Le rime della Selva/Parte seconda/Il mio romitaggio: differenze tra le versioni
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Su questo monte selvaggio, |
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Vicino a questa sorgente, |
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Vorrei, da buon penitente, |
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Avere il mio romitaggio. |
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Oh, poca cosa! una coppia |
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Di camerette piccine, |
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Un uscio e due finestrine, |
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Sotto un tettuccio di stoppia. |
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Accanto, un po’ d’orticello, |
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Pien di legumi e di fiori, |
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Fiori di tutti i colori, |
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Con qualche verde arboscello. |
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Ancora, su un davanzale, |
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All’aria, al sole, un modesto |
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Vaso, o vogliam dire un testo, |
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Di maggiorana nostrale. |
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Ancora, in luogo di musa, |
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Un micio peso e poltrone, |
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Da carezzargli il groppone |
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E fargli fare le fusa. |
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E basta. Che c’è bisogno |
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D’altro? Io, quando mi vedo |
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In mezzo a troppo corredo, |
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Io, che ho da dir? mi vergogno. |
|||
Mi sembra d’essere allora, |
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Non il padrone, ma il servo, |
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E m’avvilisco e mi snervo |
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Dove più d’un si ristora. |
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Starei quassù tutto l’anno, |
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Come un asceta giocondo |
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Ch’abbia detto addio al mondo |
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E a quei che dentro vi stanno. |
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Come un Padre del Deserto, |
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Che appaja sereno in volto, |
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Dopo aver vissuto molto, |
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Dopo aver molto sofferto. |
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Questi uccelletti folletti |
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Mi sveglierebber col canto, |
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E io, da povero santo, |
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Benedirei gli uccelletti. |
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L’acqua berrei della fonte; |
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Piluccherei con piacere |
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Le bacche rosse, le nere, |
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E andrei a spasso pel monte. |
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Andrei moltissimo a spasso, |
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Lavorerei poco o nulla, |
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Essendochè dalla culla |
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Alla tomba è un breve passo. |
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E se un ricordo importuno |
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Mi succhiellasse il cervello, |
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Ne lo trarrei via bel bello, |
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Come si fa con un pruno. |
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E se un malvagio appetito |
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Venisse a pungermi in letto, |
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Lo schiaccerei con un dito, |
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Come si schiaccia un insetto. |
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Non aprirei mai un libro; |
|||
E metterei da una banda |
|||
Ogni pensiero e dimanda |
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Di troppo grosso calibro; |
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Sapendo il male che fece, |
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Ab antico, alle brigate |
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La troppa scïenza. Invece, |
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Starei le mezze giornate |
|||
Ad ascoltare il susurro |
|||
Del vecchio bosco, a guardare |
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L’erbe, i fiori, l’acque chiare, |
|||
Le nuvole, il cielo azzurro. — |
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Bipede di polpe e d’ossa |
|||
(Assai più ossa che polpe), |
|||
Commisi anch’io le mie colpe, |
|||
E alcuna forse un po’ grossa. |
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Ma non perciò mi sgomento: |
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A tutto ci si rimedia: |
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E se un rimorso t’assedia, |
|||
Basta tu dica: Mi pento! |
|||
Eh sì, mi pento e prometto |
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Di non cascarci mai più, |
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E d’esser anzi perfetto |
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(O quasi) in ogni virtù. |
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Ogni mia mala azïone |
|||
Confesserei a me stesso; |
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Poi, col mio bravo permesso, |
|||
Mi darei l’assoluzione. |
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Chè uomo ben confessato, |
|||
E debitamente assolto, |
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Gli è come, per non dir molto, |
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Se non avesse peccato. |
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Sarebbe la mia preghiera, |
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Non latina, ma toscana, |
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Senz’arzigogoli, piana, |
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E soprattutto sincera, |
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Uscendo da un core sazio, |
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Non chiederebbe nïente; |
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Anzi direbbe umilmente: |
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Signore Iddio, vi ringrazio. |
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Sì, vi ringrazio, e vi prego |
|||
D’usarmi un po’ d’indulgenza, |
|||
Quando alla vostra presenza |
|||
Verrò, finito l’impiego. |
|||
L’impiego (povere spalle! |
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Con quel peso andare attorno!) |
|||
L’impiego di perdigiorno |
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''In hac lachrimarum valle.'' — |
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Verrebbe al mio uscio un cane, |
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Oppure il buon poverello, |
|||
E io gli direi: Fratello, |
|||
Eccoti un pezzo di pane. |
|||
Verrebbe un corvo alla mia |
|||
Finestrina, avido e torvo; |
|||
E io gli direi: Tu, corvo, |
|||
Sei nero e brutto: va via! |
|||
Capiterebbe il demonio |
|||
In forma di bella donna, |
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Con rialzata la gonna, |
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A offrirmisi in matrimonio. |
|||
E io gli direi: Mio caro, |
|||
Trova chi n’abbia ancor voglia: |
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Io.... ho mangiato la foglia: — |
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E sai che il tempo è denaro. |
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Versione delle 23:55, 9 mag 2016
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IL MIO ROMITAGGIO.
