Nuova Cronica/Libro decimo: differenze tra le versioni

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I Qui comincia il libro X: come Arrigo conte di Luzzimborgo fu fatto imperadore.

Arrigo conte di Luzzimborgo imperiò anni IIII, mesi VII e dì XVIII, da la prima corona infino a la sua fine. Questi fue savio e giusto e grazioso, prode e sicuro in arme, onesto e cattolico; e di piccolo stato che fosse per suo lignaggio, fue di magnanimo cuore, temuto e ridottato; e se fosse vivuto più lungamente avrebbe fatte grandissime cose. Questi fu eletto a imperadore per lo modo scritto addietro, e incontanente ch’ebbe la confermazione dal papa si fece coronare in Alamagna a re; e poi tutte le discordie de’ baroni de la Magna pacificò, con sollecito intendimento di venire a Roma per la corona imperiale, e per pacificare Italia de le diverse discordie e guerre che v’erano, e poi di seguire il passaggio oltremare in racquistare la Terrasanta, se Dio gliel’avesse conceduto. Questi stando in Alamagna per pacificare i baroni, e fornirsi di moneta e di gente per passare i monti, Vincislao re di Boemmia morì, del quale non rimase nulla reda maschio, se non due figliuole; l’una già moglie del dogio di Chiarentana, l’altra per consiglio de’ suoi baroni diè per moglie a Giovanni suo figliuolo, e lui ne coronò re di Boemmia, e lasciollo in suo luogo in Alamagna.

II Come parte guelfa fu cacciata di Vinegia.

Nell’anno MCCCX, del mese di giugno, fatta congiura in Vinegia per quegli della casa di Querini, e per messer Bruiamonte de lo Scopolo di Vinegia col loro séguito, per abbattere il dogio ch’allora era in Vinegia da ca’ Grandanigo e’ suoi seguaci, quasi recata la terra a parte, Guelfi e Ghibellini si combattero per le dette parti ne la città. A la fine que’ da ca’ Querini e loro séguito Guelfi furono vinti e cacciati della terra, e guasti i loro palazzi (e fue la prima disfazione di casa che fosse mai fatta in Vinegia), e certi di loro caporali presi furono dicollati, e co·lloro due gentili uomini di Firenze, uno degli Adimari, e uno de’ Sizii, ch’erano in loro compagnia.

III De le profezie di maestro Arnaldo da Villanuova.

Nel detto anno MCCCX maestro Arnaldo da Villanuova di Proenza gran savio filosafo in Parigi questionava, e annunziava per argomenti de le profezie di Daniello e de la Sibilla Eritea che l’avento d’Anticristo e persecuzione de la Chiesa dovea essere tra ’l MCCC e ’l MCCCC, quasi intorno al LXXVI anno, e di ciò fece uno libro il quale intitolò Della speculazione de l’avento Anticristi, per la qual cosa fu tenuto nuovo errore di fede. Partissi di Parigi per tema dello ’nquisitore, però che gli altri maestri di Parigi il faceano perseguitare, e andonne in Cicilia a don Federigo, e poi in suo servigio morì in mare, andando per ambasciadore a corte di papa.

IV Come in Ferrara si fece congiura per ribellare la terra a la Chiesa.

Nel detto anno, del mese di luglio, congiurazione si fece in Ferrara per rubellare la terra a la Chiesa, e quasi l’aveano rubellata. Il legato cardinale Pelagrù subitamente la soccorse coll’aiuto de’ Bolognesi; e mostrando di riformare la terra, fece consiglio de’ cittadini in Castello Tedaldo, e ritenne XXXVI de’ migliori e maggiori de la terra, e subitamente gli fece impiccare in sulla piazza di Ferrara; e poi a dì XXII d’agosto il detto cardinale venne in Firenze, e fugli fatto grande onore da’ Fiorentini, come dicemmo adietro.

V Come i Todini furono sconfitti da’ Perugini.

Nel detto anno e mese di luglio i Perugini feciono oste a Todi, e mandarono per aiuto a’ Fiorentini, i quali vi mandarono il mariscalco del re, ch’era al loro soldo, con CCC cavalieri. I Todini uscirono fuori a battaglia, e furono sconfitti con grande danno di loro gente, di morti e presi assai per lo valore del detto maliscalco e di sue masnade.

VI Come i Guelfi furono cacciati di Spuleto.

Nel detto mese di luglio furono cacciati i Guelfi di Spuleto per Currado di Nastagio di Filigno, grande capitano di parte ghibellina, co la forza de’ Todini. Poi i Perugini per più tempo feciono oste e guerra assai a Spuleto; poi l’anno appresso accordo fu tra·lloro e’ Todini e gli Spuletini, e rimessi i Guelfi in Todi e in Spuleto.

VII Come Arrigo imperadore si partì de la Magna per passare in Italia.

Nel detto anno MCCCX lo ’mperadore venne a Losanna del mese di... con poca gente, attendendo il suo isforzo e l’ambascerie de le città d’Italia, e ivi dimorò più mesi. Sentendo ciò i Fiorentini, ordinaro di mandargli una ricca ambasceria, e simigliante i Lucchesi, e’ Sanesi, e l’altre terre della lega di Toscana; e già erano eletti gli ambasciadori, e levati i panni per le robe per loro vestire onoratamente. Per certi grandi Guelfi di Firenze si sturbò l’andata, temendo che sotto inganno di pace lo ’mperadore non rimettesse gli usciti ghibellini in Firenze e gli ne facesse signori; e in questo si prese il sospetto, e appresso lo sdegno, onde seguì grande pericolo a tutta Italia, che essendo gli ambasciadori di Roma e que’ di Pisa e dell’altre città a Losanna in Savoia, lo ’mperadore domandò perché non v’erano que’ di Firenze; per gli ambasciadori degli usciti di Firenze fu risposto al signore ch’egli aveano sospetto di lui. Allora disse lo ’mperadore: «Male hanno fatto, che nostro intendimento era di volere i Fiorentini tutti, e non partiti, a buoni fedeli, e di quella città fare nostra camera e la migliore di nostro imperio». E di certo si seppe da gente ch’erano appresso di lui ch’elli era infino allora con puro animo in mantenere quegli che reggeano Firenze in loro stato, e gli usciti n’aveano grande paura; che d’allora innanzi per questo isdegno e per mala informazione de’ suoi ambasciadori venuti a·fFirenze, e de’ Ghibellini, e Pisani, s’apprese al contradio. Per la qual cosa, l’agosto presente, i Fiorentini entrati in sospetto feciono M cavalieri cittadini di cavallate, e si cominciarono a guernire di soldati e di moneta, e a fare lega col re Ruberto e con più città di Toscana e di Lombardia, per isturbare la venuta e coronazione dello imperadore; e’ Pisani acciò che passasse, sì mandarono LXm fiorini d’oro, e altrettanti gli promisono quando fosse in Pisa; e con questo aiuto si mosse da Losanna, ché da·ssé non era ricco signore di moneta.

VIII Come il re Ruberto venne in Firenze tornando da la sua coronazione.

Nel detto anno MCCCX, di XXX di settembre, il re Ruberto venne in Firenze tornando da Vignone, dov’era la corte del papa, da la sua coronazione: albergò in casa de’ Peruzzi dal Parlagio, e da’ Fiorentini gli fu fatto grande onore, e armeggiata, e presenti grandi di moneta, e dimorò in Firenze infino a XXIIII dì d’ottobre per riconciliare i Guelfi insieme, ch’erano divisi per sette intra·lloro, e per trattare al riparo dello ’mperadore. In riconciliargli poco potéo adoperare; tanto era l’errore cresciuto tra·lloro, come adietro è fatta menzione.

IX Come Arrigo imperadore entròe in Italia, e ebbe la città di Milano.

Nell’anno MCCCX, all’uscita di settembre, lo ’mperadore si partì da Losanna con sua gente, e passò la montagna di Monsanese, e all’entrata d’ottobre arrivò a Torino in Piemonte; appresso giunse ne la città d’Asti, dì X d’ottobre. Per gli Astigiani fu ricevuto pacificamente per signore, andandogli incontro con grande processione e festa, e tutte le discordie tra gli Astigiani pacificò. In Asti attese sue genti, e inanzi si partisse ebbe presso a IIm oltramontani a cavallo. In Asti soggiornò più di due mesi, però che in quello tempo tenea la signoria di Milano messer Guidetto de la Torre, uomo di grande senno e podere, il quale avea tra soldati e cittadini più di IIm uomini a cavallo, e per sua forza e tirannia teneva fuori di Milano i Visconti e loro parte ghibellina, e eziandio l’arcivescovo suo consorto con più altri Guelfi. Questo messer Guidetto avea lega co’ Fiorentini e cogli altri Guelfi di Toscana e di Lombardia, e contendea la venuta dello ’mperadore, e sarebbegli venuto fatto, se non che’ suoi consorti medesimi co·lloro séguito condussero lo ’mperadore a venire a Milano col consiglio del cardinale dal Fiesco legato del papa. Messer Guidetto non possendo al tutto riparare, asentì a la sua venuta contra sua voglia; e così entrò lo ’mperadore in Milano la villa de la festa di Natale, e il dì di Bifania, dì VI di gennaio, fu coronato in Santo Ambruogio da l’arcivescovo di Milano de la seconda corona del ferro onorevolemente egli e la moglie. E a la detta coronazione furono gli ambasciadori quasi di tutte le città d’Italia, salvo quegli di Firenze e di loro lega. E dimorando in Milano, pacificò tutti i Milanesi insieme, e rimisevi messer Maffeo Visconti e sua parte, e l’arcivescovo e’ suoi, e ogni uomo che n’era di fuori. E quasi tutte le città e signori di Lombardia vennero a fare le comandamenta, e dargli grande quantità di moneta; e in tutte le terre mandò suo vicaro, salvo Bologna e Padova, ch’erano contra lui a la lega de’ Fiorentini.

X Come i Fiorentini chiusono di fossi le nuove cerchie della cittade.

Nel detto anno, il dì di santo Andrea, i Fiorentini per tema della venuta dello ’mperadore sì ordinarono a chiudere la città di fossi da la porta a San Gallo infino a la porta di Santo Ambruogio, overo detta la Croce a Gorgo, e poi infino al fiume d’Arno: e poi, da la porta di San Gallo infino a quella dal Prato d’Ognesanti erano già fondate le mura, sì le feciono inalzare VIII braccia. E questo lavoro fu fatto sùbito e in poco tempo, la qual cosa fermamente fu poi lo scampo de la città di Firenze, come innanzi si farà menzione; imperciò che la città era tutta schiusa, e le mura vecchie quasi gran parte disfatte, e vendute a’ prossimani vicini per allargare la città vecchia, e chiudere i borghi e la giunta nuova.

XI Come quegli de la Torre furono cacciati di Milano.

Nel detto anno, dì XI del mese dì febbraio, veggendosi messer Guidetto de la Torre fuori de la signoria di Milano, e Maffeo Visconti e gli altri suoi nimici assai innanzi a lo ’mperadore, si pensò di rubellare a lo ’mperadore la città di Milano, che v’avea col signore poca cavalleria, ch’era andata e sparta per le città di Lombardia, e sarebbegli venuto fatto, se non che Maffeo Visconti, molto savio, ne fece aveduto lo ’mperadore e ’l maliscalco suo e ’l conte di Savoia. Per la qual cosa la città si levò a romore e ad arme, e alcuna battaglia v’ebbe: altri dissono che messere Maffeo Visconti per suo senno e sagacità lo ’ngannò per farlo sospetto de lo ’mperadore, vegnendo a·llui segretamente, e dolendosi de la signoria dello ’mperadore e de’ Tedeschi, mostrando ch’amasse meglio la libertà di Milano che sì fatta signoria; e innanzi volea lui per signore che lo ’mperadore, e ch’egli co’ suoi gli darebbe ogni aiuto e favore per cacciarne lo ’mperadore. Al quale trattato messer Guidetto intese, fidandosi dell’antico nimico, per volontà di ricoverare suo stato e signoria, o che fosse per li suoi peccati, ch’assai n’avea; e approvossi la risposta di messer Maffeo, la quale gli fece per l’uomo di corte, come contammo adietro. Messer Maffeo sotto la detta promessa il tradì, e tutto il palesò a lo ’mperadore e al suo consiglio; e a questo diamo assai fede per quello ne sentimo poi da savi Lombardi ch’allora erano in Milano. E per questa cagione fu richesto dallo ’mperadore messere Guidetto de la Torre che si scusasse; non comparì, ma si partì con suoi seguaci di Milano, opponendo che non avea colpa del tradimento, ma che’ suoi nimici gli aveano ciò apposto per distruggerlo e cacciarlo di Milano. Per gli più si credé pure che colpa avesse, però ch’egli era in lega co’ Fiorentini e co’ Bolognesi e coll’altre città guelfe, e si disse che ne dovea avere moneta assai da’ Fiorentini e loro lega. Ma quale si fosse la cagione, e incontanente per le dette sodduzioni sì rubellò a lo ’mperadore la città di Chermona, dì XX di febbraio, e questa rubellazione e l’altre di Lombardia furono di certo con industria e spendio de’ Fiorentini per dare tanto a·ffare in Lombardia a lo ’mperadore che non potesse venire in Toscana. In questo tempo i Ghibellini di Brescia cacciarono fuori i Guelfi, e simigliante avenne in Parma; per la qual cosa lo ’mperadore mandò suo vicario e gente in Brescia, e fece fare l’accordo, e rimettere i Guelfi nella terra, i quali poco appresso veggendosi forti ne la terra, e rubellata Chermona, e confortati da’ Fiorentini e Bolognesi con danari e grandi impromesse, cacciarono i Ghibellini di Brescia, e al tutto si rubellarono a lo ’mperadore, e s’apparecchiaro di farli guerra.

XII Come in Firenze ebbe grande caro, e altre novitadi.

Nel detto anno MCCCX, dal dicembre al maggio vegnente, in Firenze ebbe grandissimo caro, che lo staio del grano valse uno mezzo fiorino d’oro, ed era tutto mischiato di saggina. E in questo tempo l’arti e la mercatantia non istette in Firenze mai peggio, e spese di Comune grandissime, e gelosie e paure per l’avento dello ’mperadore. In quello tempo, a l’uscita di febbraio, i Donati uccisono messer Betto Brunelleschi, e poco appresso i detti Donati e’ loro parenti e amici raunati a San Salvi disotterraro messer Corso Donati, e feciono gran lamento e l’uficio come allora fosse morto, mostrando che per la morte di messer Betto fosse fatta la vendetta, e ch’egli fosse stato consigliatore della sua morte, onde tutta la città ne fu quasi ismossa a romore.

XIII Come in Firenze vennono orlique di santo Barnaba.

Nel MCCCXI, dì XIII d’aprile, vennero in Firenze reliquie del beato appostolo santo Barnaba, le quali mandò da corte di papa il cardinale Pelagrù al Comune di Firenze, perché sapea che’ Fiorentini l’aveano in grande devozione. E fune fatta in Firenze grande reverenza e solennità, e furono riposte nell’altare di Santo Giovanni.

XIV Come lo ’mperadore assediò Chermona, e sua gente ebbe Vincenza.

Nel detto anno, dì XII del mese d’aprile, faccendo lo ’mperadore oste sopra Chermona, mandò il vescovo di Ginevra suo cugino con IIIc cavalieri oltramontani, e co la forza di messer Cane de la Scala di Verona subitamente tolse la città di Vincenza a’ Padovani, e quegli ch’erano di Padova nel castello per paura sanza difendersi abandonarono la fortezza, la quale perdita fue grande isbigottimento a’ Padovani e a tutta loro parte; per la qual cosa poco tempo appresso s’acconciarono collo imperadore, e diedongli la signoria di Padova, e Cm fiorini d’oro in più paghe, e ’l suo vicaro ricevettono. Il detto vescovo di Ginevra andò poi a Vinegia e richiese i Viniziani da parte de lo ’mperadore d’aiuto: feciongli grande onore, e donargli per comperare pietre preziose per la sua corona libbre M di viniziani grossi. E in Vinegia di que’ danari e d’altri si fece la corona e la sedia imperiale molto ricca e nobile, d’ariento dorata la sedia, e d’oro con molte pietre preziose la corona.

XV Come lo ’mperadore ebbe la città di Chermona.

Nel MCCCXI, dì XX d’aprile, essendo lo ’mperadore ad oste a Chermona, essendo la città molto stretta perché s’erano male proveduti per la loro sùbita ribellazione, rendero la città a lo ’mperadore a misericordia per trattato dell’arcivescovo di Ravenna, il quale gli ricevette e perdonò loro, e fece disfare le mura e tutte le fortezze de la città, e di moneta forte gli gravò. E avuta Chermona, incontanente andò ad oste sopra la città di Brescia a dì XIIII di maggio, e là si trovò con più isforzo e con maggiore cavalleria e migliore ch’egli avesse mai, che di vero si trovò più di VIm buoni uomini di cavallo, i IIIIm e più, Tedeschi e Franceschi e Borgognoni e gentili uomini, e gli altri, Italiani; che auto lui Milano e poi Chermona, più grandi signori de la Magna e di Francia il vennero a servire, e chi a soldo, e molti per amore. E di certo s’allora avesse lasciata la ’mpresa de l’assedio di Brescia e venutosene in Toscana, egli aveva a queto Bologna, Firenze, Lucca, e Siena, e poi Roma, e ’l regno di Puglia, e tutte le terre contrarie, però che non erano forniti né proveduti, e gli animi de le genti molto variati, perché ’l detto imperadore era tenuto giusto signore e benigno. Piacque a Dio ristesse a Brescia, il quale assedio molto il consumò di genti e di podere per grande pestilenzia di morte e malatie, come innanzi farò menzione.

XVI Come i Fiorentini per la venuta dello ’mperadore trassono di bando tutti i Guelfi.

Nel detto anno, a dì XXVI d’aprile, avendo i Fiorentini novelle come Vincenza e Chermona erano rendute a lo ’mperadore, e come andava all’asedio di Brescia, per fortificarsi feciono appresso dicreto e ordine, e trassono di bando tutti i cittadini e contadini guelfi di che che bando si fosse, pagando certa piccola gabella: feciono più ordini di leghe in città e in contado e coll’altre terre guelfe di Toscana.

XVII Come i Fiorentini con tutte le terre guelfe di Toscana feciono lega insieme contra lo ’mperadore.

Nel detto anno MCCCXI, in calen di giugno, i Fiorentini, Bolognesi, Sanesi, Lucchesi, Pistolesi, e’ Volterrani, e tutte l’altre terre guelfe di Toscana feciono parlamento e fermarono lega insieme, e fermarono taglia de’ cavalieri, e giurarsi insieme a la difensione e contasto dello ’mperadore. E appresso, a dì XXVI di giugno, i Fiorentini mandarono a Bologna il maliscalco del re con IIIIc cavalieri catalani, ch’erano al loro soldo per la guardia di Bologna, e per contastare a lo ’mperadore se venisse da quella parte; e simigliante vi mandaro i Sanesi e’ Lucchesi, e dimorarvi più mesi tra in Bologna e in Romagna in servigio del re Ruberto.

XVIII Come il re Ruberto fece pigliare per inganno i Ghibellini di Romagna.

Nel detto anno, dì VIII di luglio, venne in Firenze messer Giliberto da Santiglia con CC cavalieri catalani e Vc mugaveri a piè, che gli mandava il re Ruberto in Romagna per visconte, però che ’l papa avea fatto lo re conte di Romagna. Come fu di là, co la forza del maliscalco prese tutti i caporali ghibellini di Forlì, e di Faenza, e d’Imola, e dell’altre terre di Romagna, e misegli in pregione perché non gli rubellassono la terra, e acomiatòne tutti i Ghibellini e’ Bianchi usciti di Toscana che v’erano.

XIX Come il marchese del papa prese Fano e Pesaro.

Nel detto anno, a l’entrante di settembre, il marchese ch’era ne la Marca per lo papa prese la città di Fano e quella di Pesaro, che s’erano rubellate a la Chiesa.

XX Come lo ’mperadore Arrigo ebbe la città di Brescia per assedio.

Nel detto anno MCCCXI, essendo lo ’mperadore ad oste a Brescia, più assalti v’ebbe, ove morì gente assai di que’ d’entro e di que’ di fuori, intra’ quali fu morto a uno assalto, d’uno quadrello di balestro grosso, messer Gallerano di Luzzimborgo, fratello carnale e maliscalco dello ’mperadore, e più altri baroni buoni cavalieri; onde fu grande spavento a tutta l’oste. E per quella baldanza i Bresciani uscendo ispesso fuori ad assalire l’oste, del mese di giugno parte di loro furono rotti e sconfitti, e furonne presi da XL de’ maggiori della terra, e morti ben CC, intra’ quali presi fue messere Tebaldo Brusciati, il quale era capo della gente d’entro, e uomo di grande valore, ed era stato amico dello ’mperadore, e avealo rimesso in Brescia quando ne furono cacciati i Guelfi: fecelo isquartare a quattro cavagli come traditore, e più altri fece dicapitare, onde il podere de’ Bresciani molto affiebolìo; ma però que’ d’entro non lasciarono la difensione della città. In quello assedio si corruppe l’aria per la puzza de’ cavalli e della lunga stanza del campo, onde v’ebbe grandissima infermità e d’entro e di fuori, e amalaro gran parte degli oltramontani, e molti grandi baroni vi morirono, e se ne partirono per la malatia, e morirne poi in cammino. Intra gli altri vi morì il valente messer Guido di Namurro fratello del conte di Fiandra, che fu capo de’ Fiamminghi a la sconfitta di Coltrai, uomo di gran valore e rinnomea; per la quale cagione i più dell’oste consigliavano lo ’mperadore se ne partisse. Egli sentendo maggiormente la difalta dentro, sì de la ’nfertà e mortalità, e sì di vittuaglia, si fermò di non partirsi, ch’egli avrebbe la terra. Quegli di Brescia, fallendo loro la vivanda, per mano del cardinale dal Fiesco si renderono a la misericordia dello ’mperadore a dì XVI di settembre nel detto anno. Com’ebbe la città, le fece disfare tutte le mura e le fortezze, e condannogli in LXXm fiorini d’oro, e con gran fatica in più tempo per loro male stato gli ebbe; e C de’ migliori della città, grandi e popolari, mandò a’ confini in diverse parti. Partito dall’oste da Brescia con sua grande perdita e dammaggio, che il quarto de la sua gente non gli era rimasa, e quella gran parte inferma, fece suo parlamento in Chermona. Quivi per sodduzione e conforto de’ Pisani e de’ Ghibellini e Bianchi di Toscana, si fermò di venire a Genova e là riformare suo stato, e in Milano lasciò per vicaro e capitano messer Maffeo Visconti, e in Verona messer Cane della Scala, e in Mantova messer Passerino di Bonaposi, e in Parma messer Ghiberto da Coreggia, e così in tutte l’altre terre di Lombardia lasciò a tiranni, non possendo altro per lo suo male stato, e da ciascuno ebbe moneta assai, e brivileggiogli de le dette signorie.

XXI Come i Fiorentini e’ Lucchesi guernirono le frontiere per la venuta dello ’mperadore.

Nel detto anno, a dì XVII d’ottobre, i Fiorentini sentendo che·llo ’mperadore venia a Genova, presono in guardia il castello e la rocca di Samminiato del Tedesco, e fornirlo di cavalieri e di pedoni, e mandarono gente a Volterra, acciò che non si rubellasse per gli Ghibellini a lo ’mperadore o a sua parte; e’ Lucchesi fornirono tutte le castella di Lunigiana e del Valdarno di ponente.

XXII Come papa Chimento diede legati a lo ’mperadore Arrigo che ’l coronassono.

Negli anni di Cristo MCCCXI papa Chimento a la richesta de lo ’mperadore, non potendo in persona venire a Roma a coronarlo per cagione del concilio ordinato, mandò il vescovo d’Ostia cardinale da Prato legato, che potesse in ciò come la persona del papa; il quale fu co·llui in Genova del mese...; e mandò il detto papa legato in Ungheria messer Gentile da... cardinale per coronare Carlo Rimberto, figliuolo che fu di Carlo... nipote del re Ruberto, del reame d’Ungheria, e per dargli ... favore della Chiesa. E così fece, e dimorovvi più tempo in Ungheria il detto cardinale, tanto ch’ebbe conquistato quasi tutto il paese il detto Carlo, e lui coronato paceficamente. E alla sua tornata in Italia del detto cardinale ebbe comandamento dal papa che tutto il tesoro della Chiesa ch’era a Roma e in altre terre del Patrimonio conducesse di là da’ monti a·llui, il quale così fece infino a la città di Lucca. Di là no·llo potéo più innanzi conducere per terra né per mare, perché la riviera di Genova così per terra come per mare era tutta scommossa a guerra per le parti, Guelfi e Ghibellini, per la venuta dello ’mperadore. Lasciollo in Lucca nella sagrestia di San Friano, il quale tesoro fu poi rubato per gli Ghibellini, come innanzi faremo menzione.

