L'avvenire!?/Capitolo tredicesimo: differenze tra le versioni

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Versione attuale delle 15:44, 28 set 2016

Capitolo tredicesimo

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Edward Bellamy - L'avvenire!? (1888)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1891)
Capitolo tredicesimo
Capitolo dodicesimo Capitolo quattordicesimo

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CAPITOLO TREDICESIMO




Come Editta mi aveva promesso, il dottor Leete quando mi ritirai, mi accompagnò nella mia stanza da letto, per indicarmi l’uso del telefono musicale; egli mi mostrò come, per mezzo d’una vite più o meno girata, la musica riempiva la camera e si perdeva come un’eco, sì debole e lontana da far dubitare se la si sentisse realmente o se fosse effetto d’immaginazione. Quando due persone abitavano una stessa stanza e di queste una desiderava udir musica e l’altra dormire, si poteva render per l’una la musica udibile, e per l’altra ridurla impercettibile.

«Vi consiglio seriamente di dormire questa notte, signor West, e di rinunciare anche alla miglior musica», disse il dottore dopo avermi spiegato tutto. «Ora che subite tante prove faticose, vi è necessario il sonno, esso vi procura un rinvigorimento di nervi, pel quale non v’è compenso».

Memore di ciò che m’era accaduto la mattina stessa, promisi di seguire il suo consiglio.

«Così va bene», disse egli, «metterò il telefono sulle otto».

«Che cosa significa ciò?» domandai.

Egli mi spiegò che mediante le ruote d’un orologio, si poteva fare in modo da essere svegliati dalla musica all’ora prefissa.

Pare, a quanto constatai completamente in seguito, che la mia disposizione all’insonnia e tutti gli inconvenienti della vita, fossero rimasti nel secolo decimonono, poichè, quantunque non avessi preso nessun narcotico, mi addormentai, appena posata la testa sui cuscini. Sognai di sedere sul trono degli Abenceragi e davo una festa ai grandi ed ai generali pronti a partire l’indomani per combattere i cristiani di Spagna. L’aria, rinfrescata dallo spruzzo delle fontane, era imbalsamata dal dolce profumo dei fiori; agili fanciulle dalle labbra seducenti danzavano graziosamente al suono degl’istrumenti a corda, e sulla galleria una bella [p. 75 modifica]dell’harem reale mostrava lo splendore dei suoi occhi e volgeva lo sguardo sul fiore della cavalleria moresca.

Sempre più forte risuonavano i cimbali e sempre più selvaggio diveniva il canto, finchè il sangue della barbara stirpe, non potendo più resistere al furore guerresco, i forti nobili sorsero, sguainando i loro ferri ed il grido: Allah! Allah! risuonando per la galleria, mi destò. La luce del giorno inondava la mia camera e la musica elettrica suonava la sveglia turca.

A colazione raccontai al mio ospite ciò che avevo sentito e risultò che non per mero caso la musica che mi aveva svegliato era una sveglia; poichè i pezzi che si suonavano in sala di musica, nelle ore del mattino, avevano sempre un carattere eccitante.

«A proposito», diss’io, «il nostro discorso della Spagna mi ricorda d’interrogarvi sullo stato d’Europa, per sapere se le società del mondo antico furono anche trasformate?»

«Sì» rispose il dottor Leete, «le grandi nazioni d’Europa l’Australia, il Messico e parte dell’America Meridionale, sono ora repubbliche industriali come gli Stati Uniti, che furono i pionieri dell’evoluzione. I rapporti di pace fra queste nazioni sono garantiti da una forma di alleanza estesa per tutto il mondo. Un consiglio internazionale regola i rapporti reciproci ed il commercio fra i membri dell’alleanza; e regola anche la politica comune con quei popoli, i quali, ancora ignoranti, giungeranno gradatamente alla civilizzazione; cosichè ogni nazione gode di una completa autonomia».

