Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/46: differenze tra le versioni

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alcune Provincie della stirpe stessa, forzate a viver in una comunella politica che forse disamano. Essa implica l’idea di libertà, la quale sola può conferire la potestà d’esercitare e svolgere senza impacci le facoltà naturali nella indipendente comunanza delle tradizioni, de’ costumi, delle idee che per secoli formarono il tipo della stirpe. Non unità di leggi, di bandiera, di nome, non possa d’esercito, non accentramento d’amministrazione aveva l’Italia quando essa primeggiava capo ed esempio delle genti, e quando essa produsse Dante; eppure era nazione, se per tale, intendasi l’accordo di interessi, di sentimenti, d’inclinazioni istintive verso uno scopo comune; nè mai si sentì tanto italiana come allora, quando i fatti di essa sembrano quelli del mondo, perchè il papato vi costituiva l’unità organica della cristianità, cioè di tutto l’orbe civile. E mentre negli altri paesi assodavansi i principati, piccole nazionalità che poco a poco si fonderebbero in più grandi, e in un sistema di Stati uniti da un legame generale, pur conservando l’autonomia, qui pure surrogavansi le signorie ai Comuni. Nell’alta Italia la Lega Lombarda avea vinto gli imperatori; ma scarsa di civile prudenza, provvedendo al presente anzichè all’avvenire, non seppe formar una federazione che avesse centro a Milano, patria per tutto, feste ed esercito comune, tesoro, patti, assemblea: conobbe soltanto spedienti istantanei, abbandonossi al mareggio del suffragio universale, che pazzeggiando come sempre, portava a capo qualche signore, il quale alleavasi coll’infima plebe per prepotere, e non avendo contrappeso perchè eletto dal popolo, diventava tiranno là dov’era venuto parteggiando; oppure rivalevano le famiglie baronali, che ritiratesi nella campagna e sulle alture, non aveano perduto mai il dominio, nè cessato d’esser minacciose al popolo; od accanto alle città libere ergeano torri o costituivano borgate feudali; e tutte s’appoggiavano all’imperatore come ghibelline.
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ILLUSTRI ITALIANI
In Toscana, attorno alla guelfa Firenze, principavano Ranier di Corneto, «il qual fece alle strade tanta guerra» in vai del Savio; i Cadolinghi a Fucecchio, gli Aldobrandeschi a Grosseto e Sovana, gli Albertini a Soffena e Gaville, i Guidalotti a Sommaja, i conti di Mangona nei castelli d’Elci, Gavorrano, Scarlino, Monte Rotondo e altri della Maremma. Così per tutta Italia. Altri eransi patteggiati colle città, pur conservando privilegi, come di far guerra e alleanze, e immunità personali; onde nelle città stesse ergevansi torri, in cui
alcune Provincie della stirpe stessa, forzate a viver in una comu-
nella politica che forse disamano. Essa implica l'idea di libertà, la
quale sola può conferire la potestà d'esercitare e svolgere senza
impacci le facoltà naturali nella indipendente comunanza delle tra-
dizioni, de' costumi, delle idee che per secoli formarono il tipo
della stirpe. Non unità di leggi, di bandiera, di nome, non possa
d'esercito, non accentramento d'amministrazione aveva l' Italia quando
essa primeggiava capo ed esempio delle genti, e quando essa produsse
Dante; eppure era nazione, se per tale, intendasi l'accordo di inte-
ressi, di sentimenti, d'inclinazioni istintive verso uno scopo comune;
nè mai si sentì tanto italiana come allora, quando i fatti di essa
sembrano quelli del mondo, perchè il papato vi costituiva l'unità
organica della cristianità, cioè di tutto l'orbe civile. E mentre negli
altri paesi assodavansi i principati, piccole nazionalità che poco a
poco si fonderebbero in più grandi, e in un sistema di Stati uniti
da un legame generale, pur conservando l'autonomia, qui pure sur-
rogavansi le signorie ai Comuni. Nell'alta Italia la Lega Lombarda
avea vinto gli imperatori; ma scarsa di civile prudenza, provve-
dendo al presente anziché all'avvenire, non seppe formar una fede-
razione che avesse centro a Milano, patria per tutto, feste ed eser-
cito comune, tesoro, patti, assemblea: conobbe soltanto spedienti
istantanei, abbandonossi al mareggio del suffragio universale, che
pazzeggiando come sempre, portava a capo qualche signore, il quale
alleavasi coli' infima plebe per prepotere, e non avendo contrappeso
perchè eletto dal popolo, diventava tiranno là dov'era venuto par-
teggiando; oppure rivalevano le famiglie baronali, che ritiratesi
nella campagna e sulle alture, non aveano perduto mai il dominio,
nè cessato d'esser minacciose al popolo ; od accanto alle città libere
ergeano torri o costituivano borgate feudali; e tutte s'appoggiavano
all'imperatore come ghibelline.
In Toscana, attorno alla guelfa Firenze, principavano Ranier di
Corneto, « il qual fece alle strade tanta guerra » in vai del Savio ;
ì Cadolinghi a Fucecchio , gli Aldobrandeschi a Grosseto e Sovana,
gli Albertini a Soffena e Gaville, i Guidalotti a Sommaja, i conti di
Mangona nei castelli d'Elei, Gavorrano, Scarlino, Monte Rotondo e
altri della Maremma. Cosi per tutta Italia. Altri eransi patteggiati
colle città, pur conservando privilegi, come di far guerra e alleanze,
e immunità personali ; onde nelle città stesse ergevansi torri , in cui