XXIII Come papa Chimento fece concilio a Vienna in Borgogna, e canonizzò santo Lodovico figliuolo del re Carlo.

Nel detto anno MCCCXI, per calen di novembre, il detto papa Chimento celebrò concilio a Vienna in Borgogna per la promessa fatta al re di Francia, per cagione della quistione mossa per lo detto re contra la memoria di papa Bonifazio, come adietro facemmo menzione, ov’ebbe più di CCC vescovi, sanza gli abati e prelati; e durò infino... In quello concilio si dichiarò che papa Bonifazio era stato cattolico, e non in caso di resia ove il re di Francia gli mettea adosso, e trovossi modo per contentare il re di Francia, e fecesi dicreto che per offesa che ’l re di Francia avesse fatta al detto papa Bonifazio o a la Chiesa mai a·llui né a sue rede potesse essere opposto né dato briga; e ordinossi che tutti i beni e possessioni ch’erano state della magione del Tempio, fossono della magione dello Spedale, le quali convenne che la magione dello Spedale ricomperasse grandissimo tesoro da·re e da’ signori che·ll’aveano occupate; onde la magione dello Spedale si credette essere ricca, e per lo grande debito venne in male stato. Al detto concilio fu il re di Francia e più signori, e fecionvisi più costituzioni, e si cominciò il settimo libro de’ decretali. E compiuto il concilio, il papa se n’andò a Bordello. In quello concilio fu canonizzato a santo Lodovico arcivescovo di Tolosa, frate minore, figliuolo del re Carlo e primogenito, e fratello del re Ruberto, e per essere religioso lasciò l’onore mondano e la corona del reame. Fu uomo benigno e di santa vita, e molti miracoli mostrò Iddio per lui, e prima a sua vita e poi.

XXIV Come lo ’mperadore Arrigo venne nella città di Genova.

Nel detto anno MCCCXI, a dì XXI d’ottobre, lo ’mperadore venne di Lombardia a Genova con VIc cavalieri di sua gente oltramontani, sanza i Lombardi. Per gli Genovesi fu ricevuto come loro signore onorevolemente, e fattagli gran festa, e datogli al tutto la signoria della terra; che fu tenuto grande cosa, essendo la libertà e la potenza de’ Genovesi sì grande, come nulla città de’ Cristiani in mare e in terra. Il detto imperadore pacificò tutte le discordie de’ Genovesi, e rimisevi messer Ubizzino Spinoli e’ suoi seguaci, che n’erano fuori per rubegli, e fece fare pace tra·lloro e gli Ori e loro parte: donargli i Genovesi alla sua venuta Lm fiorini d’oro, e alla ’mperadrice XXm.

XXV Come in Arezzo venne vicario d’imperio.

Negli anni MCCCXI, del mese d’ottobre, venne ad Arezzo vicaro dello ’mperadore uno gentile uomo di Padova: pacificò gli Aretini insieme, e rimisevi dentro i Guelfi, e poco appresso vi morì di rema.

XXVI Come in Firenze vennero ambasciadori dello ’mperadore, e furonne cacciati.

Nel detto anno e mese d’ottobre venieno a Firenze messer Pandolfo Savelli di Roma e altri cherici per ambasciadori dello ’mperadore; furono a la Lastra sopra Montughi, i priori di Firenze mandarono loro che non entrassono in Firenze, e si partissono. I detti non volendosi partire, furono rubati per malandrini di Firenze, con consentimento segreto de’ priori; e con rischio delle persone fuggendo, se n’andarono per la via di Mugello ad Arezzo, richeggendo poi in Arezzo tutti i nobili e’ signori e’ Comuni di Toscana che s’apparecchiassono d’esser a la coronazione dello ’mperadore a Roma.

XXVII Come i Fiorentini mandarono loro masnade in Lunigiana per contradiare i passi a lo ’mperadore.

Nel detto anno, del mese d’ottobre, sentendo i Fiorentini che lo ’mperadore era partito di Lombardia e ito verso Genova, feciono tornare da Bologna il maliscalco co’ loro soldati, e feciongli andare in Lunigiana a Pietrasanta e a Serrezzano con altra buona gente di Firenze e di Lucca a guardare il passo di Porta Beltramo e la via della marina, perché lo ’mperadore non potesse venire a Pisa.

XXVIII Come in Genova morì la ’mperadrice.

Nel detto anno, del mese di novembre, morì in Genova la ’mperadrice moglie dello ’mperadore, la quale era tenuta buona e santa donna; fue figliuola del duca di Brabante; e soppellissi a’ frati minori con grande onore.

XXIX Come lo ’mperadore fece suo processo contra i Fiorentini.

Nel detto anno e mese lo ’mperadore fece in Genova suo processo contro a’ Fiorentini, che se infra XL dì non gli mandassono XII buoni uomini con sindaco e pieno mandato ad ubbidirlo, che gli condannava in avere e in persona dove fossono trovati. Non vi mandò il Comune di Firenze, ma a tutti i Fiorentini mercatanti ch’erano in Genova comandato fue si dovessono partire, e così feciono; ma poi ogni mercatantia che si trovò in Genova in nome de’ Fiorentini fue impacciata per la corte dello ’mperadore.

XXX Di scandalo ch’ebbe in Firenze tra’ lanaiuoli.

Nel detto anno e mese i lanaiuoli di Firenze vennono tra·lloro in grande divisione e sette per cagione del consolato, e fune quasi a romore la città.

XXXI Come il re Ruberto mandò gente a’ Fiorentini per contastare lo ’mperadore.

Nel detto anno, dì XV di dicembre, il re Ruberto mandò a Firenze CC de’ suoi cavalieri ch’erano in Romagna, perché i Fiorentini e’ Lucchesi potessono meglio contastare il passo a lo ’mperadore; ond’era capitano il conte di Luni da Raona.

XXXII Come la città di Brescia si rubellò a lo ’mperadore.

Nel detto anno, a l’uscita di dicembre, i Guelfi di Brescia rientrarono nella terra per ribellarla da la signoria dello ’mperadore. Cavalcovvi messer Cane della Scala con suo isforzo, e cacciogline fuori con grande loro dammaggio. E nel detto mese di dicembre messer Ghiberto da Coreggio, che tenea Parma, si rubellò da la signoria dello imperadore; e simile feciono i Reggiani; e’ Fiorentini, e l’altra lega de’ Guelfi di Toscana, mandarono loro aiuto di gente a cavallo.

XXXIII Come in Firenze ebbe grande novità per la morte di messere Pazzino de’ Pazzi.

Nel detto anno, dì XI di gennaio, avenne in Firenze che messere Pazzino de’ Pazzi, uno de’ maggiori caporali che reggea la città e più amato dal popolo, andando a falcone in isola d’Arno a cavallo sanza guardia con suoi falconieri e famigliari, Paffiera de’ Cavalcanti l’uccise, coll’aiuto de’ Brunelleschi e d’altri masnadieri in sua compagnia a cavallo, a tradimento, secondo si disse, però che messer Pazzino da·lloro non si guardava; e ciò fece per vendetta di Masino de’ Cavalcanti e di messer Betto Brunelleschi, dando colpa al detto messer Pazzino gli avesse fatti morire. Per la quale cosa, recato il corpo suo morto al palagio de’ priori per più infamare i Cavalcanti, la città si mosse tutta a romore e ad arme, e col gonfalone del popolo in furia sì corse a casa i Cavalcanti, e misevisi fuoco, e da capo furono cacciati di Firenze i Cavalcanti. E per questa cagione il popolo di Firenze alle spese del Comune fece IIII de’ Pazzi cavalieri, dotandoli de’ beni e rendite del Comune.

XXXIV Come la città di Chermona si rubellò dallo imperadore.

Nel detto anno MCCCXI, dì X del detto mese di gennaio, i Chermonesi si rubellarono a la signoria dello ’mperadore, e cacciarne fuori sua gente e ’l suo vicario, e ciò fu per soddotta de’ Fiorentini, che ancora v’aveano loro ambasciadore a trattare ciò, promettendo a’ Chermonesi grande aiuto di danari e di gente; ma male fu loro per gli Fiorentini attenuto.

XXXV Come il maliscalco dello ’mperadore giunse in Pisa, e cominciò guerra a’ Fiorentini.

Nel detto anno, dì XXI di gennaio, messer Arrigo di Namurro fratello del conte Ruberto di Fiandra, maliscalco dello ’mperadore, giunse per mare in Pisa con poca gente, e a due dì appresso uscì di Pisa con sua gente di qua dal Ponte ad Era, e tutte le some de’ Fiorentini che venieno da Pisa fece prendere e rimenare in Pisa; onde i Fiorentini ebbono grande danno. Per questa cagione i Fiorentini mandarono gente a cavallo e a piede a la guardia di Samminiato e di quella frontiera.

XXXVI Come i Padovani si rubellarono dalla signoria dello ’mperadore.

Nel detto anno, dì XV di febbraio, i Padovani col conforto de’ Fiorentini e Bolognesi si rubellarono da la signoria dello ’mperadore, e cacciarne il suo vicario e sua gente; e a romore uccisono messer Guiglielmo Novello loro cittadino, e gran capo di parte ghibellina in Padova.

XXXVII Come lo ’mperadore Arrigo venne nella città di Pisa.

Nel detto anno, a dì XVI del mese di febbraio, lo ’mperadore si partì di Genova per mare con XXX galee per venire a Pisa: per fortuna di tempo gli convenne dimorare in Portoveneri XVIII dì; poi di là arrivò a Porto Pisano, e in Pisa entrò a dì VI di marzo MCCCXI, e da’ Pisani fu ricevuto come loro signore, faccendogli grande festa e processione, e al tutto gli diedono la signoria della città, faccendoli grandi doni di moneta per fornire sua gente, che gran bisogno n’aveva. In Pisa dimorò infino a dì XXII d’aprile MCCCXII, attendendo gente nuova di suo paese. In questo dimoro in Pisa il maliscalco suo colla sua gente molte cavalcate e asalti fece sopra le terre e castella de’ Lucchesi e di Samminiato del Tedesco, sanza tenere campo o assedio. In quelle cavalcate presono il castello di Buti e la valle che teneano i Lucchesi; altro aquisto non vi fece di terra alcuna. In Pisa si trovò con MD cavalieri oltramontani cogl’infrascritti baroni e signori: l’arcivescovo di Trievi suo fratello carnale, il vescovo di Legge fratello del conte di Bari suo cugino, il duca di Baviera, il conte di Savoia suo cognato, il conte di Forese, messer Guido fratello del Dalfino di Vienna, messer Arrigo fratello del conte di Fiandra suo maliscalco e cugino, messer Ruberto figliuolo del detto conte di Fiandra, il conte d’Alvagna d’Alamagna chiamato Luffo Mastro, cioè in latino Mastro Siniscalco, uomo di grande valore, e più altri conti de la Magna non conosciuti da noi, castellani e banderesi assai, ciascuno di questi signori con sua gente, e molti Italiani, Lombardi e Toscani. I Fiorentini e gli altri Toscani sentendolo in Pisa, s’aforzarono di cavalieri e di gente in grande quantità per contastallo.

XXXVIII Come gli Spuletini furono sconfitti da’ Perugini.

Nel detto anno MCCCXI, dì XXVIII di febbraio, gli Spuletini, ch’erano a parte ghibellina, furono sconfitti da’ Perugini, e assai ne furono tra presi e morti.

XXXIX Della raunata che ’l re Ruberto e la lega di Toscana feciono a Roma per contastare la coronazione d’Arrigo imperadore.

Nell’anno MCCCXII, del mese d’aprile, sentendo il re Ruberto l’aparecchiamento che il re d’Alamagna facea in Pisa per venire a Roma per coronarsi, sì mandò innanzi a Roma, a la richesta e colla forza degli Orsini, messer Gianni suo fratello con VIc cavalieri catalani e pugliesi, e giunsono in Roma dì XVI d’aprile; e mandò a’ Fiorentini e Lucchesi e Sanesi e l’altre terre di Toscana ch’erano in lega co·llui che vi mandassono loro isforzo; onde v’andarono a dì VIIII di maggio MCCCXII di Firenze CC cavalieri di cavallate de’ migliori cittadini, e ’l maliscalco del re Ruberto, ch’era al loro soldo, con CCC cavalieri catalani e M pedoni, molto bella gente, ond’ebbe la ’nsegna reale messer Berto di messer Pazzino de’ Pazzi, valente e savio giovane cavaliere, e a Roma morì al servigio del re e del Comune di Firenze. E di Lucca v’andarono CCC cavalieri e M pedoni; e Sanesi CC cavalieri e VIc pedoni; e molti d’altre terre di Toscana e di terra di Roma vi mandarono gente. I quali tutti furono in Roma a dì XXI di maggio MCCCXII al contasto della coronazione dello imperadore, e colla forza de’ detti Orsini di Roma e di loro seguaci presono Campidoglio, e messer Luis di Savoia sanatore per forza ne cacciarono: presono le torri e fortezze a piè di Campidoglio sopra la Mercatantia, e fornirono Castello Adriano detto Santagnolo, e la chiesa e’ palagi di San Piero; e così più della metade di Roma e la meglio popolata, e tutto Trastevero ebbono per forza e signoria. I Colonnesi e loro séguito che teneano la parte dello imperadore teneano Laterano, Santa Maria Maggiore, Culiseo, Santa Maria Ritonda, le Milizie, e Santa Savina; e così ciascuna parte imbarrata e aserragliata con grandi fortezze. E dimorandovi la gente de’ Fiorentini, il dì di santo Giovanni Batista, loro principale festa, feciono correre in Roma palio di sciamito chermisi, sì come usano il detto dì in Firenze.

XL Come lo ’mperadore Arrigo si partì di Pisa e andò a Roma.

Nel detto anno, dì XXIII d’aprile, il re d’Alamagna si partì di Pisa con sua gente in quantità di MM cavalieri e più, e fece la via per Maremma, e poi per lo contado di Siena e per quello d’Orbivieto sanza soggiornare; e sanz’altro contrasto se n’andò a Viterbo e quello ebbe sanza contradio, però ch’era nella signoria de’ Colonnesi. E passando lui per lo contado d’Orbivieto, i Filippeschi d’Orbivieto col loro séguito di Ghibellini cominciarono battaglia nella città contro a’ Monaldeschi e gli altri Guelfi d’Orbivieto per dare la terra a lo ’mperadore. I Guelfi trovandosi forti e ben guerniti, combatterono vigorosamente innanzi che’ Ghibellini avessono la forza della gente dello ’mperadore, sì gli vinsono e cacciarono della città, con molti morti e presi di loro parte. Soggiornando poi più giorni lo re d’Alamagna in Viterbo, perché non potea avere l’entrata de la porta di San Piero di Roma, e ponte Emale sopra Tevero era guernito e guardato per la forza degli Orsini, a la fine si partì di Viterbo, e in su Montemalo s’attendò, e poi per forza della sua gente di fuori, e di quella de’ Colonnesi e di loro séguito d’entro, assaliro le fortezze e guardie di ponte Emale, e per forza le vinsono, e così entrò in Roma a dì VII di maggio, e andonne a Santa Savina ad albergo.

XLI Come messer Galeasso Visconti di Milano prese la città di Piagenza.

Nel detto anno MCCCXII, essendo i Guelfi della città di Piagenza in grande divisione tra·lloro, messer Alberto Scotti ch’era capo dell’una setta si elesse per loro podestà per VI mesi messer Galeasso Visconti figliuolo del capitano di Milano. Compiuto il termine, il detto messer Galeasso sotto spezie d’ambasceria mandò a Milano il detto messer Alberto Scotto, e X de’ maggiori Guelfi, e X Ghibellini, e a Milano furono ritenuti i Guelfi; poi messer Galeasso con CC cavalieri che gli vennono da Melano, coll’aiuto de’ Ghibellini, e massimamente di quegli della casa di Landa, corse la terra e fecesene fare signore, e caccionne i Guelfi, dì XXIIII di luglio del detto anno.

XLII Come i Fiorentini levarono in isconfitta i Pisani da Cerretello.

Nel detto anno, a dì XX di maggio, essendo i Pisani ad assedio d’uno loro castello in Valdera, ch’avea nome Cerretello, vi cavalcarono i Fiorentini da Vc cavalieri di cavallate, e le loro masnade di Catalani, e levargli da oste in isconfitta, e furonne assai morti e presi di gente a piede.

XLIII Come Arrigo di Luzzimborgo fu coronato imperadore in Roma.

Nel detto tempo, dimorando il re de’ Romani in Roma più tempo per potere venire per forza a la chiesa di San Piero a coronarsi, più battaglie feciono la sua gente contra quegli del re Ruberto e de’ Toscani che ’l contradiavano, e per forza vinsono e racquistarono Campidoglio, e le fortezze sopra la Mercatantia, e le torri di San Marco. E di certo si crede ch’avrebbe vinta in gran parte della punga, se non che uno giorno, a dì XXVI di maggio, a una gran battaglia il vescovo di Legge con più baroni d’Alamagna, avendo rotte le sbarre, e correndo la terra infino presso al ponte Santangiolo, la gente del re Ruberto con quella de’ Fiorentini partendosi di Campo di Fiore per vie traverse, per costa fediro a la detta gente che cacciava, e ruppongli, e più di CCL cavalieri ne furono tra morti e presi, intra’ quali fu il detto vescovo di Legge preso, e menandolo uno cavaliere in groppa di suo cavallo disarmato a messer Gianni fratello de·re Ruberto, uno Catalano a cui era stato morto il fratello in quella caccia il fedì dietro a le reni d’uno stocco, onde giugnendo a Castello Santangiolo, poco stette morì; onde fu grande danno, però che era signore di gran valore e di grande autorità. Per la detta perdita e sconfitta la gente del re Ruberto e loro séguito presono gran vigore, e quella del re d’Alamagna il contradio. Veggendo il signore che l’urtare non facie per lui, e che ne perdea sua gente e suo onore, avendo prima mandato al papa per licenza che’ cardinali il potessono coronare in quale chiesa di Roma a·lloro piacesse, sì·ssi diliberò di coronarsi in San Giovanni Laterano; e in quella fu coronato per lo vescovo d’Ostia cardinale da Prato, e per messer Luca dal Fiesco e messer Arnaldo Guasconi cardinali, il dì di san Piero in Vincola, dì primo d’agosto MCCCXII, con grande onore, da quella gente ch’erano co·llui, e da quegli Romani ch’erano di sua parte. E coronato lo ’mperadore Arrigo, pochi giorni appresso se n’andò a Tiboli a soggiornare, e lasciò Roma imbarrata e in male stato, e ciascuna parte tenea le sue contrade afforzate e guernite. De’ suoi baroni si partì, fatta la coronazione, il dogio di Baviera e sua gente, e altri signori de la Magna che·ll’aveano servito, sicché con pochi oltramontani rimase.

XLIV Come lo ’mperadore si partì di Roma per venire in Toscana.

Poi si partì lo ’mperadore da Tiboli, e venne con sua gente a Todi, e da’ Todini fu ricevuto onorevolemente e come loro signore, però che teneano sua parte. I Fiorentini e gli altri Toscani, sentendo che lo ’mperadore s’era partito di Roma e facea la via verso Toscana, incontanente mandarono per la loro gente ch’era a Roma, per esser più forti a la sua venuta. E tornata la detta gente, i Fiorentini e l’altre terre di Toscana si guernirono le loro fortezze di cavalieri e di gente, per risistere a la venuta dello ’mperadore, temendo forte della sua forza, e faccendo più confinati, Ghibellini e sospetti; e’ Fiorentini crebbono il numero delle loro cavallate in XIIIc, e soldati aveano col maliscalco e con altri da VIIc, sicché circa MM cavalieri aveano; e ciascuna altra città e terra di Toscana de la lega del re Ruberto e di parte guelfa s’erano isforzati di gente d’arme per tema dello ’mperadore.

XLV Come lo ’mperadore venne a la città d’Arezzo, e poi come venne verso la città di Firenze.

Del detto mese d’agosto, nel MCCCXII, si partì lo ’mperadore da Todi e venne per lo contado di Perugia guastando e ardendo, e per forza prese la sua gente Castiglione Chiusino sopra i·lago, e di là venne a Cortona, e poi ad Arezzo, e dagli Aretini fu ricevuto a grande onore. E in Arezzo fece sua raunanza per venire sopra la città di Firenze, e subitamente si partì d’Arezzo, e entrò in sul contado di Firenze a dì XII di settembre, e di presente gli fu renduto il castello di Caposelvole in su l’Ambra, ch’era de’ Fiorentini. E poi si puose ad oste al castello di Montevarchi, il qual era bene guernito di gente, soldati a cavallo e a piè, e di vittuaglia: a quello fece dare più battaglie, e votare i fossi dell’acqua per riempiere. Quegli della terra veggendo ch’erano sì forte combattuti, e avea la terra le mura basse, che i cavalieri dello ’mperadore a piè combattendo, e colle scale salendo a le mura, non temendo saettamento né gittamento di pietre, sì isbigottirono forte, e maggiormente sentendo che’ Fiorentini non gli soccorreano, sì s’arendero il terzo dì a lo ’mperadore. Avuto Montevarchi, sanza dimoro venne ad oste a Castello San Giovanni, e per simigliante modo gli si rendéo, e presevi da LXX cavalieri catalani soldati de’ Fiorentini; e così sanza riparo ne venne nel borgo di Fegghine.

XLVI Come i Fiorentini furono quasi sconfitti al castello de l’Ancisa da lo ’mperadore.


I Fiorentini, sentendo lo ’mperadore partito d’Arezzo, incontanente cavalcaro popolo e cavalieri di Firenze, sanza attendere altra amistà, al castello de l’Ancisa in su l’Arno, e furono intorno di XVIIIc di cavalieri e gente a piè assai, e a l’Ancisa s’acamparo per tenere il passo a lo ’mperadore. Egli sentendo ciò, con sua gente armata venne nel piano de l’Ancisa in su l’isola d’Arno che si chiama il Mezzule, e richiese i Fiorentini di battaglia. I Fiorentini non sentendosi di numero di cavalieri guari più che quegli dello ’mperadore, e erano sanza capitano, non si vollono mettere a la ventura de la battaglia, credendosi per lo forte passo riparare lo ’mperadore, che non potesse valicare verso Firenze. Lo ’mperadore veggendo che’ Fiorentini non voleano combattere, per consiglio de’ savi uomini di guerra usciti di Firenze si prese la via del poggio di sopra a l’Ancisa, per istretti e forti passi valicò il castello, e venne da la parte verso Firenze. Veggendo l’oste de’ Fiorentini la sua mossa, dubitando non venisse a la città di Firenze, parte di loro col maliscalco del re e sue masnade si partirono da l’Ancisa per essergli dinanzi al cammino. Il conte di Savoia e messer Arrigo di Fiandra, ch’erano venuti innanzi a prendere il passo, sotto a Montelfi vigorosamente fediro a quelli ch’erano a la frontiera, e col vantaggio ch’aveano del poggio gli misono in volta e in isconfitta, seguendogli parte di loro infino nel borgo de l’Ancisa. La rotta de’ Fiorentini fu più per lo sbigottimento del sùbito assalto, che per dammaggio di gente; che tra tutti non vi morirono XXV uomini di cavallo, e meno di C a·ppiede; e quasi tutti quegli oltramontani che per forza vennono cacciando infino nel borgo rimasono morti. Ma pure la gente dello ’mperadore rimasono vincenti de la punga, i Fiorentini molto impauriti; e quella notte lo ’mperadore s’atendò di qua da l’Ancisa verso Firenze due miglia. I Fiorentini rimasono nel castello de l’Ancisa quasi assediati e con poco fornimento di vittuaglia sì fattamente, che se lo ’mperadore fosse stato fermo a l’assedio, i Fiorentini ch’erano ne l’Ancisa erano quasi tutti morti e presi. Ma come piacque a Dio, lo ’mperadore prese consiglio la notte d’andarsene al diritto a la città di Firenze, credendolasi avere sanza contasto, lasciandosi l’oste de’ Fiorentini adietro ne l’Ancisa, come assediati e molto impauriti e peggio ordinati.

