Pagina:Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù Vol.1.djvu/60: differenze tra le versioni

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grandioso il veder i nostri trionfare d’un potere armato, frenare un’autorità sconfinata, ridurre a giusti limiti le immunità del clero e i privilegi dei nobili, sbalzare le antiche famiglie prepotenti, emancipare i servi e trasformarli in coloni, costruire l’edifizio nuovo coi rottami dell’antico intrisi di sangue.
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ILLUSTRI ITALIANI
Quelle gare, che alcuni deplorano come gravissima infelicità, non erano effetto della libertà, bensì sforzi per acquistarla e colpa del non averla piena, appunto perchè accanto alle città libere sopravviveano la campagna servile, le giurisdizioni feudali, l’ingerenza imperiale. I popoli liberi possono agognare alla vittoria, non al riposo. Fra essi non si governa che per via di fazioni: ognuno deve appartenere ad una. Sono compatte e permanenti? il Governo dura; se no, non giunge a mezzo novembre quel che si fila d’ottobre. Scopo propongonsi il meglio del paese; ma i partiti confondono questo coll’interesse proprio. I Guelfi, teocratici, probi, ideali, utopisti: i Ghibellini, imperiali, positivi, pratici; entrambi erano partiti generosi: guelfe Milano e Firenze «rôcca ferma e stabile della libertà d’Italia» ({{Sc|{{AutoreCitato|Giovanni Villani|Gio. Villani}}}}), ricovero ultimo di questa: bandiera ghibellina sventolavano i signorotti, che la forza credeano necessaria alla quiete e alla giustizia, ma neppur essi tradivano la patria agli stranieri, benchè la guastassero coll’implicarli ne’ loro dissidj. Gli uni e gli altri svisavano l’intento abusando o esagerando o traviando, prestando culto agli uomini, anzichè all’idea, e gli uni invocando l’imperatore, gli altri il papa. Ma il papa anch’egli è principe, ha esercito, serve a politiche passioni che alterano i grandiosi intenti. Così i Guelfi di Firenze divengono fautori dell’imperatore e avversi al papa, e si dividono in Bianchi e Neri. È il giuoco che vediamo continuo nelle due supreme divisioni inglesi dei tory e degli wigh: e Dante era guelfo come {{AutoreCitato|Robert Peel|Roberto Peel}} fu tory, compiendo nel 1843 quel che gli wigh aveano voluto al 1830.
grandioso il veder i nostri trionfare d'un potere armato, frenare

un'autorità sconfinata, ridurre a giusti limiti le immunità del clero
Ambi i partiti riconoscevano un principio superiore a tutte le rivoluzioni; la distinzione del potere temporale dall’ecclesiastico, dello spirito dalla legge, della fede dal diritto, della coscienza dell’individuo dalla forza della società, dell’unità umana dall’unità civile. Il prevalere di una di queste tesi porta necessariamente l’antitesi; se la Chiesa si fa democratica col popolo, l’Impero si fa democratico colla plebe; se i Guelfi costituiscono l’eguaglianza, i Ghibellini vogliono impedirla colla legge; se prevale il concetto
e i privilegi dei nobili, sbalzare le antiche famiglie prepotenti, eman-
cipare i servi e trasformarli in coloni, costruire l'edifizio nuovo coi
rottami dell'antico intrisi di sangue.
Quelle gare, che alcuni deplorano come gravissima infelicità, non
erano effetto della libertà, bensì sforzi per acquistarla e colpa del non
averla piena, appunto perchè accanto alle città libere sopravviveano
la campagna servile, le giurisdizioni feudali, l'ingerenza imperiale.
I popoli liberi possono agognare alla vittoria, non al riposo. Fra essi
non si governa che per via di fazioni: ognuno deve appartenere ad
una. Sono compatte e permanenti? il Governo dura; se no, non giunge
a mezzo novembre quel che si fila d'ottobre. Scopo propongonsi il me-
glio del paese; ma i partiti confondono questo coU'interesse proprio. I
Guelfi, teocratici, probi, ideali, utopisti: i Ghibellini, imperiali, po-
sitivi, pratici; entrambi erano partiti generosi: guelfe Milano e Fi-
renze « rócca ferma e stabile della libertà d'Italia » (Gio. Villani),
ricovero ultimo di questa: bandiera ghibellina sventolavano i signo-
rotti, che la forza credeano necessaria alla quiete e alla giustizia,
ma neppur essi tradivano la patria agli stranieri, benché la guastas-
sero coU'implicarli ne' loro dissidj. Gli uni e gli altri svisavano
l'intento abusando o esagerando o traviando, prestando culto agli
uomini, anziché all'idea, e gli uni invocando l'imperatore, gli altri
il papa. Ma il papa anch'egli è principe, ha esercito, serve a politiche
passioni che alterano i grandiosi intenti. Così i Guelfi di Firenze
divengono fautori dell'imperatore e avversi al papa, e si dividono in
Bianchi e Neri. È il giuoco che vediamo continuo nelle due supreme
divisioni inglesi dei tory e degli wigh: e Dante era guelfo come
Roberto Peel fu tory, compiendo nel 1843 quel che gli wigh aveano
voluto al 1830.
Ambi i partiti riconoscevano un principio superiore a tutte le
rivoluzioni; la distinzione del potere temporale dall'ecclesiastico,
dello spirito dalla legge, della fede dal diritto, della coscienza del-
l'individuo dalla forza della società, dell'unità umana dall'unità
civile. Il prevalere di una di queste tesi porta necessariamente
Pantitesi; se la Chiesa si fa democratica col popolo, l'Impero si
fa democratico colla plebe; se i Guelfi costituiscono l'eguaglianza,
t Ghibellini vogliono impedirla colla legge; se prevale il concetto

