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{{Pt|-stallina|cristallina}} giovinezza del libro), o per il dibattito del problema religioso, che ha sempre su la mente nordica un’arrabbiata possanza; non dunque elementi di commozione per la squisita sensibilità e la sottile fragranza di tante di quelle note autobiografiche; si nei lettori inglesi il senso dell’artista operante con un nuovo ed arcano magistero di musica, Joyce è infatti un grande amatore della musica, c sopra ogni cosa predilige il canto corale chiesastico. Ix> ricordo intonante a sera i temi liturgici, dopo aver vuotato il fiasco di Chianti bianco (dcv’esser bianco) nella casa del suo amico toscano Alessandro Francini-Bruni, che divise molte vicende della sua vita e fu il primo a scrivere di lui in Italia. Questa passione per la musica sacra gliela ha messa in cuore la scuola cattolica frequentata fin dall’infanzia, e pur essa tiene ancora il romanziere a sè legato. Non per essa soltanto. Anche per lo spirito disquisitilo, teologico, lo tiene legato; e per la curiosità di ciò che è peccaminoso scoprire nella vita dei sensi; c per la coscienza che nell’esplorazione realistica dell’animo umano è un alcunché di ribelle: onde la esasperata e desiata voluttà dcll’abbandonarvisi. James Joyce ha fatto nel Porlrait la più bella descrizione dell’inferno che esista nei tempi moderni; ina non è ben certo clic egli non creda all’inferno. Non importa clic la suggestione cattolica sia sorpassata nello svolgimento mentale, e che il prevalere dell’artista secondo il rito di natura di Melchisscdec sia il nucleo dcll’autohiografia giovanile: uclla suggestione é stata un giorno padrona ell’uomo nel profondo dell’incubatrice gesuitica, cd ha lasciato in lui incancellabili impronte, la si ritrova come reagente su le sensazioni c come disciplina del raziocinio; la si ritrova quando meno si aspetta; la si ritrova anche nella baldoria del vagabondaggio spirituale d’''Ulysses''.
<section begin="s1" />{{Pt|-stallina|cristallina}} giovinezza del libro), o per il dibattito del problema religioso, che ha sempre su la mente nordica un’arrabbiata possanza; non dunque elementi di commozione per la squisita sensibilità e la sottile fragranza di tante di quelle note autobiografiche; si nei lettori inglesi il senso dell’artista operante con un nuovo ed arcano magistero di musica, Joyce è infatti un grande amatore della musica, c sopra ogni cosa predilige il canto corale chiesastico. Ix> ricordo intonante a sera i temi liturgici, dopo aver vuotato il fiasco di Chianti bianco (dcv’esser bianco) nella casa del suo amico toscano Alessandro Francini-Bruni, che divise molte vicende della sua vita e fu il primo a scrivere di lui in Italia. Questa passione per la musica sacra gliela ha messa in cuore la scuola cattolica frequentata fin dall’infanzia, e pur essa tiene ancora il romanziere a sè legato. Non per essa soltanto. Anche per lo spirito disquisitilo, teologico, lo tiene legato; e per la curiosità di ciò che è peccaminoso scoprire nella vita dei sensi; c per la coscienza che nell’esplorazione realistica dell’animo umano è un alcunché di ribelle: onde la esasperata e desiata voluttà dcll’abbandonarvisi. James Joyce ha fatto nel Porlrait la più bella descrizione dell’inferno che esista nei tempi moderni; ina non è ben certo clic egli non creda all’inferno. Non importa clic la suggestione cattolica sia sorpassata nello svolgimento mentale, e che il prevalere dell’artista secondo il rito di natura di Melchisscdec sia il nucleo dcll’autohiografia giovanile: uclla suggestione é stata un giorno padrona ell’uomo nel profondo dell’incubatrice gesuitica, cd ha lasciato in lui incancellabili impronte, la si ritrova come reagente su le sensazioni c come disciplina del raziocinio; la si ritrova quando meno si aspetta; la si ritrova anche nella baldoria del vagabondaggio spirituale d’''Ulysses''.


