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colla «Jeune Parque», esercizio poetico, dice Valéry, affatto occasionale (ma la scintilla che appicca il fuoco, non è essa quasi sempre occasionale?): continuato per una serie di poemi costituiti poi in volume, per articoli e prefazioni, e due dialoghi di tipo platonico. Quivi ritroviamo altre parziali incarnazioni dell’ideale valeriano: e Socrate, Eupalinos, e Tridone Sidonio, sono altrettanti Valéry possibili. (La medesima via egli segue il più delle volte nei suoi poemi, usando coscientemente di quella facoltà d’idealificazione, della quale, egli dice, nulla è più efficace per eccitare la vita immaginativa, per trasformare una energia potenziale in attuale. «L’oggetto scelto diventa come il centro di questa vita, un centro di consociazioni sempre più numerose...». A questo modo Valéry si fa Platano, e Pitia, e Palma, e Nerciso).
-olla «Jeune Parque», esercizio poetico, dici?


Occorre notare che, soprattutto nei poemi, ma anche nei dialoghi, le «idee» per importanti e nuove che siano, non sono che ''materiali'', usati alla produzione della Bellezza. Il Bello è al di sopra di verità e menzogna, è ciò che si impadronisce dell’uomo e «lo porta senza sforzo al disopra di se medesimo». L’opera d’arte musicale, poetica, è così congegnata per impadronirsi di tutto l’essere, e rapirlo nel suo movimento, in una momentanea, ma suprema illusione di contatto con una superiore verità che lo possiede. Da ciò l’importanza fondamentale del ritorno. Come si sa, Valéry è adepto di una schiettissima conformità colle forme metriche elaborate dalla tradizione, come quelle che offrono più immediato agio di liberarsi dalla materialità del discorso. Quanto alle forme stilistiche da lui adottate, sono liberamente scelte nel tesoro della tradizione: e la dolcezza raciniana, come le singolari modulazioni sintattiche che le parole subiscono nella strofa di Malherbe, come il mestiere parnassiano, o quale altro elemento si voglia, baudelairiano, mallarmiano, sono, volta a volta adottati, piegati a usi personali. L’ispirazione medesima, seppur indispensabile, non è che materia, punto di partenza, e solo una intensa elaborazione critica dei suoi dati (anche se inconscia) può assicurare «quelque durée à l’assemblage voulu». In tal modo l’opera d’arte diventa un «problema di rendimento».
Valéry, affatto occasionale (ma la scintilla che appicca il fuoco, non è essa quasi sempre occasionale?):

continuato per una serie di poemi costituiti poi in volume, per articoli e prefazioni, e due dialoghi di tipo platonico. Quivi ritroviamo altre parziali incarnazioni dell’ideale valcriano: e Socrate, Eupalinos, e Tridone Sidonio, sono altrettanti Valéry possibili. (La medesima via egli segue il più delle volte nei suoi poemi, usando coscientemente di quella facoltà d’idealificazione, della quale, egli dice, nulla è più efficace per eccitare la vita immaginativa, per trasformare una energia potenziale in attuale. «L’oggetto scelto diventa come il centro di questa vita, un centro di consociazioni sempre più numerose...». A questo modo Valéry si fa Platano, e Pitia, e Palma, e Ncrciso).

Occorre notare che, soprattutto nei poemi, ma anche nei dialoghi, le «idee» per importanti e nuove che siano, non sono chc materiali, usati alla produzione della Bellezza. Il Bello è al di sopra di verità e menzogna, è ciò chc si impadronisce dell’uomo e «lo porta senza sforzo al disopra di se medesimo». L’opera d’arte musicale, poetica, è così congegnata per impadronirsi di tutto l’essere, e rapirlo nel suo movimento, in una momentanea, ma suprema illusione di contatto con una superiore verità che lo possiede. Da ciò l’importanza fondamentale del ritorno. Come si sa. Valéry è adepto di una schiettissima conformità colle forme metriche elaborate dalla tradizione, come quelle che offrono più immediato agio di liberarsi dalla materialità del discorso. Quanto alle forme stilistiche da lui adottate, sono liberamente scelte nel tesoro della tradizione: e la dolcezza raciniana.

come le singolari modulazioni sintattiche che le parole subiscono nella strofa di Malherbc, come il mestiere parnassiano, o quale altro elemento si voglia, baudelairiano, mallarmiano. sono, volta a volta adottati, piegati a usi personali. L’ispirazione medesima, seppur indispensabile, non è chc materia, punto di partenza, c solo una intensa elaborazione critica dei suoi dati (anche se inconscia) può assicurare «quelque durée à l’asscmblage voulu». In tal modo l’opera d’arte diventa un
<( problema di rendimento».


