sue dottrine cosmografiche innanzi agli Inquisitori, sorse vacillando in piedi (22 giugno 1633). Ma di queste parole non si trova traccia negli scrittori del secolo XVII, comparendo soltanto in quelli della fine del settecento. Lo scrittore più antico che ne faccia menzione, finora conosciuto, è il Baretti nella Italian Library, London, 1757, pag. 52: non si conoscono finora autorità più antiche a stampa. Tuttavia è probabile, come ritiene il prof. Antonio Favaro, di cui è nota la profonda conoscenza di quanto riguarda la persona e gli studi di Galileo, che la leggenda, orale o scritta, risalga alla prima metà del secolo XVII, cioè sia di poco posteriore all’anno 1633: ed a ciò lo conforta, con altre ragioni, la scoperta di un quadro, firmato dal Murillo, e che può realmente assegnarsi a lui e con la data, a quanto sembra, del 1645, nel quale il motto famoso è ripetuto (ved. un articolo del Favaro nel Giornale d’Italia, del 12 luglio 1911). L’Eppur si muove ha già una piccola bibliografia, ma tutti coloro che se ne occuparono, furono concordi nel negarne la autenticità. Il primo che abbia formulato pubblicamente i suoi dubbi a tale proposito fu il dott. E. Heis, professore all’Accademia di Münster, con una nota inserita negli Annales de la Société scientifique de Bruxelles, 1876. Omettendo gli scrittori sulla vita di Galileo in generale, e sul suo processo in particolare, che quasi tutti si occuparono della questione, citerò soltanto un articoletto del compianto A. Bertolotti nel giornale popolare Il Mendico di Mantova, del 1º settembre 1866; un altro articolo nell’Intermédiaire des chercheurs et des curieux (année XXII, 1889, col. 78-80), e la risposta di Gilberto Govi nello