Degli uffici (volgarizzamento anonimo): differenze tra le versioni
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con arbitrio e giudizio nostro, attigneremo |
con arbitrio e giudizio nostro, attigneremo |
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quanto ci parrà. |
quanto ci parrà. |
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CAPO I. |
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Dell' ufficio , e come si divide. |
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Piaceci adunque , perché ogni disputa |
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ha a essere dell’ ufficio , innanzi diffinire |
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che cosa sia ufficio : la qual cosa io mi ma- |
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raviglio essere stata lasciata da Panezio. |
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Imperocché ogni ordinamento , il quale di |
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qualche cosa è preso dalla ragione , debbe |
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procedere dalla diffinizione ; acciocché s’in- |
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tenda ciò che sia quello , del quale si di- |
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sputa. Ogni quistione dell’ufficio è doppia r |
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uno modo è il quale s' appartiene al line |
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de’ beni ; l’ altro è il quale è posto ne’ pre- |
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cetti , pe’ quali l’ uso della vita possa es- |
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sere confermo in tutte le parti. Del modo |
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di sopra questi sono gli esempi : se tutti |
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gli uffici sono perfetti o no ; e se alcuno |
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di loro è maggiore che l’altro ; e altre cose |
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simili a queste. Ma quegli uffici de’ quali |
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si danno i precetti , benché essi s' appar- |
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tengano al fine de’beni , nientedimeno meno |
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appariscono di cosi essere , perchè essi più |
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ragguardano all’ ammaestramento della vita |
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comune ; de’ quali uffici noi in questi libri |
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dobbiamo con dichiarazione disputare. |
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E ancora un altra divisione è degli uffi- |
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ci. Imperocché e' si chiama alcuno ufficio |
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mezzo , e alcuno perfetto. Il perfetto uf- |
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ficio io stimo che noi chiamiamo retto; il |
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quale i Greci chiamano catartoma , cioè se- |
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condo dirittura ; ma questo mezzo eglino |
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chiamano comune. E questi uffici così dif- |
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fiuiscono ; chè quello ufficio che sia retto , |
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diffiniscono essere perfetto ; e quello che |
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è mezzo , dicono essere quello , del quale |
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possa essere data probabile ragione perchè |
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egli sia fatto. |
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s |
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capo n. |
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Della deliberazione in pigliare il consiglio. |
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Di tre parti adunque , come a Panezio |
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pare , è la deliberazione del pigliare il con- |
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siglio. Imperocché gli uomini dubitano , se |
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quello che eglino hanno a fare sia onesto |
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o brutto : e questo cade nella deliberazio- |
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ne ; e in considerar questo , spesso gli ani- |
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mi sono tirati in contrarie sentenze. E an- |
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cora o essi cercano , o essi consigliano alla |
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commodità e giocondità della vita , e alle |
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facoltà delle cose, e alle copie, alle abbon- |
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danze , e alla potenza ; colle quali cose e- |
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glino possouo giovare a sé e a' suoi : e se |
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quello fa utile, del quale eglino delibera- |
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no: la quale deliberazione tutta cade nella |
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ragione dell’ utilità. |
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E il terzo modo del disputare è , quando |
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quello che pare utile, pare che combatta con |
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quello eli’ è onesto. Imperocché conciosiaco- |
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sacchè T utilità paia a sé rapire , e l' onestà |
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pel contrario paia da sé rimuovere ; si fa |
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che l'Animo nel deliberare si divida , e ar- |
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rechi sollecitudine dubbiosa del pensare. |
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In questa divisione ( conciosiacosacchè |
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grandissimo vizio sia nel dividere, lasciare |
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alcuna cosa ) due cose sono state lasciate. |
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Imperocché non solamente e’ si suole delibe- |
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rare , se egli è onesto o brutto ; ma ancora , |
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preposti due onesti , se l’uno è più onesto che |