(Nonostante la diversità dei linguaggi, sarebbe possibile trovare affinità tra alcune idee estetiche di Valéry, e di Leopardi: come tra certi postulati del pensiero leopardiano, l’ammirazione per l’armonia antica, il famoso contrasto, nell’uomo, tra ragione e natura, l’impossibilità di trovar soddidenziosità spiritualistica, ed altri, con altrettante idee di Valéry.) Terminiamo questa serie di accénni. Per parlare adeguatamente della poesia di Valéry, occorrerebbe esporre per disteso la sua estetica:
(Nonostante la diversità dei linguaggi, sarebbe possibile trovare affinità tra alcune idee estetiche di Valéry, e di Leopardi: come tra certi postulati del pensiero leopardiano, l’ammirazione per l’armonia antica, il famoso contrasto, nell’uomo, tra ragione e natura, l’impossibilità di trovar soddidenziosità spiritualistica, ed altri, con altrettante idee di Valéry.) Terminiamo questa serie di accénni. Per parlare adeguatamente della poesia di Valéry, occorrerebbe esporre per disteso la sua estetica:

Versione delle 16:55, 5 mar 2018

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colla «Jeune Parque», esercizio poetico, dice Valéry, affatto occasionale (ma la scintilla che appicca il fuoco, non è essa quasi sempre occasionale?): continuato per una serie di poemi costituiti poi in volume, per articoli e prefazioni, e due dialoghi di tipo platonico. Quivi ritroviamo altre parziali incarnazioni dell’ideale valeriano: e Socrate, Eupalinos, e Tridone Sidonio, sono altrettanti Valéry possibili. (La medesima via egli segue il più delle volte nei suoi poemi, usando coscientemente di quella facoltà d’idealificazione, della quale, egli dice, nulla è più efficace per eccitare la vita immaginativa, per trasformare una energia potenziale in attuale. «L’oggetto scelto diventa come il centro di questa vita, un centro di consociazioni sempre più numerose...». A questo modo Valéry si fa Platano, e Pitia, e Palma, e Nerciso).

Occorre notare che, soprattutto nei poemi, ma anche nei dialoghi, le «idee» per importanti e nuove che siano, non sono che materiali, usati alla produzione della Bellezza. Il Bello è al di sopra di verità e menzogna, è ciò che si impadronisce dell’uomo e «lo porta senza sforzo al disopra di se medesimo». L’opera d’arte musicale, poetica, è così congegnata per impadronirsi di tutto l’essere, e rapirlo nel suo movimento, in una momentanea, ma suprema illusione di contatto con una superiore verità che lo possiede. Da ciò l’importanza fondamentale del ritorno. Come si sa, Valéry è adepto di una schiettissima conformità colle forme metriche elaborate dalla tradizione, come quelle che offrono più immediato agio di liberarsi dalla materialità del discorso. Quanto alle forme stilistiche da lui adottate, sono liberamente scelte nel tesoro della tradizione: e la dolcezza raciniana, come le singolari modulazioni sintattiche che le parole subiscono nella strofa di Malherbe, come il mestiere parnassiano, o quale altro elemento si voglia, baudelairiano, mallarmiano, sono, volta a volta adottati, piegati a usi personali. L’ispirazione medesima, seppur indispensabile, non è che materia, punto di partenza, e solo una intensa elaborazione critica dei suoi dati (anche se inconscia) può assicurare «quelque durée à l’assemblage voulu». In tal modo l’opera d’arte diventa un «problema di rendimento».

