Pagina:Il Baretti - Anno II, n. 9, Torino, 1925.djvu/3: differenze tra le versioni

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'''Una disputa tardiva.'''
'''Una disputa tardiva.'''


Non parrà strano clic io qui mi metta a risuscitare i termini «l’un’antica questione, com¬ presa ormai nella storia delle polemiche e del¬ le idee, e anzi lontana tanto dal notro tempo e dalle nostre voglie, che nessuno è tratto a rinfrescarla con lo studio de’ suoi do¬ cumenti. Qtc, se si è sentito questi ultimi anni parlare di neoclassicismo, bisognerebbe anche determinare su quale delle «lue pa¬ role, aggettivo e sostantivo, i suoi fautori po¬ nevano l’accento. Sarà facile convenire, inoltre, che. avesse o non avesse quel tentativo saldezza e organicità, non mirava a una conquista o a una riedificazione, non s’opponeva ad uri nemico «la abbattere; sforzandosi anzi a epurare il ciclo let¬ terario e a ripristinare un gusto clic (se si può «lire) delibasse e si .mggesso una per mia le locuzioni e le parole, sprezzava la confusione dei problemi e svalutava la volontà mistica, propa¬ gandista, profetica clic adopera le lettere a un fine violento verso la vita. Non riteneva, insom¬ ma, «l’avere a combattere un romanticismo.
Non parrà strano che io qui mi metta a risuscitare i termini d’un’antica questione, compresa ormai nella storia delle polemiche e delle idee, e anzi lontana tanto dal notro tempo e dalle nostre voglie, che nessuno è tratto a rinfrescarla con lo studio de’ suoi documenti. Che, se si è sentito questi ultimi anni parlare di neoclassicismo, bisognerebbe anche determinare su quale delle due parole, aggettivo e sostantivo, i suoi fautori ponevano l’accento. Sarà facile convenire, inoltre, che avesse o non avesse quel tentativo saldezza e organicità, non mirava a una conquista o a una riedificazione, non s’opponeva ad un nemico da abbattere; sforzandosi anzi a epurare il ciclo letterario e a ripristinare un gusto che (se si può dire) delibasse e si suggesse una per una le locuzioni e le parole, sprezzava la confusione dei problemi e svalutava la volontà mistica, propagandista, profetica che adopera le lettere a un fine violento verso la vita. Non riteneva, insomma, d’avere a combattere un romanticismo.


In Francia, invece, tale combattimento perdura, o si rinnova. Le sue forme, le sue condizioni, fu- ron «liverse, anche al principio, da quelle cui sot¬ tostette in Italia; variarono poi rispetto al loro stesso inizio, si ripeterono nei successivi momenti parteggiandosi diversamente il campo; scompar¬ vero a volte i nomi. Sotto altri nomi rifiorirono le stesse idèe, sotto altre idèe militarono le stesse tradizioni t «posizioni»; e per difender meglio quel che parve importante, i primi insorti, i pri¬ mi romantici furono dagli stessi per così dire lo¬ ro seguaci rinnegati, scavalcati. Se oggi i primi¬ tivi nomi, in qualche senso, o per ironia, o per rimprovero, o per smania nobilitntricc ritornano, e dovere che ogni accusa o difesa clic a quei no¬ mi s’accompagna sia bene esaminata, e rivoltata contrariamente al senso esplicito delle parole, pre¬ scindendo «bilia volontà e «lall’ostcntazIonc «lei campioni in patata. Per anticipare quetcheduno dei cenni con cui si potrà concludere, diciamo che si trova, come presupposto della tenzone, una im¬ plicita e pregiudiziale necessità di parteggiare: quasi che senza «principi», senza aiuti — e di quelli che suscitano intorno rispetto, di cui si può dunque menar vanto — i critici, o anche gli scrit¬ tori non potessero tenersi sicuri. Col tentare ap¬ poggi e aggrapparsi a puntelli, chiudono meglio, più legittimamente, le fila «lei loro argomento; e quasi quasi il vcro.sta per loro non in una propria esperienza di certezza ma nel potersi muovere di conserva con gli spiriti magni; o anzi secondo una speciale tradizione clic spersonalizza fino gli individui più rappresentativi e dalle loro opere trae una sorta di formulario pratico. Queste con¬ siderazioni posson valere per le due parti mosse a rumore, benché si abbia da insistere princi¬ palmente sulle ragioni di una di esse.
In Francia, invece, tale combattimento perdura, o si rinnova. Le sue forme, le sue condizioni, furon diverse, anche al principio, da quelle cui sottostette in Italia; variarono poi rispetto al loro stesso inizio, si ripeterono nei successivi momenti parteggiandosi diversamente il campo; scomparvero a volte i nomi. Sotto altri nomi rifiorirono le stesse idèe, sotto altre idèe militarono le stesse tradizioni e «posizioni»; e per difender meglio quel che parve importante, i primi insorti, i primi romantici furono dagli stessi per così dire loro seguaci rinnegati, scavalcati. Se oggi i primitivi nomi, in qualche senso, o per ironia, o per rimprovero, o per smania nobilitatrice ritornano, e dovere che ogni accusa o difesa clic a quei nomi s’accompagna sia bene esaminata, e rivoltata contrariamente al senso esplicito delle parole, prescindendo dalla volontà e dall’ostentazione dei campioni in patata. Per anticipare quelcheduno dei cenni con cui si potrà concludere, diciamo che si trova, come presupposto della tenzone, una implicita e pregiudiziale necessità di parteggiare: quasi che senza «principi», senza aiuti — e di quelli che suscitano intorno rispetto, di cui si può dunque menar vanto — i critici, o anche gli scrittori non potessero tenersi sicuri. Col tentare appoggi e aggrapparsi a puntelli, chiudono meglio, più legittimamente, le fila dei loro argomento; e quasi quasi il vero sta per loro non in una propria esperienza di certezza ma nel potersi muovere di conserva con gli spiriti magni; o anzi secondo una speciale tradizione clic spersonalizza fino gli individui più rappresentativi e dalle loro opere trae una sorta di formulario pratico. Queste considerazioni posson valere per le due parti mosse a rumore, benché si abbia da insistere princi¬ palmente sulle ragioni di una di esse.


La singolare chiarezza degli scrittori francesi elude la ricerca delle cagioni occulte o dissimula¬ te dei loro scritti; la dirittura della loro espressio¬ ne può’ indurre a credere a un animo aggressivo e lineare, a un portamento cavalleresco «li pole¬ misti che nella lotta toccano sul vivo e pure ri¬ spettano gli avversari, ma non tendono tranelli e non gioiscono malignamente delle proprie arti subdole. In vero, il congegno della loro psicologia è più complesso: la bella parata e la finta, che sembrano arti guerresche e esterne, sono anche una difesa, un’occlusione dell’intimo, una specie di serrato inganno del quale i lettori vengono ma¬ lagevolmente a capo: Quando si riuscisse a spia¬ narlo, si sarebbe poi forse ricompensati da uno spettacolo assai meschino.
La singolare chiarezza degli scrittori francesi elude la ricerca delle cagioni occulte o dissimulate dei loro scritti; la dirittura della loro espressione può’ indurre a credere a un animo aggressivo e lineare, a un portamento cavalleresco «li polemisti che nella lotta toccano sul vivo e pure rispettano gli avversari, ma non tendono tranelli e non gioiscono malignamente delle proprie arti subdole. In vero, il congegno della loro psicologia è più complesso: la bella parata e la finta, che sembrano arti guerresche e esterne, sono anche una difesa, un’occlusione dell’intimo, una specie di serrato inganno del quale i lettori vengono malagevolmente a capo: Quando si riuscisse a spianarlo, si sarebbe poi forse ricompensati da uno spettacolo assai meschino.


