Pagina:Eneide (Caro).djvu/189: differenze tra le versioni
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Vien, da Doride intatto, infin d’Arcadia |
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Con l’onde di Sicilia. E qui del loco{{R|1100}} |
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Venerammo i gran numi; indi varcammo |
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Del paludoso Eloro i campi opimi. |
Del paludoso Eloro i campi opimi. |
Versione delle 21:22, 16 nov 2015
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148 | l'eneide | [1095-1119] |
Per nome Ortigia. A quest’isola è fama,
Che per vie sotto al mare il greco Alfeo
Vien, da Doride intatto, infin d’Arcadia
Per bocca d’Aretusa a mescolarsi
Con l’onde di Sicilia. E qui del loco1100
Venerammo i gran numi; indi varcammo
Del paludoso Eloro i campi opimi.
Rademmo di Pachino i sassi alpestri,
Scoprimmo Camarina, e ’l fato udimmo,
Che mal per lei fòra il suo stagno asciutto.1105
La pianura passammo de’ Geloi,
Di cui Gela è la terra e Gela il fiume.
Molto da lunge il gran monte Agragante
Vedemmo, e le sue torri e le sue spiagge
Che di razze fur già madri famose.1110
Col vento stesso indietro ne lasciammo
La palmosa Seline; e ’n su la punta
Giunti di Lilibeo, tosto girammo
Le sue cieche seccagne, e ’l porto alfine
Del mal veduto Drepano afferrammo.1115
Qui, lasso me! da tanti affanni oppresso,
A tanti esposto, il mio diletto padre,
Il mio padre perdei. Qui stanco e mesto,
Padre, m’abbandonasti; e pur tu solo
M’eri in tante gravose mie fortune1120
[694-710]