Versione delle 17:39, 20 ott 2017

26 illustri italiani

alcune Provincie della stirpe stessa, forzate a viver in una comunella politica che forse disamano. Essa implica l’idea di libertà, la quale sola può conferire la potestà d’esercitare e svolgere senza impacci le facoltà naturali nella indipendente comunanza delle tradizioni, de’ costumi, delle idee che per secoli formarono il tipo della stirpe. Non unità di leggi, di bandiera, di nome, non possa d’esercito, non accentramento d’amministrazione aveva l’Italia quando essa primeggiava capo ed esempio delle genti, e quando essa produsse Dante; eppure era nazione, se per tale, intendasi l’accordo di interessi, di sentimenti, d’inclinazioni istintive verso uno scopo comune; nè mai si sentì tanto italiana come allora, quando i fatti di essa sembrano quelli del mondo, perchè il papato vi costituiva l’unità organica della cristianità, cioè di tutto l’orbe civile. E mentre negli altri paesi assodavansi i principati, piccole nazionalità che poco a poco si fonderebbero in più grandi, e in un sistema di Stati uniti da un legame generale, pur conservando l’autonomia, qui pure surrogavansi le signorie ai Comuni. Nell’alta Italia la Lega Lombarda avea vinto gli imperatori; ma scarsa di civile prudenza, provvedendo al presente anzichè all’avvenire, non seppe formar una federazione che avesse centro a Milano, patria per tutto, feste ed esercito comune, tesoro, patti, assemblea: conobbe soltanto spedienti istantanei, abbandonossi al mareggio del suffragio universale, che pazzeggiando come sempre, portava a capo qualche signore, il quale alleavasi coll’infima plebe per prepotere, e non avendo contrappeso perchè eletto dal popolo, diventava tiranno là dov’era venuto parteggiando; oppure rivalevano le famiglie baronali, che ritiratesi nella campagna e sulle alture, non aveano perduto mai il dominio, nè cessato d’esser minacciose al popolo; od accanto alle città libere ergeano torri o costituivano borgate feudali; e tutte s’appoggiavano all’imperatore come ghibelline.

In Toscana, attorno alla guelfa Firenze, principavano Ranier di Corneto, «il qual fece alle strade tanta guerra» in vai del Savio; i Cadolinghi a Fucecchio, gli Aldobrandeschi a Grosseto e Sovana, gli Albertini a Soffena e Gaville, i Guidalotti a Sommaja, i conti di Mangona nei castelli d’Elci, Gavorrano, Scarlino, Monte Rotondo e altri della Maremma. Così per tutta Italia. Altri eransi patteggiati colle città, pur conservando privilegi, come di far guerra e alleanze, e immunità personali; onde nelle città stesse ergevansi torri, in cui