Ma, si può allora dire: vai la pena di durar tanta fatica, di mettersi a scovare i motivi riposti, quando si sia convinti della loro fallacia? Im¬ porta, fuori dei suoi confini e «legl’intcrcssi clic la agitano, una bega letteraria? La letteratura, ci vuol poco a ammetterlo, va considerata nel¬ l’opera; e anzi nella miglior condizione dcll’opcra, togliendo quel che di troppo particolare e mo¬ mentaneo la può accompagnare; cercando quando si sanno di dimenticare, o di riassorbirli in una visione serena e confidente, i caratteri troppo pre¬ cisi, le minuzie, le vòglie o le ubbie dell artista; come «l’un amico non si ricordano neppure i di¬ fetti ridicoli. Tutto il contorno delle polemiche, aspro ma così breve, non sarchile meglio trascu¬ rarlo, per non esserne involti fuor di luogo, e tratti a scendere a ingiustizie, n partigianerie non ri C,l Ìnvccc proprio lo studio, entro la polemica, «Ielle sue ragioni, In spiega e In fa degna. La passione polemica è passione «li idèe; se talvolta certe idèe, false o non credute, la servono bassamente,
Ma, si può allora dire: val la pena di durar tanta fatica, di mettersi a scovare i motivi riposti, quando si sia convinti della loro fallacia? Importa, fuori dei suoi confini e degl’interessi che la agitano, una bega letteraria? La letteratura, ci vuol poco a ammetterlo, va considerata nell’opera; e anzi nella miglior condizione dell’opera, togliendo quel che di troppo particolare e momentaneo la può accompagnare; cercando quando si sanno di dimenticare, o di riassorbirli in una visione serena e confidente, i caratteri troppo precisi, le minuzie, le vòglie o le ubbie dell artista; come «l’un amico non si ricordano neppure i difetti ridicoli. Tutto il contorno delle polemiche, aspro ma così breve, non sarebbee meglio trascurarlo, per non esserne involti fuor di luogo, e tratti a scendere a ingiustizie, a partigianerie non richieste?


Invece proprio lo studio, entro la polemica, delle sue ragioni, la spiega e la fa degna. La passione polemica è passione di idèe; se talvolta certe idèe, false o non credute, la servono bassamente, oltre quel primo schermo si giunge alle idee vere che la sottendono. Non tutte si vogliono, o si possono confessare. Son di solito queste a contar di più, a farsi contemporaneamente materia e sostrato dell'opera d'arte; la quale nell'attacco de' suoi nemici ha quasi uno specchio delle proprie ragioni. La polemica che qui si considera è poi tanto piena, tanto vasta che non solo vi si vede come in iscorcio la storia, si può dire, di un secolo; ma vi si bilanciano i contrapposti problemi, le tendenze che affaticano anche fuori dell'arte gli uomini. Se il discorso sarà un pochino lungo, si cerchi la scusa nel desiderio di non trascurare, di non urtare i punti più sensibili degli animi che vi si son rivelati — e dell'animo nostro.


{{ct|f=100%|t=1|v=.5|'''Giudizi temerari.'''}}
ri s’ispireranno. Cosi si produce una filiazione clic non e palese nell’arte, perchè è segnata «la al¬ tre ragioni. A voler un poco esagerare, e mirando più nll’inlcnzione clic ai risultati di questo, critico, uomo accorto e, suo malgrado, di gusto, si può dire clic per lui l’arte non conta; o non gli serve e non se ne fida. Il titolo dei «lue volumi dichiara il suo animo: egli non riconosce per sè una fun¬ zione d’accompagnamento, «l’assidua e tranquilla cura e dilucidazione, «l’analisi vicina e informa¬ trice; non s’accontcntn che i suoi «pezzi» siano, bonariamente, discorsi, ragguagli, articoli, Per osservare il fatto umano e naturale dell’arte, sfor¬ zo «li tanti e risultato «li tanto pochi, ma sempre, «love riesce, bontà che premia la fatica, clic ri¬ scatta le pecche e rimuove le intenzioni vili; per trovar contatto tra le esigenze, magari posticce, «lello scrittore, e la distrazione, la fretta del pub¬ blico. che non sarà poca nemmeno in Francia, egli s’impanca sulla più alla cattedra, e manda intorno i suoi verdetti appassionati, irremissibili, e costruisce e pronuncia i suoi giudizi.
Il libro che induce in questo discorso non è altro che una raccolta di articoli o di studii critici e riguarda le lettere francesi nei punti secondo l'autore salienti, nel loro carattere più sintomatico. Accanto a alcuni scrittori viventi, e anzi prima di essi, sono considerati tre grandi, ormai morti, che li spiegano; che stabiliscono fondano gli argomenti, i bisogni onde poi i nuovi scrittori s’ispireranno. Cosi si produce una filiazione che non e palese nell’arte, perchè è segnata da altre ragioni. A voler un poco esagerare, e mirando più all’intenzione che ai risultati di questo, critico, uomo accorto e, suo malgrado, di gusto, si può dire che per lui l’arte non conta; o non gli serve e non se ne fida. Il titolo dei due volumi dichiara il suo animo: egli non riconosce per sè una funzione d’accompagnamento, d’assidua e tranquilla cura e dilucidazione, d’analisi vicina e informatrice; non s’accontenta che i suoi «pezzi» siano, bonariamente, discorsi, ragguagli, articoli, Per osservare il fatto umano e naturale dell’arte, sforzo di tanti e risultato di tanto pochi, ma sempre, dove riesce, bontà che premia la fatica, che riscatta le pecche e rimuove le intenzioni vili; per trovar contatto tra le esigenze, magari posticce, dello scrittore, e la distrazione, la fretta del pubblico che non sarà poca nemmeno in Francia, egli s’impanca sulla più alla cattedra, e manda intorno i suoi verdetti appassionati, irremissibili, e costruisce e pronuncia i suoi giudizi.


