Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1910, I.djvu/322: differenze tra le versioni

Da Wikisource.
Phe-bot (discussione | contributi)
Xavier121: split
 
Luigi62 (discussione | contributi)
 
Stato della paginaStato della pagina
-
Pagine SAL 25%
+
Pagine SAL 75%
Intestazione (non inclusa):Intestazione (non inclusa):
Riga 1: Riga 1:
{{RigaIntestazione||{{Sc|novella xxiii}}|319}}
Corpo della pagina (da includere):Corpo della pagina (da includere):
Riga 1: Riga 1:
perché, andando per la terra a diporto, vide la sua innamorata ad una finestra ne la contrada di Tavernelle, la quale, o a caso o come si fosse, a pena fu veduta che si ritirò dentro. Egli, conosciuta la giovane e spiato di cui la casa fosse, intese il padrone di quella esser goto e chiamarsi Clisterdo e la fanciulla Aloinda. Piacque assai al giovine aver ritrovato quella esser nobile ed il padre suo uomo di gran stima, il quale alora a Ravenna appo Teodorico si ritrovava. Cominciò adunque a passar molto spesso per la contrada, e quando o in porta o a le finestre la vedeva, le mostrava con gli occhi come per lei miseramente ardeva, e molto tempo perseverò di questa guisa. Tuttavia, che che se ne fosse cagione, egli mai non le fece motto né con messi o ambasciate, né con lettere mai se le scoperse che per lei ardesse. Ella medesimamente, nulla de l’amor di lui mostrandosi accorgere, sembiante nessuno faceva che di quello le calesse. Di che l’acceso amante viveva in pessima contentezza. Non ardiva a la fanciulla scoprirsi per tema che ella non si sdegnasse e piú poi non si lasciasse vedere, ché pure la vista di lei era al giovine di grandissima contentezza, e prima averebbe voluto morire che mai in cosa alcuna, quantunque minima, offenderla. In questo stato ritrovandosi e piú di giorno in giorno ardentemente la sua Aloinda amando, poi che molti pensieri ebbe fatto, deliberò ad un suo fidato amico tutto il suo amore far palese ed a lui chieder conseglio ed aita in questa impresa. Era l’amico suo, chiamato Teialac, giovine nobile, ma sin da fanciullo sempre stato cagionevole de la persona. Il che gli aveva causato che non s’era dato a l’armi, ma solamente attendeva a le lettere, e piú a le greche che a le latine, perciò che tutta la nazione dei goti dava piú opera agli studi greci che agli altri. Ed in questa nostra patria perseverano ancora molti vocaboli greci e sono in uso cosí agli uomini come a le donne, di modo che sono divenuti volgari ed italiani. Essendo adunque un giorno Bandelchil insieme con Teialac, gli narrò tutta l’istoria del suo amore, pregandolo che in tanta pena come si trovava gli donasse qualche conforto, perché conosceva non poter piú mantenersi in tanti tormenti, avendone perduto il cibo e il sonno. Teialac,
NOVELLA XXIII
3«9
perché, andando per la terra a diporto, vide la sua innamorata
ad una finestra ne la contrada di Tavernelle, la quale, o a caso
o come si fosse, a pena fu veduta che si ritirò dentro. F.gli,
conosciuta la giovane e spiato di cui la casa fosse, intese il
padrone di quella esser goto e chiamarsi Clisterdo e la fanciulla
Aioinda. Piacque assai al giovine aver ritrovato quella esser no¬
bile ed il padre suo uomo di gran stima, il quale alora a Ravenna
appo Teodorico si ritrovava. Cominciò adunque a passar molto
spesso per la contrada, e quando o in porta o a le finestre la ve¬
deva, le mostrava con gli occhi come per lei miseramente ardeva,
e molto tempo perseverò di questa guisa. Tuttavia, che che se ne
fosse cagione, egli mai non le fece motto né con messi o amba¬
sciate, né con lettere mai se le scoperse che per lei ardesse.
Ella medesimamente, nulla de l’amor di lui mostrandosi ac¬
corgere, sembiante nessuno faceva che di quello le calesse. Di
che l’acceso amante viveva in pessima contentezza. Non ardiva
a la fanciulla scoprirsi per tema che ella non si sdegnasse e
più poi non si lasciasse vedere, ché pure la vista di lei era al
giovine di grandissima contentezza, e prima averebbe voluto
morire che mai in cosa alcuna, quantunque minima, offenderla.
In questo stato ritrovandosi e più di giorno in giorno ardente¬
mente la sua Aioinda amando, poi che molti pensieri ebbe fatto,
deliberò ad un suo fidato amico tutto il suo amore far palese
ed a lui chieder conseglio ed aita in questa impresa. Era l’amico
suo, chiamato Teialac, giovine nobile, ma sin da fanciullo sempre
stato cagionevole de la persona. Il che gli aveva causato che
non s’era dato a l’armi, ma solamente attendeva a le lettere,
e più a le greche che a le latine, perciò che tutta la nazione
dei goti dava più opera agli studi greci che agli altri. Ed in
questa nostra patria perseverano ancora molti vocaboli greci e
sono in uso cosi agli uomini come a le donne, di modo che
sono divenuti volgari ed italiani. Essendo adunque un giorno
Bandelchil insieme con Teialac, gli narrò tutta l’istoria del suo
amore, pregandolo che in tanta pena come si trovava gli donasse
qualche conforto, perché conosceva non poter più mantenersi
in tanti tormenti, avendone perduto il cibo e il sonno. Teialac,