Versione delle 16:43, 23 ott 2017

40 illustri italiani

grandioso il veder i nostri trionfare d’un potere armato, frenare un’autorità sconfinata, ridurre a giusti limiti le immunità del clero e i privilegi dei nobili, sbalzare le antiche famiglie prepotenti, emancipare i servi e trasformarli in coloni, costruire l’edifizio nuovo coi rottami dell’antico intrisi di sangue.

Quelle gare, che alcuni deplorano come gravissima infelicità, non erano effetto della libertà, bensì sforzi per acquistarla e colpa del non averla piena, appunto perchè accanto alle città libere sopravviveano la campagna servile, le giurisdizioni feudali, l’ingerenza imperiale. I popoli liberi possono agognare alla vittoria, non al riposo. Fra essi non si governa che per via di fazioni: ognuno deve appartenere ad una. Sono compatte e permanenti? il Governo dura; se no, non giunge a mezzo novembre quel che si fila d’ottobre. Scopo propongonsi il meglio del paese; ma i partiti confondono questo coll’interesse proprio. I Guelfi, teocratici, probi, ideali, utopisti: i Ghibellini, imperiali, positivi, pratici; entrambi erano partiti generosi: guelfe Milano e Firenze «rôcca ferma e stabile della libertà d’Italia» (Gio. Villani), ricovero ultimo di questa: bandiera ghibellina sventolavano i signorotti, che la forza credeano necessaria alla quiete e alla giustizia, ma neppur essi tradivano la patria agli stranieri, benchè la guastassero coll’implicarli ne’ loro dissidj. Gli uni e gli altri svisavano l’intento abusando o esagerando o traviando, prestando culto agli uomini, anzichè all’idea, e gli uni invocando l’imperatore, gli altri il papa. Ma il papa anch’egli è principe, ha esercito, serve a politiche passioni che alterano i grandiosi intenti. Così i Guelfi di Firenze divengono fautori dell’imperatore e avversi al papa, e si dividono in Bianchi e Neri. È il giuoco che vediamo continuo nelle due supreme divisioni inglesi dei tory e degli wigh: e Dante era guelfo come Roberto Peel fu tory, compiendo nel 1843 quel che gli wigh aveano voluto al 1830.

Ambi i partiti riconoscevano un principio superiore a tutte le rivoluzioni; la distinzione del potere temporale dall’ecclesiastico, dello spirito dalla legge, della fede dal diritto, della coscienza dell’individuo dalla forza della società, dell’unità umana dall’unità civile. Il prevalere di una di queste tesi porta necessariamente l’antitesi; se la Chiesa si fa democratica col popolo, l’Impero si fa democratico colla plebe; se i Guelfi costituiscono l’eguaglianza, i Ghibellini vogliono impedirla colla legge; se prevale il concetto