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l’altro. E similmente, preposti due utili, si |
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suole dubitare se l’uno è più utile che l’al- |
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tro. E così quella ragione , la quale colui |
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stimò di essere di tre parti , si trova dover es- |
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sere distribuita in cinque. Primamente dun- |
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que si disputerà dell’ onesto , ma in due mo- |
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di ; e ancora con pari ragione dell'utile ; e |
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dipoi della comparazione tra loro. |
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CAPO III- |
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Della forza della natura a fare C onesto,. |
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Da principio a ogni ragione d'animali è |
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stato attribuito dàlia natura , ch’egli difenda' |
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sé , e la vita , e il corpo ; e isoli i £1 quelle |
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cose, le quali paino di dovere nuocere-, e- |
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tutte quelle cose le quali sieno necessarie- |
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•1 vivere, acquisti e trovi; come è fa pa- |
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sciona, a i covaccioli, e altre simili cosce. |
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1 o |
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Ma comune cosa è di tutti gli animali l’ ap- |
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petito della congiunzione , per cagione del |
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procreare ; e alcuna cura di quelle cose , |
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le quali sono state da loro procreate. Ma |
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tra l’ uomo e la bestia è singolarmente que- |
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sta differenza , che la bestia tanto si muove, |
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quanto dal senso essa è mossa ; a quello eh e |
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presente , e a quello che l’ è innanzi si ac- |
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comoda , poco avvedentesi del preterito e |
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del futuro: ma l’uomo, perchè egli è par- |
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tecipe della ragione , per la quale egli vede |
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le cose conseguenti , e conosce le cagioni |
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delle cose, e i progressi di quelle, e quasi |
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sa quelle cose le quali innanzi vadano, e |
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agguaglia le similitudini , e alle cose pre- |
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senti aggiugne e annoda le future ; facil- |
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mente vede il corso di tutta la vita , e al |
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governo di quella egli apparecchia le cose |
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necessarie. Questa medesima natura colla |
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iorza della ragione concilia 1’ uomo all’uo- |
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mo , alla compagnia e del parlare e della |
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vita : e ingenera , traile prime cose , uno pre- |
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cipuo amore in coloro , i quali sono stati |
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procreati ,• e commuovegli che le brigate |
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degli uomini vogliano essere insieme , e tra |
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se ricercarsi. E per queste cagioni tali ra- |
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II |
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gunate si studiano trovare e acquistare quelle |
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cose, le quali sovvengono al vivere, e al |
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vestire , e al governarsi ; e non solamente a |
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sè solo , ma alla moglie , a’ figliuoli , e a |
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tutti quegli altri , i quali esse abbino cari , |
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e debbino difendere. La quale cura desta |
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ancora gli animi , e fagli maggiori al fare |
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le cose. |
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E tra le prime cose nell’ uomo , è pro- |
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pria cosa il cercare e T investigare il vero. |
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E così quando noi siamo voti di necessarie |
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cure e faccende, allora noi desideriamo ve- |
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dere qualche cosa , e udire , e imparare ; |
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e stimiamo che la cognizione delle cose o |
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occulte o mirabili, sia necessaria al vivere |
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beatamente. Per la qual cosa s’intende , che |
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quello che è vero e semplice e puro , è attis- |
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simo alla natura dell’ uomo. |
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A questa cupidigia del vedere il vero è |
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aggiunto un certo desiderio del principato; |
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che l’ animo bene informato dalla natura |
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non voglia ubbidire ad alcuno , se non a |
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\jhi insegna o ammaestra, o, per cagione |
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di suo utile, legittimamente comanda e con |
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giustizia. Della qual cosa è la grandezza del- |
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l' anima , e lo spregiare le cose umane. |