Questi «Jugements» «li Ilcnrl Massi» fanno dunque come un breviario «li solidale, inflessibile condanna. 1 primi colpiti sono Renan, Francc, Barrès; poi vengono Gidc, Rollanti Benda, tutti, in globo, gli scrittori giovani, e, per incidenza, Fromentm. Si salva, non diciamo Claudel clic è visto di sfuggita e si piglia anche lui le sue bra¬ ve percosse, ma il salo Duhnniel. Parecchie os¬ servazioni son giuste, qualche analisi, le più mal¬ vage, penetrano, fatte apposta, con arte, con a- stuzia, per far male, per far colpo, per toccar»: quel punto ilei quale s’avvelena tutta l’opera, Di eresie letterarie ne son state «lette di molto peg¬ gio; critiche senz’ordine, critiche assurde se ne conoscono a bizzeffe; critiche tutte inamidate e lustre «li logica appariscente, piatte e sempre u- guali, clic non c’è verso aderiscano alla pelle dei poveri scrittori torturati, anche. Massis, per in- «lolc, si lieti lontano da questi esempi e. salvo un caso (il principale), tratta i suoi autori con de¬ cenza; ma io stimo che quanto più si ticn rispet¬ toso e distante, tanto meno essi (o 1 loro lettori) gli posson perdonare. Poiché la mancanza prima di rispetto, quel clic lo fa nemico delle lettere, e pericoloso e inutile apprezzato»; e il suo arbitrio, il posto di direttore clic s’c vagheggiato. la di¬ pendenza in cui chiude gli scrittori, la sufficienza con cui li ticn d’occhio. Non ha in essi un mo¬ mento di fiducia, non si accosta, non li ascolta; non ne sente la |Miteitz;
Questi «Jugements» di Henri Massis fanno dunque come un breviario di solidale, inflessibile condanna. I primi colpiti sono Renan, France, Barrès; poi vengono Gide, Rolland, Benda, tutti, in globo, gli scrittori giovani, e, per incidenza, Fromentin. Si salva, non diciamo Claudel che è visto di sfuggita e si piglia anche lui le sue brave percosse, ma il salo Duhamel. Parecchie osservazioni son giuste, qualche analisi, le più malvage, penetrano, fatte apposta, con arte, con astuzia, per far male, per far colpo, per toccare quel punto nel quale s’avvelena tutta l’opera. Di eresie letterarie ne son state dette di molto peggio; critiche senz’ordine, critiche assurde se ne conoscono a bizzeffe; critiche tutte inamidate e lustre di logica appariscente, piatte e sempre uguali, che non c’è verso aderiscano alla pelle dei poveri scrittori torturati, anche. Massis, per indole, si lieti lontano da questi esempi e, salvo un caso (il principale), tratta i suoi autori con decenza; ma io stimo che quanto più si tien rispettoso e distante, tanto meno essi (o i loro lettori) gli posson perdonare. Poiché la mancanza prima di rispetto, quel che lo fa nemico delle lettere, e pericoloso e inutile apprezzatore; e il suo arbitrio, il posto di direttore che s’c vagheggiato, la dipendenza in cui chiude gli scrittori, la sufficienza con cui li tien d’occhio. Non ha in essi un momento di fiducia, non si accosta, non li ascolta; non ne sente la potenze, non li ama. E certi pareri, che possono esser rudi e immotivati, o magari sbagliatissimi; ma che sondati con la severa coscienza dell'amicizia, della comunanza d'intenti della collaborazione, dove si cela un'amarezza che è pur sempre affetuosa, o un dispetto che riprende e dimostra un'antica speranza: faranno di certo meno male del più blando di questi giudizi, che sembra sempre una dura degnazione. Quelli poi che non riconoscono le regole che Massim impone e non consentono ne' suoi principi ostentati, trovare ch'egli ne deduce una carità singolarmente esemplare.


Se Massis mi leggesse, rileverebbe in queste parole una filza d’errori e m’avrebbe già condannato. Ho detto del rispetto, della gratitudine che unisce il critico all’autore; ho implicitamente considerato come libero l' ingegno umano; ho riconosciuto i diritti degl'individui. Sono per me, queste, verità semplici, che non ci si sta a spender parole, da cui si muove anche senza proferirle, e così ci s'intende; sono, meglio che verità, usanze. La civiltà, la cultura, parole che anche a Massis son care, le presumono.


Perlui, invece, non sono da accettarsi; sono ombre vane, illusioni, menzogne o anche di peggio: l’incarnazione del male. Entra dunque nella critica questo nuovo, o tanto tempo taciuto, elemento morale: e, sottolineamo, nuovo. Si sta con lui infatti fuori della retorica — o dentro una retorica maggiore. Non si tratta più dell'arte: non si tratta di sbandirne le opere irregolari; ne della gerarchia dei generi: non si tratta di sottomettervi le opere ribelli, di epurare quelle contaminate. In opere d’arte hanno una figura, una potenza terribile, son veicolo di morte. Non son soltanto il segno d’un'epoca, duna società inquinata, ma l’agente. Il difensore del bene deve dar l' allarme e correre ai ripari. Siccome sono nate da una volontà malvagia e, a prescindere dai risultati, seno perfide nelle intenzioni, il giudice provvide; questa specie di pubblico accusatore incita il popolo a trarne vendetta; questo auto eletto sacerdote denuncia e esorcizza il demonio che vi s'annida.
quas


Non si vuole qui caricare uno sdegno poco proficuo e forse poco convincente. Si cercherà più avanti di prendere a partito il signor Massis su qualche punto preciso, ma le sue affermazioni genetiche e pregiudiziali non riescono nemmeno a soddisfarci. Dove e da chi ha avuto egli l'investitura e la prerogativa del bene? chi gli ha insegnato a farsi creatore, sotto una insegna morale, di dogmi letterari? Il bene di Massis, il male degli scrittori ch'egli denuncia son per noi argomenti dello stesso valore, sfoghi sullo stesso piano, identiche esaltazioni di chi delle lettere si fa una passione e le intende secondo un istinto di dominio che le perturba e le sforma. Con questa differenza: che l'arte per quanto cosi ridotta, è sempre ingenua, sempre pura e anche una bestemmia la rende inocua, rivelandola nella sua qualità espressiva. Le diatribe di Massis, secche, articolate, pervase di malizia e continuamente simulatrici, non hanno nemmeno un segno di quella libertà e sincerità che le potrebbe render accettate. Da Veuillot a Blois e a Giuliotti, si conosce la forma artistica dello sdegno e della protesta religiosa, e si ammira. Ma qui non sdegno vivo e non protesta audace. Scoprire gli interessi e i motivi, palesi o occulti, di questo polemista in veste di critico: tale è la forma d' indulgenza con cui par giusto di dover trattare,
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{{ct|f=100%|t=1|v=.5|'''Massis e l’Indice.'''}}
conserva
Massis fa professione di fede cattolica e di pen¬siero neoscolastico; e anzi la sua critica sarebbe nient’altro che l’applicazione dei presupposti della fede. Crede quindi che gli sia sortita una funzione di provveditore alle lettere e d’indagatore delle tendenze e delle mire dei letterati: un ufficio intermedio tra quello della Congicgazionc dcl- 11 ridice e quello della Santa Inquisizione. Ma i Canoni che statuiscono della censura e della proi¬ bizione dei libri, e che formano il codice della Congregazione «lelllndice, non contengono, espli¬ cito o sottinteso, nessun principio positivo di di¬ scriminazione; lasciando all’nrhitrio e all’Iniziativa della Santa Congregazione il giudizio sulla sindaca¬ bilità delle opere letterarie, elencano soltanto i li¬ bri proibiti ipso iure. Non si erra «li molto, credo, se si afferma clic i membri della Congregazione mettono all’indice i libri per ragioni analoghe a quelle specificate nel Canone 1399, cioè per ragio¬ ni pratiche, quando l’attenzione è attratta da fa¬ me scandalose o la moria corre dietro a delle no¬ vità teoriche 0 scientifiche buone per rimbecillire il pubblico grosso. Il padre Giovanni Casati, nella prefazione d’un suo volume assai gustoso, dove tratta dei libri letterati condannati all’indice, dice precisamente: «La Sacra Congregazione dell’In¬ dice giustamente non motiva le sentenze. La ra¬ gione e ovvia, e guai se non fosse così I I motivi ch’io o altri può portare potrebbero fors’nnchc parere a taluno discutibili 0 non così forti da dover in voi vere una condanna. Orbene, possono benissimo questi privati giudizi essere discutibili, non può essere discutibile In sentenza della Chie¬ sa, data per ragioni d’ordine pubblico. La sacra auctoritns providentiae doctrinnlis, che v’è nella Congregazione dcH’Indice, se non Ita i’ugual va¬ lore dcll’infallihilità che v’è in materia di fede, ha però per l’ubbidienza d’un cattolico l’uguale peso». Donde si trac: che i decreti «Iella Congre¬ gazione son provvedimenti d’autorità, clic un cat¬ tolico non può sindacare per quanto si creda su¬ periore e Immune, come il più eroico soldato non può a cagione del suo eroismo arbitrarsi a cri¬ ticare le provvidenze clic piglia lo Stato Maggiore contro temuti pericoli ch’egli non è in grado di valutare; e inoltre, che i motivi da cui la Con¬ gregazione è diretta sono specifici e singolari, non dipendono da una dottrina che la Chiesa pro¬ clami nell’atto di condannare chi se ne scarta, ma da un giudizio di opportunità. Non è difficile capire che la Chiesa a farsi banditricc d’una dot¬ trina letteraria, o a dedurre strettamente ima re¬ gola critica dal suo insegnamento, farebbe opera caduca e anche insana; poiché essa sa che quanti hanno imparato a credere la sua fede e si son nu¬ triti delle sue parole, non vanno a cercare un nuo¬ vo viatico e un’imperfetta scienza,nelle pagine dettate dall’ingegno umano. In esse non trovnn nulla di divino, ma un segno vivo dei propri fratelli. Se non le accolgono con sensi di frater¬ nità, se non cercano di giustificarle e d’elevarle. se son pronti a accendersi nello scandalo, e quasi con diletto, non vorremmo, a dir questo, cadere nella stessa colpa, ma ci par proprio che aliti in loro, non vinto, lo spirito dell’odio.

