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I Vicerè 363

contraria a pronunziare sentenze di questo genere, come vada coi calzari di piombo. Essa non può contentarsi di certe prove e di certe ragioni... Queste potevano forse bastare ai giudici secolari, la cui responsabilità non è impegnata dinanzi alla Maestà Divina. Mi duole moltissimo, in coscienza, di vedere Raimondo messo per una via falsa... Dopo questa causa ne verrà una seconda, lo scandalo è immenso... Io ho i miei doveri da compiere... La mia coscienza..."

"Coscienza?... Coscienza?..." Donna Ferdinanda, che stava a sentirlo a bocca chiusa e a denti stretti, una volta cantò: "Lasciala da parte la coscienza! Di’ piuttosto che non gli hai ancora perdonato d’aver preso il tuo posto e gliela vuoi far pagare, ora che l’hai nelle forbici!..."

Il Priore impallidì repentinamente, guardando un istante in viso la zia che lo guardava fisso anche lei, come se gli volesse leggere nell’anima. Poi chinò il capo e portò le braccia in croce sul petto:

"Vostra Eccellenza m’affligge crudelmente... Sa bene che le passioni del mondo sono straniere al mio cuore... che io amo mio fratello come rispetto Vostra Eccellenza!... Dica questo a Raimondo; mi fornisca l’occasione di darne la prova..."

Donna Ferdinanda andò pertanto da Raimondo per dirgli di recarsi personalmente dal fratello e di raccomandarglisi. Un momento, il giovane si ribellò. Era stanco di pregare e di umiliarsi, di far la corte a Ferdinando e a Giulente per guadagnarli alla sua causa, di imbeccare Pasqualino e gli altri portavoce. S’era già umiliato una volta dinanzi a Giacomo e non gli era valso nulla; s’era umiliato anche dinanzi a Lodovico, quando era andato a Nicolosi, e il fratello non s’era lasciato vedere. Adesso bisognava gettarsi ai piedi di cotesto Gesuita, chiedergli perdono del posto sottrattogli, implorarne col perdono la protezione e l’appoggio. Era troppo, non ne poteva più. Le mortificazioni dell’amor proprio gli cocevano più di tutte, gli facevano stringer le