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Ma nè quella è piccola forza della na- |
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tura e della ragione , che solo questo ani- |
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male conosce che cosa sia ordine , e che |
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cosa sia quella la quale si confà ne' detti |
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e ne' fatti, e che è misura. E così nessuno |
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altro animale conosce la bellezza e la pu- |
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litezza di quelle cose , le quali sono cono- |
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sciute per l’aspetlo, nè la convenienza delle |
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parti. La qual similitudine , la natura e la |
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ragione dagli occhi trasferendo allonimo, |
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molto più ancora stima dovere esser con- |
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servata la bellezza , e la costanza , e l’or- |
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dine ne’ consigli e ne’ fatti: e guardasi che |
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nessuna cosa esso faccia effeminatamente, |
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e con isconvenienza : e ancora che cosa non |
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faccia, o non pensi alcuna cosa libidinosa- |
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mente , nè in tutti i fatti , e in tutte le |
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opinioni. Per le quali cose si congrega e |
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fassi quell’ onesto , che noi cerchiamo : il |
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quale se non fosse nobilitato, nientedimeno |
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sarebbe onesto: e quello che in verità noi |
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diciamo , che benché da nessuno egli fosse |
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lodato , nientedimeno egli per natura sa- |
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rebbe laudabile. |
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« i |
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CAPO IV. |
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Belle quattro virtù , onde nascono gli uffici. |
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Tu, o Marco, ora vedi la forma di essa |
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onestà : la quale se cogli occhi fosse vedu- |
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ta , maravigliosi amori , come disse Pla- |
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tone , commoverebbe. Ma ogni cosa che é |
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onesta , quella nasce da alcuna delle quat- |
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tro parti: imperocché o esso onesto si ri- |
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volta nel ragguardamento del vero, e nella |
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sollecitudine di quello ; o in difendere la |
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compagnia umana , e nell’ attribuire a cia- |
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scuno il suo, e nella fede delle cose contrat- |
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tate 5 o nella grandezza e fortezza dell’ a- |
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nimo invitto ed eccelso ; o nell’ ordine e |
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modo di tutte le cose , le quali si fanno o |
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diconsi , nel quale è la modestia e la tem- |
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peranza. |
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Le quali quattro cose , benché tra loro |
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sieno avviluppate e collegate, nientedimeno |
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di ciascuna per sé nascono certe ragioni |
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di uffici. Come , da quella parte la quale |
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prima fu descritta , nella quale noi pognia- |
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mo la sapienza e la prudenza , in quella |
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dentro è il cercare e il trovare la verità : |
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H |
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e di queste virtù questo è il proprio dono. |
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Imperocché come ciascuno massimamente |
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conosce quello , che in ciascuna cosa sia ve- |
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rissimo , e il quale acutissimamente e bene |
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può e vedere e sviluppare la ragione , co- |
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stui rettamente suol essere tenuto pruden- |
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tissimo e saviissimo. Per la qual cosa a co- |
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stei è suggetta la verità , quasi materia la |
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quale essa tratti, e nella quale essa si ri- |
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volghi. |
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Ma alle altre tre , che restano , sono pre- |
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poste le necessità all’ acquistare e al difen- |
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dere quelle cose , nelle quali è contenuto |
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il governo della vita ; acciocché e la con- |
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giunzione e la compagnia degli uomini sia |
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conservata; e l’eccellenza e grandezza del- |
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l’animo riluca , sì nell’ accrescere le abbon- |
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danze , e nell' acquistare l'utilità e a sé e |
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a' suoi ; sì molto più nello spregiare quelle. |
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Ma l’ ordine , e la costanza , e la modera- |
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zione , e altre cose le quali sono simili a |