Fra quanti libri strani possiede la letteratura moderna, è Ulysse .c il libro più strano in cui io mi sia mai imbattuto. Dal caos dell’uomo odierno trae un monumento. Monumentale è la sua mole, e nessun libro più di esso c vicino a un poema. Lo spirito beffardo c mefistofelico di Joyce, a un ingenuo lettore che. gli chiedeva perchè lo avesse intitolato Ulysses, rispondeva, (cosi mi fu narrato): «È’ questo un metodo di lavoro».Pare una mistificazione feroce; e in fondo non è. Quel libro dall’irrtgolarità trionfante, clic può parere perfino informe, in verità è tessuto con Un rigore di metodo del quale i moderni hanno perduto la pazienza e perfino il desiderio. Se è così vicino ad un poema, ciò accade perchè realmente esso ricalca i passi di un poema, del più bello e più grande di tutti i poemi, l ’Odissea. Ricalca con l’andatura invertita della parodia; si appoggia al poema omerico, canto per canto, ma per amplificarlo nell’atmosfera parodiarne fino a proporzioni enormi, introducendovi come strumenti analitici tutte le forze di conoscimento che sono in possesso della mente umana di questa età. Esso mira come l’Odissea, alla totale esperienza dell’uomo, se pur sotto un ostinato riverbero ironico. L’Ulisse classico aveva a quella prova bisogno dcll’ampio mare, con i continenti e le isole; all’Ulisse moderno basta una grande città. L’Ulisse classico errava per dicci anni, di avventura in avventura, il moderpo riassume in un giorno solo tutta la prova: ora per ora: ogni ora un canto. Giacché il moderno ha di ogni minuto molte più cose da dire che non l’antico; la tastiera della sua sensibilità è più ricca di suoni, e l’enciclopedia del suo sapere è più ricca di volumi. Descrivere le ore di un giorno vissuto nel secolo ventesimo significa scrivere un volumidi mille pagine. Joyce lo ha fatto. Vi sono ore di risveglio fisico, ore socievoli, ore intellettuali, ore sensuali, ore musicali, ore contemplative, ore dello stomaco ed ore del basso ventre, ore dell’ebrezza, ore della folle fantasia, ore della stanchezza, ore lubriche, ore mareggiatiti di sogni liquidi, sui quali naviga senza timone il cervello «leeoniposto del sonno. Sono ore variate c immense, chi noti tutto. L’uomo non cessa di credersi saggio, perchè esse variano c tumultuano. Oguno ha il suo canto. Ed ognuna ha il suo stile.
Fra quanti libri strani possiede la letteratura moderna, è Ulysse .c il libro più strano in cui io mi sia mai imbattuto. Dal caos dell’uomo odierno trae un monumento. Monumentale è la sua mole, e nessun libro più di esso c vicino a un poema. Lo spirito beffardo c mefistofelico di Joyce, a un ingenuo lettore che. gli chiedeva perchè lo avesse intitolato Ulysses, rispondeva, (cosi mi fu narrato): «È’ questo un metodo di lavoro».Pare una mistificazione feroce; e in fondo non è. Quel libro dall’irrtgolarità trionfante, clic può parere perfino informe, in verità è tessuto con Un rigore di metodo del quale i moderni hanno perduto la pazienza e perfino il desiderio. Se è così vicino ad un poema, ciò accade perchè realmente esso ricalca i passi di un poema, del più bello e più grande di tutti i poemi, l ’Odissea. Ricalca con l’andatura invertita della parodia; si appoggia al poema omerico, canto per canto, ma per amplificarlo nell’atmosfera parodiarne fino a proporzioni enormi, introducendovi come strumenti analitici tutte le forze di conoscimento che sono in possesso della mente umana di questa età. Esso mira come l’Odissea, alla totale esperienza dell’uomo, se pur sotto un ostinato riverbero ironico. L’Ulisse classico aveva a quella prova bisogno dcll’ampio mare, con i continenti e le isole; all’Ulisse moderno basta una grande città. L’Ulisse classico errava per dicci anni, di avventura in avventura, il moderpo riassume in un giorno solo tutta la prova: ora per ora: ogni ora un canto. Giacché il moderno ha di ogni minuto molte più cose da dire che non l’antico; la tastiera della sua sensibilità è più ricca di suoni, e l’enciclopedia del suo sapere è più ricca di volumi. Descrivere le ore di un giorno vissuto nel secolo ventesimo significa scrivere un volumidi mille pagine. Joyce lo ha fatto. Vi sono ore di risveglio fisico, ore socievoli, ore intellettuali, ore sensuali, ore musicali, ore contemplative, ore dello stomaco ed ore del basso ventre, ore dell’ebrezza, ore della folle fantasia, ore della stanchezza, ore lubriche, ore mareggiatiti di sogni liquidi, sui quali naviga senza timone il cervello «leeoniposto del sonno. Sono ore variate c immense, chi noti tutto. L’uomo non cessa di credersi saggio, perchè esse variano c tumultuano. Oguno ha il suo canto. Ed ognuna ha il suo stile.