(Nonostante la diversità dei linguaggi, sarebbe possibile trovare affinità tra alcune idee estetiche di Valéry, e di Leopardi: come tra certi postulati del pensiero leopardiano, l’ammirazione per l’armonia antica, il famoso contrasto, nell’uomo, tra ragione e natura, l’impossibilità di trovar soddidenziosità spiritualistica, ed altri, con altrettante idee di Valéry.) Terminiamo questa serie di accénni. Per parlare adeguatamente della poesia di Valéry, occorrerebbe esporre per disteso la sua estetica:

mostrare come una concezione matematizzante vi vi spieghi quel continuo procedere per accostamenti di termini apparentemente lontani, e condotti a significare tutta una serie indefinita di fenomeni di una specie, si da creare l’impressione di una realtà più intensa, più pungente (in che consiste appunto la sorpresa poetica): indicarvi l’importanza del concetto di «accelerazione»; e l’audace parallelismo insinuato, (Va la complessità della rappresentazione scientifica del mondo, succedente al semplicismo antico, e una rispondente complessità del tessuto poetico, della interazione degli clementi verbali c ritmici... Limitiamoci a dir due parole sul problema delle scaturigini di cotesta poesia.

Idee più singolari* chc vere, o ingegnose ma unilaterali sono state emesse, a questo proposito. In realtà pare naturale vederci una trasposizione in simboli poetici di quella «vita intellettiva» c di quel |iossesso di se. dello spirito, che abbiamo tentato di definire: più precisamente, delle avventure, delle incertezze, delle impaz’onze, delle esaltazioni che essa vita a se medesima procura. L’anima condotta dal suo senso di unicità, al disopra di tutti gli a accidenti dell’essere» e degli «azzardi del reale» si ritrova solitaria erfezione formale di ogni opera, cosi veramente compiuta, se non conclusa, quale ogni libro, secondo clic si legge in Paluda, dev’essere: «pieno, liscio, come un uovo — e le uova non si riempiono:

nascono piene». Ma vorrebbe subito soggiungere che il valore dell’artefice non può andar qui considerato disgiunto dalla misteriosa collaborazione inerente alla sua genesi.

A chi sappia penetrarne l’incanto l’uovo rivela un Dioscuro latente. Ma, si dirà, la grazia del dio è proprio del poeta in genere di sollecitarla: l’opera perfetta n’è l’abitacolo...

Sono le vie di questa amorosa impetragione clic fan così prezioso Gide: diffìcili, inconsuete vie, perché la virtù ch’egli esige da sè e di donarsi nella sua più ricca, completa integrità — c per giungervi, ecco il desiderio che l’anima, struggente qual’è, farsi trepido, sommesso, agile, delicato. Tutto dona di se: «le meilleur et le pire».

Perchè trabocca di riconoscenza per il Creatore:

il quale ha fatto «il lupo c l’agnello:

poi ha sorriso vedendo che «andava assai h*?ne».

Ahi! ma questo dono di amore, come renderlo accetto altrui? Come arricchire altrui di questo fervore, come trasfonderlo, suscitarlo?

«Chi dirà di quanti arresti, e reticenze, e vie traverse non è responsabile la simpatia, la tenerezza?».

Basta leggere il Prometeo mole incatenato per scoprire in Gide, dolorosa c ironica a un tempo, la coscienza non solo della difficoltà di convincere, dei pericoli che minacciano ogni divulgazione e chi s’accanisca a provare, ma più ancora di quanto sia «pericoloso ogni spirito che si assicura che una soluzione possa trovarsi fin da questo mondo; che s’assicura ch’e la sua, c s’adopera a imporla». Prometeo ha un bel nudarsi il fianco e dare il fegato in pasto all’aquila coram populo, ha un bcll’altcrnare alla disperata perorazione della sua conferenza i giochi dei razzi e la distribuzione delle cartoline oscene: il pubblico sbadiglia, poi tumultua.

Ma Damocle l’ha ascoltato, e miserevolmente ammala. La parola di Prometeo l’ha morso, e insanabilmente lo corrodc.

Delira: «Signore, Signore, a chi debbo?

Il dovere, Signore, è una cosa orribile; io ho deciso di morirne... «Chc hai tu dunque che tu non abbia ricevuto» dice la Scrittura...

ricevuto da chi, da chi?? da chi??? — La mia angoscia è intollerabile». Tanto, che ne muore.