XLVII Come lo ’mperadore Arrigo si puose ad oste a la città di Firenze.

E così il seguente giorno, dì XVIIII di settembre MCCCXII, lo ’mperadore venne ad oste a la città di Firenze, ardendo la sua gente quanto si trovavano innanzi; e così passò il fiume d’Arno allo ’ncontro ov’entra la Mensola, e attendossi a la badia di Santo Salvi forse con M cavalieri. L’altra sua gente rimase in Valdarno, e parte a Todi, i quali gli vennero poi. E vegnendo per lo contado di Perugia, da’ Perugini furono assaliti e quegli si difesono: con danno e vergogna de’ Perugini passarono. E giunse lo ’mperadore sì sùbito, che i più de’ Fiorentini non poteano credere vi fosse in persona; ed erano sì ismarriti per tema della loro cavalleria, ch’era rimasa a l’Ancisa quasi come isconfitti, che se lo ’mperadore o sua gente in su la sùbita venuta fossono venuti a le porte, le trovavano aperte e male guernite; e per gli più si crede ch’avrebbe presa la città. Tuttora i Fiorentini, veggendo l’arsioni delle case per lo cammino facea, a suono di campana s’armarono il popolo e co’ gonfaloni delle compagnie vennero ne la piazza de’ loro priori, e ’l vescovo di Firenze con cavagli de’ cherici s’armò, e trasse a la difensione de la porta di Santo Ambruogio e di fossi, e tutto il popolo a piede co·llui, e serraro le porte, e ordinarono i gonfalonieri e loro gente su per gli fossi a le poste a la guardia de la città di dì e di notte. E dentro a la città, da quella parte, puosono uno campo con padiglioni, logge e trabacche, acciò che la guardia fosse più forte, e feciono steccati su per fossi d’ogni legname e bertesche in assai brieve tempo. E così dimoraro in grande paura i Fiorentini due dì, che’ loro cavalieri e oste tornarono da l’Ancisa per diverse vie per Valle di Robbiano e da Santa Maria in Pianeta a Montebuoni di notte tempore. Giunti in Firenze, la città si rassicurò: e’ Lucchesi vi mandarono a l’aiuto e guardia de la città VIc cavalieri e IIIm pedoni, e’ Sanesi VIc cavalieri e IIm pedoni, e’ Pistolesi C cavalieri e Vc pedoni, e’ Pratesi L cavalieri e IIIIc pedoni, e’ Volterrani C cavalieri e IIIc pedoni, e Colle e San Gimignano e Samminiato ciascuno L cavalieri e CC pedoni, i Bolognesi IIIIc cavalieri e M pedoni. Di Romagna vi vennono tra di Rimine e di Ravenna e di Faenza e Cesena e l’altre terre guelfe CCC cavalieri e MD pedoni, e d’Agobbio C cavalieri, e da la Città di Castello L cavalieri. Di Perugia non vi venne aiuto per la guerra ch’aveano co’ Todini e Spuletini. E così infra VIII dì posto l’assedio per lo ’mperadore, si trovarono i Fiorentini co·lloro amistà più di IIIIm uomini a cavallo, e gente a piè sanza numero. Lo ’mperadore era con XVIIIc cavalieri, gli VIIIc oltramontani, e M Italiani, di Roma, de la Marca, del Ducato, d’Arezzo, e di Romagna, e de’ conti Guidi, e di quegli di Santa Fiore, e usciti di Firenze, e gente a piè assai; però che’ nostri contadini da la parte ov’e’ possedea, tutti seguivano il suo campo. E fu quell’anno il più largo e uberoso di tutte vittuaglie che fosse XXX anni adietro. A l’assedio dimorò lo ’mperadore infino a l’ultimo dì del mese d’ottobre, guastando il contado tutto da la parte di levante, e fece gran danno a’ Fiorentini sanza dare battaglia niuna a la città, stando in isperanza d’averla di concordia; e tutto l’avesse combattuta, era sì guernita di gente a cavallo, che due tanti e più n’aveva a la difensione della città che di fuori, e gente a piè per ognuno IIII. E rassicurarsi sì i Fiorentini, che i più andavano disarmati, e teneano aperte tutte l’altre porte, fuori che da quella parte; e entrava e usciva la mercatantia, come se non v’avesse guerra. Dell’uscire fuori i Fiorentini a battaglia, o per viltà o per senno di guerra, o per non avere capo, in nulla guisa si vollono mettere a la fortuna del combattere, che assai aveano il vantaggio, s’avessono avuto buono capitano, e tra·lloro più uniti che non erano. Ben feciono una cavalcata a Cerretello, che v’erano tornati i Pisani a oste, e ancora gli ne levarono a modo di sconfitta del mese d’ottobre. Lo ’mperadore fu malato più giorni a San Salvi, e veggendo non potea avere la città per accordo, né la battaglia non voleano i Fiorentini.

XLVIII Come lo ’mperadore si partì dall’asedio da San Salvi e andonne a San Casciano, e poi a Poggibonizzi.

Lo ’mperadore con sua oste si partì la notte vegnendo la Tusanti, ardendo il campo, valicò Arno per la via ond’era venuto, e acampossi nel piano d’Ema di lungi a la città da III miglia. Né già per sua levata i Fiorentini non uscirono la notte della città, ma sonarono le campane, e ogni gente fu ad arme; e per quello si seppe poi, la gente dello ’mperadore ebbono gran tema della levata, che la notte non fossono assaliti dinanzi o a la retroguardia da’ Fiorentini. La mattina vegnente una parte de’ Fiorentini andarono al poggio di Santa Margherita sopra il campo dello ’mperadore, e a modo di badalucchi più assalti gli feciono, de’ quali ebbono il peggiore: e con vergogna là dimorato III giorni, si partì, e andonne con sua oste in sul borgo di San Casciano presso a la città VIII miglia; per la qual cosa i Fiorentini feciono afossare il crescimento del sesto d’Oltrarno, ch’era fuori delle mura vecchie, in calen di dicembre MCCCXII. E stando lo ’mperadore a San Casciano, gli vennono in aiuto i Pisani ben Vc cavalieri e IIIm pedoni, e M balestrieri di Genova, e giunsono a dì XX di novembre. A San Casciano dimorò infino a dì VI di gennaio sanza fare a’ Fiorentini altro assalto se non di correrie e guasto e arsioni di case per lo contado, e prese più fortezze de la contrada; né perciò i Fiorentini non uscirono fuori a battaglia, se non in correrie e scheremugi, quando a danno dell’una parte e quando dell’altra, da non farne gran menzione, se non ch’a una avisaglia a Cerbaia di Valdipesa furono i nostri rotti da’ Tedeschi, e morì uno degli Spini, e uno de’ Bostichi, e uno de’ Guadagni per loro franchezza in questa stanza, ch’erano d’una compagnia di volontà a una insegna campo verde e banda rossa con capitano, e chiamavansi i cavalieri della Banda, de’ più pregiati donzelli di Firenze, e assai feciono d’arme. Ma in quella stanza i Fiorentini s’aleggiarono di gran parte di loro amistà, e dierono loro commiato, e allo ’mperadore medesimo mancò gente, e per lo suo lungo dimoro e per disagio di freddo si cominciò nel campo a San Casciano grande infermeria e mortalità di gente, la quale corruppe la contrada forte, e infino in Firenze seguì parte; per la qual cagione si partì lo ’mperadore con sua oste da San Casciano, e andonne a Poggibonizzi, e prese il castello di Barberino e di San Donato in Poggio, e più altre fortezze: a Poggibonizzi ripuose il castello in sul poggio, come solea essere anticamente, e puosegli nome Castello Imperiale. Là dimorò infino a dì VI di marzo, e gli fallò molto la vittuaglia, e soffersevi gran soffratta egli e tutta sua oste, che’ Sanesi dall’una parte e’ Fiorentini da l’altra gli aveano chiuse le strade, e IIIc soldati del re Ruberto erano in Colle di Valdelsa, che ’l guerreggiavano al continuo; e tornando da Casoli CC cavalieri dello ’mperadore, furono sconfitti da’ cavalieri del re ch’erano in Colle dì XIIII di febbraio MCCCXII. E d’altra parte il maliscalco co’ soldati de’ Fiorentini era a guerreggiarlo in San Gimignano, sì che lo stato dello ’mperadore scemò molto, sì che quasi non gli rimasono M uomini a cavallo, che messer Ruberto di Fiandra se ne partì con sua gente, e da’ Fiorentini fu combattuto di costa a Castello Fiorentino, e morta e presa di sua gente gran parte, e egli con pochi si fuggì, con tutto ch’assai tenne campo, e assai diè a·ffare a quella gente l’assaliro, ch’erano per uno quattro, ed ebbonne vergogna.

XLIX

Come lo ’mperadore si partì da Poggibonizzi e si tornò in Pisa, e fece molti processi contro a’ Fiorentini.

Lo ’mperadore veggendosi così assottigliato e di gente e di vittuaglia, e eziandio di moneta, che nulla gli era rimaso da spendere, se non che ambasciadori del re Federigo di Cicilia, i quali apportarono a Pisa e vennono a·llui a Poggibonizzi per fermare lega co·llui incontro al re Ruberto, gli diedono XXm dobbre d’oro. Con quelle pagati i debiti, si partì da Poggibonizzi, e sanza soggiorno si tornò a Pisa a dì VIIII di marzo MCCCXII assai in male stato di sé e di sue genti; ma questa somma virtude ebbe in sé, che mai per aversità quasi non si turbò, né per prosperità ch’avesse non sì vanagloriò. Tornato lo ’mperadore in Pisa, fece grandi e gravi processi sopra i Fiorentini di torre a la città ogni giuridizione e onori, disponendo tutti giudici e notari, e condannando il Comune di Firenze in Cm marchi d’ariento, e’ più grandi cittadini e popolari che reggeano la città nell’avere e persone e ne’ loro beni, e che i Fiorentini non potessero battere moneta d’oro né d’argento; e consentì per privilegio a messer Ubizzino Spinola di Genova e al marchese di Monferrato che potessono battere in loro terre i fiorini d’oro contraffatti sotto il conio di quegli di Firenze; la qual cosa da’ savi gli fu messa in grande difalta e peccato, che per cruccio e mala volontà ch’avesse contro a’ Fiorentini non dovea niuno privileggiare che battessono fiorini falsi.

L Come lo ’mperadore condannò il re Ruberto.

Sopra il re Ruberto fece simigliantemente grandi processi, condannandolo nel reame di Puglia e della contea di Proenza, e lui e sue rede nelle persone, come traditori dello ’mperio; i quali processi furono poi cassi e annullati per papa Giovanni XXII. E stando lo ’mperadore in Pisa, messer Arrigo di Fiandra suo maliscalco cavalcò in Versilia, in Lunigiana con VIIIc cavalieri e VIm pedoni, e per forza prese Pietrasanta dì XXVIII di marzo MCCCXIII. I Lucchesi, i quali erano a Camaiore collo sforzo de’ Fiorentini, e non ardirono a contastare, si tornarono in Lucca. E Serrezzano, che ’l teneano i Lucchesi, s’arrenderono a’ marchesi Malispini che teneano collo imperadore.

LI Come lo ’mperadore s’apparecchiò per andare nel Regno contro al re Ruberto, e si partì di Pisa.

Fatto ciò, prese consiglio lo ’mperadore di non urtare co’ Fiorentini e cogli altri Toscani, che poco n’avea avanzato, ma peggiorato suo stato; ma di farsi dal capo, e d’andare sopra il re Ruberto con tutto suo isforzo, e torregli il Regno; e se venuto gli fosse fatto, si credea essere signore d’Italia; e di certo così sarebbe stato, se Idio non avesse riparato, come faremo menzione. Egli s’allegò col re Federigo, che tenea l’isola di Cicilia, e co’ Genovesi, e ordinò che ciascuno a giorno nomato avesse in mare grande navilio di galee armate; in Alamagna e in Lombardia mandò per gente nuova, e così richiese tutti i suoi sudditi e’ Ghibellini d’Italia. In questo soggiorno in Pisa raunò moneta assai, e non dormendo, tuttora al suo maliscalco facea guerreggiare Lucca e Samminiato, ma poco n’avanzò. Nella state MCCCXIII che soggiornò in Pisa, venutogli suo isforzo, si trovò con più di MMD cavalieri oltramontani, i più Alamannì, e Italiani ben MD. I Genovesi armarono a sua richesta LXX galee, onde fu amiraglio messer Lamba d’Oria, e venne col detto stuolo in Porto Pisano, e parlò a lo ’mperadore; e poi n’andò verso il Regno a l’isola di Ponzo. Il re Federigo armò L galee, e il giorno nominato, dì V d’agosto MCCCXIII, lo ’mperadore si partì di Pisa; e quello dì medesimo si trovò, lo re Federigo si partì coll’armata di Messina, e con M cavalieri si puose in su la Calavra, e prese la città di Reggio, e più altre terre.

LII Come lo ’mperadore Arrigo morìo a Bonconvento nel contado di Siena.

Partito lo ’mperadore di Pisa, passò su per l’Elsa e combatté Castello Fiorentino, e nol potéo avere: passò oltre tra Poggibonizzi e Colle infino a Siena lungo le porte. In Siena avea gente assai; e cavalieri di Firenze alquanti per badalucchi uscirono per la porta di Cammollia, ed ebbonne il peggiore, e furono ripinti per forza nella città; e così Siena in grande paura, lo ’mperadore valicò la città, e puosesi a campo a Monte Aperti in su l’Arbia. Là cominciò amalare, con tutto che infino a la partita di Pisa si sentisse; ma per non fallire la partita sua al giorno ordinato, si mise a cammino. Poi andò in piano di Filetta per bagnarsi al bagno a Macereto, e di là andò al borgo a Bonconvento, di là da Siena XII miglia. Là agravò forte, e come piacque a·dDio, passò di questa vita il dì di santo Bartolomeo, dì XXIIII d’agosto MCCCXIII.

LIII Conta come morto lo ’mperadore si divise la sua oste, e’ suoi baroni ne portarono il corpo a la città di Pisa.

Morto lo ’mperadore Arrigo, la sua oste, e’ Pisani, e tutti i suoi amici ne menarono grande dolore, e’ Fiorentini, Sanesi, e’ Lucchesi, e quegli di loro lega ne feciono grande allegrezza. Incontanente, lui morto, si partirono gli Aretini e gli altri Ghibellini della Marca e di Romagna dell’oste da Bonconvento, ne la quale avea gente grandissima a cavallo e a piede. I suoi baroni e’ cavalieri pisani con loro gente sanza soggiorno passarono per la Maremma col corpo suo, e recarlo in Pisa: là con grande dolore, e poi con grande onore il soppellirono al loro Duomo. Questa fu la fine dello ’mperadore Arrigo. E non si maravigli chi legge, perché per noi è continuata la sua storia sanza raccontare altre cose e avenimenti d’Italia e d’altre province e reami; per due cose: l’una, perché tutti i Cristiani, ed eziandio i Saracini e’ Greci, guardavano al suo andamento e fortuna, e per cagione di ciò poche novità notabili erano in nulla parte altrove; l’altra, per le diverse e varie grandi fortune che gl’incorsono in sì piccolo tempo ch’egli visse, che di certo si credea per gli savi che se la sua morte non fosse stata sì prossimana, al signore di tanto valore e di sì grandi imprese com’era egli, avrebbe vinto il Regno e toltolo al re Ruberto, che piccolo apparecchiamento avea al riparo suo. Anzi si disse per molti che ’l re Ruberto no·ll’avrebbe atteso, ma itosene per mare in Proenza; e appresso s’avesse vinto il Regno come s’avisava, assai gli era leggere di vincere tutta Italia, e dell’altre province assai.

LIV Come Federigo detto re di Cicilia venne per mare a la città di Pisa.

Federigo di Cicilia, il qual era in mare con suo stuolo, come fatta è menzione, agiuntosi già co’ Genovesi, sentendo de la morte dello ’mperadore, venne in Pisa, e non avendo potuto vedere lo ’mperadore vivo, sì ’l volle vedere morto. I Pisani per dotta de’ Guelfi di Toscana e del re Ruberto sì vollono il detto don Federigo fare loro signore: non volle la signoria, ma per sua scusa domandò loro molto larghi patti fuori di misura, con tutto che per gli più si credette che, bene che’ Pisani gli avessono fatti, non avrebbe voluto lasciare la stanza di Cicilia per signoreggiare Pisa; e così sanza grande dimoro si tornò in Cicilia. I Pisani rimasi molto sconsolati e in paura, vollono fare signore il conte di Savoia e messer Arrigo di Fiandra: nullo volle ricevere; ma tutti i caporali e’ baroni ch’erano collo imperadore si partirono e tornarono in loro paesi. Altri cavalieri tedeschi e brabanzoni e fiamminghi co·lloro bandiere rimasono al soldo de’ Pisani intorno di mille a cavallo. E i Pisani non potendo avere altro capitano, elessono Uguiccione da Faggiuola di Massa Trabara, il quale era stato per lo ’mperadore vicaro in Genova. Questi venne a Pisa e prese la signoria, e appresso, col séguito de’ cavalieri tedeschi che vi rimasono, fece in Toscana grandissime cose, come innanzi si farà menzione.

LV Come il conte Filippone di Pavia fu sconfitto a Piagenza.

Nel detto anno MCCCXIII, del mese d’agosto, il conte Filippone di Pavia co la parte guelfa vegnendo sopra Piagenza, che·lla tenea messer Galeasso Visconti, fu sconfitto e preso.

LVI Come i Fiorentini diedono la signoria di Firenze al re Ruberto per cinque anni.

Nel detto anno MCCCXIII, ancora vivendo lo ’mperadore, i Fiorentini parendo loro essere in male stato, sì per la forza dello ’mperadore e di loro usciti, e ancora dentro tra·lloro per le sette nate per cagione delle signorie, si diedono al re Ruberto per V anni, e poi appresso si raffermarono per III. E così VIII anni appresso il re Ruberto n’ebbe la signoria, mandandovi di VI in VI mesi suo vicario; e ’l primo fu messer Iacomo di Cantelmo di Proenza, che venne in Firenze del mese di giugno MCCCXIII. E per simile modo appresso feciono i Lucchesi e’ Pistolesi e’ Pratesi di darsi alla signoria del re Ruberto. E di certo fu lo scampo de’ Fiorentini, che per le grandi divisioni tra’ Guelfi insieme, se ’l mezzo della signoria del re non fosse stata, guasti e stracciati s’arebbono tra·lloro, e cacciata parte.

LVII Come gli Spinoli furono cacciati di Genova.

Nel detto anno, del mese di febbraio e di marzo, essendo morto lo ’mperadore, e partito Uguiccione da Faggiuola di Genova, i Genovesi ghibellini tra·lloro ebbono grande discordia per invidia degli ufici e signoria della terra; che gli Orii ch’erano possenti, e gli Spinoli somigliante, ciascuno volea essere il maggiore. Per la qual cosa vennero a battaglia cittadina insieme, la quale durò per XX dì continui molto pericolosa, che tutta la città era partita, l’una parte cogli Ori, e l’altra cogli Spinoli; nella quale battaglia molti ebbe morti d’una parte e d’altra. A la fine misono fuoco combattendo, onde arsero più di IIIc case nel migliore della città; e dibattuti di tanta pestilenza, gli Spinoli non tanto per forza cacciati, ma per isdegno si partirono della città, e andarne a Bazzalla; e la terra rimase a la signoria di quegli d’Oria e de’ Grimaldi che teneano co·lloro, e feciono stato comune di popolo, e durò più anni.

LVIII Come Uguiccione signore in Pisa fece molta guerra a’ Lucchesi sì che misono i Ghibellini usciti per isforzata pace in Lucca.

Nel detto anno MCCCXIII, essendo Uguiccione in Pisa per signore appresso la morte dello ’mperadore colla masnada tedesca, non istette ozioso, ma innanzi ch’a·lloro fosse cominciata guerra, vigorosamente assalirono i Lucchesi e’ Samminiatesi, cavalcandogli molto spesso infino a le porte, ardendo e guastando; e in più avisamenti sempre n’ebbono i Lucchesi il peggiore, però che per la loro discordia tra’ Guelfi medesimi, per sette fatte per invidia di loro signorie, male intendeano a seguire l’antica loro buona sollecitudine e unità e vittorie, ma scemando loro cavallate e soldati; per la qual cosa a’ Fiorentini convenia portare tutto il fascio e la spesa, sovente cavalcando a Lucca, popolo e cavalieri, a la loro difensione. Ma Uguiccione co’ Pisani essendo di presso, partiti i Fiorentini, incontanente gli cavalcava, sì che molto gli afrisse; e per la loro divisione de la quale era capo dell’una setta messer Luti degli Obizzi, e dell’altra messer Arrigo Berarducci, contra la volontà de’ Fiorentini pace feciono co’ Pisani, rendendo loro Ripafratta e più altre castella de’ Pisani, ch’anticamente aveano sopra loro guadagnate, e rimisono in Lucca quegli della casa degl’Interminegli e loro séguito; onde i Fiorentini molto isdegnarono e furono crucciosi.

LIX Della morte di papa Chimento.

Nell’anno MCCCXIIII, dì XX d’aprile, morì papa Chimento: volendo andare a Bordello in Guascogna, passato il Rodano a la Rocca Maura in Proenza, amalò e morì. Questi fu uomo molto cupido di moneta, e simoniaco, che ogni benificio per danari s’avea in sua corte, e fu lussurioso; che palese si dicea che tenea per amica la contessa di Pelagorga bellissima donna, figliuola del conte di Fusci. E lasciò i nipoti e suo lignaggio con grandissimo e innumerabile tesoro. E dissesi che, vivendo il detto papa, essendo morto uno suo nipote cardinale cu’ egli molto amava, costrinse uno grande maestro di negromanzia che sapesse che dell’anima del nipote fosse. Il detto maestro, fatte sue arti, uno cappellano del papa molto sicuro fece portare a’ dimonia, i quali il menarono a lo ’nferno, e mostrargli visibilemente uno palazzo, iv’entro uno letto di fuoco ardente, nel quale era l’anima del detto suo nipote morto, dicendogli che per la sua simonia era così giudicato. E vide nella visione fare un altro palazzo a la ’ncontra, il quale gli fu detto si facea per papa Clemento; e così rapportò il detto cappellano al papa, il quale mai poi non fu allegro, e poco vivette appresso: e morto lui, lasciato la notte in una chiesa con grande luminara, s’accese e arse la cassa, e ’l corpo suo da la cintola in giù.

LX Come Uguiccione co’ Pisani presono la città di Lucca, e rubarono il tesoro della Chiesa.

Nel detto anno MCCCXIIII, essendo i Ghibellini rimessi in Lucca, Uguiccione molto tegnendo corti i Lucchesi, che rendessono i beni loro, e’ Guelfi di Lucca che gli s’aveano apropiati non gli voleano rendere, per lo detto Uguiccione tradimento fu ordinato in Lucca cogl’Interminelli, che v’erano rimessi, e con Quartigiani e Pogginghi e Onesti. E subitamente a dì XIIII di giugno nel detto anno, la terra sì misono a romore, combattendo insieme, e giugnendo Uguiccione a le porte co’ Pisani e loro isforzo per la detta parte, gli fu data la postierla del Prato. Onde entrò nella terra con sua gente il vicaro del re Ruberto, messer Gherardo da Sa·Lupidio de la Marca, e gli altri Guelfi di Lucca male in accordo e peggio forniti di cavalieri e di gente; e bene ch’avessono mandato per soccorso a’ Fiorentini, i quali già venuti a Fucecchio, ma il loro soccorso fu tardi, perché Uguiccione co’ Pisani aveano corsa la terra. Per la qual cosa il vicaro del re Ruberto e gli altri Guelfi non potendo resistere, uscirono di Lucca e vennonne a Fucecchio, e a Santa Maria a Monte, e l’altre castella del Valdarno, e la città di Lucca per gli Pisani e’ Tedeschi fu corsa e spogliata d’ogni ricchezza, che per VIII dì durò la ruberia così agli amici come a’ nemici, pur chi più avea forza, con molti micidii e incendii. E oltre a·cciò il tesoro della Chiesa di Roma, che ’l cardinale messer Gentile da Montefiore de la Marca avea per comandamento del papa tratto di Roma e di Campagna e del Patrimonio, e avevalo lasciato in San Friano di Lucca, per lo detto Uguiccione e sue masnade tedesche, e per gli Pisani tutto fu rubato e portato in Pisa. E non si ricorda di gran tempi passati che una città avesse una sì grande aversità e perdite per parte che vi rientrasse com’ebbe la città di Lucca d’avere e di persone.