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queste , si rivoltano in quella ragione , alla |
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quale debba essere dato un certo fare, e |
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non solamente il rivoltare la mente. Impe- |
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rocché quando noi aggiugneremo un certo |
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modo e ordine alle cose, le quali sono trat- |
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i5 |
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tate nella vita , noi conserveremo la con- |
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venienza e 1' onestà. |
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capo v. |
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• L- a « c: ■ jj*,S ’WV» oJib |
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Della Prudenza. |
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De’ quattro luoghi, ne' quali noi abbiamo |
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diviso la natura e la forza dell’onesto , quello |
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primo , il quale sta nella cognizione del ve- |
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ro , massimamente tocca la natura umana. |
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Imperocché tutti siamo tirati e siamo me- |
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nati alla cupidigia della cognizione e della |
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scienza ; nella quale noi stimiamo esser cosa |
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bella eccellere : ma trascorrere , errare , |
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essere ingannato , e non sapere , noi diciamo |
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essere cosa trista e brutta. In questa ra- |
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gione naturale e onesta , due vizi debbono |
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essere schifati : l’ uno , che noi non abbia- |
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mo le cose incognite per le conosciute ; il |
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qual vizio chi lo vorrà fuggire ( ma tutti |
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debbono volere) aggiugnerà, al considerare |
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le cose, tempo e diligenza. L’altro vizio è, |
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che alcuni mettono troppo grande studio, |
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e troppo molta opera nelle cose oscure e |
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malagevoli, e nientedimeno non necessarie. |
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t6 |
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Ma , schifati questi vizi , ciò che di cura e |
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di opera sarà posto nelle cose oneste e degne |
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di cognizione , quello sarà ragionevolmente |
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lodato. Come in astrologia noi abbiamo o- |
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dito aver fatto Caio Sulpicio ; e in geo- |
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metria conoscemmo fare Sesto Pompeo ; e |
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molti in loica ; e più in ragion civile : le |
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quali arti tutte consistono nell' investigazio- |
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ni del vero; per lo studio del quale, ri- |
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muoversi dal fare le faccende , è contro al- |
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l'ufficio. Imperocché ogni loda di virtù con- |
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sista nel faccimeuto : dal quale nientedime- |
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no spesso si fa intermissione , e molte ri- |
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tornate sono date agli studi. Ancora il com- |
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movimento della mente , il quale mai non |
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si riposa , può contenere noi negli studi |
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del pensare, ancora senza nostra opera. Ma |
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ogni pensiero e movimento di animo sarà |
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rivolto, o nel pigliare i consigli delle cose |
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oneste , e appartenenti al bene e beata- |
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mente vivere, o negli studi della cognizione |
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e della scienza. E già noi abbiamo detto, |
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della prima fonte dell’ ufficio. |
Versione delle 19:21, 3 dic 2017
Questo testo è incompleto. |
Benchè, o Marco figliuolo, a te il quale già un anno hai udito Cratippo, e ciò in Atene, convenga abbondare di precetti e ammaestramenti di filosofia, per la somma autorità del dottore e della città; delle quali due cose , l una, cioè il dottore, te può accrescere di scienza ; e l’altra , cioè la città , di esempi ; nientedimeno come io , a mia utilità , sem- pre congiunsi le cose greche con le latine ; e non solo in filosofia , ma ancora nell’eser- citazione del dire ; quel medesimo mi pare che debba esser fatto da te ; acciocché tu sii pari nella facultà dell’una e l’altra orazione.
Nella qual cosa, com’ei pare, noi abbiamo arrecato grande aiuto agli uomini nostri : chè non solamente i rozzi delle lettere gre- che, ma ancora i dotti stimo avere acqui- stato, e all’ imparare e al giudicare.
Per la qual cosa imparerai dal principal filosofo di quegli dell’età nostra; e impare- rai quanto lungo tempo tu vorrai: ma tanto lungo tempo tu dovrai volere, insino a quanto a te non parrà poco di quanto tu ne faccia prò. Ma nientedimeno tu leggerai le cose nostre, non molto discordantisi da’ peripa- tetici ; imperocché noi vogliamo essere e so- cratici e platonici. Di essi fatti usa il giudicio tuo; imperocché niente io t’impedisco: ma tu farai l'orazione latina per certo più pie- na, dalle cose nostre le quali tu leggerai. jVla io non voglio che questo sia stimato es- sere stato detto arrogantemente. Imperocché io , concedente la scienza del filosofare a mol- ti , quello eh’ è proprio dell’oratore , dire at- tamente e con oi'dine e ornatamente , perchè in quello studio io ho consumato l’età mia, se quello a me io piglio , io paio attribuir- melo quasi di mia ragione.