«Oh — dice allora Prometeo, uscendo dalla camera mortuaria — tutto ciò è orribile!

La fine di Damocle mi sconvolge. E’ vero chela mia conferenza fu la causa della sua malattia?

— Non posso affermarlo, risponde il cameriere — ma so almeno chc fu molto scosso da ciò chc diceste intorno alla vostra aquila.

— Ero così convinto! — dice Prometeo.

— Per questo lo convinceste... la vostra parola era così viva...

— Io supponevo chc non mi ascoltasse...

insistevo... se avessi saputo chc mi ascoltava...

— Che avreste detto allora?

— La stessa cosa, — balletta Prometeo.

Gide non ha mai tanto cercato lettori, quanto il lettore. Quello stesso al quale si rivolgeva Baudelaire:

lIyf>ocritc leeleur, mon seutblable, mon fròre... Il lettore suscettibile, si, di sgomento (di tremblement: das Schaitdern, il meglio dell’uomo, dice Goethe) ma che non trarrà mai motivo di scandalo da alcuna delle sue parole — nè d’alcuno dei suoi improvvisi silenzi. Ma chi talora al sentirlo così misteriosamente eludere ogni presa, non ha provato l’impazienza del l’adolescente di Dostoiexvsky dinanzi a quello stupefacente, sconcertante j>crsonaggio chc è Versilov?

«— Tacere! ne venite sempre a questo.

— Amico mio, tacere è innocente c l>cJlo.

— Bello!

— Certo, il silenzio è sempre bello, e il silenzioso è sempre più bello di colui che parla».

L’opera di Gide così squisitamente letteraria è tutta sbocchi fuor d’ogni letteratura: in quel silenzio che é a un tempio agio, libertà, disinteresse, dove lo spirito si muove agilmente, riconosce le sue necessità, si addestra, si allena — dove ogni anima trova la sua via.

«Leggo come vorrei che mi si leggesse»

dice. E più oltre, di un autore: «non afferma, ma insinua; senza mai discutere persuade; entra di sghembo nello spirito del lettore; non so come vi giunga, fa suo il nostro |K-nsiero. Ogni capitolo non ha che I>ochc pagine; mi piace che non esaurisca mai il suo soggetto. Mi piace chc dopo averci camminato al fianco alcun tempo ci lasci, che non ci accompagni troppo innanzi. Non si è riconoscenti ai libri che della impulsione che ci danno. Se ne vuole a chi veglia sui nostri passi fino all’ultimo».

Ogni oj>era di Gide si racchiude in un breve volume. I-c prime eduzioni, di tiratura limitata, sono introvabili. Ora, man mano che si ristampano è in lil>ercoli di tale formato che paioli fatti per stare in tasca, inavvertiti.

I-a somma dei Morceaux clioiisis non soltanto l’aspetto ha di un breviario.

Pure «Non portarti dietro il mio libro!»

era l’urgente consiglio con cui l’autore delle Norritures terrestres si raccomandava all’ignoto.

al sospirato Nathanacl...

Nathanacl, discepolo ideale, vagheggiato, accarezzato. Troppo amato perchè il poeti subito non lo sfugga, non lo discosti, distacchi da sè. «Butta il mio libro, gli di.-, non soddisfattici. Non credere che da aicun altro possa esser trovata la tua verità; pv’t di ogni altra cosa, abbi vergogna di ciò. Se ti cercassi gli alimenti, non avresti fame |>er mangiarli; se ti preparassi il letto, non attcsti sonno per dormirvi».

Ma Nathanacl è ancor tutto inerente all’animo del poeta; nè l’es|)cdientc che quasi involontariamente si cela nella effusione lirica sfugge al suo chiaro sguardo: «Sono stanco di fingere di educare qualcuno. Quand’ho mai detto chc ti volevo simile a me? — E’ perché differisci da me che ti amo; non amo in te clic quel chc da me differisce. Educare!

— Chi educherei dunque se non me stesso? Nathanacl, te lo dirò? io mi sono interminabilmente educato. Continuo. Io non mi stimo mai se non in quel che potrei fare».