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oltre quel primo schermo si giunge alle idèe vere che la sottendono. Non tutte si vogliono, o si possono confessare. Sem «li aolito queste a «con

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, clic possono esser rudi e inm sbagliatissimi; ma che sondati


i essi un mo- on li ascolta; a. E certi pa- otivati, o ma¬ coli la severa


della collaborazione, dove si cela un'amarezza che è pur sempre affettuosa, o un dispetto clic ripren¬ de e dimostra un’antica speranza: faranno di cer¬ to meno male del più blando di questi giudizi, che sembra sempre una dura degnazione. Quelli poi che non riconoscono le regole clic Massis im¬ pone e non consentono ne' suoi principi osten¬ tati, troveranno ch’egli ne deduce una carità sin¬ golarmente esemplare.

Se Massis mi leggesse, rileverebbe in queste parole una filza d’errori e m’avrebbe già c<>n- dannato. Ho detto del rispetto, della gratitudine che unisce il critico all’autore; ho implicitamente considerato come libero I*ingegnò umano; ho ri¬ conosciuto i diritti degl'individui. Sono per me, queste, verità semplici, che non ci si sta a spen¬ der parole, da cui si muove anche senza profe¬ rirle, e così ci s'intende; sono, meglio clic verità, usanze. La civiltà, la cultura, parole clic anche a Massis son care, le presumono.


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gio: l’incarnazione del male. Entra dunque nella critica questo nuovo, o tanto tempo taciuto, ele¬ mento morale: e, sottolineatilo, nuovo. Si sta con lui infatti Inori «Iella retorica — o dentro una retorica maggiore. Non si tratta più dell'arte: non si tratta di sbandirne le opere irregolari; ne della gerarchia dei generi: non si tratta di sotto¬ mettervi le opere ribelli, di epurare quelle contami¬ nate. Ir? opere d’arte hanno una figura, una po¬ tenza terribile, son veicolo di morte. Non son sol¬ tanto il segno d’un'epoca, duna società inquinata, ma l’agente. Il difensore del bene deve dar I al¬ larme e correre ai ripari. Siccome sono nate da una volontà malvagia e. a prescindere dai ri¬ sultati, seno perfide nelle intenzioni, il giudice provvide; questa specie di pubblico accusatore incita il popolo a trarne vendetta; questo attllI eletto sacerdote denuncia e esorcizza il demonio che vi s'annida.

Non si vuole qui caricare uno sdegno poco pro¬ ficuo e forse poco convincente. Si cercherà più avanti di prendere a partito il signor Massi* su


qualche punto preciso, ma


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raucamente materia e quale nell'attacco de’ peeeltio «Ielle proprie ii si considera è poi non solo vi si vede i può dire, di un sc¬ ontrapposti problemi,


le tendenze che affaticano anche fuori dell'ano gli uomini. Se il discorso sarà un pochino lungo, si cerchi la scusa nel desiderio di non trascurare, di non urtare i punti più sensibili degli animi che vi si son rivelati — e dell’animo nostro.

Giudizi temerari.

Il libro che induce in questo discorso non e al¬ tro clic una raccolta di articoli o di studii critici e riguarda le lettere francesi nei punti secondo l’autore salienti, nel loro carattere più sintomati¬ co. Accanto a alcuni scrittori viventi, e anzi pri¬ ma di essi, sono considerati tre grandi, ormai morti, che li spiegano; che stabiliscono, fondano gli argomenti, i bisogni onde poi i nuovi scritto

nerielle e pregiudiziali non riescono nemmeno a soddisfarci. Dove e da chi ha avuto cg l’investitura e In prerogativa del bene, cui gli ha insegnato a farsi creatore, sotto una insegna morale, di dogmi letterari? Il bene di Massis. il male degli scrittori eli egli «lc- nuncia son per noi argomenti dello stesso va¬ lore. sfoghi sullo stesso piano. Identiche esalta¬ zioni di chi delle lettere si fa una passione e le in¬ tende secondo un istinto «li dominio clic le per¬ turba e le sforma. Con questa differenza: che l’arte,;>cr quanto così ri«lotta, è sempre ingenua, sempre pura, e anche una bestemmia la rende in¬ nocua. rivelandola nella sua qualità espressiva. Le diatribe di Massis, secche, articolate, pervase di malizia e continuamente simulatrici, non hanno nemmeno un segno di quella libertà e sincerità che ce le potrebbe render accette. Da veti mot» Blois e a Giuliotli, si conosce la forma artistica dello sdegno e della protesta religiosa, e si ammi¬ ra. Ma «lui non sdegno vivo e non protesta audace. Scoprire gli interessi e i motivi, palesi o occulti, di qucs’o polemista in veste «li critico; tale è la forma d’indulgenza con cui par giusto di doverlo trattare.


gesta religiosa, e si animi- vivo e non protesta audace, i motivi, palesi o occulti, veste «li critico: tale è la i cui par giusto di doverlo


Massis e l’Indice.