Per Ja qual cosa molto , o Cicerone mio,
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io ti conforto , che tu non solamente le ora- zioni mie studiosamente legga , ma ancora questi libri di filosofìa , i quali già a quegli quasi si sono pareggiati. Imperocché mag- gior forza è in quegli del dire *, ma ancora questo modo di dire è da essere amato , il quale è con equabilità , e temperato. E que- sto ancora io non veggo essere addivenuto ad alcuno greco, che colui medesimo si affa- ticasse e nell’ uno e nell'altro genere; e che egli conseguitasse e quel modo del dire nel foro, e questo quieto del disputare. Se già Demetrio Falereo non potesse essere in que- sto numero, disputatore sottile, e oratore poco veemente ; nientedimeno dolce in mo- do, che tu potresti conoscere ch’egli è di- scepolo di Teofrasto. Ma noi quanto nell'uno e 1’ altro modo abbiamo fatto prò , giudi- chinlo altri; l’uno e l’altro di certo abbiamo seguitato. E per certo io stimo che se Pla- tone avesse voluto trattare il modo del dire nel foro, egli avrebbe detto gravissimamen- te, e con molta copia. E se Demostene avesse tenute quelle cose, le quali egli aveva impa- rato da Platone , e avessele voluto pronun- ziare, egltT avrebbe potuto fare splendida-
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mente , e con ornato. Nel medesimo modo io giudico di Aristotile e di Socrate: l’uno e l'altro de'quali, dilettatosi del suo studio, spregiò l’altrui.
Ma conciosiacosacchè io avessi deliberato di scrivere a le, in questo tempo, qualcosa di filosofia, e molte cose da quinci innanzi ; io massimamente ho voluto cominciare da quello, che all’età tua fosse attissimo, e alla mia autorità. Imperocché, conciosiacosacchè molte cose sieno in filosofia e gravi, e utili, e diligentemente da’ filosofi disputate, e con abbondanza ; larghissimamente paiono mani- festarsi quelle , le quali da coloro sono state date e insegnate degli uffici. Imperocché nes- suna parte della vita, nè in fatti pubblici, nè in privati, nè in quegli del foro, o di ca- sa , se teco alcuna cosa facessi , o contrat- tassi con altrui, può mancare deH’ufficio: e nell'amar quello è posta ogni onestà della vita, e ogni bruttezza nello spregiarlo.
E questa è comune quistione di tutti i filosofi: imperocché chi è, il quale, quando egli non ha alcuni precetti dell’ufficio , abbia ardire chiamarsi filosofo ? Ma e’ sono alcune discipline, le quali , preposti i fini de'beni
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e de’ mali, rivoltano e abbattono ogni uf- ficio. Imperocché chi ha ordinato il sommo bene , che niente gli abbia congiunto con la virtù , e quello egli misura con suoi com- modi , e uou con 1’ onestà ; costui se a sé egli consenta , e alcuna volta non sia vinto dalla bontà della natura, è fatto che eg i non può amare l’amicizia, nè la giustizia» nè la liberalità. E chi giudica il dolore essere sommo male , in nessuno modo può essere forte; uè temperato può essere chi fa che la voluttà è il sommo bene.
Le quali cose , benché così sieno manife- ste, ch’esse non abbino bisogno di dispu- ta; nientedimeno in un altro luogo da noi sono state disputate. Queste discipline adun- que , se a sè esse vogliono essere consen- zienti , niente esse possono dire dell’ uffi- cio. Nè alcuni precetti possono essere dati fermi, e stabili, e congiunti alla natura, se non da coloro i quali dicono , che solo l’o- nestà debba essere per sè medesima deside- rata ; o da coloro i quali dicono, che quella virtù spezialmente e grandissimamente debba essere per sè medesima desiderata. Adun- que questo è proprio ammaestramento de-
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gli stoici e accademici e peripatetici ; dap- poiché la sentenza di Aristone e Pirrone ed Erillo , già molto fa , è stata confusa e abbattuta. I quali nientedimeno avrebbono la ragion loro di disputare dell’ ufficio , se eglino a vessi no lasciato qualche elezione delle cose, acciocché si potesse andare all’inven- zione dell'ufficio. Adunque in questo tempo, e in questa quislione, noi spezialmente se- guitiamo gli stoici , non come interpetri , ma come noi vogliamo ; delle fonti loro , con arbitrio e giudizio nostro, attigneremo quanto ci parrà.
