Rime (Guittone d'Arezzo)/Ahi, como è ben disorrato nescente: differenze tra le versioni

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<poem>
Ahi, como è ben disorrato nescente
qual piò tiensi saccente,
se divin giudici’onn’intender crede,
e ciò che lo saver suo non ben sente
{{R|5}}reo stimar mantenente,
unde Dio dice iniquo e perde fede!
Mira, o superbi’om desconoscente,
se ben te scerne mente,
onne opera d’om, che meglio vede:
{{R|10}}ben male e male ben dice sovente.
Come dunque sì gente
devine schernerai? Pens’ov’è fede.
Minor mal è pensar non sia Deo
che non pensarlo reo;
{{R|15}}ché como necessaro ello pur sia,
è ch’ello bono sia, ;
e se non bono, non Dio. Che dunqu’eo?
</poem>
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Se lui bon credo, e che far creder dia?
Oh, che fella mattia
{{R|20}}dir alcun: - no è bon, ché ben non veo! -
e: - fallir pria creo
divina bonità, che scienzia mia! -
</poem>

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Ahi, como è ben disorrato nescente

../O benigna, o dolce, o preziosa ../O felloneschi, o traiti, o forsennati IncludiIntestazione 13 settembre 2008 75% poesie

Guittone d'Arezzo - Rime (XIII secolo)
Ahi, como è ben disorrato nescente
O benigna, o dolce, o preziosa O felloneschi, o traiti, o forsennati


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142

È minor male pensare che Dio non esista, anziché credere che non sia buono.


     Ahi, como è ben disorrato nescente
qual piò tiensi saccente,
se divin giudici’onn’intender crede,
e ciò che lo saver suo non ben sente
5reo stimar mantenente,
unde Dio dice iniquo e perde fede!
     Mira, o superbi’om desconoscente,
se ben te scerne mente,
onne opera d’om, che meglio vede:
10ben male e male ben dice sovente.
Come dunque sí gente
devine schernerai? Pens’ov’è fede.
     Minor mal è pensar non sia Deo
che non pensarlo reo;
15ché como necessaro ello pur sia,
è ch’ello bono sia,;
e se non bono, non Dio. Che dunqu’eo?

[p. 214 modifica]

Se lui bon credo, e che far creder dia?
Oh, che fella mattia
20dir alcun: — no è bon, ché ben non veo! e:
— fallir pria creo
divina bonitá, che scienzia mia!

143

All’amore di Dio, se non il bene che ci promette, ci dovrebbe almemo indurre il timore della pena eterna.


 
     O felloneschi, o traiti, o forsennati,
o nemici provati
de noi stessi, piò d’altri mortali:
signore, padre aven, ch’ha noi creati,
5e de sé comperati,
e che ben terren danne spiritali,
     e a regn’eternale hane ordinati,
sol per odiar peccati,
e per vertudi amar razionali;
10se nol seguin, saren qui tribulati,
e appresso dannati
senza remedio a torment’eternali!
     O miser noi, come non donque amore
di tanto e tal signore,
15o diletto di sì dolze gran bene
lo cor nostro non tene,
e ci fa sol ragion om debitore?
     E se dei doni suoi noi non sovene,
né diletto ne vene
20di ciò che ne promette, almen lo core
ne dea stringer temore
di tante perigliose eternai pene.