Massis fa professione di fede cattolica e di pen¬ siero neoscolastico; e anzi la sua critica sarebbe nient’altro che l’applicazione dei presupposti del¬ la fede. Crede quindi che gli sia sortita una fun¬ zione «li provveditore alle lettere e d’indagatore «Ielle tendenze e delle mire dei letterati: un uffi¬ cio intermedio tra quello «Iella Congicgazionc dcl- 11 ridice e quello della Santa Inquisizione. Ma i Canoni che statuiscono della censura e della proi¬ bizione dei libri, e che formano il codice della Congregazione «lelllndice, non contengono, espli¬ cito o sottinteso, nessun principio positivo di di¬ scriminazione; lasciando all’nrhitrio e all’Iniziativa della Santa Congregazione il giudizio sulla sindaca¬ bilità delle opere letterarie, elencano soltanto i li¬ bri proibiti ipso iure. Non si erra «li molto, credo, se si afferma clic i membri della Congregazione mettono all’indice i libri per ragioni analoghe a quelle specificate nel Canone 1399, cioè per ragio¬ ni pratiche, quando l’attenzione è attratta da fa¬ me scandalose o la moria corre dietro a delle no¬ vità teoriche 0 scientifiche buone per rimbecillire il pubblico grosso. Il padre Giovanni Casati, nella prefazione d’un suo volume assai gustoso, dove tratta dei libri letterati condannati all’indice, dice precisamente: «La Sacra Congregazione dell’In¬ dice giustamente non motiva le sentenze. La ra¬ gione e ovvia, e guai se non fosse così I I motivi ch’io o altri può portare potrebbero fors’nnchc parere a taluno discutibili 0 non così forti da dover in voi vere una condanna. Orbene, possono benissimo questi privati giudizi essere discutibili, non può essere discutibile In sentenza della Chie¬ sa, data per ragioni d’ordine pubblico. La sacra auctoritns providentiae doctrinnlis, che v’è nella Congregazione dcH’Indice, se non Ita i’ugual va¬ lore dcll’infallihilità che v’è in materia di fede, ha però per l’ubbidienza d’un cattolico l’uguale peso». Donde si trac: che i decreti «Iella Congre¬ gazione son provvedimenti d’autorità, clic un cat¬ tolico non può sindacare per quanto si creda su¬ periore e Immune, come il più eroico soldato non può a cagione del suo eroismo arbitrarsi a cri¬ ticare le provvidenze clic piglia lo Stato Maggiore contro temuti pericoli ch’egli non è in grado di valutare; e inoltre, che i motivi da cui la Con¬ gregazione è diretta sono specifici e singolari, non dipendono da una dottrina che la Chiesa pro¬ clami nell’atto di condannare chi se ne scarta, ma da un giudizio di opportunità. Non è difficile capire che la Chiesa a farsi banditricc d’una dot¬ trina letteraria, o a dedurre strettamente ima re¬ gola critica dal suo insegnamento, farebbe opera caduca e anche insana; poiché essa sa che quanti hanno imparato a credere la sua fede e si son nu¬ triti delle sue parole, non vanno a cercare un nuo¬ vo viatico e un’imperfetta scienza,nelle pagine dettate dall’ingegno umano. In esse non trovnn nulla di divino, ma un segno vivo dei propri fratelli. Se non le accolgono con sensi di frater¬ nità, se non cercano di giustificarle e d’elevarle. se son pronti a accendersi nello scandalo, e quasi con diletto, non vorremmo, a dir questo, cadere nella stessa colpa, ma ci par proprio che aliti in loro, non vinto, lo spirito dell’odio.


Non odia di certo chi, nella critica d’un libro, fa il suo mestiere, e cerca di sceverare il bello dal brutto; non odia se in tale lavoro riesce in¬ giusto, clic non sarà nemmeno colpa sua, e nean¬ che se, invece di bello e brutto, dice buono e cat¬ tivo; non è colpevole neppure, non e spietato se in un libro, in un autore riscontra i segni d’una decadenza, d’una miseria, d’un male, benché al¬ lora abbia a pensare che se quel segni non sono palesi esteticamente e non giungono a una man¬ canza formale, s’è consolata la miseria, e la deca¬ denza è, con l’ottenere un’espressione, sanata. Ma che cosa si dirà d’un critico che in uno scrittore a cui consacra ben centotrenta pagine riconosce, con astio non mai smesso, la potenza, la volontà, starci per dire la natura del male?
Non odia di certo chi, nella critica d’un libro, fa il suo mestiere, e cerca di sceverare il bello dal brutto; non odia se in tale lavoro riesce in¬ giusto, clic non sarà nemmeno colpa sua, e nean¬ che se, invece di bello e brutto, dice buono e cat¬ tivo; non è colpevole neppure, non e spietato se in un libro, in un autore riscontra i segni d’una decadenza, d’una miseria, d’un male, benché al¬ lora abbia a pensare che se quel segni non sono palesi esteticamente e non giungono a una man¬ canza formale, s’è consolata la miseria, e la deca¬ denza è, con l’ottenere un’espressione, sanata. Ma che cosa si dirà d’un critico che in uno scrittore a cui consacra ben centotrenta pagine riconosce, con astio non mai smesso, la potenza, la volontà, starci per dire la natura del male?

Versione delle 13:20, 9 mag 2018


il baretti 39

ROMANTICISMO MASCHERATO

Una disputa tardiva.

Non parrà strano che io qui mi metta a risuscitare i termini d’un’antica questione, compresa ormai nella storia delle polemiche e delle idee, e anzi lontana tanto dal notro tempo e dalle nostre voglie, che nessuno è tratto a rinfrescarla con lo studio de’ suoi documenti. Che, se si è sentito questi ultimi anni parlare di neoclassicismo, bisognerebbe anche determinare su quale delle due parole, aggettivo e sostantivo, i suoi fautori ponevano l’accento. Sarà facile convenire, inoltre, che avesse o non avesse quel tentativo saldezza e organicità, non mirava a una conquista o a una riedificazione, non s’opponeva ad un nemico da abbattere; sforzandosi anzi a epurare il ciclo letterario e a ripristinare un gusto che (se si può dire) delibasse e si suggesse una per una le locuzioni e le parole, sprezzava la confusione dei problemi e svalutava la volontà mistica, propagandista, profetica che adopera le lettere a un fine violento verso la vita. Non riteneva, insomma, d’avere a combattere un romanticismo.

In Francia, invece, tale combattimento perdura, o si rinnova. Le sue forme, le sue condizioni, furon diverse, anche al principio, da quelle cui sottostette in Italia; variarono poi rispetto al loro stesso inizio, si ripeterono nei successivi momenti parteggiandosi diversamente il campo; scomparvero a volte i nomi. Sotto altri nomi rifiorirono le stesse idèe, sotto altre idèe militarono le stesse tradizioni e «posizioni»; e per difender meglio quel che parve importante, i primi insorti, i primi romantici furono dagli stessi per così dire loro seguaci rinnegati, scavalcati. Se oggi i primitivi nomi, in qualche senso, o per ironia, o per rimprovero, o per smania nobilitatrice ritornano, e dovere che ogni accusa o difesa clic a quei nomi s’accompagna sia bene esaminata, e rivoltata contrariamente al senso esplicito delle parole, prescindendo dalla volontà e dall’ostentazione dei campioni in patata. Per anticipare quelcheduno dei cenni con cui si potrà concludere, diciamo che si trova, come presupposto della tenzone, una implicita e pregiudiziale necessità di parteggiare: quasi che senza «principi», senza aiuti — e di quelli che suscitano intorno rispetto, di cui si può dunque menar vanto — i critici, o anche gli scrittori non potessero tenersi sicuri. Col tentare appoggi e aggrapparsi a puntelli, chiudono meglio, più legittimamente, le fila dei loro argomento; e quasi quasi il vero sta per loro non in una propria esperienza di certezza ma nel potersi muovere di conserva con gli spiriti magni; o anzi secondo una speciale tradizione clic spersonalizza fino gli individui più rappresentativi e dalle loro opere trae una sorta di formulario pratico. Queste considerazioni posson valere per le due parti mosse a rumore, benché si abbia da insistere princi¬ palmente sulle ragioni di una di esse.