LXI Come messer Piero fratello del re Ruberto venne in Firenze per signore.

Nel detto anno e mese di giugno i Fiorentini avendo novelle della perdita di Lucca, furono molto crucciosi e scommossi, e già avendo dinanzi gl’indizii, s’erano mossi al soccorso, ma giunsono tardi, ché Uguiccione co’ Pisani erano più vicini, e prima fornirono d’avere Lucca. I Fiorentini, essendo perduta Lucca, presono poi le castella di Valdarno che ancora si teneano a parte guelfa, ciò furono Fucecchio, Santa Maria a Monte, Montecalvi, Santa Croce, e Castello Franco, e Montetopoli; e in Valdinievole, Montecatini e Montesommano; ma Serravalle, in su la perdita di Lucca, per nigrigenza e avarizia de’ Pistolesi, non volendo spendere CCC fiorini d’oro per dare a le masnade che ’l teneano, dagli usciti di Pistoia fu preso; e così Toscana apparecchiata a grande guerra per la rivoluzione della città di Lucca. I Fiorentini mandarono incontanente in Puglia al re Ruberto che mandasse loro uno de’ frategli con gente a cavallo e per loro capitano. Il re Ruberto sanza in dugio mandò a·fFirenze messer Piero suo minore fratello, giovane molto grazioso e savio e bello, con CCC uomini di cavallo, e con savio consiglio di suoi baroni; e giunse in Firenze a dì XVIII d’agosto del detto anno: da’ Fiorentini fu ricevuto a grande onore come loro signore, dandoli del tutto la signoria della città, e faceva i priori e tutti gli uficiali di Firenze. E fu sì grazioso apo i Fiorentini, che se fosse vivuto, per gli più si dice che’ Fiorentini l’avrebbono fatto loro signore a vita.

LXII Come il re Ruberto andò con grande stuolo sopra Cicilia, e assediò la città di Trapali.

Nel detto anno MCCCXIIII il re Ruberto per vendicarsi di don Federigo di Cicilia che alla venuta dello ’mperadore gli avea rotta pace, e allegatosi co·llui, e prese le sue terre in Calavra, sì fece una grande armata a Napoli, che tra di Proenza e di Puglia e de·Regno e Genovesi armò CXX galee, e tra uscieri e legni grossi da portare cavagli e arnesi d’oste presso di C, sì che CC e più legni a gabbia fu lo stuolo, e con MM cavalieri e gente a piè senza numero. Egli in persona col prenze Filippo e con messer Gianni suoi fratelli si partirono di Napoli col detto stuolo del mese d’agosto del detto anno, e puose in Cicilia a Castello a Mare, e per forza l’ebbe; e poi a la città di Trapali puose l’assedio per mare e per terra, e quella credendosi di presente avere per trattati fatti prima ch’e’ si movesse, da’ cittadini di Trapali ingannato tue, che sotto i detti trattati fatti fare a posta di don Federigo fu tanto lo ’ndugio della partita del re Ruberto, ch’egli fornì Trapali di gente e di vittuaglia, e rafforzò la città per modo che per battaglia, che più e più ve ne diè il re Ruberto, no·lla potéo avere: e per lungo stallo e male tempo di pioggia, e l’oste mal fornita di vittuaglia per lo tempo contrario, grande infermeria e mortalità fu nell’oste. Il re Ruberto veggendo non potea avere la città, né combattere non volea don Federigo co·llui in mare né in terra, fatta fu triegua per tre anni tra·lloro, e così si partì il re Ruberto con sua oste assai peggiorato, e sanza nulla aquistare: di là tornò in Napoli il dì di calen di gennaio, anno MCCCXIIII, e più galee delle sue afondarono in mare colla gente, perch’erano state nuove e non riconce in sì lungo soggiorno.

LXIII Come i Padovani furono sconfitti a Vincenza da messer Cane della Scala.

Nel detto anno MCCCXIIII, dì XVIII di settembre, essendo i Padovani con tutto loro isforzo, andarono a Vincenza, e presono i borghi, e assediavano la terra. Messer Cane signore di Verona subitamente venne in Vincenza con poca gente assalì i Padovani; e eglino male ordinati, confidandosi de la presa de’ borghi, sì furono sconfitti, e molti di loro presi e morti.

LXIV Come i Fiorentini feciono pace cogli Aretini.

Nel detto anno MCCCXIIII, a dì XXVIII di settembre, i Fiorentini e’ Sanesi e tutta la lega di parte guelfa di Toscana feciono pace cogli Aretini per mano di messer Piero figliuolo del re Carlo in Firenze, ch’abitava in casa i Mozzi a capo del ponte Rubaconte.

LXV Come apparve una stella commeta in cielo.

Nel detto anno MCCCXIIII apparve una commeta di verso settantrione quasi a la fine del segno de la Vergine, e durò più di VI semmane, e secondo che dissono gli astrologi, significò molte novità e pestilenze ch’appresso furono, e la morte del re di Francia e di suoi figliuoli, che morirono poco appresso.

LXVI Della morte di Filippo re di Francia e di suoi figliuoli.

Nel detto anno MCCCXIIII, del mese di novembre, il re Filippo re di Francia, il quale avea regnato XXVIIII anni, morì disaventuratamente, che essendo a una caccia, uno porco salvatico gli s’atraversò tra gambe al cavallo in su ch’era, e fecelne cadere, e poco appresso morì. Questi fu de’ più belli uomini del mondo, e de’ maggiori di persona, e bene rispondente ogni membro, savio da·ssé e buono uomo era, secondo laico, ma per seguire suoi diletti, massimamente in caccia, sì non disponea le sue virtù al reggimento del reame, anzi le commettea in altrui, sicché le più volte si reggea per male consiglio, e quello credea troppo, onde assai pericoli recò al suo reame. Questi lasciò III figliuoli: Luis re di Navarra, Filippo conte di Pettieri, e Carlo conte de la Marcia. Tutti questi furono in poco tempo l’uno appresso l’altro re di Francia, succedendo l’uno a l’altro per morte. E poco innanzi che il re Filippo loro padre morisse, avenne loro grande e vituperevole isventura, che le mogli di tutti e tre si trovarono in avolterio; e sì erano ciascuno di loro de’ più begli Cristiani del mondo. La moglie de·re Luis fu figliuola del duca di Borgogna. Questi quando fu re di Francia la fece strangolare con una guardanappa, e poi prese a moglie la reina Crementa, figliuola che fu di Carlo Martello figliuolo del re Carlo secondo. La seconda e la terza donna di loro furon serocchie e figliuole del conte di Borgogna, e rede della contessa d’Artese. Filippo conte di Pettieri per disdette de la sua, e che l’amava molto, la si ritolse per buona e per bella: Carlo conte della Marcia, mai non rivolle la sua, ma la tenne in pregione. Questa sciagura si disse ch’avenne loro per miracolo, per lo peccato regnato in quella casa di prendere a moglie loro parenti, non guardando grado, o forse per lo peccato commesso per lo loro padre della presura di papa Bonifazio, come il vescovo d’Ansiona profetizzò, secondo dicemmo addietro.

LXVII Della lezione che fu fatta in Alamagna di due imperadori, l’uno il dogi di Baviera, e l’altro quello d’Osteric.

Nel detto anno MCCCXIIII per li prencipi de la Magna fu fatta lezione di due re de la Magna. L’uno fu il fratello del dogi di Baviera chiamato Lodovico, uomo valoroso e franco. Questi ebbe più boci, ciò fu quella dell’arcivescovo di Maganza e di quello di Trievi, e quella del re Giovanni di Buemmia e del dogio di Sassogna, e quella del marchese di Brandimborgo. Federigo d’Osteric ebbe quella dell’arcivescovo di Cologna e quella del dogio di Baviera nimico del fratello. Queste ebbe certe, e ebbe quella del dogio di Chiarentana, il quale dicea dovea essere re di Boemmia di ragione, perch’avea per moglie la prima figliuola di Vincislao reda. E ebbe la boce d’uno de’ marchesi di Brandimborgo, che dicea ch’era di ragione marchese, ma non possedea. Ma Lodovico più presso era di ragione imperadore, se non che ’l dogio di Baviera suo fratello per promessione fatta diè la sua boce co’ detti altri lettori a Federigo dogio d’Osteric, de la quale isvariata lezione grande scandalo surse in Alamagna tra l’uno eletto e l’altro, e tra ’l dogio di Baviera e Lodovico eletto suo fratello, e più assembramenti e guerre ebbe tra·lloro.

LXVIII Come Uguiccione signore di Pisa fece gran guerra a le terre vicine.

Nell’anno MCCCXIIII, avendo Uguiccione da Faggiuola co’ Pisani e’ Tedeschi presa la città di Lucca, come adietro è fatta menzione, tutte le castella che’ Lucchesi aveano de’ Pisani possedute infino al tempo del conte Ugolino rendé al Comune di Pisa, de le quali i Pisani feciono disfare Asciano e Cuosa, e Castiglione di Valdiserchio, e Nozzano, e ’l ponte a Serchio, e ritennero il castello di Ripafratta, il Mutrone, e ’l Viereggio di su la marina, e Rotaia, e ’l borgo di Serrezzano. E in questo medesimo tempo e nel caldo di tanta vittoria il detto Uguiccione colla masnada de’ Tedeschi cavalcando sovente sopra i Pistolesi infino a Carmignano, e sopra i Volterrani, e per tutta Maremma, e sopra Samminiato, e per assedio ebbe il castello di Cigoli e di più altre loro castella, e molto gli affrisse, e poi si puose ad asedio a Montecalvi, che ’l tenevano i Fiorentini: per non essere soccorso si rendéo a Uguiccione e a’ Pisani, salve le persone.

LXIX Come coronato il re Luis di Francia, andò ad oste sopra i Fiaminghi, ma niente v’aquistò.

Nell’anno MCCCXV, il dì di san Giovanni Batista di giugno, Luis si coronò re di Francia colla reina Crementa sua moglie. Incontanente che fu coronato, fece bandire oste sopra i Fiamminghi, rompendo triegue e pace che il re Filippo suo padre avea fatte co·lloro; e in persona con tutta la baronia di Francia, in numero di Xm o più cavalieri e popolo innumerabile, andò in Fiandra, e puosesi a campo a Coltrai. Il conte Ruberto di Fiandra co’ suoi Fiamminghi gli vennono a lo ’ncontro a Coltrai per combattere co·llui. Come piacque a Dio, del mese d’agosto cadde tanta piova (e ’l paese di Fiandra è come marese), che ’l carreggio che apportava la vittuaglia a l’oste de’ Franceschi non potea uscire di cammino, e le tende e’ padiglioni de la detta oste sì circondati d’acque e di pantano, che non poteva appena andare l’uomo dall’uno padiglione a l’altro; sì che per lo difetto de la vittuaglia, e per lo guastamento del campo, convenne che il re di Francia si partisse da oste del mese di settembre, con vergogna e con gran dammaggio quasi di tutti i loro arnesi. E poi il detto conte di Fiandra con sua oste andò infino a Cassella e Santo Mieri per assediare la terra, e se non che quegli de le buone ville non vollono più vergogna fare al re, elli avrebbono potuto correre tutto Artese sanza contasto neuno.

LXX Come Uguiccione signore di Lucca e di Pisa fece porre l’assedio al castello di Montecatini.

Nel detto anno Uguiccione da Faggiuola co la forza delle masnade de’ Tedeschi, signore al tutto di Pisa e di Lucca, trionfando per tutta Toscana, fece porre oste e assedio a Montecatini in Valdinievole, il quale teneano i Fiorentini dopo la perdita di Lucca, e quello guernito di buona gente, con battifolli fu molto distretto, sì che gran difetto aveano di vittuaglia. I Fiorentini mandato nel Regno per lo prenze Filippo di Taranto fratello del re Ruberto, per contastare la rabbia d’Uguiccione e de’ Pisani e de’ Tedeschi, quegli venne a Firenze dì XI di luglio, con Vc cavalieri al soldo de’ Fiorentini con messer Carlo suo figliuolo contra voglia del re Ruberto, conoscendo il suo fratello per più di testa che savio, e con questo non bene aventuroso di battaglie, ma il contradio; e se’ Fiorentini avessono voluto più indugiare, il re Ruberto mandava a Firenze il duca suo figliuolo con più ordine e con più consiglio e migliore gente: ma la fretta de’ Fiorentini, co lo studio della contradia fortuna, gli fece pure volere il prenze, onde a·lloro seguì grande dammaggio e disinore.

LXXI Come il prenze di Taranto venuto in Firenze, i Fiorentini uscirono ad oste per soccorrere Montecatini, e furono sconfitti da Uguiccione de la Faggiuola.

Venuto il prenze di Taranto e ’l figliuolo in Firenze, Uguiccione con tutto suo isforzo di Pisa e di Lucca, e del vescovo d’Arezzo, e de’ conti da Santa Fiore, e di tutti i Ghibellini di Toscana e usciti di Firenze, e con aiuto de’ Lombardi da messer Maffeo Visconti e da’ figliuoli, il quale Uguiccione fue con novero di XXVc e più di cavalieri, e popolo grandissimo, venne all’assedio del detto castello di Montecatini. I Fiorentini per quello soccorrere raunarono grande oste, richeggendo tutta loro amistà: vi furono Bolognesi, Sanesi, Perugini, de la Città di Castello, d’Agobbio, e di Romagna, e di Pistoia, di Volterra, e di Prato, e di tutte l’altre terre guelfe e amici di Toscana, in quantità, co la gente del prenze e di messer Piero, di XXXIIc di cavalieri, e gente a piè grandissima, e partirsi di Firenze dì VI d’agosto. E venuta la detta oste de’ Fiorentini e del prenze in Valdinievole a la ’ncontra di quella d’Uguiccione, più dì stettono affrontati, il fossato della Nievole in mezzo, con più assalti e badalucchi. I Fiorentini con molti capitani e con poca ordine i nemici aveano per niente; Uguiccione e sua gente con tema grande, e per quella faceano grande guardia e savia condotta. Uguiccione avendo novelle che i Guelfi delle sei migliaia del contado di Lucca per sodduzione de’ Fiorentini venieno verso Lucca, e già aveano rotta la scorta e la strada onde venia la vittuaglia a l’oste d’Uguiccione, prese per consiglio di levarsi dall’assedio, e di notte si ricolse, e fece ardere i battifolli, e venne con sua gente schierata in sul congiugnimento dello spianato dell’una oste e dell’altra, a intenzione, se ’l prenze e sua oste non si dilungasse, di valicare e andarsene a Pisa; e se ’l volessono contrastare, d’avere l’avantaggio del campo, e di prendere la ventura della battaglia. Il prenze e’ Fiorentini e loro oste veggendo ciò, in sul giorno si levarono da campo, e istendero loro padiglioni e arnesi, e ’l prenze malato di quartana, con poca provedenza non tenendo ordine di schiere per lo sùbito e improviso levamento di campo, s’affrontarono con i nimici, credendogli avere in volta. Uguiccione veggendo non potea schifare la battaglia, fece assalire le guardie dello spianato, ch’erano i Sanesi e’ Colligiani e altri, a’ suoi feditori intorno di CL cavalieri, ond’era capitano col pennone imperiale messer Giovanni Giacotti Malespini rubello di Firenze, e ’l figliuolo d’Uguiccione, e quegli Sanesi e Colligiani sanza contrasto ruppero e trascorsono infino a la schiera di messer Piero ch’era colla cavalleria de’ Fiorentini. Quivi i detti feditori furono rattenuti, e quasi tutti tagliati e morti, e rimasevi morto il detto messer Giovanni, e ’l figliuolo d’Uguiccione e loro compagnia, e abattuto il pennone imperiale, con molta buona e franca gente.

LXXII Ancora de la detta battaglia e sconfitta de’ Fiorentini e del prenze.

Essendo cominciato l’assalto, e Uguiccione veduto il male sembiante di fuggire che feciono i Sanesi e’ Colligiani per la percossa de’ suoi feditori, incontanente fece fedire la schiera de’ Tedeschi, ch’erano da VIIIc cavalieri e più, e quegli rabbiosamente assalendo la detta oste male ordinata, che per la sùbita levata gran parte de’ cavalieri non erano armati di tutte loro armi, e’ pedoni male in ordine, anzi al fedire che feciono i Tedeschi di costa, i gialdonieri lasciarono cadere le loro lance sopra i nostri cavalieri, e misonsi in fugga; la quale intra l’altre fu gran cagione della rotta dell’oste de’ Fiorentini, che la detta schiera de’ Tedeschi pignendo innanzi gli misono in volta con poco ritegno, salvo dalla schiera di messer Piero e de’ Fiorentini, che assai sostennono; a la perfine furono sconfitti. Ne la quale battaglia morì messer Piero fratello del re Ruberto, e non si ritrovò mai il corpo suo; e morìvi messere Carlo figliuolo del prenze, e ’l conte Carlo da Battifolle, e messer Caroccio e messer Brasco d’Araona conostaboli de’ Fiorentini, uomini di gran valore; e di Firenze vi rimasono quasi di tutte le grandi case e di grandi popolari, in numero di CXIIII tra morti e presi cavalieri delle cavallate, e di Siena, di Bologna, e di Perugia e dell’altre terre di Toscana e di Romagna pur de’ migliori; ne la qual battaglia furono di tutte genti morti tra uomini a cavallo e a piede da IIm e presi da MD. Il prenze con tutta l’altra gente si fuggì, chi verso Pistoia, e chi verso Fucecchio, e chi per la Cerbaia, onde molti capitando a’ pantani della Guisciana, del sopradetto numero de’ morti sanza colpi annegarono assai. Questa dolorosa sconfitta fu il dì di santo Giovanni dicollato, dì XXVIIII d’agosto MCCCXV. Fatta la detta sconfitta, il castello di Montecatini s’arrendéo a Uguiccione, e ’l castello di Montesommano, i quali teneano i Fiorentini; e quegli che dentro v’erano se n’andarono sani e salvi per patti.

LXXIII Come Vinci e Cerreto Guidi si rubellarono a’ Fiorentini.

Come la detta sconfitta fu fatta, i signori d’Anghiano rubellarono dal Comune di Firenze il loro castello di Vinci, e Baldinaccio degli Adimari rubello di Firenze rubellò il castello di Cerreto Guidi di Greti; e fuggendo i Fiorentini e gli altri de la detta sconfitta, ne presono e rubarono assai; e poi per più tempo fatta compagnia con Uguiccione, e poi con Castruccio di Lucca, grande guerra feciono al contado di Firenze in quella contrada, e più volte vi furono rotti e ricevettono danno i soldati di Firenze e que’ d’Empoli, e di Pontormo, e del paese per le masnade de’ Tedeschi di Lucca. A la fine per patti e per danari essendo tratto di bando Baldinaccio e altri, con vergogna del Comune di Firenze, renderono le dette castella a’ Fiorentini.

LXXIV Come il re Ruberto mandò in Firenze per capitano il conte Novello.

Nel detto anno i Fiorentini per la detta sconfitta non isbigottiti, ma vigorosamente la loro città di Firenze riformarono e d’ordini e di forza di gente d’arme e di moneta, e steccarsi i fossi per la loro difensione, e mandarono al re Ruberto per uno capitano di guerra, il quale sanza indugio mandò a·fFirenze il conte d’Andria e di Montescaglioso detto conte Novello de la casa del Balzo, con CC cavalieri; e costì stettono al riparo della fortuna d’Uguiccione sanza perdere stato o signoria o castello o altra tenuta, onde i Ghibellini e usciti di Firenze si trovarono ingannati, che si credeano avere vinta la terra fatta la sconfitta: ed e’ fu il contradio, che già per ciò non fu il danno sì grande, che essendo in Firenze, paresse v’avesse mai avuta sconfitta, non lasciando gli artefici di fare i loro lavori continuo.

LXXV Come Uguiccione fece tagliare la testa a Banduccio Bonconti e al figliuolo, grandi cittadini di Pisa.

Nell’anno MCCCXVI, del mese di marzo, trionfando Uguiccione della detta vittoria, e avendo la signoria di Pisa e di Lucca, volendo come tiranno al tutto dominare sanza contasto, fece pigliare in Pisa Banduccio Bonconti e ’l figliuolo, uomo di grande senno e autoritade, e molto creduto da’ suoi cittadini, perché per bene del suo Comune contrastava a la sua tirannia, gli fece subitamente dicapitare, opponendo loro falsamente che teneano trattato col re Ruberto; onde i Pisani forte s’indegnarono contra Uguiccione, ma per la sua forza e signoria nullo l’ardiva a contastare. Facciamne menzione per quello che·nn’avenne poi.

LXXVI Come i Fiorentini si divisono tra·lloro per sette, e feciono bargello.

Nel detto anno MCCCXVI i Fiorentini volendosi fortificare e riparare a la forza d’Uguiccione, mandarono in Francia ambasciadori e sindachi per fare venire per loro capitano messer Filippo di Valos figliuolo di messer Carlo di Francia con VIIIc cavalieri franceschi, il quale per la turbazione della morte del re Luis di Francia suo cugino non venne; e ancora v’ebbe sturbo e difetto per le sette che nacquero grandissime tra’ Fiorentini, che l’una parte de’ Guelfi amavano la signoria de·re Ruberto e de’ Franceschi, e gli altri il contradio e’ voleano; e mandarono in Alamagna per lo conte di Liutimberghe perché menasse Vc cavalieri tedeschi, e simigliante non vennero, e volentieri avrebbono tolta la signoria data al re Ruberto. Onde in Firenze si cominciò grande scisma e parte tra’ Guelfi; e dell’una parte che disamavano la signoria del re Ruberto erano capo messer Simone della Tosa con certi grandi, e’ Magalotti con certi popolari, i quali al tutto co·lloro isforzo e séguito signoreggiavano la terra; e se non fosse per la tema d’Uguiccione, certamente la parte del re Ruberto n’avrebbono cacciata fuori della città; e mandarne il conte Novello con sua gente, che non era ancora dimorato in Firenze che IIII mesi capitano di guerra, e dovea dimorare uno anno: e sì era in Firenze vicaro in luogo di podestà e capitano per lo re Ruberto, ma poco podere v’avea, però che la setta contraria aveano la forza e signoria del priorato e degli altri offici e ordini de la terra. E per meglio signoreggiare la terra ed essere più temuti, la detta setta reggente criò e fece uno bargello ser Lando d’Agobbio, uomo carnefice e crudele; e il dì di calen di maggio MCCCXVI gli diedono il gonfalone e la signoria; il quale continuo stava con Vc fanti armati con mannaie a piè del palagio de’ priori, e subitamente mandava pigliando Ghibellini e rubelli e loro figliuoli e altri cui gli piacea di fatto, in città e in contado, e sanza giudicio ordinale di fatto gli facea a’ suoi fanti tagliare colle mannaie; e così fece a’ cherici sacri della casa degli Abati, e a uno giovane innocente della casa de’ Falconieri, e a più altri di basso affare; onde il comune popolo di Firenze isbigottiti della guerra di fuori d’Uguiccione, e de la tirannesca e crudele signoria d’entro, ciascuno vivea in paura, così i Guelfi come i Ghibellini, i quali non erano di quella setta, e la città era caduta in pessimo stato; se non che Idio vi provide con corto rimedio, come innanzi farà menzione.

LXXVII Come si murarono parte delle mura di Firenze, e fecesi una mala moneta.

Nel detto anno e tempo, sotto la signoria del detto bargello, in Firenze si compierono di murare le mura dal prato d’Ognesanti a San Gallo, e fecesi una moneta falsa in Firenze, ch’era quasi tutta di rame bianchita d’ariento di fuori, e contavasi l’uno danari VI, che non valea danari IIII, e chiamarsi bargellini: fu molto biasimata per gli buoni uomini.

LXXVIII Come Uguiccione da Faggiuola fu cacciato della signoria di Pisa e di Lucca, e come Castruccio di prima ebbe la signoria di Lucca.

