Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/337: differenze tra le versioni

Da Wikisource.
Nessun oggetto della modifica
CandalBot (discussione | contributi)
Pywikibot touch edit
 
(Nessuna differenza)

Versione attuale delle 18:46, 30 giu 2018

In dolce vita, ch’ei miseria chiama:
Salito in qualche fama
Solo per me, che ’l suo intellecto alzai
90Ov’alzato per sè non fôra mai.
Ei sa che ’l grande Atride et l’alto Achille,
Et Hanibàl al terren vostro amaro,
Et di tutti il più chiaro
Un altro et di vertute et di fortuna,
95Com’a ciascun le sue stelle ordinaro,
Lasciai cader in vil amor d’ancille:
Et a costui di mille
Donne electe, excellenti, n’elessi una,
Qual non si vedrà mai sotto la luna,
100Benchè Lucretia ritornasse a Roma;
Et sì dolce ydïoma
Le diedi, et un cantar tanto soave,
Che penser basso o grave
Non potè mai durar dinanzi a lei.
105Questi fur con costui li ’nganni mei.
Questo fu il fel, questi li sdegni et l’ire,
Più dolci assai che di null’altra il tutto.
Di bon seme mal frutto
Mieto; et tal merito à chi ’ngrato serve.
110Sì l’avea sotto l’ali mie condutto,
Ch’a donne et cavalier piacea il suo dire;
Et sì alto salire
I’’l feci, che tra’ caldi ingegni ferve
Il suo nome et de’ suoi detti conserve
115Si fanno con diletto in alcun loco;
Ch’or saria forse un roco
Mormorador di corti, un huom del vulgo:
I’ l’exalto et divulgo,
Per quel ch’elli ’mparò ne la mia scola,
120Et da colei che fu nel mondo sola.
Et per dir a l’extremo il gran servigio,
Da mille acti inhonesti l’ò ritratto,