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Versione delle 21:48, 16 ago 2018


La liberazione di Tiguma 233


Gli ultimi cacciatori di teste si sono accorti del rapimento del prigioniero e ritornano, vociferando spaventosamente.

Le fiamme che s’alzano fra le tettoie non bastano ad arrestare il loro slancio.

Corrono come demoni, balzando fra il fumo e la pioggia di scintille, insensibili alle scottature e si rovesciano verso la valanga di fuoco. Alcune frecce partono e cadono in mezzo al gruppo dei fuggiaschi.

Vindhit, che si trovava ultimo, cade mandando un urlo acuto.

— Chi è ferito? — gridò Pram-Li, arrestandosi.

— Sono morto, — rispose il povero Vindhit.

Era ormai caduto sulle ginocchia. Due frecce, senza dubbio avvelenate, lo avevano colpito nel dorso ed i cannelli si vedevano ancora sporgere d’un buon palmo.

— Mio povero amico!... — gridò Tiguma, scivolando prestamente dalle braccia di Hong e precipitandosi verso il disgraziato Vindhit, già boccheggiante.

— Salvatevi, — rispose l’isolano. — Io ormai sono perduto.

Hong, furioso, si era voltato verso i tagliatori di teste, puntando il fucile.

— Fuoco!... — gridò.

Il malese lo aveva imitato.

Due spari risuonano e due selvaggi cadono.

Quel doppio colpo e soprattutto la barriera di fuoco, diventata ormai gigante, aveva arrestato lo slancio dei cacciatori di teste.

— Pram-Li, prendi fra le braccia Vindhit e scendiamo la montagna prima che le fiamme ci taglino la via, — gridò Hong.

— È inutile, — rispose il malese. — È morto!...

Era vero. Il disgraziato isolano era allora spirato sotto la mortale influenza del veleno.

— Fuggiamo!... — gridò Hong.

L’incendio guadagnava rapidamente, estendendosi in alto e in basso. Pareva che la collina navigasse in mezzo ad un oceano di fiamme.

Le scintille, spinte dal vento, cadevano dappertutto provocando altri incendi.

I cespugli sparivano con rapidità prodigiosa sotto i morsi delle fiamme, come se si fondessero.

Protetti dai nuvoloni di fumo e dai turbini di cenere e di scintille, Hong ed il malese, seguìti da Tiguma, scendevano la collina a sbalzi, ansiosi di giungere là dove avevano lasciato Than-Kiù e Sheu-Kin.

Il chinese era inquieto, non avendo potuto vedere la direzione presa dai cacciatori di teste, nella loro fuga precipitosa.

Temeva, e forse non senza ragione, che il caso li avesse condotti verso il rifugio.