CAPO I.
Dell' ufficio , e come si divide.
Piaceci adunque , perché ogni disputa ha a essere dell’ ufficio , innanzi diffinire che cosa sia ufficio : la qual cosa io mi ma- raviglio essere stata lasciata da Panezio. Imperocché ogni ordinamento , il quale di qualche cosa è preso dalla ragione , debbe procedere dalla diffinizione ; acciocché s’in- tenda ciò che sia quello , del quale si di-
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sputa. Ogni quistione dell’ufficio è doppia r uno modo è il quale s' appartiene al line de’ beni ; l’ altro è il quale è posto ne’ pre- cetti , pe’ quali l’ uso della vita possa es- sere confermo in tutte le parti. Del modo di sopra questi sono gli esempi : se tutti gli uffici sono perfetti o no ; e se alcuno di loro è maggiore che l’altro ; e altre cose simili a queste. Ma quegli uffici de’ quali si danno i precetti , benché essi s' appar- tengano al fine de’beni , nientedimeno meno appariscono di cosi essere , perchè essi più ragguardano all’ ammaestramento della vita comune ; de’ quali uffici noi in questi libri dobbiamo con dichiarazione disputare.
E ancora un altra divisione è degli uffi- ci. Imperocché e' si chiama alcuno ufficio mezzo , e alcuno perfetto. Il perfetto uf- ficio io stimo che noi chiamiamo retto; il quale i Greci chiamano catartoma , cioè se- condo dirittura ; ma questo mezzo eglino chiamano comune. E questi uffici così dif- fiuiscono ; chè quello ufficio che sia retto , diffiniscono essere perfetto ; e quello che è mezzo , dicono essere quello , del quale possa essere data probabile ragione perchè egli sia fatto.
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capo n.
Della deliberazione in pigliare il consiglio.
Di tre parti adunque , come a Panezio pare , è la deliberazione del pigliare il con- siglio. Imperocché gli uomini dubitano , se quello che eglino hanno a fare sia onesto o brutto : e questo cade nella deliberazio- ne ; e in considerar questo , spesso gli ani- mi sono tirati in contrarie sentenze. E an- cora o essi cercano , o essi consigliano alla commodità e giocondità della vita , e alle facoltà delle cose, e alle copie, alle abbon- danze , e alla potenza ; colle quali cose e- glino possouo giovare a sé e a' suoi : e se quello fa utile, del quale eglino delibera- no: la quale deliberazione tutta cade nella ragione dell’ utilità.
E il terzo modo del disputare è , quando quello che pare utile, pare che combatta con quello eli’ è onesto. Imperocché conciosiaco- sacchè T utilità paia a sé rapire , e l' onestà pel contrario paia da sé rimuovere ; si fa che l'Animo nel deliberare si divida , e ar- rechi sollecitudine dubbiosa del pensare.
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In questa divisione ( conciosiacosacchè grandissimo vizio sia nel dividere, lasciare alcuna cosa ) due cose sono state lasciate. Imperocché non solamente e’ si suole delibe- rare , se egli è onesto o brutto ; ma ancora , preposti due onesti , se l’uno è più onesto che l’altro. E similmente, preposti due utili, si suole dubitare se l’uno è più utile che l’al- tro. E così quella ragione , la quale colui stimò di essere di tre parti , si trova dover es- sere distribuita in cinque. Primamente dun- que si disputerà dell’ onesto , ma in due mo- di ; e ancora con pari ragione dell'utile ; e dipoi della comparazione tra loro.
CAPO III-
Della forza della natura a fare C onesto,.
Da principio a ogni ragione d'animali è stato attribuito dàlia natura , ch’egli difenda' sé , e la vita , e il corpo ; e isoli i £1 quelle cose, le quali paino di dovere nuocere-, e- tutte quelle cose le quali sieno necessarie- •1 vivere, acquisti e trovi; come è fa pa- sciona, a i covaccioli, e altre simili cosce.