«Come potete attivare il commercio senza denaro?» domandai, «se anche fate a meno del denaro pel commercio interno, nei vostri rapporti con altre nazioni avete almeno un compenso?»

«Oh! no; nei nostri rapporti coll’estero, il denaro è superfluo, come nell’interno. Finchè il commercio coll’estero fu impresa privata, il denaro occorreva per liquidare i diversi affari; ma oggi non è più lo stesso, poichè vi saranno circa dodici negozianti nel mondo, gli affari dei quali vengono sottoposti ad un consiglio internazionale, che li regola completamente mediante un semplice sistema di contabilità. Per esempio, il magazzino americano calcola una data quantità di merci francesi, necessarie per un anno, [p. 76 modifica]ne fa l’ordinazione al magazzino francese, il quale manda tosto la merce richiesta. Lo stesso si fa con le altre nazioni».

«Ma come sono stabiliti i prezzi delle merci estere, dal momento che non c’è concorrenza?»

«Il prezzo della merce che una nazione dà all’altra», rispose il dottor Leete, «dev’essere lo stesso che per i propri cittadini, e così non accadono malintesi; naturalmente nessuna nazione è obbligata di dare ad un’altra i prodotti del suo lavoro; ma sta nell’interesse di tutti, di scambiarsi delle gentilezze. Quando una nazione provvede regolarmente ad un’altra certe merci, ogni cambiamento importante nei rapporti deve venire annunciato dalla parte che lo promuove».

«Se una nazione che ha il monopolio d’un prodotto naturale si rifiutasse di farne la cessione alle altre od anche a una sola, che cosa ne risulterebbe?»

«Questo caso non è mai occorso, nè potrebbe occorrere senza il maggior danno per la parte rifiutante», rispose il dottor Leete. «Prima di tutto non si possono usare preferenze. La legge esige che ogni nazione nei suoi rapporti con le altre, agisca ugualmente con tutte, e se avvenisse ciò che supponete, un tale agire da parte di una delle nazioni, romperebbe ogni suo rapporto con tutte le altre del mondo intero: ma per questa possibilità non ci diamo pensiero».

«Ma», dissi, «se una nazione possiede il monopolio naturale di un prodotto, del quale l’esportazione è maggiore del consumo, crescendo il prezzo e non sospendendo la consegna, ritrae un vantaggio dai bisogni dei suoi vicini? I propri cittadini pagherebbero naturalmente il maggior prezzo, ma essendo una corporazione, trarrebbe più dagli stranieri di ciò ch’essa stessa perderebbe».

«Quando voi saprete, che i prezzi di tutte le merci sono fissi, comprenderete che è impossibile cambiarli, eccetto quando si tratta di merci per la produzione delle quali occorresse un grande e difficile lavoro», rispose il dottor Leete. «Questo principio offre una garanzia tanto nazionale che internazionale; ma anche senza questa, il sentimento, della comunità degli interessi, tanto [p. 77 modifica]nazionali che internazionali, è ai nostri tempi talmente radicato, che non è possibile ciò che voi temete, tanto più che ognuno sa quanto sia stolto l’egoismo e spregevole l’avidità. Dovete sapere che tutti attendiamo la possibile riunione del mondo intero in una gran nazione, e questa sarà senza dubbio la forma finale della società ed attuerà certi vantaggi del presente sistema federativo delle nazioni indipendenti. Quantunque il nuovo sistema abbia quasi raggiunto la perfezione, ci contentiamo di lasciarne il compimento alla posterità, poichè il sistema federativo non è esclusivamente uno scioglimento provvisorio del problema della società umana, ma la miglior soluzione finale».

«Che cosa fate», domandai, «quando i libri di due nazioni non corrispondono; quando voi, per esempio, ricevete dalla Francia più di ciò che vi esportate?»

