Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XXVI: differenze tra le versioni

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Libro terzo - Capo XXV Libro terzo - Capo XXVII


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CAPO XXVI.

Imprevista battaglia sotto Capua tra imperiali e Gotti; rotta degli ultimi. — Giovanni fa libere le romane matrone rilegate in Capua. — Totila ne’ Lucani di notte tempo assale e mette in fuga Giovanni. Morte di Gilacio armeno.

I. Intanto che da quivi procedeva siffattamente la guerra destossi nell’animo di Giovanni, tutto occupato senza pro veruno dell’assedio d’Acherontida, castello, un audace pensiero, cui vuole attribuirsi e la salvezza del romano senato e la splendentissima gloria derivatane al duce appo tutte le genti. Avvertito che Totila coll’intero esercito accudiva all’espugnazione delle romane mura, piglia seco il fiore de’ cavalieri e, uom del mondo non sapevole de’ suoi divisamenti, marcia senza tregua dì e notte ver la Campania, stimolato dalla speranza, essendo i luoghi abitati di quella provincia, dove i barbari tradotto avenno i senatori, da per tutto aperti, di liberare con repentina scorribanda i prigionieri, e condurli a salvamento. Se non che ad un tempo destatasi in Totila grande sospeccione, e quanto meritamente comprovollo il fatto, non le truppe romane con subitano assalto pervenissero ad impadronirsene, spedì anch’egli forte mano di cavalieri alla stessa [p. 374 modifica]volta, i quali giunti nella città di Minturno1 opinarono miglior consiglio che i più quivi facessero alto per riposare i cavalli affaticatissimi in causa del lungo cammino, e andasserne parecchie turme sulla via di Capua e de’ luoghi circostanti ad esplorare il paese, nè tra Minturno e Capua corrono più di trecento stadj; vennero poi destinati a tale uffizio uomini ben provveduti di cavalli, ed assai valenti della persona. Qui fu il caso che nello stesso giorno, mercè d’inesplicabile fatalità, e quasi all’ora medesima questi barbari, quattrocento forse di numero, ad una colle truppe di Giovanni mettessero piede in quelle mura, nullamente sapevoli gli uni degli altri. Pertanto di subito appiccasi ostinato schermugio, al primo scontro impugnando tutti le armi. Gl’imperiali n’escono vittoriosi con molta strage del nemico, il quale ben bene stremato riparò di carriera per suo scampo a Minturno; dove i commilitoni vedutili parte cospersi di sangue, parte colle frecce tuttavia conficcate nelle membra, altri muti ed inetti ad articolare parola sull’avvenuto, ma coll’avacciare la fuga appalesanti grave trepidazione, tosto balzati in sella pigliano a seguirli di galoppo, e tornati dal re narrangli l’arrivo di numerosissimi nemici, medicando con tale arte la turpezza di lor ritirata.

II. Erano già nella Campania non meno di settanta romani disertori i quali chiesero all’istante di tornare sotto gl’imperiali vessilli. Giovanni poi nella città rinvenne [p. 375 modifica]pochi senatori ma quasi tutte le costoro donne. Imperciocchè molti del sesso maschile, caduta Roma, uscironne col presidio e si ritrassero in Porto, quando per lo contrario le donne furono preda del vincitore. Il patrizio Clementino entrato in franchigia in un tempio di quella regione, reo di aver tradito ai Gotti un castello vicino a Napoli, volle quivi rimanersi, paventando meritamente lo sdegno di Giustiniano; così pure Oreste, uom consolare, trovandosi a qualche distanza mal suo grado fu costretto a restarvi per inopia di cavalli. Gli altri senatori troncato ogni indugio vennero trasferiti in Sicilia, ed i settanta disertori nuovamente descritti a’ ruoli imperiali.

III. Totila all’udire con grandissima pena il sofferto sinistro, rivolse ogni suo pensiero a trovar mezzo di farne le più crudeli vendette, e per riuscirvi marciò contro il duce colla parte maggiore dell’esercito, affidando la custodia di quel luogo a pochi militi condotti seco. Giovanni accampatosi nella Lucania co’ suoi mille avea mandato innanzi esploratori coll’ordine di annicchiarsi lungo il cammino per guarentire sue genti da ogni nemica sorpresa. Il re poi dalla sua volta, estimando impossibil cosa che i Romani si tenessero tranquilli nel campo senza spiarne da lunge gli accessi, abbandonò i battuti sentieri e pe’ monti altissimi, dirupati e molti in quella regione, giunse alla propostasi meta: nè certamente potea darne sospetto ritenendosi quasi di là dalle umane forze il salirli. Le spie quivi accorse per comandamento di Giovanni uditovi appena l’arrivo del gottico esercito, [p. 376 modifica]sebbene per anche non abbastanza certo, paventando quanto poscia in effetto avvenne retrocedettero presti al campo, dove giunsero in fra le tenebre insiememente col nemico. Qui Totila pigliato anzi da cieco sdegno che da prudente consiglio pagò il fio del suo pazzo furore. Imperciocchè dimenticò d’avere militi ben dieci cotanti più degli avversarj, e stesse per lui il combattere in luogo aperto e di pieno giorno con tutte le truppe, vo’ dire l’appiccar battaglia co’ primi albori onde scansare ogni insidia, pure non vi attese punto; chè se avessevi posto mente uno de’ Romani non sarebbegli fuggito; ma vinto dal suo furore muove lor contro a molta notte e li sorprende senza opposizione di sorta, quando il più di essi profondamente dormiva. Con tutto ciò gli assaliti non soggiacquero a grave strage; poichè al primo rumore destatasi la maggior parte e surta potè coll’aiuto delle tenebre sottrarsi dal campo e riparare di fuga su quei vicinissimi poggi; tra questi aveavi Giovanni con Arufo duce degli Eruli; degli altri forse un cento ebbonvi morte. Colle imperiali truppe era similmente un Gilacio di schiatta armena e condottiero di poca sua gente, il quale non sapeva un che nè di greco, nè di latino nè di gottico, nè di lingua comunque, della propria all’infuori. Costui scontratosi ne’ Gotti udì a dimandarsi chi e’ si fosse? guardinghi dall’uccidere alla rinfusa chiunque s’appresentasse loro, persuasi che nel buio usando altrimenti avrebbero potuto offendere uom dei suoi: Quegli rispose: sono il duce Gilacio, apparato avendo tali voci col sentire spesso ripetere il nome del [p. 377 modifica]grado conferitogli dall’imperatore. Nè più vi volle per essere dai barbari dichiarato nemico, imprigionato e quindi ucciso. Giovanni ed Arufo coi loro militi si ritrassero a furia in Idrunto, ed i Gotti posti a sacco i romani campi retrocederono colla preda.

Note

  1. Ora distrutta.