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Accanto a questo panoramico Ulysses, dalle proporzioni gigantesche, sembrano minori non solo di dimensioni, ma d’animo, le altre opere precedenti che pure a Joyce hanno dato la fama: le novelle Dubliners, il Porlrait of lite orlisi, il dramma Exiles. Esse sono un poco Tanheuser e Lohengrin dinanzi alla Tetralogia: contengono tutti gli elementi che poi precipiteranno l’uno nell’altro ed efferveramio nella completa espansione. La loro definitività diventa da assoluta relativa allorché Ulysses matura. I-a sottigliezza psicologica «Ielle novelle c la loro indagine tormentata nei caratteri della razza, il lirismo intelligente del Porlrait, la impostazione problematica ibseniana di £xiles, pervengono ugualmente nella loro esploraxione della vita ad una zona d’intollerabile turbamento, che potrebbe risolversi in un grido d’angoscia o in un fremito di profonda pietà. Sembra che l’autore debba far forza su se stesso per non squilibrarsi dalla serenità limpida nella quale si spazia. E’ la serenità estetica, l’apollineo ciclo dal quale l’artista s’immerge nel mondo che vive, e guarda in sè stesso «piando in lui é ancora la paziente innocenza del mondo. Questo apollinco ciclo ha comunque, per l’uomo del nordico occidente, una lucidità più fredda, una più tagliente trasparenza, che non sia quella della voluttuosa contemplazione estetica nostra. Il perfetto impassibile equilibrio vi diverrebbe avidità a lungo andare. Deve risolversi. Si risolve ne\VUlysses, non nel grido d’angoscia o nel fremito di pietà, ma nel senso «lei sarcasmo c dell’ironico compatimento Dentro al caos dellavita s’insinua uno spirito bizzarro che ride. Fosforeggiava a tratti, nelle prime opere, malizioso, petulante, acrobatico, tosto represso dall’incantamento su di un volo di rondini o su di una musica d’organo. Nella grande Tragicommedia d ’Ulysses esso si sprigiona tutto, divenuto organico, pullulante cd irrefrenato, e decide che la commedia prevalga, c sia condotta da un demonio.
Accanto a questo panoramico Ulysses, dalle proporzioni gigantesche, sembrano minori non solo di dimensioni, ma d’animo, le altre opere precedenti che pure a Joyce hanno dato la fama: le novelle Dubliners, il Porlrait of lite orlisi, il dramma Exiles. Esse sono un poco Tanheuser e Lohengrin dinanzi alla Tetralogia: contengono tutti gli elementi che poi precipiteranno l’uno nell’altro ed efferveramio nella completa espansione. La loro definitività diventa da assoluta relativa allorché Ulysses matura. I-a sottigliezza psicologica «Ielle novelle c la loro indagine tormentata nei caratteri della razza, il lirismo intelligente del Porlrait, la impostazione problematica ibseniana di £xiles, pervengono ugualmente nella loro esploraxione della vita ad una zona d’intollerabile turbamento, che potrebbe risolversi in un grido d’angoscia o in un fremito di profonda pietà. Sembra che l’autore debba far forza su se stesso per non squilibrarsi dalla serenità limpida nella quale si spazia. E’ la serenità estetica, l’apollineo ciclo dal quale l’artista s’immerge nel mondo che vive, e guarda in sè stesso «piando in lui é ancora la paziente innocenza del mondo. Questo apollinco ciclo ha comunque, per l’uomo del nordico occidente, una lucidità più fredda, una più tagliente trasparenza, che non sia quella della voluttuosa contemplazione estetica nostra. Il perfetto impassibile equilibrio vi diverrebbe avidità a lungo andare. Deve risolversi. Si risolve ne\VUlysses, non nel grido d’angoscia o nel fremito di pietà, ma nel senso «lei sarcasmo c dell’ironico compatimento Dentro al caos dellavita s’insinua uno spirito bizzarro che ride. Fosforeggiava a tratti, nelle prime opere, malizioso, petulante, acrobatico, tosto represso dall’incantamento su di un volo di rondini o su di una musica d’organo. Nella grande Tragicommedia d ’Ulysses esso si sprigiona tutto, divenuto organico, pullulante cd irrefrenato, e decide che la commedia prevalga, c sia condotta da un demonio.