Nel detto anno MCCCXVI, dì X d’aprile, essendo in Lucca per signore il figliuolo d’Uguiccione da Faggiuola, Castruccio della casa degl’Interminelli (non perciò de’ migliori della casa, ma era di grande ardire e séguito), avendo fatto in Lunigiana certe ruberie e micidi contra volontà d’Uguiccione, preso fu in Lucca dal figliuolo d’Uguiccione per giustiziare. Quelli per la forza de’ suoi consorti e séguito non l’osava né ardia a·ffare: mandò per Uguiccione suo padre, e egli venne a Lucca con parte di sua cavalleria per seguire la detta giustizia. Sì tosto come fu in sul Monte San Giuliano, il popolo di Pisa si levò a romore per soperchi ricevuti, e per la morte di Banduccio Bonconti e del figliuolo, onde forte s’erano gravati della signoria d’Uguiccione, onde fu capo Coscetto dal Colle franco popolare, e corsono con arme e con fuoco al palagio ove stava Uguiccione e sua famiglia, gridando: «Muoia il tiranno d’Uguiccione»; e così rubarono e uccisono tutta sua famiglia, e rimutaro stato nella terra, e feciono loro signore il conte Gaddo de’ Gherardeschi, uomo savio e di gran podere. Uguiccione trovandosi in Lucca, quasi la terra scommossa per rubellarsi contra lui per la cagione di Castruccio, e avendo novelle da Pisa che’ Pisani s’erano rubellati, per paura si partì egli e ’l figliuolo e sua gente, e andarsene verso Lombardia nelle terre del marchese Spinetta, e poi a Verona a messer Cane della Scala. Castruccio scampato, a grido fu fatto signore di Lucca per uno anno, coll’aiuto e favore di messer Pagano di Quartigiani, Pogginghi, e Onesti, e con patto che ’l detto messer Pagano fosse signore in contado, e compiuto l’anno, scambiare la signoria. Ma Castruccio per essere al tutto signore, gli colse cagione, e cacciollo di Lucca e del contado; e tali sono i meriti de’ tiranni. E così in picciolo tempo a Uguiccione fu mutata la fortuna, e l’una città e l’altra tratta de la sua tirannica signoria. Questo fu il guidardone che lo ’ngrato popolo di Pisa rendé a Uguiccione da Faggiuola, che gli avea vendicati di tante vergogne, e racquistate loro tutte loro castella e dignità, e rimisigli nel maggiore stato, e più temuti da’ loro vicini che città d’Italia.

LXXIX Come il conte da Battifolle fu vicario in Firenze, e caccionne il bargello, e mutòe stato in Firenze.

Nel detto anno MCCCXVI gran parte de’ Guelfi grandi e popolani di Firenze ch’aveano data la signoria al re Ruberto, i quali erano gran parte di tutte le maggiori schiatte de la terra, e co·lloro quasi tutti i mercatanti e artefici, parea loro male stare per la signoria del bargello, segretamente si dolfono per lettere e ambasciadori al re Ruberto, e richiesollo ch’egli facesse vicario di Firenze il conte Guido da Battifolle; il quale dal re fu accettato e fatto. E ’l detto conte del mese di luglio del detto anno venne a Firenze, e prese la signoria per lo re. L’altra setta che signoreggiava la città nel priorato, che non amavano la signoria del re Ruberto, volentieri l’avrebbero contastato; ma il conte da Battifolle era sì Guelfo e sì possente vicino, che no·ll’ardirono a contastare a la sua venuta in Firenze. Ma poco pote’ aoperare i·lloro contradio per la sua signoria, per la forza del bargello, e perché tutti e VII i priori e gonfaloniere erano di quella setta, e’ gonfalonieri delle compagnie dell’arti di Firenze. Ma avenne in quello tempo che la figliuola del re Alberto de la Magna, serocchia del dogio d’Osteric, andava a marito a Carlo duca di Calavra figliuolo del re Ruberto, e passò per Firenze: incontro per acompagnarla venne l’arcivescovo di Capova cancelliere del re, e messer Gianni fratello del re Ruberto, e ’l conte camerlingo, e ’l conte Novello con cavalieri in numero di CC. Venuti in Firenze, per lo conte da Battifolle vicario del re, e per gli altri cittadini ch’amavano la sua signoria, si dolfono a quegli signori della signoria del bargello, e mostrarono com’era contra l’onore e stato del re; onde avenne che si tramisono d’accordo e per parole e per minacce che’ Guelfi si raccomunassono insieme de la signoria, e convenne che si facesse; sì che a la lezione de’ priori, che venia in mezzo ottobre, che VII erano già fatti di quella setta che reggea la città, convenne che VI altri de la parte del re s’agiugnessono a quegli. E come quegli signori furono co la donna a Napoli, e fatto asapere al re lo stato di Firenze e la signoria del bargello, incontanente mandò il re a Firenze che la detta signoria s’abbattesse, e ’l bargello più non fosse; e così fu fatto. E partissi il bargello di Firenze del mese d’ottobre MCCCXVI, però che la parte del re col podere del conte da Battifolle vicario avea già sì presa forza, che non che di disfare l’oficio del bargello, ma la seguente lezione de’ XIII priori furono quasi tutti de la parte ch’amavano la signoria del re; e così al tutto il conte da Battifolle con quella parte rimasono signori, e si mutò stato in Firenze sanza nulla altra turbazione o cacciamento di genti. La quale gente di vero tennero la città in assai pacifico e tranquillo stato più tempo appresso, onde la città s’avanzò e migliorò assai; e per lo detto conte da Battifolle vicario s’ordinò e cominciò e fece gran parte del palagio nuovo ove sta la podestà. E nel detto anno, del mese di gennaio, a la signoria del detto conte nacque al Terraio in Valdarno uno fanciullo con due corpi così fatto, e fu recato in Firenze, e vivette più di XX dì; poi morì a lo spedale di Santa Maria della Scala, l’uno prima che l’altro: e volendo essere recato vivo a’ priori ch’allora erano, per maraviglia non vollono ch’entrasse in palagio, recandolsi a pianta e sospetto di sì fatto mostro, il quale secondo l’oppenione degli antichi ove nasce era segno di futuro danno.

LXXX Conta di grande fame e mortalità ch’avenne oltremonti.

Nel detto anno MCCCXVI grande pestilenzia di fame e mortalità avenne nelle parti di Germania, cioè nella Magna di sopra verso tramontana, e stesesi in Olanda, e in Frisia, e in Silanda, e in Brabante, e in Fiandra, e in Analdo, e infino ne la Borgogna, e in parte di Francia; e fu sì pericolosa, che più che ’l terzo de la gente morirono, e da l’uno giorno a l’altro quegli che parea sano era morto. E ’l caro fu sì grande di tutte vittuaglie e di vino, che se non fosse che di Cicilia e di Puglia vi si mandò per mare per gli mercatanti per lo grande guadagno, tutti morieno di fame. Questa pestilenzia avenne per lo verno dinanzi, e poi la primavera e tutta la state fu sì forte piovosa, e ’l paese è basso, che l’acqua soperchiò e guastò ogni sementa. Allora le terre affogarono sì, che più anni appresso quasi non fruttarono, e corruppe l’aria. E dissono certi astrolaghi che la cometa ch’aparve dinanzi nel MCCCXIIII fu segno di quella pestilenzia, ch’ella dovea venire perché la sua infruenzia fu sopra quegli paesi. E in quello tempo la detta pestilenzia contenne simigliante in Romagna e in Casentino infino in Mugello.

LXXXI Della lezione di papa Giovanni XXII.

Giovanni XXII, nato di Caorsa di basso affare, sedette papa anni XVIII, mesi II e dì XXVI. Questi fu eletto dì VII d’agosto MCCCXVI in Vignone da’ cardinali, essendo stata vacazione bene di due anni, e tra·lloro in grande discordia, però che’ cardinali guasconi, ch’erano una gran parte del collegio, voleano la lezione in loro, e gli cardinali italiani e franceschi e provenzali non aconsentieno, sì erano stati a punto del Guascone. Dopo la molta contesa, quasi come in mezzano, rimisono l’una parte e l’altra le boci in costui, credendosi i Guasconi la rendesse al cardinale di Bidersi ch’era di loro nazione, o al cardinale Pelagrù. Questi con assentimento degli altri Italiani e Provenzali, e per trattato di messer Nepoleone Orsini cardinale, capo di quella setta contro a’ Guasconi, la diede a·ssé medesimo, per ordinato modo secondo i decretali. Questi fue uno povero cherico, e di nazione del padre ciabattiere, e col vescovo d’Arli cancelliere del re Carlo secondo s’allevò, e per sua bontà e sollecitudine essendo in grazia del re Carlo, e a sua spensaria il fece studiare, e poi il re il fece fare vescovo di Vergiù; e morto l’arcivescovo d’Arli messer Piero da Ferriera cancelliere e suo maestro, il re Ruberto il fece in suo luogo cancelliere; e poi con suo studio e sagacità mandando lettere da parte del re Ruberto a papa Chimento di sua raccomandigia, de le quali il re, si disse, non seppe neente; per le quali lettere il detto vescovo di Vergiù fu promutato e fatto vescovo di Vignone, e poi cardinale per lo suo senno e studio; onde il re Ruberto innanzi che fosse cardinale era male di lui, e aveali tolto il suggello, perch’egli avea suggellate le dette lettere in suo favore al detto papa Chimento sanza sua coscienza. Questo papa Giovanni fu coronato in Vignone il dì di santa Maria, dì VIII di settembre, anno MCCCXVI. Poi fu grande amico del re Ruberto, e egli di lui; e per lui fece di grandi cose, come innanzi farà menzione. Questo papa diede compimento al settimo libro de le decretali, il quale avea cominciato papa Clemento, e rinovellò la Pasqua e festa del sagramento del corpo dì Cristo con grandi indulgenzie e perdoni, chi fosse a celebrare gli ufici sacri a ogn’ora, e diè perdono generale a tutti i Cristiani di XL dì per ogni volta che si facesse reverenza quando il prete nominasse Gesù Cristo; questo fece poi nell’anno MCCCXVIII.

LXXXII Come il re Ruberto e’ Fiorentini feciono pace co’ Pisani e’ Lucchesi.

Nell’anno MCCCXVII, del mese d’aprile, pace fu fatta dal re Ruberto a’ Pisani e Lucchesi, e simigliante la fece fare il detto re a’ Fiorentini e Sanesi e Pistolesi, e tutta la lega di parte guelfa di Toscana; e con tutto che per gli Guelfi malvolentieri si facesse per la sconfitta ricevuta da·lloro, e dando biasimo al re Ruberto di viltà, sì ’l fece per gran senno e provedenza, e per pigliare lena e forza per sé e per gli Fiorentini, e non urtare co’ nimici a la fortuna de la loro vittoria, e per altri maggiori intendimenti, come innanzi farà menzione. I patti ebbe il re da’ Pisani che quando facesse generale armata, gli darebbono V galee armate, o la moneta che costassono, e volle facessono in Pisa una cappella e spedale per l’anime de’ morti a la sconfitta da Montecatino a perpetua memoria; e ancora di questo fu ripreso, e lo re la fece fare a gran provedenza. I Fiorentini ebbono patti d’essere liberi e franchi in Pisa, e le castella che aveano si tenessono; e tornarono i pregioni in Firenze dì XXVIIII di maggio: furono XXVIII tra cittadini e contadini nobili e buoni popolani, sanza più altri, minuta gente e contadini. E la detta pace co’ Pisani non avrebbe avuto effetto con tutto il podere del re Ruberto, però che’ Pisani in nulla guisa voleano fare franchi i Fiorentini in Pisa, né altri patti domandati, parendo loro, com’erano, al di sopra de la guerra con vittoria, se non fosse adoperato per gli Fiorentini una bella e sottile maestria di guerra per l’uficio passato de’ priori, intra’ quali avea di savi e discreti uomini, della quale è bene da fare notevole memoria per assempro di quegli che sono a venire. Essendo, come detto è dinanzi, rinnovato lo stato in Firenze per la signoria del conte a Battifolle, e era ancora molto tenero, e avendo la guerra di Pisa e di Lucca, non erano in sicuro stato, sì usarono questa savia disimulazione: ch’eglino elessono XIIII buoni uomini popolani, e rinchiusogli nell’opera di Santo Giovanni, e commisono loro che facessono nuove gabelle, e delle vecchie radopiassono, sì che il Comune avesse d’entrata Dm di fiorini d’oro l’anno, o più; e di questo ordine si diede la boce per la cittade, e di mandare in Francia per uno de’ reali, figliuolo o nipote del re, per capitano con M cavalieri franceschi. E questa providenza fu commessa per lo conte e per tutto l’uficio de’ priori in Alberto del Giudice, uomo di grande autoritade, con Donato Acciaiuoli, e co·noi, che tutti e tre eravano di quello collegio, e fune dato il suggello del Comune e piena autorità con giurata credenza. Incontanente per gli detti furono fatte fare lettere da parte del Comune al re di Francia e a messer Carlo suo fratello, pregandogli per bene e stato di santa Chiesa e di parte guelfa, e riparare la venuta di nuovo imperio, ci mandassono uno de’ loro figliuoli con M cavalieri al nostro soldo; e ordinossi colle compagnie di Firenze ch’aveano affare in Francia, che facessono lettere di pagamento di LXm fiorini d’oro, per dare per arra e fare la promessa de’ gaggi a Carlo; e scrissesi al papa e a più de’ suoi cardinali amici del nostro Comune ch’eglino iscrivessono e confortassono lo re e messer Carlo di questa impresa. Fatte le dette lettere, ebbono uno fidato corriere francesco, e ordinarono ch’andasse a Parigi per la via di Vignone, ov’era il papa, in XV dì per lo cammino di Pisa; e disparte s’ordinò sagretamente per quegli ch’era sopra le spie ch’una spia fidata gli facesse compagnia a condurlo per Pisa. E come furono in Pisa, com’era temperato, la detta spia scoperse al conte e agli anziani del detto corriere, il quale feciono pigliare colle dette lettere, e quelle aperte e lette, s’ammirarono forte dell’ordine impresa, sì grande per lo nostro Comune, e di tanta entrata di gabelle: consigliaro che per loro non facea di mantenere la guerra, potendo avere pace; e con tutti i loro vizii, credendoci avere ingannati per la presa delle dette lettere, rimasono ingannati; e di presente mandarono al nostro Comune che rimandassono i loro ambasciadori trattatori della pace a Montetopoli, e i loro verrebbono a Marti; e così fu fatto. E innanzi si partissono si diè compimento a la pace, al piacere, e com’era prima domandata per gli Fiorentini: e così si mostra che·lla savia providenza bene guidata e colla credenza, nelle guerre e nell’altre imprese, vince ogni forza e potenzia, e reca a·ffine onorevole ogni gran cosa.

LXXXIII Come i Fiorentini disfeciono la mala moneta, e feciono la buona del guelfo nuovo.

Nel detto anno MCCCXVII i Fiorentini disfeciono la mala moneta bargellina che correa per danari VI l’uno, ed erano di valuta di danari IIII, o meno, e fecionne una da danari XX, che poco valea meglio per bontà d’argento, che poi si disfece quella da XX, non piaccendo al popolo, e feciono la buona moneta del guelfo da danari XXX l’uno, e quella da XV danari di buono argento di lega d’once XI e mezzo di fine. E in quello anno, del mese di luglio, si fondarono in su·ll’Arno la pila del nuovo ponte detto Reale, e feciono le mura da quella torre di su l’Arno infino a la porta di Santo Ambruogio, e quelle di su la riva d’Arno in su l’isola infino al Corso de’ Tintori di costa l’orto di Santa Croce.

LXXXIV Come il re Ruberto mandò sua armata in Cicilia, e fece gran danno.

Nel detto anno essendo fallite le triegue dal re Ruberto a quello di Cicilia, per lo detto re si fece armata in Napoli di LX galee, sanz’altri legni passaggeri, onde fu amiraglio e capitano messer Tommaso di Marzano conte di Squillaci, il quale con XIIc d’uomini a cavallo e gente a piè assai, passò col detto stuolo in Cicilia, e puose a Castello a Mare, e poi per terra n’andò in Valle di Mazara, guastando intorno a Trapali e tutta la contrada, e le galee per mare, e grandissimo danno fece di tutto il formento ch’era a le piagge; poi ritornò co la detta oste per la via da Coriglione a Palermo, e quivi per più giorni dimorò; e tutti i giardini e vigne de la città d’intorno guastò, e le tonnare del porto: d’allora innanzi vennero in queste marine grande abbondanza di tonni, che prima non ce n’avea. E poi se n’andò, per terra i cavalieri, e le galee per mare, infino a Messina, guastando ciò che innanzi gli si trovava, sanza riparo niuno; intorno a Messina stette ad oste più di XV dì, guastando tutte le vigne e’ giardini di Messina. Il re Federigo non ardì di comparire né per terra né per mare; ma si dimorò a Castrogianni con sua oste, per la qual cosa l’isola di Cicilia ricevette in quello anno più di guerra che prima non avea ricevuta dal re Carlo primo, né dal secondo. E dissesi, se il re Ruberto l’avesse continuato l’anno appresso, i Ciciliani non avrebbono durato; ma papa Giovanni volle che triegue fossono per V anni, e la città di Reggio in Calavra e più castella intorno che·re Federigo avea conquistate a la venuta dello ’mperadore Arrigo rimise nelle mani e guardia della Chiesa; la qual triegua il re Ruberto accettò per la ’mpresa ch’avea fatta di Genova per recarla a sua parte, come innanzi farà menzione, e per racquistare le dette terre, le quali riebbe poi in guardia da la Chiesa; onde quello di Cicilia si tenne tradito e ingannato da la Chiesa e dal re Ruberto, però che il re Ruberto le si ritenne in sua signoria.

LXXXV Come Ferrara si rubellò da la Chiesa.

Nel detto anno, a dì IIII d’agosto, i Ferraresi si rubellarono da la signoria de la Chiesa e del re Ruberto, e a romore assalirono e uccisono e presono la sua masnada, ch’erano Catalani a soldo; e poco appresso i marchesi de la casa da Esti se ne feciono signori, come aveano ordinato co’ loro cittadini.

LXXXVI Come Uguiccione da Faggiuola tornava per rientrare in Pisa, e le novità ne furono in Pisa, e di Spinetta marchese.

Nel detto anno MCCCXVII, del mese d’agosto, Uguiccione da Faggiuola coll’aiuto di messer Cane da Verona venne subitamente con gente a cavallo e a piè assai infino in Lunigiana, co la forza e per le terre di Spinetta marchese, il quale intendea di venire a Pisa per certi trattati ch’avea nella città per gente di sua setta; il quale trattato fue scoperto, e a grido di popolo, onde Coscetto dal Colle di Pisa si fece capo: col consiglio del conte Gaddo corsono a furore a casa i Lanfranchi che s’intendeano con Uguiccione, e uccisonne quattro de’ maggiori de la casa, e più di loro mandaro a’ confini, e di loro séguito. Sentendo Uguiccione che non potea fornire la sua impresa, si ritornò in Lombardia a Verona. Castruccio signore di Lucca e nimico d’Uguiccione fece lega col conte Gaddo e co’ Pisani, e col loro aiuto de’ cavalieri andò ad oste sopra Spinetta marchese ch’avea dato il passo a Uguiccione, e tolsegli Fosdinuovo fortissimo castello, e Verruca Buosi, e di tutte sue terre il disertaro; e ’l detto Spinetta si fuggì con sua famiglia a messer Cane della Scala a Verona.

LXXXVII Come la parte ghibellina uscì di Genova.

Nel detto anno MCCCXVII, a dì XI di settembre, essendo la città di Genova in istato di popolo, ma più v’aveano podere i Grimaldi e’ Fiescadori e la loro parte de’ Guelfi che gli Ori e’ Ghibellini; l’una perché il re Ruberto favoreggiava i Guelfi, l’altra perché gli Spinoli ch’erano di parte ghibellina erano nimici di quegli d’Oria, e fuori di Genova alquanti della casa de’ Grimaldi per dispetto preso contra quegli d’Oria feciono tornare in Genova gli Spinoli sotto protesto che stessono a le comandamenta del Comune. Come quegli della casa d’Oria e i loro amici sentirono ciò, sì ebbono sospetto e tema d’essere traditi da’ Guelfi e da’ Grimaldi, e la città ne fu ad arme e a romore; e quegli d’Oria non trovandosi poderosi per lo contradio de’ Guelfi, e eziandio per gli Spinoli ghibellini loro nimici, sì·ssi celarono eglino e’ loro amici sanza comparire in forza d’arme; per la qual cosa i Guelfi presono vigore, e furono a l’arme, e feciono capitani di Genova messer Carlo dal Fiesco e messer Guasparre Grimaldi a dì X di novembre MCCCXVII. Veggendo ciò gli Spinoli ch’erano tornati in Genova, che·lla terra era venuta al tutto a parte guelfa, e conoscendo che ciò era fatto per industria e opera del re Ruberto, incontanente s’accordarono con quegli della casa d’Oria e loro amici ghibellini, e si partirono della città sanza altro cacciamento, onde appresso seguì grande scandalo e guerra, come per innanzi farà menzione, però che·lle dette due case d’Oria e di Spinola erano le più poderose schiatte d’Italia in parte d’imperio e ghibellina.

LXXXVIII Come i Ghibellini di Lombardia assediarono Chermona.

Nel detto anno, a dì XX di settembre, la parte ghibellina di Lombardia, in quantità di CC cavalieri e gente assai a·ppiè, ond’era capitano messer Cane della Scala di Verona, puosono assedio a la città di Chermona, e avendola molto stretta, per forte tempo di piova convenne si partissono dall’assedio, e ancora perché i Bolognesi per fargli levare da Chermona cavalcarono sopra la città di Modona, e guastarla intorno, e fecionvi danno assai.

LXXXIX Come messer Cane della Scala fece oste sopra i Padovani, e tolse loro molte castella.

Nel detto anno, del mese di dicembre, il detto messer Cane con suo isforzo venne a oste sopra i Padovani, e prese Monselici ed Esti, e gran parte di loro castella, e recogli sì al sottile, che ’l febbraio vegnente non possendo contastare, feciono pace come piacque a messer Cane, e promisono di rimettere i Ghibellini in Padova, e così feciono.

XC Come gli usciti di Genova co la forza de’ Ghibellini di Lombardia assediarono Genova.

Ne l’anno MCCCXVIII, essendo usciti di Genova quegli della casa d’Oria e di Spinola col loro séguito, e per loro podere si stavano nella riviera di Genova a le loro posessioni, mandarono loro ambasciadori in Lombardia, e trattato e lega feciono con messer Maffeo Visconti capitano di Milano e co’ figliuoli, e con tutta la lega di Lombardia di parte d’imperio e ghibellina. Per la qual cosa messer Marco Visconti figliuolo del detto messer Maffeo venne di Lombardia con grande oste di gente, Tedeschi e Lombardi a cavallo e a piè, e co’ detti usciti di Genova puosono assedio a la detta città da la parte di Co di Fare e di borghi; e ciò fu a dì XXV di marzo MCCCXVIII; e pochi dì appresso quegli della casa d’Oria coll’aiuto degli altri usciti feciono un’altra oste a la città d’Albingano nella riviera di Genova, e quella ebbono a patti in pochi giorni. Appresso, stante la detta oste a Genova, messer Adoardo d’Oria tenne trattato co l’abao del popolo di Saona, e entrò nella detta città di Saona di notte celatamente, e incontanente colla forza de’ Ghibellini della terra, che la maggiore partita erano di parte imperiale, sì rubellarono la detta terra al Comune di Genova del mese d’aprile; per la qual cosa molto acrebbe la forza agli usciti di Genova, che quasi tutta la riviera di ponente era a·lloro signoria, salvo il castello di Monaco e Ventimiglia e la città di Noli, e nella riviera di levante teneano Lerici.

XCI Come i Ghibellini di Lombardia ebbono Chermona.

Nel detto anno MCCCXVIII, del mese d’aprile, la parte ghibellina di Lombardia co la forza de la gente di messer Cane ebbono la città di Chermona per tradimento, per una porta che fue loro data, con grande danno de’ Guelfi ch’erano dentro.

XCII Come gli usciti di Genova presono i borghi di Prea.

Nel detto anno, a l’uscita di maggio, avendo i detti usciti assediata la torre di Co di Fare per due mesi, e quella si tenea francamente per que’ d’entro, per uno sottile dificio di canapi che venia della torre a una cocca del porto di Genova, e per quello si fornia e rinfrescava a contradio di tutta l’oste, sì si misono i detti usciti a cavare e tagliare sotterra la detta torre. Quegli d’entro, temendo non cadesse, sì renderono la torre, salve le persone, e chi disse per danari; e tornati in Genova, furono giudicati a morte, e traboccati di fuori. Istando al detto assedio, e continuo davano battaglia a’ borghi di Prea che sono fuori a la porta de le Vacche; combattendo per forza il presono a dì XXV di giugno nel detto anno, onde avanzarono molto, e que’ d’entro a Genova perdero, per modo che l’oste di fuori crebbe e si ridusse ne’ borghi, e presono la montagna di Peraldo e di San Bernardo di sopra a Genova, e accircondaro la terra; e sopra il Bisagno puosono un altro campo, sì che la città per terra era tutta assediata, e per mare avea persecuzione assai per galee di Saona e degli usciti che signoreggiavano il mare.