Su questo monte selvaggio,
Vicino a questa sorgente,
Vorrei, da buon penitente,
4Avere il mio romitaggio.
Oh, poca cosa! una coppia
Di camerette piccine,
Un uscio e due finestrine,
8Sotto un tettuccio di stoppia.
Accanto, un po’ d’orticello,
Pien di legumi e di fiori,
Fiori di tutti i colori,
12Con qualche verde arboscello.
Ancora, su un davanzale,
All’aria, al sole, un modesto
Vaso, o vogliam dire un testo,
16Di maggiorana nostrale.
Ancora, in luogo di musa,
Un micio peso e poltrone,
Da carezzargli il groppone
20E fargli fare le fusa.
E basta. Che c’è bisogno
D’altro? Io, quando mi vedo
In mezzo a troppo corredo,
24Io, che ho da dir? mi vergogno.
Mi sembra d’essere allora,
Non il padrone, ma il servo,
E m’avvilisco e mi snervo
28Dove più d’un si ristora.
Starei quassù tutto l’anno,
Come un asceta giocondo
Ch’abbia detto addio al mondo
32E a quei che dentro vi stanno.
Come un Padre del Deserto,
Che appaja sereno in volto,
Dopo aver vissuto molto,
36Dopo aver molto sofferto.
Questi uccelletti folletti
Mi sveglierebber col canto,
E io, da povero santo,
40Benedirei gli uccelletti.
L’acqua berrei della fonte;
Piluccherei con piacere
Le bacche rosse, le nere,
44E andrei a spasso pel monte.
Andrei moltissimo a spasso,
Lavorerei poco o nulla,
Essendochè dalla culla
48Alla tomba è un breve passo.
E se un ricordo importuno
Mi succhiellasse il cervello,
Ne lo trarrei via bel bello,
52Come si fa con un pruno.
E se un malvagio appetito
Venisse a pungermi in letto,
Lo schiaccerei con un dito,
56Come si schiaccia un insetto.
Non aprirei mai un libro;
E metterei da una banda
Ogni pensiero e dimanda
60Di troppo grosso calibro;
Sapendo il male che fece,
Ab antico, alle brigate
La troppa scïenza. Invece,
64Starei le mezze giornate
Ad ascoltare il susurro
Del vecchio bosco, a guardare
L’erbe, i fiori, l’acque chiare,
68Le nuvole, il cielo azzurro. —
Bipede di polpe e d’ossa
(Assai più ossa che polpe),
Commisi anch’io le mie colpe,
72E alcuna forse un po’ grossa.
Ma non perciò mi sgomento:
A tutto ci si rimedia:
E se un rimorso t’assedia,
76Basta tu dica: Mi pento!
Eh sì, mi pento e prometto
Di non cascarci mai più,
E d’esser anzi perfetto
80(O quasi) in ogni virtù.
Ogni mia mala azïone
Confesserei a me stesso;
Poi, col mio bravo permesso,
84Mi darei l’assoluzione.
Chè uomo ben confessato,
E debitamente assolto,
Gli è come, per non dir molto,
88Se non avesse peccato.
Sarebbe la mia preghiera,
Non latina, ma toscana,
Senz’arzigogoli, piana,
92E soprattutto sincera.
Uscendo da un core sazio,
Non chiederebbe nïente;
Anzi direbbe umilmente:
96Signore Iddio, vi ringrazio.
Sì, vi ringrazio, e vi prego
D’usarmi un po’ d’indulgenza,
Quando alla vostra presenza
100Verrò, finito l’impiego.
L’impiego (povere spalle!
Con quel peso andare attorno!)
L’impiego di perdigiorno
104In hac lachrimarum valle. —
Verrebbe al mio uscio un cane,
Oppure il buon poverello,
E io gli direi: Fratello,
108Eccoti un pezzo di pane.
Verrebbe un corvo alla mia
Finestrina, avido e torvo;
E io gli direi: Tu, corvo,
112Sei nero e brutto: va via!
Capiterebbe il demonio
In forma di bella donna,
Con rialzata la gonna,
116A offrirmisi in matrimonio.
E io gli direi: Mio caro,
Trova chi n’abbia ancor voglia:
Io.... ho mangiato la foglia: —
120E sai che il tempo è denaro.