1 o
Ma comune cosa è di tutti gli animali l’ ap- petito della congiunzione , per cagione del procreare ; e alcuna cura di quelle cose , le quali sono state da loro procreate. Ma tra l’ uomo e la bestia è singolarmente que- sta differenza , che la bestia tanto si muove, quanto dal senso essa è mossa ; a quello eh e presente , e a quello che l’ è innanzi si ac- comoda , poco avvedentesi del preterito e del futuro: ma l’uomo, perchè egli è par- tecipe della ragione , per la quale egli vede le cose conseguenti , e conosce le cagioni delle cose, e i progressi di quelle, e quasi sa quelle cose le quali innanzi vadano, e agguaglia le similitudini , e alle cose pre- senti aggiugne e annoda le future ; facil- mente vede il corso di tutta la vita , e al governo di quella egli apparecchia le cose necessarie. Questa medesima natura colla iorza della ragione concilia 1’ uomo all’uo- mo , alla compagnia e del parlare e della vita : e ingenera , traile prime cose , uno pre- cipuo amore in coloro , i quali sono stati procreati ,• e commuovegli che le brigate degli uomini vogliano essere insieme , e tra se ricercarsi. E per queste cagioni tali ra-
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II
gunate si studiano trovare e acquistare quelle cose, le quali sovvengono al vivere, e al vestire , e al governarsi ; e non solamente a sè solo , ma alla moglie , a’ figliuoli , e a tutti quegli altri , i quali esse abbino cari , e debbino difendere. La quale cura desta ancora gli animi , e fagli maggiori al fare le cose.
E tra le prime cose nell’ uomo , è pro- pria cosa il cercare e T investigare il vero. E così quando noi siamo voti di necessarie cure e faccende, allora noi desideriamo ve- dere qualche cosa , e udire , e imparare ; e stimiamo che la cognizione delle cose o occulte o mirabili, sia necessaria al vivere beatamente. Per la qual cosa s’intende , che quello che è vero e semplice e puro , è attis- simo alla natura dell’ uomo.
A questa cupidigia del vedere il vero è aggiunto un certo desiderio del principato; che l’ animo bene informato dalla natura non voglia ubbidire ad alcuno , se non a \jhi insegna o ammaestra, o, per cagione di suo utile, legittimamente comanda e con giustizia. Della qual cosa è la grandezza del- l' anima , e lo spregiare le cose umane.
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Ma nè quella è piccola forza della na-
tura e della ragione , che solo questo ani-
male conosce che cosa sia ordine , e che
cosa sia quella la quale si confà ne' detti
e ne' fatti, e che è misura. E così nessuno
altro animale conosce la bellezza e la pu-
litezza di quelle cose , le quali sono cono-
sciute per l’aspetlo, nè la convenienza delle
parti. La qual similitudine , la natura e la
ragione dagli occhi trasferendo allonimo,
molto più ancora stima dovere esser con-
servata la bellezza , e la costanza , e l’or-
dine ne’ consigli e ne’ fatti: e guardasi che
nessuna cosa esso faccia effeminatamente,
e con isconvenienza : e ancora che cosa non
faccia, o non pensi alcuna cosa libidinosa-
mente , nè in tutti i fatti , e in tutte le
opinioni. Per le quali cose si congrega e
fassi quell’ onesto , che noi cerchiamo : il
quale se non fosse nobilitato, nientedimeno
sarebbe onesto: e quello che in verità noi
diciamo , che benché da nessuno egli fosse
lodato , nientedimeno egli per natura sa-
rebbe laudabile.
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CAPO IV.
Belle quattro virtù , onde nascono gli uffici.