XCIII Come il re Ruberto venne per mare al soccorso di Genova.

Nel detto anno MCCCXVIII, essendo la parte de’ Guelfi così assediati nella città di Genova e per mare e per terra, sì mandarono a Napoli loro ambasciadori al re Ruberto, il quale avea fatta fare in Genova la detta commutazione, ch’egli gli dovesse soccorrere e aiutare sanza indugio; e se ciò non facesse, non si potevano tenere, sì erano a stretta di vittuaglia e d’assedio. Per la qual cosa il re Ruberto incontanente fece una grande armata di XLVII uscieri e XXV galee sottili, e più altri legni e cocche cariche di vittuaglia; e egli in persona col prenze di Taranto e con messer Gianni prenze de la Morea suoi fratelli, e con più baroni e con quantità di MCC cavalieri, partì di Napoli dì X di luglio, e venne per mare, e entrò in Genova a dì XXI di luglio MCCCXVIII, e da’ cittadini fu ricevuto onorevolemente come loro signore, e rifrancò la città, che poco si potea tenere per difalta di vittuaglia. Incontanente che ’l re fu giunto in Genova, gli usciti levarono l’oste ch’aveano messa in Bisagno, e si ridussono a la montagna di San Bernardo e di Peraldo, e a’ borghi di Prea verso ponente.

XCIV Come i Genovesi diedono la signoria di Genova al re Ruberto.

Nel detto anno, a dì XXVII di luglio, i capitani di Genova e l’abao del popolo e la podestà in pieno parlamento rinunziarono la loro balìa e signoria, e con volontà del popolo diedono la signoria e la guardia della città e della riviera al papa Giovanni e al re Ruberto per X anni, secondo i capitoli di Genova; e ’l re Ruberto la prese per lo papa e per sé, come quegli che più tempo dinanzi l’avea disiderata, a intenzione quando avesse a queto la signoria di Genova, si credea racquistare l’isola di Cicilia, e venire al di sopra di tutti gli suoi nimici; e a questo intendimento procacciò più tempo dinanzi la rivoluzione della città, e di farne cacciare fuori gli Ori e gli Spinoli, però che più volte, essendone eglino signori di Genova, contastarono il re Ruberto e il re Carlo suo padre, e atarono quegli d’Araona che teneano l’isola di Cicilia, come adietro è fatta menzione.

XCV De la viva guerra che gli usciti di Genova co’ Lombardi feciono al re Ruberto.

Per la venuta del re Ruberto in Genova non affiebolìo l’oste di fuori, ma maggiormente crebbe per l’aiuto de’ signori di Lombardia di parte d’imperio, e rifeciono lega collo imperadore di Gostantinopoli, e col re Federigo di Cicilia, e col marchese di Monferrato, e con Castruccio signore di Lucca, e ancora co’ Pisani al segreto. E stando all’assedio, forti e gravi battaglie continuamente davano a la città, traboccandola con più difici, e assalendola da più patti di dì e di notte, come gente di gran vigore, sì fattamente, che ’l re Ruberto con tutto il suo isforzo non aquistò niente sopra loro in niuna parte, anzi con cave sotterra puntellaro gran pezzo delle mura da la porta a Santa Agnesa, e quelle feciono cadere, e parte di loro per forza entrarono nella città, onde il re in persona s’armò con tutta sua gente, e con gran vigore affrontandosi in su le mura rovinate colle spade in mano, pure i maggiori baroni e cavalieri del re ripinsono fuori i loro nemici con gran danno di gente dell’una parte e dell’altra, e rifeciono le mura con grande affanno in poco di tempo, lavorandovi di dì e di notte. Istando il re e sua gente in Genova così assediato e combattuto, sì mandò per aiuto in Toscana, e di più patti l’ebbe; da’ Fiorentini C cavalieri e Vc pedoni tutti soprasegnati a gigli, e di Bologna altrettanti, e simigliante di Romagna e di più altre parti, e andarono a Genova per mare per la via di Talamone; sì che, giunta l’amistà, il re si trovò in Genova in calen di novembre del detto anno con più di MMD cavalieri e pedoni sanza numero. Di fuori n’avea più di MD cavalieri, ed era capitano dell’oste messer Marco Visconti di Milano, e aveano le fortezze de’ monti d’intorno, per modo che ’l re non potea campeggiare. E così dimoraro le dette osti in guerra stretta di badalucchi e di traboccarsi e saettarsi tutta la detta state, e eziandio il verno, che l’uno da l’altro non potea avanzare. E in questa stanza il detto messer Marco Visconti ebbe tanta audacia, che fece richiedere il re Ruberto di combattere co·llui corpo a corpo, e quale vincesse rimanesse signore; per la qual cosa il re molto isdegnò.

XCVI Come nella città di Siena si fece una congiura e ebbevi romore e gran mutazione.

Nel detto anno, del mese d’ottobre, MCCCXVIII, nella città di Siena nacque scandalo e romore, del quale fue capo messer Sozzo Dei e messer Deo de’ Tolomei, con séguito de’ giudici e de’ notari e beccari che voleano muovere il reggimento dello stato della città, e molto vi furono di presso, e la città tutta ad arme. E trovandosi la gente de’ Fiorentini ch’andavano a Genova in Siena, a richesta del detto Comune seguirono l’oficio de’ nove che reggeano la terra, onde quegli della detta congiura vennero a niente, e furono cacciati di Siena; onde si criò grande divisione nella città, e per questa cagione non mandarono i Sanesi aiuto al re Ruberto. E alcuno disse che, perché l’ordine de’ nove che si reggea molto al volere de’ Salimbeni (e aveavi de’ Ghibellini) non voleano mandare aiuto al re Ruberto, que’ de’ Tolomei feciono quella novità; ma di vero si crede cominciasse per mutare stato nella città per la briga già nata tra’ Tolomei e’ Salimbeni, trovando quella cagione.

XCVII Come la gente del re Ruberto sconfissono gli usciti di Genova a la villa di Sesto, e si partirono dall’assedio della città.

Nel detto anno MCCCXVIII, essendo il re Ruberto stato assediato in Genova, per lo modo che addietro fa menzione, più di VI mesi, si pensò che non potea gravare i nimici suoi di fuori se non ponesse sua oste in terra tra’ borghi e Saona: fece ordinare una armata dì LX tra galee e uscieri, e ivi su fece ricogliere da VIIIcL cavalieri, e gente a piè bene XVm; e con questa gente furono quegli de’ Fiorentini e gli altri Toscani, e di Bologna, e Romagnuoli, e partirsi di Genova a dì IIII di febbraio per porre la detta gente nella contrada di Sesto. Sentendo ciò gli usciti e que’ di fuori, incontanente vi mandarono di loro gente a cavallo e a piè in grande quantità per contastare la riva a l’oste del re Ruberto, acciò che non ponessono in terra la gente del re. Arrivaro a dì V di febbraio, e con grande travaglio mettendosi innanzi botti vote, combattendo co’ nimici manescamente, onde i principali furono i Fiorentini e gli altri Toscani che prima scesono di galee sotto la guardia de’ balestrieri delle galee ch’erano a la riva, e per forza d’arme presono terra, e la gente degli usciti ruppono e sconfissono in su la piaggia di Sesto, e assai ne furono morti e presi; e quegli che scamparono fuggirono ne’ borghi e a Saona; e la notte vegnente tutta l’oste ch’erano ne’ borghi e al monte di Peraldo e di San Bernardo si partiro, e sì n’andaro verso Lombardia, e lasciarono tutti i loro arnesi sanza ricevere altra caccia, che il re non volle che sua gente si mettesse a seguirgli al periglio in quelle montagne. Appresso quegli della città di Genova ripresono i borghi di Prea e Co di Fare, e tutte le fortezze di fuori.

XCVIII Come il re Ruberto si partì di Genova e andò a corte di papa in Proenza.

Nell’anno MCCCXVIIII, a di XXVIIII d’aprile, il re Ruberto si partì di Genova con XL galee, e con sua gente se n’andò in Proenza ov’era la corte del papa a Vignone, e ivi da papa Giovanni fu ricevuto onorevolemente. In Genova lasciò per suo vicario messer Ricciardo Gambatesa d’Abruzzi, uno savio signore, con VIc cavalieri e con più sergenti a piè, e con più galee a la guardia di Genova.

XCIX Come gli usciti di Genova co’ Lombardi tornarono all’assedio di Genova.

Nel detto anno MCCCXVIIII, sentendo gli usciti di Genova partito il re Ruberto, sì armarono in Saona XXVIII galee, onde fu amiraglio messer Currado d’Oria, e mandarono in Lombardia per aiuto, e raunarono M e più cavalieri, la maggiore parte Tedeschi, e grande quantità di popolo; e a dì XXVII di luglio del detto anno tornarono a oste sopra Genova, e puosonsi a campo in Ponzevera, e a dì III d’agosto vegnente s’appressarono a la città, dando battaglia a’ borghi da più parti per terra da la parte di Bisagno; e le dette galee entrarono nel porto combattendo fortemente la città, ma niente acquistarono. E a dì VII d’agosto vegnente fue una grande battaglia nel piano di Bisagno tra gli usciti e quegli della città, e l’una parte e l’altra ricevettono danno assai, sanza avere nessuna parte onore de la vittoria, che que’ di fuori si ritrassono al poggio, e que’ d’entro si tornarono nella città: apresso continuamente combatteano di dì e di notte la città per mare e per terra.

C Come messer Cane prese le borgora di Padova.

Nel detto anno MCCCXVIIII, d’agosto, messer Cane della Scala cogli usciti di Padova, che’ Padovani non vollono rimettere nella terra per gli patti fatti per messer Cane, sì venne a oste sopra Padova con MM cavalieri e Xm pedoni, e presono le borgora, e puosonvi tre campi per assediare Padova.

CI Come i Guelfi di Lombardia ripresono Chermona.

Nel detto anno, dì X d’ottobre, i Fiorentini mandarono in Lombardia CCCL cavalieri per una taglia fatta per Bologna e parte guelfa di M cavalieri, ond’era capitano messer Ghiberto da Coreggia: partissi di Brescia, e prese la città di Chermona per tradimento, e recolla a parte guelfa; ma per la lunga guerra e mutazioni era quasi strutta e recata a niente la detta Chermona.

CII Come messer Ugo dal Balzo fue sconfitto ad Alessandra.

Nel detto anno MCCCXVIIII, del mese di dicembre, essendo messere Ugo dal Balzo in Piemonte per lo re Ruberto nel borboglio d’Alessandra, e assediava la detta città, uscendo un dì fuori con CC cavalieri per far fare legname per fare ponti e difici, messer Marco Visconti di Milano con VIc cavalieri per uno aguato gli uscì adosso, e sconfisse, e uccise.

CIII Come gli usciti di Genova ripresono i borghi di Genova.

Nel detto anno MCCCXVIIII, a dì X d’ottobre, avendo gli usciti di Genova co la lega di Lombardia date più battaglie a la città per terra e per mare, sì presono per forza il Castellaccio, ch’aveano fatto i Guelfi d’entro in sul monte e di Peraldo e di San Bernardo, il quale era con poca guardia; e con quella vittoria discesono giù a’ borghi, e sanza ritegno gli ebbono; che veduto i Genovesi d’entro perduto il poggio, abandonaro i borghi. E così la detta oste riprese la signoria de’ borghi come innanzi altra volta s’aveano, e pochi dì apresso ebbono la torre di Co di Fare, e quegli dell’oste di Bisagno per non essere troppo sparti si ritrassono al poggio e a’ borghi di Prea, a dì XVIIII di novembre; e così tutto il verno vegnente combatterono la città continuamente per mare e per terra, e tenealla molto afflitta. In questo assedio l’armata degli usciti di Genova ebbe sì grande fortuna, che si levò da Genova, e VIII di loro galee ruppono in terra a Chiaveri, e perdero tutta la gente, e il rimanente si tornò in Saona rotte e stracciate. E in questo tempo essendo XII galee di Provenzali a Noli, que’ di Saona armarono XXII galee, e sopra Noli combatterono quelle XII galee del re, e VIII ne presono, e quattro ne tirarono in terra. Sentendo ciò quegli di Genova, andarono a Saona con XXXVI galee, ma niente poterono danneggiare il porto.

CIV Come i Ghibellini presono Spuleto.

Nel detto anno MCCCXVIIII, del mese di novembre, per trattato e aiuto del conte Federigo da Montefeltro e degli altri Ghibellini de la Marca e del Ducato, la parte ghibellina di Spuleto ne cacciarono per forza la parte de’ Guelfi, e combattendo la città vi furono assai micidii e incendii, e presono i Ghibellini più di CC buoni uomini de la città di parte guelfa, e misergli in pregione. I Perugini, i quali furono tardi al soccorso de’ Guelfi, vennero poi all’assedio di Spuleto con tutto loro isforzo, e stando al detto assedio, l’anno appresso il detto conte Federigo fece rubellare a’ Perugini la città d’Ascesi, per la qual cosa si partirono da guerreggiare Spuleto, e puosonsi a l’assedio d’Ascesi, l’anno MCCCXX. E ’l detto anno, del mese di dicembre, i Ghibellini di Spuleto a furore corsono a le carcere ove aveano in pregione i Guelfi, e vi misono fuoco e arsonvegli tutti dentro; la quale fue una scellerata crudeltade.

CV Come il re di Tunisi ritornòe in sua signoria.

Nel detto anno MCCCXVIIII il re di Buggea, il quale era stato prima re di Tunisi e poi cacciato per un altro ch’era di suo legnaggio che si fece re, sì rivenne a la città di Tunisi, e colla forza degli Arabi sì ne cacciò il detto re, e racquistò la signoria; e quegli che tenea la città se n’andò a Tripoli di Barberia, e accordossi col re Federigo di Cicilia per moneta che gli diede, e col suo aiuto fece grande guerra al re che tenea Tunisi, per terra, e più per mare; che la seccò di vittuaglia, che Tunisi era in grande bisogno; onde quello re che tenea Tunisi, dando al re Federigo maggiore quantità di moneta, s’accordò co·llui, e fornigli la terra di vittuaglia, e rimase signore: e così il re Federigo di Cicilia con inganno da’ detti due re saracini guadagnò in poco tempo CC migliaia di dobbre d’oro.

CVI Come Castruccio signore di Lucca ruppe pace a’ Fiorentini, e cominciò loro guerra.

Nell’anno MCCCXX, del mese d’aprile, essendo Castruccio Interminelli signore di Lucca a parte ghibellina e a·llega co’ Pisani, sentendo che ’l sopradetto papa Giovanni col re Ruberto aveano sommosso di fare venire di Francia in Lombardia messer Filippo di Valos figliuolo di messer Carlo fratello del re di Francia con grande gente d’arme, per contastare la forza di messer Maffeo Visconti e de’ figliuoli e di sua lega; e sentendo che’ Fiorentini e’ Sanesi e’ Bolognesi aveano mandati in Lombardia M cavalieri a richesta della Chiesa e del re Ruberto, e erano già a la città di Reggio, il detto Castruccio a preghiera e richesta del detto messere Maffeo Visconti e della lega de’ Ghibellini di Lombardia ruppe pace a’ Fiorentini per isturbare la detta impresa di Lombardia; e ancora come tiranno, che istando in pace scema suo stato, e vivendo in guerra l’asalta. E Castruccio, come uomo vago di signoria, credendo montare in istato, cominciò guerra a’ Fiorentini; e sanza nullo isfidamento co la forza de le masnade de’ Pisani cavalcò, e prese e fugli renduto come avea ordinato il castelletto di Cappiano, e ’l ponte sopra la Guisciana, e Montefalcone, le quali fortezze teneano i Fiorentini. E fatto ciò, passò la Guisciana, e corse guastando e ardendo intorno a Fucecchio, e a Vinci, e a·cCerreto, e poi infino a Empoli in sul contado di Firenze. E ritornando si puose ad assedio a Santa Maria a Monte che si tenea per gli Fiorentini, salvo la rocca si tenea per gli terrazzani, e quella in pochi giorni ebbe, però che’ terrazzani per tradimento l’arenderono, dì XXV d’aprile; e’ Fiorentini non erano proveduti come si convenia: credendosi conservare la pace, non poterono a·cciò riparare; e avuta la terra, tornòe a Lucca con grande trionfo, e quegli traditori che gli aveano renduta Santa Maria a Monte per sospetto menò a Lucca, e in pregione languendo gli fece morire. E apresso in quello anno il detto Castruccio più castella di Carfagnana e di Lunigiana vinse e recò alla sua signoria, per la qual cosa sturbò molto, ma quasi tutta la ’mpresa fatta per la Chiesa e per lo re Ruberto in Lombardia co l’altre cagioni, come innanzi farà menzione.

CVII Come gente degli usciti di Genova furono sconfitti a Lerici.

Nel detto anno MCCCXX, essendo in Genova grande stretta di vittuaglia, perché gli usciti di Genova con XVII galee corseggiavano la riviera, e prendeano navi e cocche e altri legni che recavano vittuaglia a Genova, quegli di Genova armarono XXVII galee, e seguirono quelle degli usciti, e in Lerici le rinchiusono, e ripresono una nave e una cocca carica di vittuaglia ch’aveano prese le dette galee degli usciti. E assediando quelle galee in Lerici co’ loro uscieri, feciono venire da Genova CL cavalieri di quegli del re Ruberto, e quegli di Lerici tirate le galee in terra, si misono a combattere co’ detti cavalieri: a dì XXXI di maggio furono sconfitti da la gente del re Ruberto e di Genova, combattendo contra loro per mare e per terra; presono e arsono il porto di Lerici, e le dette galee con gran danno degli usciti.

CVIII Come quegli di Genova presono il Bingane.

Nel detto anno MCCCXX il vicaro del re Ruberto co’ Genovesi armarono da LX tra galee e uscieri: con CCCCL cavalieri n’andarono e puosono assedio a la città dal Bingane e quella combattendola, per forza presono a dì XXI di giugno, e rubarla tutta. Allora tutto il marchesato di Cravigiana tornò a la signoria di Genova e di parte guelfa.

CIX Come il papa e la Chiesa feciono venire in Lombardia messer Filippo di Valos di Francia.

Nel detto anno MCCCXX, avendo il papa e la Chiesa fatte fare più richeste a messer Maffeo Visconti e a’ figliuoli che si levassono dall’assedio de la città di Genova, la quale si tenea per la Chiesa e per lo re Ruberto, come addietro fa menzione, e quegli i detti comandamenti non ubbidiro, opponendo che Genova era terra d’imperio e non di Chiesa; per la qual cosa per lo papa fu fatto processo e scomunica contra a’ detti, e interdetto Milano e Piagenza e l’altre città di Lombardia che’ detti per forza tirannescamente teneano e signoreggiavano, e ordinò che messer Filippo di Valos nipote del re di Francia venisse in Lombardia per vicaro di Chiesa per abbattere la signoria de’ detti sismatici e rubegli della Chiesa, il quale messer Filippo vi venne con VII conti e con CXX cavalieri tra banderesi e di corredo, con quantità di VIc gentili uomini d’arme a cavallo, molto bella e nobile gente, al soldo della Chiesa e del re Ruberto. E mandò in Lombardia per legato della Chiesa messer Beltramo del Poggetto cardinale con VIIIc cavalieri tra Provenzali e Guasconi, i quali col detto legato e con messer Filippo di Valos e sua gente s’agiunsono a la città d’Asti in Lombardia; ed avendo novelle che la città di Vercelli si combattea dentro tra’ Guelfi e’ Ghibellini, si partì il detto messer Filippo d’Asti con quella tanta gente ch’avea, sanza attendere l’altra cavalleria che gli mandava il papa e ’l re Ruberto di Proenza, e quella che gli mandava il re di Francia e messer Carlo suo padre di viennese, e siniscalcato di Belcari, che in piccolo tempo sarebbe stata grandissima quantità di gente, e sanza attendere M cavalieri che’ Fiorentini e’ Bolognesi e’ Sanesi gli mandavano in aiuto in Lombardia; e per male consiglio, con quantità di MD cavalieri si mise a oste tra Vercelli e Noara in luogo detto Mortara. Sentendo la sua venuta il capitano di Milano, il quale era come uno grande re in Lombardia, ch’egli con IIII suoi figliuoli signoreggiava Milano, Pavia, Piagenza, Lodi, Commo, Bergamo, Noara, Vercelli, Tortona, e Allessandra, sanza la forza dell’altre città di Lombardia di parte d’imperio e ghibellina ch’erano a conlega co·llui, e Pisa, e Lucca, e Arezzo in Toscana, sì mandò i suoi figliuoli con tutto suo isforzo contra il detto messer Filippo di Valos, che furono IIIm e più uomini a cavallo, gran parte Tedeschi, e gente a piè sanza numero, e puosonsi a campo contra la detta oste apresso d’uno miglio di terra.

CX Come messer Filippo di Valos si tornò in Francia con vergogna, sanza niente aquistare.

Messer Galeasso e messer Marco figliuoli del capitano di Milano, capitani dell’oste, feciono richiedere messere Filippo di Valos di volere parlamentare co·llui, e ordinato il parlamento, e agiunti insieme, messer Galeasso con savie e maestrevoli parole, che le sapea ben dire, pregò messer Filippo che non gli fosse incontro né gli volesse disertare; e com’elli e’ suoi sempre erano stati amici e servidori del re di Francia e del suo padre messer Carlo, e che l’avea fatto cavaliere, e che la tenza da’ suoi a la Chiesa la rimettea volentieri nel re di Francia, e mostrogli la sua forza e cavalleria, ch’era più di due tanti che quella della Chiesa, e che per suo amore e del padre non gli volea offendere come potea. Veggendosi il giovane messere Filippo a sì fatto punto condotto, non gli parve bene stare (e dissesi per tradimento di messere Berardo di Marcoglio suo maliscalco, il quale era stato ribello e bandito del re di Francia, per sua vendetta, e perché si disse che n’ebbe molti danari dal capitano di Milano, per farlo venire innanzi al termine ordinato sanza attendere l’altro soccorso), sì s’accordò co’ detti figliuoli del capitano di Milano, e tornossi con grandi presenti e doni vituperosamente in Francia co la sua gente. Questo fu del mese d’agosto, anni MCCCXX: poco apresso i detti figliuoli di messer Maffeo ebbono per forza e per assedio la parte de la città di Vercelli che teneano i Guelfi, e fu preso messer Simone da Collibiano signore di Vercelli, e menato a Milano; e ’l vescovo suo fratello scacciato con tutti i suoi seguaci. Ancora il detto messer Filippo di Valos rendé a messer Filippo di Savoia il castello di Cavignano in Piemonte, il quale si tenea per la gente del re Ruberto, e eragli molto caro, e ebbene, si disse, Xm fiorini d’oro. E peggiorò duramente le condizioni di Lombardia, a danno e a vergogna della Chiesa e del re Ruberto e di chi a·lloro attenea; che per questa cagione la gente de’ Fiorentini e’ Bolognesi e’ Sanesi, ch’erano già infino a Reggio, si tornarono adietro, e la forza e vigore del capitano di Milano e de’ figliuoli molto acrebbe. Di questa difalta si scusò in Francia messer Filippo al re e a messer Carlo, ch’era stata perché il papa e·re Ruberto non gli aveano attese le convenenze di fornirlo di moneta e di gente al tempo, come aveano promesso; ma per gli più si disse che la difalta fu sua, e di chi l’ebbe a consigliare di venire più tosto verso Milano, che non era ordinato: ma quale si fosse la cagione, egli acquistò poco onore. Ed è da notare una favola che si dice e dipigne per dispetto degl’Italiani in Francia, che’ Lombardi hanno paura de la lumaccia, cioè lumaca. I signori Visconti di Milano, come si sa, hanno l’arme loro il campo bianco e la vipera cilestra ravolta con uno uomo rosso in bocca; e messer Marco Visconti per leggiadria e grandezza avea la sua bandiera e schiera di cavalieri, intorno di Vc pur de’ migliori scelti per feditori, e tutti co la detta sopransegna. Gl’ignoranti Franceschi credevano che quella insegna fosse una lumaccia, e per loro dispetto e contrario fosse per loro fatta, onde il si recarono a grande onta, e forte ne parlaro in Francia del dispetto ch’aveano loro fatto i Lombardi; ma co la beffa e disinore si tornarono in Francia, per lo modo che detto avemo.