La singolare chiarezza degli scrittori francesi elude la ricerca delle cagioni occulte o dissimulate dei loro scritti; la dirittura della loro espressione può’ indurre a credere a un animo aggressivo e lineare, a un portamento cavalleresco «li polemisti che nella lotta toccano sul vivo e pure rispettano gli avversari, ma non tendono tranelli e non gioiscono malignamente delle proprie arti subdole. In vero, il congegno della loro psicologia è più complesso: la bella parata e la finta, che sembrano arti guerresche e esterne, sono anche una difesa, un’occlusione dell’intimo, una specie di serrato inganno del quale i lettori vengono malagevolmente a capo: Quando si riuscisse a spianarlo, si sarebbe poi forse ricompensati da uno spettacolo assai meschino.

Ma, si può allora dire: val la pena di durar tanta fatica, di mettersi a scovare i motivi riposti, quando si sia convinti della loro fallacia? Importa, fuori dei suoi confini e degl’interessi che la agitano, una bega letteraria? La letteratura, ci vuol poco a ammetterlo, va considerata nell’opera; e anzi nella miglior condizione dell’opera, togliendo quel che di troppo particolare e momentaneo la può accompagnare; cercando quando si sanno di dimenticare, o di riassorbirli in una visione serena e confidente, i caratteri troppo precisi, le minuzie, le vòglie o le ubbie dell artista; come «l’un amico non si ricordano neppure i difetti ridicoli. Tutto il contorno delle polemiche, aspro ma così breve, non sarebbee meglio trascurarlo, per non esserne involti fuor di luogo, e tratti a scendere a ingiustizie, a partigianerie non richieste?

Invece proprio lo studio, entro la polemica, delle sue ragioni, la spiega e la fa degna. La passione polemica è passione di idèe; se talvolta certe idèe, false o non credute, la servono bassamente, oltre quel primo schermo si giunge alle idee vere che la sottendono. Non tutte si vogliono, o si possono confessare. Son di solito queste a contar di più, a farsi contemporaneamente materia e sostrato dell'opera d'arte; la quale nell'attacco de' suoi nemici ha quasi uno specchio delle proprie ragioni. La polemica che qui si considera è poi tanto piena, tanto vasta che non solo vi si vede come in iscorcio la storia, si può dire, di un secolo; ma vi si bilanciano i contrapposti problemi, le tendenze che affaticano anche fuori dell'arte gli uomini. Se il discorso sarà un pochino lungo, si cerchi la scusa nel desiderio di non trascurare, di non urtare i punti più sensibili degli animi che vi si son rivelati — e dell'animo nostro.

Giudizi temerari.

Il libro che induce in questo discorso non è altro che una raccolta di articoli o di studii critici e riguarda le lettere francesi nei punti secondo l'autore salienti, nel loro carattere più sintomatico. Accanto a alcuni scrittori viventi, e anzi prima di essi, sono considerati tre grandi, ormai morti, che li spiegano; che stabiliscono fondano gli argomenti, i bisogni onde poi i nuovi scrittori s’ispireranno. Cosi si produce una filiazione che non e palese nell’arte, perchè è segnata da altre ragioni. A voler un poco esagerare, e mirando più all’intenzione che ai risultati di questo, critico, uomo accorto e, suo malgrado, di gusto, si può dire che per lui l’arte non conta; o non gli serve e non se ne fida. Il titolo dei due volumi dichiara il suo animo: egli non riconosce per sè una funzione d’accompagnamento, d’assidua e tranquilla cura e dilucidazione, d’analisi vicina e informatrice; non s’accontenta che i suoi «pezzi» siano, bonariamente, discorsi, ragguagli, articoli, Per osservare il fatto umano e naturale dell’arte, sforzo di tanti e risultato di tanto pochi, ma sempre, dove riesce, bontà che premia la fatica, che riscatta le pecche e rimuove le intenzioni vili; per trovar contatto tra le esigenze, magari posticce, dello scrittore, e la distrazione, la fretta del pubblico che non sarà poca nemmeno in Francia, egli s’impanca sulla più alla cattedra, e manda intorno i suoi verdetti appassionati, irremissibili, e costruisce e pronuncia i suoi giudizi.

Questi «Jugements» di Henri Massis fanno dunque come un breviario di solidale, inflessibile condanna. I primi colpiti sono Renan, France, Barrès; poi vengono Gide, Rolland, Benda, tutti, in globo, gli scrittori giovani, e, per incidenza, Fromentin. Si salva, non diciamo Claudel che è visto di sfuggita e si piglia anche lui le sue brave percosse, ma il salo Duhamel. Parecchie osservazioni son giuste, qualche analisi, le più malvage, penetrano, fatte apposta, con arte, con astuzia, per far male, per far colpo, per toccare quel punto nel quale s’avvelena tutta l’opera. Di eresie letterarie ne son state dette di molto peggio; critiche senz’ordine, critiche assurde se ne conoscono a bizzeffe; critiche tutte inamidate e lustre di logica appariscente, piatte e sempre uguali, che non c’è verso aderiscano alla pelle dei poveri scrittori torturati, anche. Massis, per indole, si lieti lontano da questi esempi e, salvo un caso (il principale), tratta i suoi autori con decenza; ma io stimo che quanto più si tien rispettoso e distante, tanto meno essi (o i loro lettori) gli posson perdonare. Poiché la mancanza prima di rispetto, quel che lo fa nemico delle lettere, e pericoloso e inutile apprezzatore; e il suo arbitrio, il posto di direttore che s’c vagheggiato, la dipendenza in cui chiude gli scrittori, la sufficienza con cui li tien d’occhio. Non ha in essi un momento di fiducia, non si accosta, non li ascolta; non ne sente la potenze, non li ama. E certi pareri, che possono esser rudi e immotivati, o magari sbagliatissimi; ma che sondati con la severa coscienza dell'amicizia, della comunanza d'intenti della collaborazione, dove si cela un'amarezza che è pur sempre affetuosa, o un dispetto che riprende e dimostra un'antica speranza: faranno di certo meno male del più blando di questi giudizi, che sembra sempre una dura degnazione. Quelli poi che non riconoscono le regole che Massim impone e non consentono ne' suoi principi ostentati, trovare ch'egli ne deduce una carità singolarmente esemplare.

Se Massis mi leggesse, rileverebbe in queste parole una filza d’errori e m’avrebbe già condannato. Ho detto del rispetto, della gratitudine che unisce il critico all’autore; ho implicitamente considerato come libero l' ingegno umano; ho riconosciuto i diritti degl'individui. Sono per me, queste, verità semplici, che non ci si sta a spender parole, da cui si muove anche senza proferirle, e così ci s'intende; sono, meglio che verità, usanze. La civiltà, la cultura, parole che anche a Massis son care, le presumono.

Perlui, invece, non sono da accettarsi; sono ombre vane, illusioni, menzogne o anche di peggio: l’incarnazione del male. Entra dunque nella critica questo nuovo, o tanto tempo taciuto, elemento morale: e, sottolineamo, nuovo. Si sta con lui infatti fuori della retorica — o dentro una retorica maggiore. Non si tratta più dell'arte: non si tratta di sbandirne le opere irregolari; ne della gerarchia dei generi: non si tratta di sottomettervi le opere ribelli, di epurare quelle contaminate. In opere d’arte hanno una figura, una potenza terribile, son veicolo di morte. Non son soltanto il segno d’un'epoca, duna società inquinata, ma l’agente. Il difensore del bene deve dar l' allarme e correre ai ripari. Siccome sono nate da una volontà malvagia e, a prescindere dai risultati, seno perfide nelle intenzioni, il giudice provvide; questa specie di pubblico accusatore incita il popolo a trarne vendetta; questo auto eletto sacerdote denuncia e esorcizza il demonio che vi s'annida.