Tu, o Marco, ora vedi la forma di essa onestà : la quale se cogli occhi fosse vedu- ta , maravigliosi amori , come disse Pla- tone , commoverebbe. Ma ogni cosa che é onesta , quella nasce da alcuna delle quat- tro parti: imperocché o esso onesto si ri- volta nel ragguardamento del vero, e nella sollecitudine di quello ; o in difendere la compagnia umana , e nell’ attribuire a cia- scuno il suo, e nella fede delle cose contrat- tate 5 o nella grandezza e fortezza dell’ a- nimo invitto ed eccelso ; o nell’ ordine e modo di tutte le cose , le quali si fanno o diconsi , nel quale è la modestia e la tem- peranza.
Le quali quattro cose , benché tra loro sieno avviluppate e collegate, nientedimeno di ciascuna per sé nascono certe ragioni di uffici. Come , da quella parte la quale prima fu descritta , nella quale noi pognia- mo la sapienza e la prudenza , in quella dentro è il cercare e il trovare la verità :
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e di queste virtù questo è il proprio dono.
Imperocché come ciascuno massimamente conosce quello , che in ciascuna cosa sia ve- rissimo , e il quale acutissimamente e bene può e vedere e sviluppare la ragione , co- stui rettamente suol essere tenuto pruden- tissimo e saviissimo. Per la qual cosa a co- stei è suggetta la verità , quasi materia la quale essa tratti, e nella quale essa si ri- volghi.
Ma alle altre tre , che restano , sono pre- poste le necessità all’ acquistare e al difen- dere quelle cose , nelle quali è contenuto il governo della vita ; acciocché e la con- giunzione e la compagnia degli uomini sia conservata; e l’eccellenza e grandezza del- l’animo riluca , sì nell’ accrescere le abbon- danze , e nell' acquistare l'utilità e a sé e a' suoi ; sì molto più nello spregiare quelle. Ma l’ ordine , e la costanza , e la modera- zione , e altre cose le quali sono simili a queste , si rivoltano in quella ragione , alla quale debba essere dato un certo fare, e non solamente il rivoltare la mente. Impe- rocché quando noi aggiugneremo un certo modo e ordine alle cose, le quali sono trat-
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tate nella vita , noi conserveremo la con- venienza e 1' onestà.
capo v.
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Della Prudenza.
De’ quattro luoghi, ne' quali noi abbiamo diviso la natura e la forza dell’onesto , quello primo , il quale sta nella cognizione del ve- ro , massimamente tocca la natura umana. Imperocché tutti siamo tirati e siamo me- nati alla cupidigia della cognizione e della scienza ; nella quale noi stimiamo esser cosa bella eccellere : ma trascorrere , errare , essere ingannato , e non sapere , noi diciamo essere cosa trista e brutta. In questa ra- gione naturale e onesta , due vizi debbono essere schifati : l’ uno , che noi non abbia- mo le cose incognite per le conosciute ; il qual vizio chi lo vorrà fuggire ( ma tutti debbono volere) aggiugnerà, al considerare le cose, tempo e diligenza. L’altro vizio è, che alcuni mettono troppo grande studio, e troppo molta opera nelle cose oscure e malagevoli, e nientedimeno non necessarie.
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Ma , schifati questi vizi , ciò che di cura e di opera sarà posto nelle cose oneste e degne di cognizione , quello sarà ragionevolmente lodato. Come in astrologia noi abbiamo o- dito aver fatto Caio Sulpicio ; e in geo- metria conoscemmo fare Sesto Pompeo ; e molti in loica ; e più in ragion civile : le quali arti tutte consistono nell' investigazio- ni del vero; per lo studio del quale, ri- muoversi dal fare le faccende , è contro al- l'ufficio. Imperocché ogni loda di virtù con- sista nel faccimeuto : dal quale nientedime- no spesso si fa intermissione , e molte ri- tornate sono date agli studi. Ancora il com- movimento della mente , il quale mai non si riposa , può contenere noi negli studi del pensare, ancora senza nostra opera. Ma ogni pensiero e movimento di animo sarà rivolto, o nel pigliare i consigli delle cose oneste , e appartenenti al bene e beata- mente vivere, o negli studi della cognizione e della scienza. E già noi abbiamo detto, della prima fonte dell’ ufficio.