Silvio Benco.
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PIERO GOBETTI — Editore
PIERO GOBETTI — Editore
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(250 pagine)!.. IO
(250 pagine)!.. IO


Una vita concepita al modo classico con grandi risorse di narratore e gusto d’arte.
Una vita concepita al modo classico con grandi risorse di narratore e gusto d’arte.<section end="s2" />
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Parole intorno a Rivière
Parole intorno a Rivière
Senza una ragione logica e per un periodo di tempo abbastanza lungo il mio scaffale di romanzi francesi ha ospitalo l’''Aimée'' di Rivière accanto al ''Dominique'' di Fromentin.
Senza una ragione logica e per un periodo di tempo abbastanza lungo il mio scaffale di romanzi francesi ha ospitalo l’''Aimée'' di Rivière accanto al ''Dominique'' di Fromentin.
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Egli è. dunque, completamente, in un preludio che assume veste e calore di opera completa, senza perdere la sua lirica caratteristica di precedere a qualche cosa, talché la fantasmica città che si concreta ogni qual volta uno spirito fornito di senso critico si ponga a considerare i riflessi proiettati da Aimfe, è vera, inseparabile dal suo breve volume.
Egli è. dunque, completamente, in un preludio che assume veste e calore di opera completa, senza perdere la sua lirica caratteristica di precedere a qualche cosa, talché la fantasmica città che si concreta ogni qual volta uno spirito fornito di senso critico si ponga a considerare i riflessi proiettati da Aimfe, è vera, inseparabile dal suo breve volume.


Raffaello Franchi.
Raffaello Franchi.<section end="s3" /><section begin="s4" />


PIERO GOBETTI — Editore
PIERO GOBETTI — Editore
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È il più recente saggio complessivo sai Poliziano visto alla luco della nuova oritica.
È il più recente saggio complessivo sai Poliziano visto alla luco della nuova oritica.


Il Vaccarella i uno dei nostri giovani critici più profondi.
Il Vaccarella i uno dei nostri giovani critici più profondi.<section end="s4" />
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Versione delle 17:18, 7 mag 2018

34 il baretti

-stallina giovinezza del libro), o per il dibattito del problema religioso, che ha sempre su la mente nordica un’arrabbiata possanza; non dunque elementi di commozione per la squisita sensibilità e la sottile fragranza di tante di quelle note autobiografiche; si nei lettori inglesi il senso dell’artista operante con un nuovo ed arcano magistero di musica, Joyce è infatti un grande amatore della musica, c sopra ogni cosa predilige il canto corale chiesastico. Ix> ricordo intonante a sera i temi liturgici, dopo aver vuotato il fiasco di Chianti bianco (dcv’esser bianco) nella casa del suo amico toscano Alessandro Francini-Bruni, che divise molte vicende della sua vita e fu il primo a scrivere di lui in Italia. Questa passione per la musica sacra gliela ha messa in cuore la scuola cattolica frequentata fin dall’infanzia, e pur essa tiene ancora il romanziere a sè legato. Non per essa soltanto. Anche per lo spirito disquisitilo, teologico, lo tiene legato; e per la curiosità di ciò che è peccaminoso scoprire nella vita dei sensi; c per la coscienza che nell’esplorazione realistica dell’animo umano è un alcunché di ribelle: onde la esasperata e desiata voluttà dcll’abbandonarvisi. James Joyce ha fatto nel Porlrait la più bella descrizione dell’inferno che esista nei tempi moderni; ina non è ben certo clic egli non creda all’inferno. Non importa clic la suggestione cattolica sia sorpassata nello svolgimento mentale, e che il prevalere dell’artista secondo il rito di natura di Melchisscdec sia il nucleo dcll’autohiografia giovanile: uclla suggestione é stata un giorno padrona ell’uomo nel profondo dell’incubatrice gesuitica, cd ha lasciato in lui incancellabili impronte, la si ritrova come reagente su le sensazioni c come disciplina del raziocinio; la si ritrova quando meno si aspetta; la si ritrova anche nella baldoria del vagabondaggio spirituale d’Ulysses.