Non si vuole qui caricare uno sdegno poco proficuo e forse poco convincente. Si cercherà più avanti di prendere a partito il signor Massis su qualche punto preciso, ma le sue affermazioni genetiche e pregiudiziali non riescono nemmeno a soddisfarci. Dove e da chi ha avuto egli l'investitura e la prerogativa del bene? chi gli ha insegnato a farsi creatore, sotto una insegna morale, di dogmi letterari? Il bene di Massis, il male degli scrittori ch'egli denuncia son per noi argomenti dello stesso valore, sfoghi sullo stesso piano, identiche esaltazioni di chi delle lettere si fa una passione e le intende secondo un istinto di dominio che le perturba e le sforma. Con questa differenza: che l'arte per quanto cosi ridotta, è sempre ingenua, sempre pura e anche una bestemmia la rende inocua, rivelandola nella sua qualità espressiva. Le diatribe di Massis, secche, articolate, pervase di malizia e continuamente simulatrici, non hanno nemmeno un segno di quella libertà e sincerità che le potrebbe render accettate. Da Veuillot a Blois e a Giuliotti, si conosce la forma artistica dello sdegno e della protesta religiosa, e si ammira. Ma qui non sdegno vivo e non protesta audace. Scoprire gli interessi e i motivi, palesi o occulti, di questo polemista in veste di critico: tale è la forma d' indulgenza con cui par giusto di dover trattare,

Massis e l’Indice.

Massis fa professione di fede cattolica e di pen¬siero neoscolastico; e anzi la sua critica sarebbe nient’altro che l’applicazione dei presupposti della fede. Crede quindi che gli sia sortita una funzione di provveditore alle lettere e d’indagatore delle tendenze e delle mire dei letterati: un ufficio intermedio tra quello della Congicgazionc dcl- 11 ridice e quello della Santa Inquisizione. Ma i Canoni che statuiscono della censura e della proi¬ bizione dei libri, e che formano il codice della Congregazione «lelllndice, non contengono, espli¬ cito o sottinteso, nessun principio positivo di di¬ scriminazione; lasciando all’nrhitrio e all’Iniziativa della Santa Congregazione il giudizio sulla sindaca¬ bilità delle opere letterarie, elencano soltanto i li¬ bri proibiti ipso iure. Non si erra «li molto, credo, se si afferma clic i membri della Congregazione mettono all’indice i libri per ragioni analoghe a quelle specificate nel Canone 1399, cioè per ragio¬ ni pratiche, quando l’attenzione è attratta da fa¬ me scandalose o la moria corre dietro a delle no¬ vità teoriche 0 scientifiche buone per rimbecillire il pubblico grosso. Il padre Giovanni Casati, nella prefazione d’un suo volume assai gustoso, dove tratta dei libri letterati condannati all’indice, dice precisamente: «La Sacra Congregazione dell’In¬ dice giustamente non motiva le sentenze. La ra¬ gione e ovvia, e guai se non fosse così I I motivi ch’io o altri può portare potrebbero fors’nnchc parere a taluno discutibili 0 non così forti da dover in voi vere una condanna. Orbene, possono benissimo questi privati giudizi essere discutibili, non può essere discutibile In sentenza della Chie¬ sa, data per ragioni d’ordine pubblico. La sacra auctoritns providentiae doctrinnlis, che v’è nella Congregazione dcH’Indice, se non Ita i’ugual va¬ lore dcll’infallihilità che v’è in materia di fede, ha però per l’ubbidienza d’un cattolico l’uguale peso». Donde si trac: che i decreti «Iella Congre¬ gazione son provvedimenti d’autorità, clic un cat¬ tolico non può sindacare per quanto si creda su¬ periore e Immune, come il più eroico soldato non può a cagione del suo eroismo arbitrarsi a cri¬ ticare le provvidenze clic piglia lo Stato Maggiore contro temuti pericoli ch’egli non è in grado di valutare; e inoltre, che i motivi da cui la Con¬ gregazione è diretta sono specifici e singolari, non dipendono da una dottrina che la Chiesa pro¬ clami nell’atto di condannare chi se ne scarta, ma da un giudizio di opportunità. Non è difficile capire che la Chiesa a farsi banditricc d’una dot¬ trina letteraria, o a dedurre strettamente ima re¬ gola critica dal suo insegnamento, farebbe opera caduca e anche insana; poiché essa sa che quanti hanno imparato a credere la sua fede e si son nu¬ triti delle sue parole, non vanno a cercare un nuo¬ vo viatico e un’imperfetta scienza,nelle pagine dettate dall’ingegno umano. In esse non trovnn nulla di divino, ma un segno vivo dei propri fratelli. Se non le accolgono con sensi di frater¬ nità, se non cercano di giustificarle e d’elevarle. se son pronti a accendersi nello scandalo, e quasi con diletto, non vorremmo, a dir questo, cadere nella stessa colpa, ma ci par proprio che aliti in loro, non vinto, lo spirito dell’odio.

Non odia di certo chi, nella critica d’un libro, fa il suo mestiere, e cerca di sceverare il bello dal brutto; non odia se in tale lavoro riesce in¬ giusto, clic non sarà nemmeno colpa sua, e nean¬ che se, invece di bello e brutto, dice buono e cat¬ tivo; non è colpevole neppure, non e spietato se in un libro, in un autore riscontra i segni d’una decadenza, d’una miseria, d’un male, benché al¬ lora abbia a pensare che se quel segni non sono palesi esteticamente e non giungono a una man¬ canza formale, s’è consolata la miseria, e la deca¬ denza è, con l’ottenere un’espressione, sanata. Ma che cosa si dirà d’un critico che in uno scrittore a cui consacra ben centotrenta pagine riconosce, con astio non mai smesso, la potenza, la volontà, starci per dire la natura del male?

II demoniaco Gide.

«... cesi un livre qui brùle Ics maina pendant qu’on le lit et avee lequel je n’ai jamais voulu me trouver cn tetc-à-tète tant je crois quii est redoli¬ tale * — chi legge queste panile capirà che sono proferito da un povero spirito, da un’anima tor¬ bida e debole in preda forse ai fantasmi della sua solitudine 0 «li qualche tara che la rode. In¬ fatti chi In pronuncia è l’eroe d’una storia «P«in¬ quiète pubcrté - cct état physiologiquc, cettc crise où le masculin et le femminili se confondenti où Ics instinets premient le dessus, où le rnlsonnenient lui ménte est toni affectif-cct état informe où le médecin encore plus que le psicologia aurait son mot a dire». Le prime parole riferite son portate sul frontispizio, le seconde scritte a pag. t «4 dello stesso volume; le prime estratte da un romanzo di Roger Martin du Card, Ics Thibault, nnmincfano i plurimi sempre uguali saggi su Gidc e vi predispongono il lettore; nelle seconde senza reticenze Massis esprime il suo pensiero su¬ gli eroi adolescenti clic Martin «In Cari! è an¬ dato a seovnre. lnsomma, di quella stessa creazio¬ ne ch’egli considera poi malvagia e anche irrea¬ le si serve al principio come d’un testo che provi fino all’evidenza il buon fondamento «lei su«> giudizio su Gidc e che obblighi il lettore a dargli ragione. Ma quando le palme ardono naturalmen¬ te, qualun«|ue libro càpiti di toccare parrà di fuo¬ co. A tale stregua, non dico i classici ch’egli pre¬ tende d’amare, ma tutti i lessici e i dizionari son libri da bandirsi. Conosce forse regole empiriche di condotta e «livieti che salvino i ragazzi dagli acerbi perturbamenti? Massis potrebbe sostenere che altro è l’informazione diretta oggettiva e m qualche modo necessaria; i pericoli ch’egli vede e depreca dipendono invece dalla mancanza di brutalità e di precisione, dalla delicatezza, dal- l’ombrc, «lallc suggestioni sparse, dallo strano e immediato capovolgimento di valori che un arte esperta ottiene proprio nell’animo di quel fanciul¬ lo che più sarebbe oppresso e respinto da una ri¬ velazione rapida, spensierata. Se è davvero op¬ portuno seguitare a discutere di simili argomenti,


gli opporremo clic anche in questa materia non si vive di solo pane; e clic, se un’esperienza «Id¬ roscalo è necessaria, è necessaria pure un’espe¬ rienza del torbido.

