Pagina:Svevo - La coscienza di Zeno, Milano 1930.djvu/530: differenze tra le versioni

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527 di rinunziare al eaffelatte da cui distavo non più di mez¬ zo chilometro. Solo perciò esitavo di andarmene perchè era evidente che quando fossi disceso da quella collina, alla mia villa, per quel giorno, non sarei giunto più. E, per guadagnar tempo, mitemente domandai all’ufficiale: — Ma a chi dovrei rivolgermi per poter ritornare a Lucinico a prendere almeno la mia giubba e il mio cappello? Avrei dovuto accorgermi che all’ufficiale tardava di esser lasciato solo con la sua carta e i suoi uomini, ma non m’aspettavo di provocare tanta sua ira. Urlò, in modo da intronarmi l’orecchie, che m’a¬ veva già detto che non dovevo più domandarlo. Poi m’impose di andare dove il diavolo vorrà portarmi (ivo der Teufel Sie tragen tvill). L’idea di farmi portare non mi spiaceva molto perché ero molto stanco, ma esitavo ancora. Intanto però l’ufficiale a forza d’urlare s’accese sempre pili e con accento di grande minaccia chiamò a sè uno dei cinque uomini che l’attorniavano e appel¬ landolo signor caporale gli diede l’ordine di condurmi giù della collina e di sorvegliarmi finché non fossi spa¬ rito sulla via che conduce a Gorizia, tirandomi addosso se avessi esitato ad ubbidire. Perciò scesi da quella cima piuttosto volontieri: — Danke schòn, — dissi anche senz’alcun’intenzio- ne d’ironia. Il caporale era uno slavo che parlava discretamente l’italiano. Gli parve di dover essere brutale in presen¬ za deH’ufficiale e, per indurmi a precederlo nella di¬ scesa, mi gridò: — Marsch! — Ma quando fummo un po’ più lon¬ tani si fece dolce e familiare. Mi domandò se avevo no¬