CXI Come Castruccio andò ad oste nella riviera di Genova.

Nel detto anno MCCCXX, in quello tempo ch’erano in Lombardia le dette novità de la venuta di messer Filippo di Valos, non cessò la lega de’ Ghibellini di Lombardia l’assedio di Genova, ma maggiormente l’acrebbono e rinforzaro, e feciono lega da capo con Federigo re di Cicilia, e collo ’mperadore di Gostantinopoli, e cogli usciti di Genova, e con Castruccio signore di Lucca, il quale Castruccio con sua gente venne a oste ne la riviera di Genova da la parte di levante; e più castella e terre della riviera gli si renderono. E quegli de’ borghi di Genova per la sua venuta crebbono l’oste, e misono campo in Bisagno per assediare al tutto la terra di Genova.

CXII Come Federigo di Cicilia mandò sua armata di galee a l’assedio di Genova.

Nel detto anno MCCCXX, del mese di luglio, il re Federigo che tenea la Cicilia fece armare XLII tra galee e uscieri, e con CC cavalieri mandò la detta armata in servigio degli usciti di Genova, e gli usciti di Genova n’armarono XXII galee, le quali galee s’aggiunsono insieme del mese di agosto per consumare Genova, assediandola strettamente per terra e per mare, per modo che nullo vi potea entrare né uscire, e la città era male fornita e a grande disagio di vittuaglia e di molte cose. Della detta armata era capo amiraglio messer Currado d’Oria uscito di Genova.

CXIII Come il re Ruberto fece armata di galee per contastare quella di Ciciliani, e quello ch’aoperò.

Nel detto anno MCCCXX, sentendo il papa e ’l re Ruberto l’apparecchiamento fatto per gli usciti di Genova e per quello di Cicilia, feciono armare LXV galee tra in Proenza e a Napoli; e quegli di Genova armarono XX galee; e del detto stuolo fu amiraglio messer Ramondo di Cardona d’Aragona. E congiunte le dette galee insieme, vennero sopra Genova per combattere con quelle de’ Ciciliani e degli usciti di Genova, le quali sentendo come venia contra loro quella armata, si partirono della riviera di Genova, e vennono in Porto Pisano, e poi con savio provedimento di guerra per fare partire l’armata de la riviera sanza soggiorno se n’andarono in verso Napoli; e giunte a l’isola d’Ischia, misono i cavalieri in terra, e corsono l’isola e guastarla in parte. Sentendo la loro partita l’amiraglio del re Ruberto, con sua armata si partì di Genova e de la riviera, e le seguì vigorosamente per abboccarsi co·lloro, e sopragiunsegli a Ischia una sera a tardi. Quelle galee di Cicilia e degli usciti, veggendo i nimici sì di presso per volere la battaglia, si ricolsono di notte, e si misono in mare dando boce di tornarsi in Cicilia. L’amiraglio del re Ruberto veggendoli la mattina partiti, volendogli seguire, la gente di Principato, ch’erano intorno di XXX galee, trovandosi in loro paese, gridarono: «Rinfrescamento e panatica!»: e di vero bisogno n’aveano; e così a grido, sanza alcuno ritegno a Napoli se n’andaro. Le galee di Proenza e di Genova rinfrescati a Ischia alquanti giorni, avendo novelle come l’armata de’ Ciciliani e usciti di Genova aveano fatta la via di ponente verso Genova, per seguirle in verso Proenza si ritornaro; e così la detta armata per male seguire il loro amiraglio, overo per sua difalta e mala condotta, quasi tutta si sbarattò e venne a niente; che se avessono seguita quella de’ Ciciliani e degli usciti di Genova, di certo s’avisava che sarebbono stati vincitori, però ch’erano più galee, e meglio armate.

CXIV Di quello medesimo.

L’armata de’ Ciciliani e degli usciti di Genova maestrevolemente e non sanza temenza partiti da Ischia, nel porto di Genova arrivaro a dì III di settembre MCCCXX, e con grande tumulto gridando ch’aveano sconfitti l’armata del re Ruberto per ispaventare que’ di Genova, assaliro la città da la parte del porto; e gli usciti e’ Lombardi ch’erano a l’assedio l’asalirono da la parte di terra da più parti. Quegli della città co la gente del re Ruberto con grande affanno di dì e di notte, e paura e con difalta e necessità di vittuaglia, francamente si difesono da più assalti e battaglie di mare e di terra, sì che i nimici non acquistarono niente.

CXV Come i Fiorentini feciono tornare Castruccio da l’assedio di Genova.

Nel detto anno MCCCXX Castruccio signore di Lucca con suo isforzo e coll’aiuto delle masnade de’ Pisani andò con grande oste verso Genova per la lega fatta per istrignere la città, e vincerla per forza e assedio coll’aiuto dell’armata di Cicilia per lo modo che detto è. I Fiorentini, sentendo cavalcato Castruccio, i loro soldati mandaro in sul contado di Lucca ne le contrade di Valdinievole guastando e ardendo, e tornando ad Altopascio. Castruccio ch’era presso a Genova, sentendo ciò, temendo che la città di Lucca per tradimento non gli si rubellasse, tornò in Lucca con tutta la sua oste. Sentendo ciò il capitano de la guerra de’ Fiorentini, co le masnade de’ soldati si ritrassono verso Fucecchio, e Castruccio con sua gente vigorosamente se ne venne a oste a Cappiano in su la Guisciana a petto a’ Fiorentini. Quivi per istanza di più mesi l’una oste di qua dal fiume, e l’altra di là, stettono a perdere tempo e a badaluccare con grande spendio, faccendo battifolli, fortezze, e ponti, e difici per gravare l’una oste l’altra, sanza avanzare neente l’una parte a l’altra; e sì aveva ciascuna parte da MCC cavalieri in su, sanza il popolo grandissimo. A la fine per la vernata e mal tempo di pioggia ciascuna parte si partì sanza altro avanzo, e con poco onore de’ Fiorentini, se non in tanto che di vero si disse che per l’andata de’ Fiorentini Castruccio con sua oste non andòe a l’assedio di Genova; che se giunto vi fosse coll’altra forza de’ Ghibellini, la città non si potea tenere.

CXVI De le battaglie che gli usciti di Genova e’ Ciciliani diedono a la terra, e ebbono il peggiore.

Nel detto anno MCCCXX, essendo l’oste a Genova per mare e per terra per lo modo detto addietro, e veggendo i Ciciliani e gli usciti di Genova che da la parte del porto non poteano prendere la città, però che ’l porto era tutto impalizzato e incatenato, e di sopra di grosso legname imbertescato, di maraviglioso lavoro, e veggendosi venire il verno adosso, si ritrassono con tutta loro armata in Bisagno, e da quella parte co’ loro cavalieri e co la ciurma de le loro galee in terra discesono, e sopra Carignano la terra agramente combattero per due volte, l’una a dì XXVI di settembre, e l’altra a dì XXVIIII di settembre, con grande speranza d’avere la città per forza da quella parte; e quegli de’ borghi combatteano la città da la loro parte, quegli de la città difendendosi di dì e di notte a tutte le battaglie vigorosamente. A la fine, a l’ultima battaglia, uscì la cavalleria ch’era nella città del re Ruberto con popolo assai per la porta di Bisagno, e assalendo l’oste de’ Ciciliani e usciti, vigorosamente gli levaro da la battaglia de la città: ritraendosi combattendo quasi come sconfitti, si ricolsono a galee, e vi lasciarono presi e morti gente assai; e la detta armata de’ Ciciliani se n’andò in Cicilia molto peggiorata, e quella degli usciti a Saona; e così l’ultimo dì di settembre fu liberata la città di Genova, e il campo dell’oste ch’era in Bisagno si ritrasse al monte e a l’altra oste ch’era ne’ borghi.

CXVII Come gli usciti di Genova guastarono Chiaveri.

Nel detto anno MCCCXX, a dì XIIII di dicembre, XV galee degli usciti di Genova corseggiando la riviera scesono al borgo di Chiaveri, e quello per forza presono, e ruballo e arsollo tutto.

CXVIII Come gli usciti di Genova ebbono Noli, e feciono diversa guerra.

Nel detto anno MCCCXX, a dì XXV di gennaio, gli usciti di Genova per mare, e ’l marchese dal Finale per terra, assediarono la città di Noli, traboccandola e combattendola per più volte: a la fine si rendero a patti a dì VI di febbraio MCCCXX salvo il castello, che si tenne poi insino a dì VI d’aprile vegnente, e per fame si rendéo. Chi potrebbe scrivere e continuare il diverso assedio di Genova, e le maravigliose imprese fatte per gli usciti co·lloro allegati? Certo si stima per gli savi che·ll’assedio di Troia, in sua comparazione, non fosse di maggiore continuamento di battaglie per mare e per terra, che così il verno come la state tenendo galee armate in mare, assediando la città, per modo che a grande distretta e necessitade di vittuaglia la condussono più volte nel detto anno MCCCXX e nel MCCCXXI vegnente; e per due volte la loro armata per fortuna di mare percosse in terra, e rotte le loro galee, e perita gran parte de la gente, per ciò non lasciavano la guerra, sanza il continovo corseggiare per mare in diverse parti del mondo, consumando l’una parte l’altra di più mercatantia che non vale uno reame; de le continue battaglie di terra assalendo la città per dì e per notte con più difici, gittando que’ di fuori a que’ d’entro, e quegli d’entro a que’ di fuori, e con rovinare le mura della città, e di quelle fare cadere, e quegli d’entro con grande travaglio e necessitadi sollecitamente riparare e difendere, se tutto questo libro fosse scritto per quelle storie seguire, sanza altro sarebbe pieno. E nonn-è da maravigliare, che i Genovesi erano i più ricchi cittadini e’ più possenti in quello tempo che fossono tra’ Cristiani, né eziandio tra’ Saracini; e coll’una parte e coll’altra erano allegati i signori e comunanze di grandissima potenzia, come è fatta menzione.

CXIX Come il fratello del re di Spagna fue sconfitto da’ Saracini di Granata.

Nel detto anno MCCCXX i Saracini del reame di Granata, essendo sopra loro ad oste il fratello del re di Spagna con grande quantità di Cristiani a cavallo e a piè, quelli Saracini non possendo a la forza riparare, con grande spendio di pecunia corruppono certi baroni traditori di Spagna, i quali non seguirono il loro signore: assaliti da’ Saracini furono sconfitti, e presso a Xm Cristiani furono tra morti e presi, e morto vi fu il detto fratello del re di Spagna, e corsono la Spagna infino a Sibilia a grande dammaggio e vergogna de’ Cristiani.

CXX Come i frieri dello Spedale isconfissono i Turchi con loro navilio a Rodi.

Nel detto anno MCCCXX uno ammiraglio di Turchia venendo per prendere l’isola di Rodi, che tenea la magione dello Spedale, con più di LXXX tra galee e altri legni di Saracini, il comandatore di Rodi con IIII galee e con XX piccioli legni, e coll’aiuto di VI galee de’ Genovesi d’entro che tornavano d’Erminia, combattero co’ detti Saracini e sconfissogli, e grande parte de’ detti legni presono e profondaro. Appresso andaro a una isoletta ivi presso, come aveano posti più di Vm uomini saracini per mettergli in su l’isola di Rodi: le dette galee de’ Cristiani tutti gli ebbono presi, e uccisono i vecchi, e’ giovani venderono per ischiavi.

CXXI Come messer Cane de la Scala essendo all’assedio di Padova fu sconfitto da’ Padovani e dal conte da Gurizia.

Nel detto anno MCCCXX messer Cane della Scala signore di Verona, essendo all’assedio de la città di Padova con tutto suo isforzo stato per più d’uno anno continuo, e a quella città quasi prese tutte le sue castella e contado, e sconfittigli per più volte, avea sì affritta, che più non si potea tenere, che tutta intorno con battifolli forniti di sua gente avea circondata, sì che vivanda non vi potea entrare. I detti Padovani quasi disperati d’ogni salute, si diedono al dogio d’Osteric eletto re de’ Romani, il quale mandò a·lloro soccorso il conte da Gurizia e ’l signore di Gualfe con Vc cavalieri a elmo, il quale subitamente, e come di nascoso, entròe in Padova colla detta gente. Il detto messer Cane per grande audacia e superbia ch’avea de le sue vittorie, e per la grande cavalleria e popolo ch’avea in sua oste, poco si curava de’ Padovani, e per lo lungo assedio, per troppa sicurtà, male si tenea ordinato. Avenne che a dì XXV d’agosto MCCCXX il detto conte da Gurizia co’ suoi Frigolani e Tedeschi e co’ Padovani uscì di subito de la città, e assalì l’oste vigorosamente. Messer Cane con alquanta di sua cavalleria male ordinata, credendo riparare, si mise a la battaglia, il quale dal conte da Gurizia e da’ Padovani fue sconfitto e atterrato e fedito, e di poco scampò la vita per soccorso di sua gente; in su una cavalla in Monselice scampò, e l’oste sua fue tutta isbarattata, e rimasevi di sua gente morta e presa assai, e tutti i loro arnesi: e così per mala provedenza la fortuna di sì vittorioso tiranno si mutò in contradio. Al detto assedio di Padova morì Uguiccione da la Faggiuola in cittadella, di suo male, essendo venuto in aiuto a messer Cane. Questi fu l’altro grande tiranno che perseguì tanto i Fiorentini e’ Lucchesi, come adietro è fatta menzione.

CXXII Come morì il conte Gaddo signore di Pisa, e fu fatto signore il conte Nieri.

Nel detto anno MCCCXX il conte Gaddo de’ Gherardeschi, ch’era signore di Pisa, morì (per gli più si disse per veleno), e fatto fu signore il conte Nieri suo zio; e lui fatto signore, mutò stato in Pisa, e tutti quegli ch’erano stati con Uguiccione da Faggiuola fece grandi, e a quegli che·ll’aveano cacciato tolse la signoria, e alquanti capitani di popolo fece morire, e altri fece ribelli, e chi confinati, e fece lega con Castruccio signore di Lucca e cogli usciti di Genova, dando loro occultamente aiuto e favore contra i Fiorentini e que’ di Genova.

CXXIII Come fu fatta pace dal re di Francia a’ Fiamminghi.

Nel detto anno MCCCXX il conte Ruberto di Fiandra con Luis conte d’Universa suo figliuolo andarono a Parigi con grande compagnia di Fiamminghi di tutte le buone ville, per dare compimento a la pace dal re di Francia a·lloro de la grande guerra ch’era stata tra·lloro più di XXII anni. E ciò fu a mossa di papa Giovanni che vi mandòe uno suo legato cardinale, e come piacque a·dDio, del mese d’aprile, vi si diede compimento, e il re di Francia diede per moglie la figliuola a Luis figliuolo di Luis conte d’Universa, che dovea essere reda de la contea di Fiandra, e rendégli la detta contea. E’ Fiamminghi per patti lasciarono Lilla e Doagio e Bettona e tutta la terra di qua dal fiume del Liscio, ove si parte la lingua francesca da la fiamminga, e promisono di dare al re di Francia mille migliaia di libbre di buoni parigini in termine di XX anni, per amenda e soddisfacimento delle spese, e di quello ch’aveano misfatto a la corona.

CXXIV Come tra quegli della casa di Fiandra ebbe grande dissensione.

Nel detto anno MCCCXX, essendo i detti Fiamminghi in pace co’ Franceschi e in buono stato, invidia nacque tra Luis conte d’Universa, maggiore figliuolo del conte di Fiandra, e Ruberto suo fratello; però che ’l conte vecchio loro padre amava più Ruberto suo minore figliuolo, perch’era più valoroso, e quasi al tutto l’avea fatto signore di Fiandra; onde il conte Luis forte isdegnò, e quasi tutto il paese se ne divise a setta, e per questa cagione in Guanto e in Bruggia ebbe più romori e battaglie cittadine, e uccisonne e cacciarne assai; e quegli che teneano con Luis e che amavano la pace co’ Franceschi rimasono signori. In questo si disse che ’l conte vecchio volle essere avelenato, e fue aposto che Luis suo figliuolo il facea fare; per la qual cosa il fece prendere a Ruberto suo minore fratello, e mettere in pregione, onde il paese maggiormente si divise, che l’una parte tenea con Luis, e l’altra con Ruberto; e crebbe sì l’errore, che la villa di Bruggia si rubellò al conte e a messer Ruberto, e cacciarono de la terra tutta sua parte. Per la qual cosa quello anno e l’altro apresso il detto messere Ruberto gli guerreggiò e prese la villa del Damo e quella della Schiusa ov’è il porto. Quegli di Bruggia uscendo fuori a oste per assediare il Damo, quegli de la villa di Guanto e d’Ipro furono mezzani, e acconciarono quegli di Bruggia col conte, rimanendo signori la parte di Luis, dando al conte danari assai per amenda, si pacificaro.

CXXV Come i Ghibellini furono cacciati di Rieti.

Nel detto anno MCCCXX, del mese d’agosto, i Guelfi della città di Rieti, coll’aiuto di quegli da l’Aquila e di Civitaducale e gente del re Ruberto, cacciarono per forza i Ghibellini di Rieti, e combattendo nella città, più di Vc n’uccisono, e più n’anegarono nel fiume, il quale di sangue corse. E poi apresso a IV mesi, essendo i detti Guelfi di Rieti a l’assedio del castello d’Airone nel contado di Spuleto, i Ghibellini di Rieti usciti, coll’aiuto e forza di Sciarra della Colonna, per forza rientrarono in Rieti e cacciarne i Guelfi che non erano a l’oste.

CXXVI D’uno grande raunamento d’osti che fu tra’ due eletti d’Alamagna.

Nel detto anno MCCCXX grande raunata fu fatta ne la Magna per combattersi insieme il dogio d’Ostoricchi e quello di Baviera, i quali amendue erano eletti re de’ Romani per lo modo fatto menzione; e più tempo stettono ad oste in sul fiume del Reno, a..., quasi tutta la cavalleria de la Magna, chi dall’una parte e chi dall’altra. A la fine si partirono sanza combattere, perché quello di Baviera non poté durare la spesa.

CXXVII Come Spinetta marchese s’alegò co’ Fiorentini contra a Castruccio, ma tornò a vergogna de’ Fiorentini.

Nell’anno MCCCXXI i Fiorentini volendo guerreggiare Castruccio signore di Lucca, sì feciono lega con Ispinetta marchese Malaspini, il quale, tutto fosse Ghibellino, per Castruccio era disertato di sue terre. I Fiorentini gli mandarono in Lunigiana per la via di Lombardia CCC soldati a cavallo e Vc a piè; e egli con suo aiuto fece C uomini a cavallo, e in poco tempo racquistò assai di sue castella; ed erano per discendere al piano di Lunigiana, e fare guerra assai a la città di Lucca, però che’ Fiorentini da l’altra parte erano in sul contado di Lucca, e posto assedio al castello di Montevettolino con VIIIc cavalieri, soldati e gente a piè assai; e se’ Fiorentini avessono fatta la ’mpresa con maggiore provedimento e con più forte braccio, de la guerra erano vincitori. Castruccio sentendo il detto apparecchiamento, non fue ozioso; mandò a tutti i suoi amici per aiuto, e di Lombardia dal capitano di Milano, e da quello di Piagenza, e da’ Parmigiani ebbe Vc cavalieri, e da’ Pisani e dal vescovo d’Arezzo e altri Ghibellini di Toscana più d’altri Vc, sì che si trovòe in Lucca con più di XVIc di cavalieri, e disponendo suo consiglio saviamente, la ’mpresa di Lunigiana lasciò, e con tutta sua oste de’ detti cavalieri, e popolo sanza numero, venne contra l’oste de’ soldati di Firenze. I Fiorentini male proveduti di sì fatta impresa, e non credendo che la sua forza fosse sì grande per l’aiuto de’ Lombardi, si levarono dall’assedio di Montevettolino, e si ritrassono in su Belvedere. Castruccio e sua oste seguendogli si puose a oste contra a·lloro, e se la sera avesse combattuto, di certo avea la vittoria, però che di gente e di tutto avea l’avantaggio. Guido da la Petrella, capitano delle masnade de’ Fiorentini, la sera francamente si difese, assalendo con badalucchi la gente di Castruccio, mostrando gran vigore, e che attendessono aiuto. La notte vegnente, dì VIII di giugno, accesono molti fuochi e faccelline, faccendo sembiante d’assalire i nemici, e per questo modo lasciando i falò e luminare nel campo accesi, si levarono da campo salvamente con tutta sua oste, e si ridusse in Fucecchio e a Carmignano e a l’altre castella; e vennegli bene, che una grande acqua da cielo venne la notte, per che Castruccio non sentì la partita, e fu gabbato per le luminare. La mattina per tempo vedendo Castruccio partiti i suoi nimici, si tenne ingannato, e incontanente cavalcò, e guastò Fucecchio intorno, e Santa Croce, e Castello Franco, e Montetopoli, e Vinci, e Cerreto sanza contasto niuno: stette a oste per XX dì sanza riparo con grande vergogna de’ Fiorentini, e tornossi in Lucca con grande onore. I Fiorentini per questa cagione feciono tornare di Lunigiana i loro cavalieri. Castruccio incontanente vi cavalcò, e riprese tutte le sue castella e Pontriemoli e più terre de’ marchesi, e Spinetta le abandonò, e tornossi a messer Cane a Verona.

CXXVIII Di novità d’ufici di Firenze.

Nel detto anno e mese di giugno, incorrendo a’ Fiorentini sì fatte traverse di guerra, e per la setta di quegli che non reggeano la città erano i priori e’ rettori caloniati e biasimati, onde si criò uno uficio di XII buoni uomini popolani due per sesto, che consigliassono i priori, e che sanza loro consiglio e diliberazione i priori non potessono fare niuna grave diliberazione, né prendere balìa. Il modo fue assai lodato, e fue sostegno de la setta e istato che reggeva.

CXXIX Come il marchese Cavalcabò co la lega di Toscana fue sconfitto in Lombardia.

Nel detto anno MCCCXXI papa Giovanni e ’l re Ruberto per soccorrere il Piemonte e’ loro amici di Lombardia, che molto era isbigottiti per la partita di messer Filippo di Valos, mandarono là per capitano di guerra messer Ramondo di Cardona d’Araona con XIIc di cavalieri, che fosse col legato cardinale, e rifeciono lega co’ Fiorentini e’ Bolognesi e’ Sanesi, i quali mandarono in Lombardia M cavalieri tra due volte, onde fu capitano il marchese Cavalcabò di Chermona, ed erano parte in Reggio e parte a la pieve d’Altavilla in sul contado di Piagenza. Di là da Po era il patriarca d’Aquilea con quegli de la Torre e co’ Bresciani, e teneano Chermona e Cremma, e guerreggiavano il capitano di Milano. Messer Galeasso Visconti veggendosi così guerreggiare a’ cavalieri di Toscana e di Bologna, e dentro a la terra avea sospetto, mandò per aiuto a Milano al padre, e a Pisa e a Lucca, i quali gli mandarono VIc cavalieri. Il marchese Cavalcabò con Vc cavalieri cavalcò in Valditara, e quello borgo e più castelletta prese, e puosesi a l’assedio a la rocca di Bardo. Il capitano di Piagenza vi mandò da VIIIc cavalieri in M al soccorso, e trovando il detto marchese mal proveduto di tanta forza de’ nimici, quasi soppreso, fue sconfitto, ed egli morto con più di CL cavalieri tra presi e morti. Il rimanente si fuggiro a grande periglio al borgo di Valditara; e questa sconfitta fue del mese di novembre a l’uscita, anno MCCCXXI.

CXXX Come messer Galeasso di Milano ebbe la città di Chermona.

Per questa vittoria il detto messer Galeasso con sua oste passò il Po, e a Chermona si puose ad assedio sentendo la mala fortuna, e la città era molto anullata per la guerra dello ’mperadore, e maggiormente per la morte del marchese Cavalcabò isbigottiti. Bartaglia diede a la città per tre dì; quegli d’entro annullati, e non avendo speranza di soccorso, le masnade che v’erano dentro, da CC a cavallo e CCC a piè, abandonarono la terra, e si fuggirono a Cremma. La gente di messer Galeasso, non essendo quasi chi difendesse la terra, per forza ruppono del muro de la città, e in quella entraro, e presolla e spogliarono d’ogni sustanzia che v’era rimasa; e ciò fu a dì V di gennaio MCCCXXI.

CXXXI Come scuròe il sole, e morì il re di Francia.