Fra quanti libri strani possiede la letteratura moderna, è Ulysse .c il libro più strano in cui io mi sia mai imbattuto. Dal caos dell’uomo odierno trae un monumento. Monumentale è la sua mole, e nessun libro più di esso c vicino a un poema. Lo spirito beffardo c mefistofelico di Joyce, a un ingenuo lettore che. gli chiedeva perchè lo avesse intitolato Ulysses, rispondeva, (cosi mi fu narrato): «È’ questo un metodo di lavoro».Pare una mistificazione feroce; e in fondo non è. Quel libro dall’irrtgolarità trionfante, clic può parere perfino informe, in verità è tessuto con Un rigore di metodo del quale i moderni hanno perduto la pazienza e perfino il desiderio. Se è così vicino ad un poema, ciò accade perchè realmente esso ricalca i passi di un poema, del più bello e più grande di tutti i poemi, l ’Odissea. Ricalca con l’andatura invertita della parodia; si appoggia al poema omerico, canto per canto, ma per amplificarlo nell’atmosfera parodiarne fino a proporzioni enormi, introducendovi come strumenti analitici tutte le forze di conoscimento che sono in possesso della mente umana di questa età. Esso mira come l’Odissea, alla totale esperienza dell’uomo, se pur sotto un ostinato riverbero ironico. L’Ulisse classico aveva a quella prova bisogno dcll’ampio mare, con i continenti e le isole; all’Ulisse moderno basta una grande città. L’Ulisse classico errava per dicci anni, di avventura in avventura, il moderpo riassume in un giorno solo tutta la prova: ora per ora: ogni ora un canto. Giacché il moderno ha di ogni minuto molte più cose da dire che non l’antico; la tastiera della sua sensibilità è più ricca di suoni, e l’enciclopedia del suo sapere è più ricca di volumi. Descrivere le ore di un giorno vissuto nel secolo ventesimo significa scrivere un volumidi mille pagine. Joyce lo ha fatto. Vi sono ore di risveglio fisico, ore socievoli, ore intellettuali, ore sensuali, ore musicali, ore contemplative, ore dello stomaco ed ore del basso ventre, ore dell’ebrezza, ore della folle fantasia, ore della stanchezza, ore lubriche, ore mareggiatiti di sogni liquidi, sui quali naviga senza timone il cervello «leeoniposto del sonno. Sono ore variate c immense, chi noti tutto. L’uomo non cessa di credersi saggio, perchè esse variano c tumultuano. Oguno ha il suo canto. Ed ognuna ha il suo stile.

La scomposizione sperimentale (questo demone dell’arte• moderna) investe difattì anche quella che pareva la prerogativa inviolabile dell’opera d’arte: l’unità stilistica. Il poema assume deliberatamente, in ogni canto, altri ritmi di stile: gli arcaici e gli ultramoderni, gli accademici e i futuristi, i lirici c i drammatici, i biblici e i popolareschi; infine anche i caotici, senza interpunzioni, senza periodi, senza legamento, quando vuole ritrarre un cervello femminile monologante nel sonno. La vita c un vario concerto; non si può istituire l’unità di registro nel mondo della molteplicità. La creazione artistica non ha i doveri di una filosofia, anche se assorbe frammenti di filosofie nella sua rappresentazione. Il problema della forma, appunto perchè disintegrato continuamente risolvendolo caso |>er caso, è presente continuamente. Vale a dire il problema essenziale dell’arte. Joyce c un artista. The porlrait of Ihe urlisi. I.a sua rappresentazione del mondo è quella d’un artista. Gli atomi di vita che egli coglie nel suo pellegrinaggio, che egli drammatizza nell’azione incessante degli stimoli nervosi in contrasto, ricevono la’forma sensibile della sua imaginazione, ma eccitano questa traendola nella loro indisciplinata fatalità. L’artista crea se stesso oprando. Il ciclo del mondo c il suo ciclo intimo: è un’evocazione turbinosa dalla vasta profondità della sua memoria per possedere l’intero presente. Tutto scorre. Ma nulla sarebbe di questo tutto, se non fosse detto nella forma del linguaggio untano che più ne è compcnctrata, che meglio comunica vitalmente con esso.

Da ciò la straordinaria sfaccettatura dello stile multiplo di Joyce ne\VUlysses. Tutto il possesso mentale dell’artista gli è elemento di creazione. Come le scienze fisiche c le speculative, Li teologia e la biologia, le arti e le letterature, le intuizioni psicologiche’e i raziocini matematici, concorrono in tutti i modi, per azione diretta o per imagiue, alla sua evidenza rappresentativa, così la ricchezza glottologica clic egli Ita accumulato in se gli fornisce la lingua di cui Ita bisogno, più ricca di espressioni c di colori. La lode che gli fecero i critici unanimi fu quella di aver esteso in maniera mai pensata il dominio della lingua inglese. Ma egli ha varcato anche questa. Ha introdotto in essa frammenti vividi d’altre lingue, d’altri dialetti, morii incisivi, locuzioni, tessere scintillanti, dalle tante lingue, dalle tante letterature, dalle parlate stesse popolari, che il suo poliglottismo s’c assimilato. Ha preso la vita dove fosse. L’unità linguistica subisce lo stesso trattamento dnll’imità stilistica: l’autore non deve farsi pregiudizi; il mosaico non deve rinunciare ad alcuna possibilità di ravvivarsi, l’orchestrazione ad alcuna ricchezza di timbri; enciclopedismo e cosmopolitismo hanno tavolozze cd orchestre più copiose che l’ascetico purismo letterario di razza. Il protagonista del libro è un ebreo, cspatristo, curioso c bramoso, mite cittadino fra i dublinesi c cittadino dell’orbe. Stefano Dcdaltis, il giovine artefice del Porlrait, non domina più qui in prima persona, ma rimira ucll’individuo infinitamente composito lo Spettacolo della creazione incessante. Dio. che nelle ultime battute del Porlrait egli ha invocato a fargli vedere il mondo, Io sbalordisce con la versatilità del mondo in azione.