«I libri di ogni nazione vengono esaminati alla fine di ogni anno; se risulta che la Francia ci è debitrice, noi probabilmente dobbiamo ad un’altra nazione che abbia delle obbligazioni verso la Francia, e così con tutte le nazioni: il saldo che rimane, secondo il nostro sistema, quando il consiglio internazionale regola i conti, non deve essere forte. Per quanto voluminosi siano i conti, il consiglio esige che vengano pagati ogni due anni e può anche volerne la liquidazione, quando passassero il limite; poichè non si desidera che una nazione debba molto ad un’altra, attesochè potrebbero nascere fra loro dei rancori e delle scissure.

Per evitare ciò, il consiglio esamina pure le merci scambiate allo scopo di verificare la loro bontà».

«Ma come fate a pagare il saldo, dal momento che non avete danaro?»

«Mediante prodotti nazionali; nelle trattative preliminari si determina quali merci devono venir consegnate per aggiustare i conti ed in quali proporzioni esse debbano essere accettate».

«L’emigrazione è un’altra quistione, a proposito della quale vorrei farvi alcune domande», dissi. «L’emigrante deve morir di fame ora che ogni nazione è organizzata a confederazione industriale e monopolizza ogni via industriale di produzione. Suppongo che non vi sono più emigranti oggidì».

[p. 78 modifica]«Tutto al contrario, invece si emigra costantemente, se con ciò intendete parlare del passaggio in paese straniero, allo scopo di eleggervi un domicilio fisso», aggiunse il dottor Leete. «Questa emigrazione è regolata mediante un semplice sistema internazionale di indennizzazione.

Se, per es., un uomo di ventun’anno emigra dall’Inghilterra in America, l’Inghilterra risparmia le spese per la sua istruzione ed il suo mantenimento e l’America acquista gratuitamente un operaio; quindi l’America dà un compenso all’Inghilterra. Se l’uomo che emigra è presso alla vecchiaia, è la nazione che lo accoglie che riceve il risarcimento. Per quanto concerne poi gl’inabili, ogni nazione deve far sicurtà per i suoi membri e garantire che penserà al loro sostentamento. Con queste condizioni è illimitato il diritto di emigrare quando si vuole».

«Ma come si fa per i viaggi di piacere o di studio? Come può un forestiero viaggiare in un paese straniero, gli abitanti del quale non accettano danaro, e procurarsi le cose necessarie alla vita? Il suo biglietto di credito non sarà naturalmente valido in un altro paese. Come fa a pagare le spese di viaggio?»

«Un biglietto di credito americano», rispose il dottor Leete, «vale in Europa come vi valeva prima l’oro americano; soltanto lo si converte col mezzo di pagamento usato dalla nazione in cui si viaggia. Un americano che presentasse a Berlino il suo biglietto di credito, all’ufficio locale del consiglio internazionale, riceverebbe in cambio un biglietto di credito tedesco, il cui valore verrebbe ascritto a carico dell’America».


«Signor West, desinereste volentieri all’Elefante oggi?» domandò Editta, mentre ci alzavamo da tavola.

«Così si chiama», spiegò suo padre, «la trattoria generale del nostro circondario. Facciamo ammannire i nostri cibi dalle cucine pubbliche e, alla trattoria, il servizio e la qualità delle vivande sono assai migliori. I due pasti minori si fanno generalmente a casa, giacchè non franca la spesa di uscire per sì poco: ma generalmente si va a desinar fuori.

[p. 79 modifica]Da quando siete con noi, non lo abbiam più fatto perchè abbiamo pensato che era meglio che vi abituaste un po’ ai nostri nuovi usi. Che ve ne pare? dobbiamo recarci alla trattoria, oggi?»

Risposi che ciò mi avrebbe fatto molto piacere.

Poco dopo Editta mi si avvicinò e mi disse sorridendo: «Iersera pensavo a ciò che avrei potuto fare, per far sì che vi sentiate a casa vostra con noi; e mi venne un’idea; che cosa direste se io vi presentassi alcune care persone dei vostri tempi, e che voi conoscevate per bene?»

Risposi, un po’ incerto, che ciò mi sarebbe stato assai gradito; ma che non indovinavo come ella avrebbe fatto.