Fin dagli inizi dell’opera di Gide questa figura si vede chc gli si propone di continuo, ma che non gli riesce, chc non può ancora lil>erare da sè. Timida dapprima, ma pur tendenziosa, la riconosciamo in Davide, cui tragicamente, doloroso c miserevole a un tempo, si contrappone Saul indemoniato; poi in Neolottolemo preso a mezzo tra Ulisse e Filottetc; più oltre sono Charles Bocagc e Moktir volta a volta che vi.alludono; il Figliuol prodigo li assomma tutti nella sua confessione — quand’ccco alfine lialzar vivo Lafcadio c uscir pel mondo, dove già e come ognuno per la sua via van Fabrizio del Dongo. James Steerforth, «Lord Jim o Arcadio Macarovich.

Svelta creatura umana, tutta giovanile grazia in cui le più varie possibilità si equilibrano in una felice armonia... Ah! Lafcadio, sono a chiedermi se alcunché non ti manchi: s’io debba rimpiangere chc così grande sia la tua lil>ertà da vietarti attaccamento alcuno, alcuna amicizia... O chc sia mestieri persuadersi che «te pas du parfait copain se dansc seni»?

Son queste, poche note che un lettore di Gide si lascia carpire. E’ suo malgrado, ripete.

che ha ceduto. Non si scusa tuttavia della loro insufficenza, perchè ha la pretesa di estimarla inevitabile.

«Un grande scrittore soddisfa a più di una esigenza risponde a più d’un dubbio, nutre i più diversi apj>ctiti». Queste parole di Gide meglio di qualsivoglia altra valgono per lui stesso. Esigenze, dubbi, appetiti — a ini solo chc n’abbia, mi stimerò sommamente felice se queste righe saranno valse a indicargli tanta copia e varietà d’alimenti.

Poiché si deve pur ripetere per Gide l’elogio ch’egli rivolgeva a Charles-Louis Philipp: «Egli porta in sè di che disorientare e sorprendere, cioè di che durare».

Comtesse de Noailles Eblouic...

A ceni inaia si potrebbero sgranare epiteti per definire Anna de Noailles: ardente, fervente, orgogliosa, voluttuosa, autoidolatra, appassionata, grandiloquente... Ma fra tutti, più la caratterizza la breve parolotta intraducibile: eblouic...

Anche chi non l’ha mai veduta la imagina con lunghe ciglia che sbattono come ali stupite dinanzi al lucente incanto del mondo.

Tulio le è cagione di meraviglia e insieme di vertigine: e tutto il suo lungo cantare esprime sopra ogni altra cosa questo stato di creatura turbinante stupefatta nel radioso mistero.

L’hanno apparentata a Victor Hugo, per l’impelo c la ricchezza inesauribile della vena: sarebbe forse più esatto farla discendere da Walt Whitman. Non si danno forse la mano, attraverso l’immcnio spazio, questa piccola donna di razza orientale e sangue principesco, e il buon gigante dell’ovest, il buon viandante figlio tdi popolo, quando enumerano, l’uno c l’altra, i motivi d’amore verso la vita?

Ma chc un Whitman gagliardo c randagio ubbia la vocazione imperiosa drlla laude, è meno singolare di quel chc non sia per una Contessa di Noailles. Meno raramente, nasce la poesia, dirò con imngine retorica, nelle capanne chc non nei palazzi. L’autrice degli Eblouistcmcnls, del Cocur innombrablc, del l/’isugc cmervcille, avvalora in modo ii resistibile la propria testimonianza lirica, per il fallo d’esscr gran dama, bella, irretita da mille privilegi... Costei, si pensa, ha saputo ascoltar la voce del vento. la voce dello spirito, ha saputo chinarsi al giogo delle cojc elei ne. ai mit: purpurei, anzi incandesccnti. dell’amore, della gloria, della morte (anche la morte c un mito, Anna de Noailles!) quando fin dalla nascita tutto sembrava indicarle reami facili e leggiadri, aiuole c sentieri in bell’ordine, senza sospiri ne giida nè estasi. La potenza d’Orfco c dtfnquc veramente illimitata...