Accanto a questo panoramico Ulysses, dalle proporzioni gigantesche, sembrano minori non solo di dimensioni, ma d’animo, le altre opere precedenti che pure a Joyce hanno dato la fama: le novelle Dubliners, il Porlrait of lite orlisi, il dramma Exiles. Esse sono un poco Tanheuser e Lohengrin dinanzi alla Tetralogia: contengono tutti gli elementi che poi precipiteranno l’uno nell’altro ed efferveramio nella completa espansione. La loro definitività diventa da assoluta relativa allorché Ulysses matura. I-a sottigliezza psicologica «Ielle novelle c la loro indagine tormentata nei caratteri della razza, il lirismo intelligente del Porlrait, la impostazione problematica ibseniana di £xiles, pervengono ugualmente nella loro esploraxione della vita ad una zona d’intollerabile turbamento, che potrebbe risolversi in un grido d’angoscia o in un fremito di profonda pietà. Sembra che l’autore debba far forza su se stesso per non squilibrarsi dalla serenità limpida nella quale si spazia. E’ la serenità estetica, l’apollineo ciclo dal quale l’artista s’immerge nel mondo che vive, e guarda in sè stesso «piando in lui é ancora la paziente innocenza del mondo. Questo apollinco ciclo ha comunque, per l’uomo del nordico occidente, una lucidità più fredda, una più tagliente trasparenza, che non sia quella della voluttuosa contemplazione estetica nostra. Il perfetto impassibile equilibrio vi diverrebbe avidità a lungo andare. Deve risolversi. Si risolve ne\VUlysses, non nel grido d’angoscia o nel fremito di pietà, ma nel senso «lei sarcasmo c dell’ironico compatimento Dentro al caos dellavita s’insinua uno spirito bizzarro che ride. Fosforeggiava a tratti, nelle prime opere, malizioso, petulante, acrobatico, tosto represso dall’incantamento su di un volo di rondini o su di una musica d’organo. Nella grande Tragicommedia d ’Ulysses esso si sprigiona tutto, divenuto organico, pullulante cd irrefrenato, e decide che la commedia prevalga, c sia condotta da un demonio.

Silvio Benco.

PIERO GOBETTI — Editore

TORINO — Vii XX Settembre, 60

Novità;

AMANTE

Vita di Bellini

(250 pagine)!.. IO

Una vita concepita al modo classico con grandi risorse di narratore e gusto d’arte.

Parole intorno a Rivière Senza una ragione logica e per un periodo di tempo abbastanza lungo il mio scaffale di romanzi francesi ha ospitalo l’Aimée di Rivière accanto al Dominique di Fromentin.

In omaggio alla verità dirò che l’intruso era Fromentin. Probabilmente, un giorno, avendo ripreso il suo volume per «scorrere qualche pagina, l’avevo poi rimesso a posto, senza volermi scomodare, là dove tra gli autori a portata «Iella mia mano — quelli il cui nome principia colla lettera erre. — soffriva un accoglicvole spazio. Ma rimanendo poi serrati l’un contro l’altro, allo stesso modo che le bugne dei palazzi murati a secco si cementano tra di loro, i due volumi hanno finito col cimentarsi ue! mio spirito c alla mia insaputa, e col trovarsi una simiglianza, non intrinseca, ma soggetta ai diversi casi che un dopo l’altro mi avevano indotto a scoprirli. E in realtà la mia scoperta di Dominique, vecchia di qualche anno, s’apparenta alla mia giovine scoperta di Aimfe. Allo stesso modo ch’io vivevo persuaso di conoscere Eugènc Fromentin attraverso la sua pittura c i suoi Maitre d’autrefois, sino a illudermi «l’avere assimilato Dominique attraverso l’oscuro c pur comodo processo della tradizione, che monelle di padre ili figlio, per via di sangue, il senso essenziale delle passate civiltà. altrettanto Rivière nt’era familiare per quel suo facile e vago nome cjic ornava la copertina «Iella Notavi! e Rei-ue Piantai se al pari d’una sigla preziosa.