Però lo scandalo di Massis sarebbe confortato


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perla fruttuosa; dalle confidenze in cui sembra indulgere non tanto come in uno sbocco lirico, per togliersi un peso di dosso, quanto per catti¬ varsi i cttori, per penetrare gli animi e adoperarli:

«j’aime mieux fairc agir que d’agir*. E ancora: «J’ccris pour qu’un adolcscciu, plus tard, pareli à celili que j’ctais à scizc nns mais plus libre, plus bardi, plus accompli, trouve lei réponse à son interrogatioii palpitante».

Nel tempo clic Massis scrisse i suoi «juge¬ ments» non era divulgato uh libro clic sarebbe una più triste testimonianza della direzione, se¬ greta o palese, della volontà gidinna. Se il critico avesse tentato di mostrare le brutture, 0 magari il fallimento dell’opera come un effetto di debo¬ lezza. di passività, d’incapacità di costruire: sa¬ rebbe rimasto su un terreno neutro, dove le opi¬ nioni prevalgono 0 si chetano secondo la forza persuasiva che comportano e le circostanze; e molle delle sue sarebbero potute parer buone. Qui invece egli s’è corazzato con argomenti di tut- t’altro genere, ha mobilitato potenze celesti e in¬ fernali; l’inconsueta battaglia fa salire a una di¬ gnità non mai prevista il nemico ch’egli non rie¬ sce co’ mezzi suoi propri a dominare. Gli imagina dunque una forza cui non sembra egli potesse aspirare; peggio, riconoscendogli delle «|unlità sa¬ taniche. gliela crea, Si ha da dire francamente che il temuto pericolo sta itegli accenti di cui Massi* si serve per meglio determinare e rivelare il testo gidiano; nel rifiuto clic sottolinea, nello sdegno così consapevole che richiama e forse avvince; in quel continuo vezzo di rincara¬ re la dose onde le pagine più deplorevoli, che son poi le più attente e le più chiuse, son qui, nuche ingiustamente, denunciate; cosicché i lettori più ingenui troveranno l’incitamento a riscorrerc i libri e, preoccupati, intristiti, sciuperanno la pri¬ ma impressione, ch’era la più generosa.

Ecco, per essere più precisi, un episodio secon¬ do Massis rivelatore. Delle «Caves du Valica» * Gidc riporta nella sua scelta due brevi brani; il secondo è quello che prepara il delitto «immoti¬ vato» di cui si macchia il protagonista Lafeadio. Chi è I-afcadio? — è un prodotto libero, di di¬ verse razze, di combinazioni impensate, d’incontri casuali, e uno che non conosce l’essere suo fino a diciannov’anni, e quando pateticamente lo viene a sapere, vi porta quasi un privilegio d’indipen¬ denza, di candido abbandono e d’autonomia; è un figlio dell’autore.Nelle vagabonde sue esperienze, nella sua indisciplina non trova altro che una ma¬ niera di conoscersi — e forse, in certo modo, di «fondarsi»; non può e non sa trovar altro. Un giorno, in treno gli capita un compagno di viag¬ gio ignoto, clic gli e indifferente e perciò Io ur¬ ta; noiato, in cerca d’un qualunque pensiero la sua mente che non piglia sonno si lascia attrarre da una macabra fantasia: «là, tout près de ma main, cettc doublé fcrmcturc que je peux fairc joucr aisément; cettc porte qui, cédant tout à coup, le laisserait coulcr cn avant; une petite secousse suffirait... Ce n’est pas tant des évènc- ments que j’ai curiosité que de tuoi - ménte (in tanto di là dal finestrino muta il paesaggio)... Là sous ma inaiti, cettc doublé fermcturc — tandis qu’il est distrait et regarde au loin devant lui — joue, ma foi I plus aisément encore qu’on cut cru Si je puis compier jusqu’à douze, sans me presser, avant de voir, dans la campagne quelque feu, le tapir est snuvé. Je commence: une; detix; trois; quatre; (Icntcmcntl lentcmcnt!) cinq; six; sept; huit; ncuf... Dix, un feul*. Cosi il delitto si compie.

Non è possibile, si vede, pensare questo delitto senza Lafeadio; non può essere che si tratti di una propaganda, sia pure simbolica, a favore di un simile alto «gratuito»; il delitto starà o non starà bene alla persona di Lafeadio, la persona sua sarà criticabile sotto molti aspetti, oppure as¬ surda e non viva; la sua assurdità, le sue man¬ canze si potranno identificare con deficienze per¬ sonali .li Gide che egli e condannato a scontare nella sua arte. Ma fargli imputazioni diverse, maggiori, come se un capitolo di romanzo fosse un articolo sedizioso, è un brutto e villano giuoco Sarebbe come imputare a un disordine di Sten¬ dhal il «iclitto di Giuliano Sorci.

Ed ecco le parole di Massi»: «Cettc dange- reusc curiosile, c’est pourtant le principe de l’élni- que d’André Gide, comnic ce goùt «lu pervers, celili de son csthcliqiic. Et puisque Lafeadio est une créature de son àme, il est legitime que tious chcrcltlons le secret de cettc àme la où il l’a voulu cnchcr, «iaiia (’(mimité de son art».

Gide, poi, lui fatto di peggio, ha anche scritto: «Il n’y a pas d’oeuvre d’art sans collaboration du démon»; la volontà diabolica, il gusto, l’amore della perdizione è dunque al centro della sua o- pcra; ogni qual volta ha cercato, tentato o rag¬ giunto la libertà, egli è stato arnese del diavolo; ogni suo movimento, incertezza, 0 «virata > — e sono tante — ne e segno. Ossesso da tale virtù par «piasi uscito dal novero «lei mortali; poiché egli solo, nelle sue tentazioni intellettuali, avrebbe il male al suo comando. Ma queste frasi, «lette e ripetute da uno che ci erede e non per finta, non danno senso; non si conosce virtù ma¬ gica clic si esplichi con un mezzo placido e lento come i libri. Gide, al solito, esperto di tòcco, sulle frasi demoniache non c’insiste; forse le ha Incluse per un incauto gusto d’attrattiva e di sfida verso gii spiriti come quello di Massis volonta¬ riamente insensibili al suo.

Può menar vanto, se veramente si sazia d’una vittoria come questa. «Et mine» egli ha letto nel Vangelo. «C’est le secret de la félicité superieure que le Clirist nous révèlc. C’est rfèr à prisenì et tout aussitòt que nous pouvons participer à la