Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/445: differenze tra le versioni

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momento che rimetteva il capo sul cuscino. Gli era parso, fin dalla prima volta ch’era stato presentato a lui, che quegli lo guardasse con occhio sospettoso, ruminando dei giudizi poco favorevoli sul conto suo, poichè gli aveva domandato in quali paesi fosse stato maestro e perchè avesse ''tanto desiderio'' d’andarsi a stabilire a Torino. Forse il fatto ch’egli aveva dato una ceffata a un suo collega, nonostante le ampie giustificazioni e le commendatizie del provveditore, gli sapeva d’amaro; e questo si capiva; ma ci doveva essere qualcos’altro, senza dubbio. Uno dei primi giorni, mentre egli stava sulla piazza davanti alla carretta d’un venditor di libri girovago, il delegato gli s’era soffermato accanto, fingendo di guardare anche lui, come per star a vedere qual libro egli avrebbe comprato. La sera, al caffè, pareva al maestro che quegli, dal suo cantuccio, facesse attenzione al giornale ch’egli sceglieva fra i sette o otto che erano sparsi sulla tavola rotonda del mezzo. Poi gli balenò un sospetto più grave un giorno che il delegato venne nella scuola con un garzone falegname a far sostituire a un piccolo ritratto a stampa del re Umberto una grande oleografia incorniciata ch’egli stesso regalava alla classe. Quando l’oleografia fu messa al posto, il vecchio salì sopra una seggiola, e cavato di tasca un fazzoletto pulito, lo passò sul quadro con grande riguardo, quasi con una ostentazione di rispetto, come sopra una immagine sacra, e, dopo disceso, disse a lui gravemente: — Mi raccomando che ne abbia la debita cura, perchè in una scuola è la prima cosa! — e accompagnò quelle parole con uno sguardo lungo e scrutatore. — Cospetto! — pensò il maestro. — Che mi creda un repubblicano arrabbiato?... Ma con qual fondamento? — Dei fondamenti quegli credeva d’averne: ma al giovane non passò pel capo allora che una delle prime cagioni dei suoi sospetti fosse d’averlo visto più volte in conversazione familiare con l’organista, che era per lui l’essere più inviso del villaggio, la peste del mandamento, un pericolo nazionale e sociale; e la cui perpetua profezia di rivoluzione gli amareggiava la vita.
momento che rimetteva il capo sul cuscino. Gli era parso, fin dalla prima volta ch’era stato presentato a lui, che quegli lo guardasse con occhio sospettoso, ruminando dei giudizi poco favorevoli sul conto suo, poichè gli aveva domandato in quali paesi fosse stato maestro e perchè avesse ''tanto desiderio'' d’andarsi a stabilire a Torino. Forse il fatto ch’egli aveva dato una ceffata a un suo collega, nonostante le ampie giustificazioni e le commendatizie del provveditore, gli sapeva d’amaro; e questo si capiva; ma ci doveva essere qualcos’altro, senza dubbio. Uno dei primi giorni, mentre egli stava sulla piazza davanti alla carretta d’un venditor di libri girovago, il delegato gli s’era soffermato accanto, fingendo di guardare anche lui, come per star a vedere qual libro egli avrebbe comprato. La sera, al caffè, pareva al maestro che quegli, dal suo cantuccio, facesse attenzione al giornale ch’egli sceglieva fra i sette o otto che erano sparsi sulla tavola rotonda del mezzo. Poi gli balenò un sospetto più grave un giorno che il delegato venne nella scuola con un garzone falegname a far sostituire a un piccolo ritratto a stampa del re Umberto una grande oleografia incorniciata ch’egli stesso regalava alla classe. Quando l’oleografia fu messa al posto, il vecchio salì sopra una seggiola, e cavato di tasca un fazzoletto pulito, lo passò sul quadro con grande riguardo, quasi con una ostentazione di rispetto, come sopra una immagine sacra, e, dopo disceso, disse a lui gravemente: — Mi raccomando che ne abbia la debita cura, perchè in una scuola è la prima cosa! — e accompagnò quelle parole con uno sguardo lungo e scrutatore. — Cospetto! — pensò il maestro. — Che mi creda un repubblicano arrabbiato?... Ma con qual fondamento? — Dei fondamenti quegli credeva d’averne; ma al giovane non passò pel capo allora che una delle prime cagioni dei suoi sospetti fosse d’averlo visto più volte in conversazione familiare con l’organista, che era per lui l’essere più inviso del villaggio, la peste del mandamento, un pericolo nazionale e sociale; e la cui perpetua profezia di rivoluzione gli amareggiava la vita.


Neppure costui, nondimeno, aveva l’aria d’uno di quegli uomini, da cui un maestro potesse temere {{Pt|per-|}}
Neppure costui, nondimeno, aveva l’aria d’uno di quegli uomini, da cui un maestro potesse temere {{Pt|per-|}}

Versione attuale delle 21:00, 21 dic 2016


Bizzarrie 183

momento che rimetteva il capo sul cuscino. Gli era parso, fin dalla prima volta ch’era stato presentato a lui, che quegli lo guardasse con occhio sospettoso, ruminando dei giudizi poco favorevoli sul conto suo, poichè gli aveva domandato in quali paesi fosse stato maestro e perchè avesse tanto desiderio d’andarsi a stabilire a Torino. Forse il fatto ch’egli aveva dato una ceffata a un suo collega, nonostante le ampie giustificazioni e le commendatizie del provveditore, gli sapeva d’amaro; e questo si capiva; ma ci doveva essere qualcos’altro, senza dubbio. Uno dei primi giorni, mentre egli stava sulla piazza davanti alla carretta d’un venditor di libri girovago, il delegato gli s’era soffermato accanto, fingendo di guardare anche lui, come per star a vedere qual libro egli avrebbe comprato. La sera, al caffè, pareva al maestro che quegli, dal suo cantuccio, facesse attenzione al giornale ch’egli sceglieva fra i sette o otto che erano sparsi sulla tavola rotonda del mezzo. Poi gli balenò un sospetto più grave un giorno che il delegato venne nella scuola con un garzone falegname a far sostituire a un piccolo ritratto a stampa del re Umberto una grande oleografia incorniciata ch’egli stesso regalava alla classe. Quando l’oleografia fu messa al posto, il vecchio salì sopra una seggiola, e cavato di tasca un fazzoletto pulito, lo passò sul quadro con grande riguardo, quasi con una ostentazione di rispetto, come sopra una immagine sacra, e, dopo disceso, disse a lui gravemente: — Mi raccomando che ne abbia la debita cura, perchè in una scuola è la prima cosa! — e accompagnò quelle parole con uno sguardo lungo e scrutatore. — Cospetto! — pensò il maestro. — Che mi creda un repubblicano arrabbiato?... Ma con qual fondamento? — Dei fondamenti quegli credeva d’averne; ma al giovane non passò pel capo allora che una delle prime cagioni dei suoi sospetti fosse d’averlo visto più volte in conversazione familiare con l’organista, che era per lui l’essere più inviso del villaggio, la peste del mandamento, un pericolo nazionale e sociale; e la cui perpetua profezia di rivoluzione gli amareggiava la vita.

Neppure costui, nondimeno, aveva l’aria d’uno di quegli uomini, da cui un maestro potesse temere per-