Chiedo scusa al benevole lettore se nell’Immagine che mi s’era formala spontaneamente c che sta ora per uscirmi dalla penna avvelenata da tutti i dubbi dell’autocritica, si può risentire un pallido accatto proustiano; tuttavia non è meno vero clic alle nostre generazioni, avide di classicismo ina non dimentiche d’esser cresciute tra le «lue aure opposte e dolci del romanticismo c dell’impressionismo la parola riviere può affezionarci come la pietra che vorremmo legare nell’oro immaginario del nostro anello.

Costretti a una casa e a una biblioteca tiranniche che ci vietano di correre il mondo c d’obliarci in mezzo a un ameniico paesaggio cinese, chi di noi non sogna la casa portatile c tuttavia piena «lei ricordi infantili e delle immagini prenatali, c l’inesistente libro dei libri, il famoso livre de ehevcl, possedendo il quale si può salpare serenamente alla scoperta dell’ignoto, o meglio ancora la pietra preziosa c fatata nella cui luce’ consista ogni somma di sapienza, fatta per calmare tutte le seti quasi terrene, e le più sottili nostalgie dello spirito?

La primaverile apparizione di Madame Arnoux. di tra le pagine de! capolavoro fiaubertiano, si sposa, ne! ricordo che un po* la trasfigura, a un’iimnaginc rivierasca, col suo cappello di paglia e con la sua bellezza inafferrabile, intrisa c 9 m ’è. nel rapido passaggio, di sole c d’acqua, di gioia leggera e di rameggiami vegetazioni. Che importa se talvolta la rilettura d una pagina, al cui ricordo noi ci sentiamo trasportare in una regione che si ricrea sempre ugualmente materiata di colore e di musica, ci vorrebbe inchiodare alle più strette conseguenze della sua descrizione, e se non esistono dove noi le rammentiamo le unv.de frasche tremanti in un pannello amoroso d’acqua e di cielo? Quando un gigante dell’Ottocento francese, come Gustave Flaubert, un artista che si può definire un costruttore per eccellenza. traspira l’incanto medesimo «Ielle pitture «l’Auguste Rcnoir e divcnemlo un ponte tra il romanticismo e l’impressionismo colora e rende vibranti le proprie architetture di luce impressionista. dimostrando clur l’impressionismo segnò, almeno in potenza, il punto più ardente, c commosso, e grande dellanc francese? A questa rivelazione che l’anima francese fece a sè stessa attraverso Mariet, Renoir c Cézanne, anche l’Italia dovrà una schietta gratitudine se, ammi! andò l’arrivo delti sorella latina, e «pendone le i«gioni intime, che trascendono ogni c qualsiasi pratica pitturale poiché appartengono allo spirito, si sveglierà cercando di rimontare dall’antica e tuttavia fresca radice della propria tradizione sino a esprimcre la sua rinnovata anima moderna. Oggi non ci sia discaro d’offrire una festa d’amore alla Francia, e ci sia concesso di consacrarla in questa sorta «li rito commemorativo svolto dinanzi all’arabesco cordiale racchiuso nelle sillabe di Jacques Rivière.

Ora Jacques Rivière c scomparso.

Egli ci lascia un preludio «li romanziere (Aintfc), uno di saggista (piadet), uno di scrittore «la cui non vuol dissociarsi l’uomo vivente nclFumaniti, preoccupato di problemf civili c sociali (L’Allemand).

Tre preludi di un’opera probabilmente lontana, poiché Rivière non aveva nessuna caratteristica della precocità.

Albert Thibaudet, in una frettolosa nota scritta all’indomani «Iella sua morte, diceva: «l.e irai mon,imeni de Jacques Rivière c’esl la place vide qu’il laisse >.

E i tre preludi che egli ci lascia sono la sua levigata pietra tombale, la base sostanziosa del suo monumento d’aria.

Prima di Rivière era scomparso in Francia il precocissimo autore del Diable au corps c del Hai du Conile d’Orgel.

Pubblicando nella N. R. F. la seconda opera di Raymond Radiguct, Rivière, che del miracoloso giovinetto era del resto un ammiratore sincero, s’era chiesto verso quali sviluppi c quali conseguimenti potevano considerarsi naturalmente incamminati i suoi due romanzi. Domanda puramente teorica, dappoiché la morte di un artista ha sempre chiuso e saldato un ciclo, che può dapprima dolere alla giuntura, come una ferita, ma finisce poi col fondersi completamente, c poiché l’energia che occorre a creare un’opera d’arte, sia che appartenga a uno di quegli spiriti temprati d’attenzione c di ragionamento che avanzano in apparenza per graduali conseguenze di altrettanti naturali premesse, sia che si riscontri in creatori caratteristicamente impulsivi, è sempre d’ulta qualità miracolosa. Ma se la critica di ciò clic non potè essere fatto rischia, attraverso le sue necessarie c gratuite supposizioni, di creare il fantasma di un’opera che non poteva essere, dimorando in questo suo sconfinamento, nel più puro tcorismo, essa pttò rifrangersi sull’opera effettivamente esistente aiutandola a illuminarsi c a durare.