«Venite con me,» rispose scherzosamente, «e vedrete se non mantengo la mia parola.»

Ero passato per una tal trafila di sorprese in quei giorni, che credevo di non essere più suscettibile ad esse; pure fu con un certo stupore che la seguii in una camera piccola e comoda in cui non ero ancora entrato; le pareti erano ricoperte di scaffali.

«Ecco i vostri amici,» disse Editta accennando uno degli scaffali. Ivi trovai Skakespeare, Milton, Wordsworth, Shelley, Tennyson, De-Foe, Dickens, Thackeray, Hugo, Hawthorne, Irving e vari altri scrittori dell’epoca mia e di altri tempi; compresi allora le parole di Editta; ella aveva mantenuto la sua promessa conducendomi in mezzo ad amici che il secolo spirato non era giunto ad invecchiare. La sua mente era sì squisita, il suo spirito sì arguto, il suo riso ed il suo pianto sì contagiosi, che mi parve che le sue parole diminuissero le ore del secolo trascorso. Con quei compagni io non potevo più sentirmi solo, per quanto profondo fosse l’abisso che si apriva fra me ed i miei tempi.

«Siete contento che vi abbia condotto qui?» esclamò Editta, raggiante e leggendomi in volto la riuscita del suo tentativo.

«Fu una buona idea, nevvero signor West? Quanto fui stupida a non pensarci prima! Ora vi lascerò solo coi vostri amici, perchè credo che non avrete bisogno di un’altra compagna; però non ci dimenticate,» e con questa graziosa raccomandazione si allontanò.

[p. 80 modifica]Attratto dai nomi più noti, presi un volume del Dickens e mi posi a leggere. Egli era sempre stato il mio prediletto fra gli scrittori del secolo (intendo parlare del decimonono); e nella mia vita passata non mi era mai occorso di lasciar trascorrere una settimana senza leggere alcune pagine sue, onde scacciare la noia. Nella mia singolare situazione, qualsiasi lettura mi avrebbe straordinariamente impressionato; ma la mia antica dimestichezza col Dickens, prestò ai suoi scritti un effetto speciale, facendomi notare più particolarmente l’eterogeneità di quanto ora mi circondava. Per quanto nuovo e differente sia il centro in cui un uomo si trova, egli cerca sempre, fin dal principio, di avvezzarvisi, sicchè la facoltà di considerarlo obbiettivamente va perduta. Questa facoltà si era già indebolita in me; ma la lettura del Dickens, riconducendomi al punto di vista della mia vita passata, me la restituì nuovamente. Vidi con una chiarezza, sinora sconosciuta, il passato ed il presente, come due quadri fra loro in contrasto.

La mente del gran novelliere del secolo XIX può infatti, come quella di Omero, sfidare il tempo: ma la cornice delle sue sorprendenti narrazioni, la miseria dei poveri, l’ingiustizia dei potenti, la spietata crudeltà del sistema sociale, era sparita interamente come Circe e le Sirene, Cariddi ed i Ciclopi. Dopo di esser restato più ore nella biblioteca, il dottor Leete venne a cercarmi.

«Editta mi parlò della sua ispirazione», osservò, «e trovo che essa fu buonissima. Era alquanto curioso di sapere a quale scrittore vi sareste rivolto dapprima. Ah, al Dickens! Lo ammirate dunque? In ciò siamo d’accordo; secondo il nostro modo di vedere, egli supera tutti gli scrittori del suo tempo, non per altezza d’ingegno, ma perchè il suo nobile cuore batteva per i poveri, perchè egli faceva sua la causa delle vittime della società, di cui sferzava, con la sua penna, la crudeltà e la freddezza di cuore. Non vi fu nessuno che, come lui, cercasse di rivolgere l’attenzione generale sull’ingiustizia dell’antico ordine delle cose e di far vedere agli uomini la necessità dei grandi cambiamenti imminenti, quantunque egli stesso non li avesse concepiti chiaramente».