Versione attuale delle 07:49, 3 ott 2017


novella xxiii 319

perché, andando per la terra a diporto, vide la sua innamorata ad una finestra ne la contrada di Tavernelle, la quale, o a caso o come si fosse, a pena fu veduta che si ritirò dentro. Egli, conosciuta la giovane e spiato di cui la casa fosse, intese il padrone di quella esser goto e chiamarsi Clisterdo e la fanciulla Aloinda. Piacque assai al giovine aver ritrovato quella esser nobile ed il padre suo uomo di gran stima, il quale alora a Ravenna appo Teodorico si ritrovava. Cominciò adunque a passar molto spesso per la contrada, e quando o in porta o a le finestre la vedeva, le mostrava con gli occhi come per lei miseramente ardeva, e molto tempo perseverò di questa guisa. Tuttavia, che che se ne fosse cagione, egli mai non le fece motto né con messi o ambasciate, né con lettere mai se le scoperse che per lei ardesse. Ella medesimamente, nulla de l’amor di lui mostrandosi accorgere, sembiante nessuno faceva che di quello le calesse. Di che l’acceso amante viveva in pessima contentezza. Non ardiva a la fanciulla scoprirsi per tema che ella non si sdegnasse e piú poi non si lasciasse vedere, ché pure la vista di lei era al giovine di grandissima contentezza, e prima averebbe voluto morire che mai in cosa alcuna, quantunque minima, offenderla. In questo stato ritrovandosi e piú di giorno in giorno ardentemente la sua Aloinda amando, poi che molti pensieri ebbe fatto, deliberò ad un suo fidato amico tutto il suo amore far palese ed a lui chieder conseglio ed aita in questa impresa. Era l’amico suo, chiamato Teialac, giovine nobile, ma sin da fanciullo sempre stato cagionevole de la persona. Il che gli aveva causato che non s’era dato a l’armi, ma solamente attendeva a le lettere, e piú a le greche che a le latine, perciò che tutta la nazione dei goti dava piú opera agli studi greci che agli altri. Ed in questa nostra patria perseverano ancora molti vocaboli greci e sono in uso cosí agli uomini come a le donne, di modo che sono divenuti volgari ed italiani. Essendo adunque un giorno Bandelchil insieme con Teialac, gli narrò tutta l’istoria del suo amore, pregandolo che in tanta pena come si trovava gli donasse qualche conforto, perché conosceva non poter piú mantenersi in tanti tormenti, avendone perduto il cibo e il sonno. Teialac,