E mentre, gua«laudo oltre il Hai du Cointe d’Orycl noi ci sentiamo come investire dal sento di un vuoto e largo orizzonte, uscendo dalla descritta c concreta città «li Aimfe vediamo che una prospettiva di costruzioni fantastiche la continua, «li costruzioni, dico, che si concretano a mano a ninno clic noi con In fantasia c’iuoltrinmo ad abitnrle.

Come tulli i precoci. Railiguct cl aveva anticipato, magari in miniatura, l’opera della maturità. E la miniatura, in senso generico, dei precoce. non ha la brevità o In discrezione delle miniature pittoriche.

Il termine si sottintende nel caso nostro un’accezione tutta morale, che davvero un tal genere di miniature, c in particolare l’ultima opera di Radiguct. hanno tutto l’èmpito orgoglioso c glorioso della giovinezza.

Aimée di Rivière, descrivendo il caso di un giovine timido c sensibile, innamoralo della moglie c delle donne, c in cui l’immagine «Iella moglie ai vela a un tratto pur senza scomparire, ma così «la vagamente indurlo nel cerchio di un altro amore clic si dissolverà poi, senz’essere stato consumato, in una atmosfera di sogno, è invece, come si è detto, un saggio, un preludio.

Il fatto a cui Jacques Rivière s’è ispirato non poteva compratdcrc tutta la vita d’un uomo ma doveva riflettere, necessariamente un’«educazione sentimentale».

Al suo cospetto i romanzi di Radiguct appaiono romanzi d’azione. Ed ecco Riviere confondersi quasi affettuosamente accanto alle pagine di Dominique c specialmente alle prime, dove le fucilate «lei giorni di caccia detonano entro gli stupefatti giorni delTestate. e dalle quali esala, come un’onda lenta di profumo, il senso di certe domeniche rurali.

Ma in Rivière il dramma umano è più sciolto cd essenziale. Le figure non si disegnano c non si sfumano su nessun paesaggio fronzuto, c nemmeno sopr’uno di quei cieli golosi clft le appassionano e It suggono. c ne fanno parte di loro stessi. I.c figure di Jacques Riviere fioriscono alla luce «li nitidi interni ed c ammirevole come in un seguo solo, realistico e leggero, i profili esprimano non solo la loro intima grazia, ma anche il riflesso del particolare amore nelle possibilità del quale un altro li concepisce c li scorge.

«Elle ftait assise à la -ménte lablc qttc tuoi, el lisail; so h profil se dcsswail à contre-jour,..».

Tale l’apparizione di Marta, la donna ch’c doveva diventare la sposa di Fran«;ois, innamorandolo dapprima, senza ch’egli se ne renda conto, per quella sua aria d’ineffabile castità.

Infatti: «Rieti dans ce prafil ne me «nemicar/...».


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sostanza dell’opera sua e fantasticavamo sulle sillabe del suo nome.

Siamo legali alla meraviglia delle cose ch’egli ci descrive, e a quella loro intrinseca immaturità, che però, in sè stessa, non è meno riposata e perfetta.

Cera, in Rivière, un ragionatore assiduo e conclusivo, un temperamento «l’uomo ordinato, senz’affanni scomposti, religiósamente fiducioso che l’avvenire sarebbe bastato al coiicrctaincnto del suo sogno «l’arte. Ili questa sua fiducia — e il suo romanzo lo dimostra — Rivière ebbe ragione, e il suo passato suppone un avvenire palese c presente, seppure non se nc abbiano materiali testimonianze.

Rivière era un artista a maturatone lenta, ma era. poiché aveva avuto tuttavia il tempo di affermare i principali caratteri della sua personalità in «sviluppo, e la morte, strappandolo, non può fare ch’egli non sia stato.

Egli è. dunque, completamente, in un preludio che assume veste e calore di opera completa, senza perdere la sua lirica caratteristica di precedere a qualche cosa, talché la fantasmica città che si concreta ogni qual volta uno spirito fornito di senso critico si ponga a considerare i riflessi proiettati da Aimfe, è vera, inseparabile dal suo breve volume.

Raffaello Franchi.

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