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capitolo xlvi. 519

dal cui grembo fortunato sarebbero usciti i leoncini, i quali sarebbero stati suoi figliuoli per eterna e perpetua gloria della provincia della Mancia. Tenendo ciò per infallibile diede un grido, mandò un lungo sospiro, e disse: — O tu qualunque ti sia, che sì gran bene hai pronosticato, procurami, te ne prego, dal savio incantatore che regge i miei destini la grazia che non mi lasci perire in questa prigione dove ora mi rinserrano sino a tanto che io non vegga compite sì liete e tanto incomparabili ed alte promesse, quante sono quelle che mi vengono fatte. Se a tal favore ei discende io mi ascriverò a gloria la pena di questo carcere, e a dolce alleggiamento le catene che mi tengono avvinto; nè già terrò per duro campo di battaglia il letto sul quale ora mi trovo steso, ma piuttosto per soffice origliere e per talamo avventuroso. Per quanto appartiene al conforto di Sancio Panza mio scudiere, confido nella bontà e nel suo onesto procedere, che non mi abbandonerà negli eventi di prospera o rea fortuna. Accadendo che o per sua o per mia mala sorte non gli potessi donare l’isola che gli ho promesso, o fargli altro equivalente benefizio, non avrà egli mai ad esser frodato del suo salario, avendo io già ordinata nel mio testamento la sua mercede, se non conforme ai suoi molti e leali servigi, in proporzione almeno alla mia facoltà„. Sancio Panza s’inginocchiò e gli baciò a capo chino ambe le mani: nè avrebbe potuto baciargliene una sola; poichè ambedue erano strettamente legate insieme. Le fantasime alzarono allora di peso la gabbia, la trasportarono e la accomodarono sopra il carro.