«C’esl une femme de génie» proclamò Maurice Barrcs pubblicamente, circa vent’anni sono. «C’est un grand poète» confcimò egli a me «un mattino di vento e di grazia •> del marzo 1923 nel suo studio di Ncuilly.

Le prime composizioni chc di balzo la consacrarono erano in verità miracolose: classiche, purissime di forma e selvatiche di spirito, audaci c nobili, fragranti, roride, intense, d’una trasparenza e d’una iridisccnza adorabili...

La forél. Ics clangi et Ics pi aine s feconda onl film lotiche mes yctix que Ics regards humains jc me stiis appuyce à beante du monde et j’ui tcnu l’odeur des saisons dans mes mains Vita vegetale e vita cosmica, aromi e brividi, ricordi ancestrali e presentimenti sommessi, fascino dei viaggi e d’ogni esotismo (non amaro c tragico alta guisa bodlcriana, ina venato di sottile e talora morbosa malinconia), tripudio superbo dei sensi, e quelle che Proust chiama «intermittenze»

del cuore, sorrisi di baccante, intuizioni folgoranti, imagini. imagini felici, delizie.

lisage etineelant du monde, baltemcnt du tempi et de la oie...

Il grande successo, la gran fama, e il veni, sollecitata quale musa officiale, nocquero un poco, naturalmente, alla produzione ultei ore della poetessa:

che forzò un poco la voce, lasciò clic l’impulso romantico prendesse il sopravvento e desse adito persino ad un penoso sospetto d’insincerità.

Specie nelle liriche dettate per la guerra, nel volume Les forces éternellcs, il verbalismo dilagò fastidiosamente. Gli spiriti più delicati temettero ch’ella fosse per perdersi, ella ch’era stata designata pei divenire il maggior poeta del suo tempo... Ma ecco, da due. tre anni, con il volume di novelle Lcs innoccnlcs, c con qualche gruppo di brevi liriche donate a riviste d’avanguardia, Anna de Noailles e riapparsa rinnovata, con tutte le virtù e tutte le magie d’una giovinezza irriducibile, è riapparsa con doni anche più limpidi, con una musicalità d’anima dalle risonanze più dolci e più scerete... «Donde c venuto a questa straordinaria donna un tal potere di ricominciamento?»

chiede un critico di finissima sensibilità. André Gcrmain, nella raccolta di saggi De Promt à Dada, che ieri leggevo; e risponde: «de l’impriiali«me de son coeur qui voulait rappelcr et vaine re les jcunes gens distraits. occupes à joucr dans les coinj tandis que son char passait...».

Si. Donna, la Contessa di Noailles porta nell’arte un fiero volontà di conquista e di dominio, e tanto più l’allua quanto più c fedele a sè stessa, al riimo de’ suoi travolgenti occhi vcrdcoro e della sua piccola personn dalla strana affascinante grazia:

al ritmo del suo vergine spirilo. Al pari delle allie due conlemporancc di genio. Colette la faunessa ed Aurei la pensierosa, per le quali mi duole non aver qui spazio a parlare (I), ella si salva quando non rinnega la propria essenza, quando attinge alle immense zone inesprcssc della femminilità c ne rivela, sorridente o dolorosa non importa, casta od impudica non importa, qualche lembo, con moti e modi di novità c freschezza autentiche.

Creatura fcminca, della specie ape-regina. Il suo bottino di miele c prezioso. Sono ccita che Barlès a lei pensava alluminando il personaggio di Oriantc nel suo ultimo romanzo bello come un rubino. Preziosa ha l’anima, s’anchc un poco crudele.

Ha intrecciato profumate ghirlande a Jean Jacques c a tutti gli croi; ma ben più profondamente e magnificamente poeta è nell’esaltazione della propria forza rutilante, o in qualche tenue sospiro melodioso in sfida alla morte....

«Que iuii-je? Un htimblc atome errant.

doni l’ardeur fui grave et piane, qui vii le ree/ d’un ocil frane voile de itupeur amoureuse, et j’ai rcndu, cn l’adorant.

l’cvidance myslcrieuse....

Sibilla Aleramo.

(I) Rimando II lettore di buona volontà al mio volume Andando e Stando.