Nell’anno MCCCXXI, a dì XXVII di giugno, iscurò il sole in su·levare quasi le due parti o più, e durò per una ora. Nel detto anno, il dì de la Bifania, morì Filippo re di Francia, il quale non regnò che anni... mesi..., dì...; fue uomo dolce e di buona vita: non rimase di lui reda maschio. Apresso la sua morte fu fatto re di Francia Carlo conte de la Marcia suo fratello e figliuolo del re Filippo il grande, e fu coronato a Rens, dì XI di febbraio MCCCXXI.

CXXXII Come i Bolognesi cacciarono di Bologna Romeo de’ Peppoli il ricco uomo e’ suoi seguaci.

Nel detto anno MCCCXXI, del mese di giugno, i Bolognesi a romore di popolo col séguito de’ Beccadelli e altri nobili cacciarono di Bologna a furore Romeo de’ Peppoli, grande e possente cittadino e quasi signore della terra, con tutta sua setta, il quale si dicea il più ricco cittadino d’Italia, aquistato quasi tutto d’usura, che XXm fiorini e più avea di rendita l’anno sanza il mobile. Per la sua partita molto sturbò lo stato di parte guelfa di Bologna.

CXXXIII Come lo ’mperadore di Gostantinopoli ebbe guerra co’ figliuoli.

Nel detto anno MCCCXXI lo ’mperadore di Gostantinopoli fu in grande discordia co’ figliuoli, perché lo ’mperadore a sua vita avea fatto imperadore succedente a·llui il figliuolo del suo maggiore figliuolo, ch’era morto; onde il secondo figliuolo vivente isdegnato col padre, congiura fece co’ baroni contro al padre e nipote, e quasi gran parte dello ’mperio gli rubellò. E questo fu grande cagione dell’abassamento degli usciti di Genova, però che il detto imperadore per abassare la forza della Chiesa e del re Ruberto continuamente co’ suoi danari mantenea la guerra agli usciti di Genova, e a quegli di Saona contra la città di Genova e contro al re Ruberto, e per la sua guerra abandonòe la ’mpresa.

CXXXIV Come Federigo di Cicilia fue scomunicato, e come fece coronare il figliuolo del reame.

Nel detto anno MCCCXXI il detto papa Giovanni co’ suoi cardinali ordinarono triegua per tre anni dal re Ruberto a don Federigo di Cicilia per potere meglio fornire la ’mpresa di Genova, il detto re Federigo dimandando per suoi ambasciadori pace o triegua di X anni, e Reggio e altre terre di Calavra ch’egli avea rendute in mano del papa, le quali il papa avea rendute al re Ruberto; onde tenendosi ingannato e tradito, sì contradisse la detta triegua di tre anni ch’avea fatta il papa, e fece disfidare il re Ruberto: il papa e’ suoi cardinali isdegnati gli diedono sentenzia di scomunicazione. Il detto Federigo per questa cagione coronò del reame di Cicilia don Piero suo maggiore figliuolo sanza dispodestare sé a sua vita e fecegli in sua presenza fare omaggio e saramento a tutti i baroni e Comuni dell’isola; e questo fue il dì di...

CXXXV Come i Fiorentini mandarono in Frioli per cavalieri.

Nel detto anno MCCCXXI i Fiorentini mandarono in Frioli per cavalieri a soldo, e vennono in Firenze del mese d’agosto CLX cavalieri a elmo, con altrettanti balestrieri a cavallo tra Friolani e Tedeschi, molto buona gente d’arme, ond’era capitano Iacopo di Fontanabuona grande castellano di Frioli, e feciono guerra assai a Castruccio; almeno dapoi gli sentì in Firenze non s’ardì a passare la Guisciana, come in prima era usato di fare.

CXXXVI Chi fue il poeta Dante Allighieri di Firenze.

Nel detto anno MCCCXXI, del mese di luglio, morì Dante Allighieri di Firenze ne la città di Ravenna in Romagna, essendo tornato d’ambasceria da Vinegia in servigio de’ signori da Polenta, con cui dimorava; e in Ravenna dinanzi a la porta de la chiesa maggiore fue sepellito a grande onore in abito di poeta e di grande filosafo. Morì in esilio del Comune di Firenze in età circa LVI anni. Questo Dante fue onorevole e antico cittadino di Firenze di porta San Piero, e nostro vicino; e ’l suo esilio di Firenze fu per cagione, che quando messer Carlo di Valos de la casa di Francia venne in Firenze l’anno MCCCI, e caccionne la parte bianca, come adietro ne’ tempi è fatta menzione, il detto Dante era de’ maggiori governatori de la nostra città e di quella parte, bene che fosse Guelfo; e però sanza altra colpa co la detta parte bianca fue cacciato e sbandito di Firenze, e andossene a lo Studio a Bologna, e poi a Parigi, e in più parti del mondo. Questi fue grande letterato quasi in ogni scienza, tutto fosse laico; fue sommo poeta e filosafo, e rettorico perfetto tanto in dittare, versificare, come in aringa parlare, nobilissimo dicitore, in rima sommo, col più pulito e bello stile che mai fosse in nostra lingua infino al suo tempo e più innanzi. Fece in sua giovanezza i·libro de la Vita nova d’amore; e poi quando fue in esilio fece da XX canzoni morali e d’amore molto eccellenti, e in tra·ll’altre fece tre nobili pistole; l’una mandò al reggimento di Firenze dogliendosi del suo esilio sanza colpa; l’altra mandò a lo ’mperadore Arrigo quand’era a l’assedio di Brescia, riprendendolo della sua stanza, quasi profetezzando; la terza a’ cardinali italiani, quand’era la vacazione dopo la morte di papa Chimento, acciò che s’accordassono a eleggere papa italiano; tutte in latino con alto dittato, e con eccellenti sentenzie e autoritadi, le quali furono molto commendate da’ savi intenditori. E fece la Commedia, ove in pulita rima, e con grandi e sottili questioni morali, naturali, strolaghe, filosofiche, e teologhe, con belle e nuove figure, comparazioni, e poetrie, compuose e trattò in cento capitoli, overo canti, dell’essere e istato del ninferno, purgatorio, e paradiso così altamente come dire se ne possa, sì come per lo detto suo trattato si può vedere e intendere, chi è di sottile intelletto. Bene si dilettò in quella Commedia di garrire e sclamare a guisa di poeta, forse in parte più che non si convenia; ma forse il suo esilio gliele fece. Fece ancora la Monarchia, ove trattò de l’oficio degli ’mperadori. Questo Dante per lo suo savere fue alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso, e quasi a guisa di filosafo mal grazioso non bene sapea conversare co’ laici; ma per l’altre sue virtudi e scienza e valore di tanto cittadino ne pare che si convenga di dargli perpetua memoria in questa nostra cronica, con tutto che per le sue nobili opere lasciateci in iscritture facciamo di lui vero testimonio e onorabile fama a la nostra cittade.

CXXXVII Come i Fiorentini rimasono fuori della signoria del re Ruberto, e feciono parte delle mura della città.

Nel detto anno MCCCXXI, in calen di gennaio, i Fiorentini uscirono della signoria del re Ruberto, la quale era durata per VIII anni e mezzo, e tornaro a fare lezione di loro podestà e capitano, com’erano usati per antico, e cominciaronsi a fare le mura e le torri da la porta di San Gallo a quella di Santo Ambruogio de la città di Firenze. E io scrittore, trovandomi per lo Comune di Firenze uficiale con altri onorevoli cittadini sopra fare edificare le dette mura, di prima adoperamo che le torri si facessono di CC in CC braccia; e simile s’ordinò si cominciassono i barbacani, overo confessi, di costa a le mura e di fuori da’ fossi, per più fortezza e bellezza de la cittade, e così si seguirà poi per tutto.

CXXXVIII Come il re d’Inghilterra fece uccidere ’l cugino e più suoi baroni, e come gli Scotti gli cominciarono guerra.

Nel detto anno MCCCXXI fallirono le triegue dagli Scotti al re d’Inghilterra, e con grande isforzo corsono gli Scotti gran parte de’ confini d’Inghilterra da la loro parte, tenendo tutti gl’Inghilesi di quelle marce sotto tributarìa; e ciò avenne per grande discordia che il re Adoardo il giovane re d’Inghilterra ave’ quasi con più de’ suoi baroni, ond’era capo il conte di Lancastro, cugino del re e de la casa reale. E la detta lega e giura era fatta per gli baroni contro al re, perch’egli si reggea per male consiglio e vile portamento, dando più fede a uno messer Ugo il Dispensiero, cavaliere di picciolo affare, ch’a tutti gli altri suoi baroni. E crebbe tanto la detta scisma, che i detti congiurati teneano arme contro al re, e s’erano rubellati nella contrada del Trento verso Bonobruco, cioè ponte. E tornando uno conastabole del re con più di sua gente d’arme da le frontiere della Scozia, e per mandamento del re gente a piè del paese ragunò in buona quantità per offendere a’ detti allegati, trovandogli male ordinati al detto ponte, ch’era uno stretto passo, gli sorprese e sconfisse con piccola fatica di combattere: quasi tutti s’arrendero; onde il re fece dicapitare il detto conte di Lancastro e ’l conte d’Ariforte con LXXXVIII tra conti e baroni. E ciò fu a l’uscita del mese di marzo, anni MCCCXXII, e fu tenuta una grande crudeltà, per la qual cagione la forza del reame d’Inghilterra molto afiebolìo.

CXXXIX Come i Perugini ebbono la città d’Ascesi per assedio.

Nell’anno di Cristo MCCCXXII, essendo il Comune di Perugia stato a l’assedio della città d’Ascesi per più d’uno anno con più battifolli, per cagione che s’erano rubellati da parte di Chiesa, e signoreggiavala il popolo in parte ghibellina, quella città molto afflitta di guastamento intorno intorno, e tolte loro tutte le castella, e oltre a·cciò di più avisamenti la loro gente sconfitta, e fallendo loro la vittuaglia e molte cose bisognevoli, si rendero al Comune di Perugia, i quali le disfeciono le mura e le fortezze, e recarla a loro giuridizione, e tolsono il suo contado infino al fiume di Chiacio a piè de la città: e questo fu del mese d’aprile del detto anno. E intrati i Perugini in Ascesi corsono la terra, e oltre a’ patti più di C cittadini uccisono a furore ne la terra, ch’erano stati loro ribelli.

CXL Come la parte ghibellina furono cacciati di Fano.

Nel detto anno e mese d’aprile i Guelfi de la città di Fano de la Marca coll’aiuto de’ Malatesti da Rimine cacciarono di Fano la parte ghibellina, e si renderono al marchese, ch’era per lo papa.

CXLI Come Federigo conte da Montefeltro fu morto a romore da quegli d’Orbino.

Nell’anno MCCCXXII, essendo stata, e era grande guerra nella Marca d’Ancona, la quale mantenea il conte Federigo da Montefeltro co la città d’Orbino, e d’Osimo, e di Racanata contra il marchese che v’era per la Chiesa, e morto in Racanata uno nipote e uno cugino del detto marchese con molta di sua gente, il papa per la detta cagione, a richesta del marchese, fece processo, e sentenzia diede contra il detto conte Federigo, e contra i caporali e rettori de la città d’Osimo e di Racanata, trovandoli in più articoli di resia, e tali in idolatria, secondo la sentenzia; e croce fece contro a·lloro predicare in Toscana e in più parti d’Italia, perdonando colpa e pena chi andasse o mandasse in servigio di santa Chiesa. Più crociati v’andarono di Firenze e di Siena e di più altre cittadi. E ’l marchese essendo con sua oste intorno a Racanata, avenne che essendo il conte Federigo in Orbino, e fatta a quegli della cittade una grande taglia, overo imposta di moneta, per andare al soccorso di Racanata con certi soldati del vescovo d’Arezzo e di Castruccio, come piacque a·dDio, maravigliosamente e di sùbito il popolo d’Orbino si levòe a romore contro al detto conte Federigo, ed egli improviso rinchiuso e assediato dal popolo nella sua fortezza de la terra, vedendosi non guernito né da potere riparare, s’arendé come morto al popolo, pregandogli per grazia gli tagliassono la testa; e spogliato in giubba, col capestro in collo, e con uno suo figliuolo scese al popolo cheggendo misericordia, il quale popolo a furore lui e ’l figliuolo uccisono, e poi faccendo il corpo suo tranare per la terra, vituperosamente a’ fossi in uno carcame di cavallo morto il soppellirono, sì come scomunicato; e due altri suoi figliuoli fuggendo d’Orbino furono presi da quegli d’Agobbio; e un altro suo piccolino fanciullo fu preso dal popolo d’Orbino, e Speranza da Montefeltro si fuggì nel castello di San Marino. E per questo modo venne il giudicio d’Iddio improvisamente a quegli della casa da Montefeltro, gli quali erano sempre stati ribelli e perseguitori di santa Chiesa; e questo fu a dì XXVI d’aprile MCCCXXII.

CXLII Come la città d’Osimo si rendé a la Chiesa.

Nel detto anno, per cagione del rubellamento d’Orbino e de la morte del conte Federigo, quegli della città d’Osimo si levaro a romore contra i loro rettori, gridando che voleano pace colla Chiesa; e veggendo i detti il popolo scommosso a romore, per paura di quello ch’era avenuto al conte Federigo, si fuggiro de la terra, e ’l Comune e ’l popolo d’Osimo sì rendero a la Chiesa e al marchese; e questo fu a dì III di maggio MCCCXXII.

CXLIII Come la città di Racanata si rendé a la Chiesa, e come il marchese la fece disfare.

Nel detto anno e mese quegli della città di Racanata veggendo renduti al marchese Orbino e Osimo, s’arendero al detto marchese e sua oste liberamente, e cacciarne i loro rettori e caporali. Il marchese presa la città, per vendetta del nipote e di sua gente ch’aveano molti, dicendo che in Racanata s’adoravano l’idoli, la città sanza misericordia fece ardere tutta, e apresso i muri diroccare infino a’ fondamenti; e ciò fu a’ dì XV di maggio MCCCXXII, la quale fu tenuta grande crudeltà, overo fu sentenzia d’Iddio per gli loro peccati.

CXLIV Come i Visconti signori di Milano furono scomunicati, e come la Chiesa fece venire contra loro il dogio d’Osteric.

Nel detto anno MCCCXXII, veggendo papa Giovanni che ’l capitano di Milano e’ figliuoli nol voleano ubbidire per richeste fatte più volte che facesse levare l’assedio da la città di Genova, e amoniti dal legato cardinale e scomunicati, sentenzia diede la Chiesa contra loro sì come eretici e sismatici, e fece predicare la croce contra loro in Italia e in Alamagna, e perdonare colpa e pena. E oltre a·cciò, veggendo la Chiesa che la ’mpresa fatta con messer Filippo di Valos era venuta a neente, che solamente per la forza di messer Ramondo di Cardona e di sua gente non si potea resistere a la forza de’ detti tiranni, ordinò e richiese con trattato del re Ruberto Federigo dogio d’Osteric, eletto re de’ Romani, che s’egli mandasse d’Alamagna le sue forze in Lombardia contra i detti scomunicati e sismatici, di confermarlo per la Chiesa imperadore, e uno suo fratello cherico farebbe arcivescovo di Maganza. Per la qual cosa Federigo detto mandò in Lombardia Arrigo dogio d’Ostericche suo fratello con Vc cavalieri a elmo; e giunse nella città di Brescia domenica d’ulivo del detto anno; e poi più signori e genti d’arme crociati d’Alamagna vi s’agiunsono, sì che si trovò in Brescia con MM Tedeschi d’arme a cavallo. Sentendo ciò il capitano di Milano e’ suoi seguaci, parea loro male stare, e al tutto temendo di perdere la signoria, veggendo sì grande esercito venire contra lui da la parte di Brescia d’Alamagna, e d’altri Lombardi fedeli de la Chiesa, e Fiorentini e Bolognesi e Sanesi per fornire la loro lega co la Chiesa e·re Ruberto, e mandati i loro sindachi con molta moneta in Frioli e in Alamagna per soldare IIIIc cavalieri a elmo e CC balestrieri a cavallo per agiugnerli a Brescia, co la forza del detto dogio Arrigo d’Ostericchi d’altra parte.

CXLV Come i signori di Milano sotto trattato d’accordo colla Chiesa corruppono il dogio d’Ostericchi, sì che si tornò in Alamagna.

Messer Ramondo di Cardona era col legato a Valenza con MD uomini a cavallo e con gente a piè innumerabile crociati per venire verso Milano da la parte di Pavia. Il detto capitano veggendosi così assalire da tutte parti da la forza de la Chiesa, mandò XII de’ maggiori cittadini di Milano per ambasciadori al legato cardinale per acconciarsi co la Chiesa, però che ’l popolo di Milano veggendosi sì fatti eserciti di gente venire adosso, non voleano essere scomunicati, né distrutti per quegli della casa de’ Visconti. Essendo i detti ambasciadori col legato a Valenza trattando d’accordo, il detto capitano di Milano mandò segretamente suoi ambasciadori in Alamagna, e eziandio moneta assai a Federigo dogio d’Ostericchi, mostrando come facea contra lo ’mperio e contro a·ssé medesimo; e che se la Chiesa e ’l re Ruberto avessono la signoria di Milano, avrebbono tutta Lombardia, e’ fedeli dello imperio di Lombardia e di Toscana, distrutti per modo che mai non porrebbe passare in Italia né avere la corona dello ’mperio. Il Tedesco per queste ragioni e per la cupidigia della moneta fue scommosso, e mandòe al suo fratello Arrigo, ch’era a Brescia, che cogliesse alcuna cagione e si tornasse addietro. Il quale avuto il mandato del fratello, e disparte dal capitano di Milano e dagli altri tiranni di Lombardia moneta assai, avendo ordinato co’ Bresciani e col patriarca d’Aquilea e con loro séguito d’andare ad oste sopra la città di Bergamo, ch’era in trattato d’arendersi a·lloro, mosse quistione a’ Bresciani, che in prima che si partisse volea la signoria di Brescia. I Bresciani negando che no·lla poteano dare, perché vacando imperio s’erano dati al re Ruberto, incontanente sanza niuno ritegno si partì de la terra a dì XVIII di maggio MCCCXXII, e con tutta sua gente se n’andò a Verona, il quale da messer Cane della Scala signore di Verona onorevolemente fu ricevuto e presentato di ricchi doni; poi appresso sanza dimoro se n’andò in Alamagna, guastando a la Chiesa sì grande impresa e sì bello servigio incominciato, per sì fatto tradimento.

CXLVI Come i Pistolesi feciono triegua con Castruccio contra ’l volere de’ Fiorentini.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d’aprile, essendo i Pistolesi molto gravati di guerra da Castruccio signore di Lucca, il quale tenea il castello di Serravalle presso a tre miglia a Pistoia, trattato ebbono co·llui di triegua; onde i Fiorentini entraro in grande gelosia, che Castruccio sotto la detta triegua non prendesse la terra; per la quale cosa più volte vi mandarono loro ambasciadori per isturbarla. A la fine la terra si levò a romore, e feciono loro capitano di popolo l’abate di Pacciana di Tedici, che volea la detta triegua, e contra volontà de’ Fiorentini la feciono, dando di trebuto a Castruccio IIIm fiorini d’oro l’anno, e cacciarne per ribelli il vescovo e altri caporali che teneano co’ Fiorentini.

CXLVII Come in Siena ebbe romore e novitade.

Nell’anno MCCCXXII, del mese d’aprile, la città di Siena fue a romore per cagione che quegli della casa de’ Salimbeni uccisono una notte due frategli carnali figliuoli di cavaliere della casa de’ Tolomei, loro nemici, nelle loro case. Per la potenza de le dette due case i Sanesi quasi tutti parati per combattersi insieme, e temendo di certe masnade tedesche che’ Pisani e Castruccio mandavano per lo loro contado al vescovo d’Arezzo, per aiuto mandarono a’ Fiorentini, i quali mandarono loro le masnade de’ Friolani, ch’erano CCCL cavalieri, molto buona gente, e tutte le leghe del contado di Firenze di genti a piè vicini de’ Sanesi; per la qual cosa la città di Siena si guarentì da battaglia cittadina, con tutto rimanesse assai pregna di male volontadi tra·lloro.

CXLVIII Come i Ghibellini di Colle vollono prendere la terra e furono sconfitti.

Nell’anno MCCCXXII, del mese d’aprile, usciti di Colle di Valdelsa coll’aiuto di certi ribelli di Firenze entrarono per forza nel borgo di Colle. Quelli della terra combattendo per forza gli ripinsono fuori, e assai ve ne rimasono morti e presi; e quegli di Colle feciono popolo co la ’nsegna a croce del popolo di Firenze.

CXLIX Come il soldano de la Soria corse e prese quasi tutta l’Erminia.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d’aprile, il soldano de la Soria con più di XXVm Saracini a cavallo corsono l’Erminia di sotto, e quella presono e guastarono tutta infino a la marina, salvo alcuna fortezza di montagne; e tutti gli Ermini e Cristiani che in quella correria presono, assai n’uccisono e menarono in servaggio; e questa persecuzione si disse fu per loro peccata e discordia, che essendo morto il re d’Erminia, e rimasi di lui due piccioli figliuoli, il signore del Curco suo zio prese per moglie sanza dispensazione di papa la reina stata moglie del nipote, e figliuola del prenze di Taranto, per aversi la signoria del reame; e quella reina ripresa del matrimonio che volea fare, e che mandasse al papa per dispensazione, disse che prima si peccava che si domandasse perdono; onde i baroni isdegnati furono in discordia e partiti, per la qual cosa quando fue bisogno non difesono il reame da’ Saracini, onde l’Erminia fu quasi distrutta.

CL Come il re di Tunisi cacciato di signoria la racquistò.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d’aprile, il re di Tunisi, ch’era stato cacciato di Tunisi, come adietro fa menzione, s’acordò co’ signori degli Arabi, e raunato suo isforzo, con alquanti Cristiani di soldo e’ venne verso Tunisi con IIIIm uomini a cavallo e con gente a piè assai. L’altro re che tenea Tunisi uscì fuori a battaglia e fue sconfitto, sì che il primo re fu vincitore e racquistò il suo reame. Questo re fu figliuolo di madre cristiana, e assai si ritenea co’ Cristiani.

CLI Come il vescovo d’Arezzo cominciò guerra a’ conti, e prese Castello Focognano.

Nell’anno MCCCXXII, del mese di maggio, il vescovo d’Arezzo, ch’era di quegli da Pietramala, fece raunata di VIc cavalieri con CL Tedeschi ch’ebbe da’ Pisani e da Castruccio signore di Lucca: dissesi che ciò avea fatto per soccorrere il conte Federigo da Montefeltro; ma sentendo ch’era morto, cavalcò co la detta gente in Casentino, e tolse il castello di Fronzole sopra a Poppio, il quale teneano i figliuoli del conte da Battifolle; e fatto ciò, incontanente cavalcò e puosesi a oste a Castello Focognano. I Fiorentini a richesta dei conti e de’ signori del Castello Focognano mandarono in Casentino CCCL cavalieri friolani, e fermossi in Firenze di dare loro aiuto generale, quanto il Comune potesse fare, per levare il detto assedio, ricordandosi i Fiorentini che ’l detto vescovo, non istante la pace fatta co·lloro alla sconfitta a Montecatini, CL de’ suoi cavalieri mandò incontro a l’oste de’ Fiorentini; e poi quando Castruccio ruppe la pace a’ Fiorentini e cavalcò in sul contado di Firenze, ne mandò C cavalieri in suo aiuto. Faccendo i Fiorentini l’aparecchiamento d’oste, e richesti gli amici di Toscana e di Romagna e de la Marca, il detto vescovo per tradimento che ordinò con uno piovano di que’ signori del castello ebbe a patti il detto castello, ch’era fortissimo e ben fornito; e come gli fu renduto, sanza attenere patti il fece tutto ardere, e poi diroccare infino a’ fondamenti.

CLII Come Romeo de’ Peppoli e suo séguito vennono per prendere Bologna e andarne in isconfitta.

Nel detto anno, del mese di maggio, il grande ricco uomo Romeo de’ Peppoli cacciato di Bologna, come adietro è fatta menzione, essendo a Cesena in Romagna, de’ suoi propi danari e con amici subitamente raunò IIIIc cavalieri: venne a la città di Bologna, e con aiuto di certi suoi amici ch’erano ne la città entròe dentro a l’antiporte ne’ borghi. I Bolognesi quasi improvisi de la sùbita venuta, francamente difendendo la terra, i detti loro ribelli per forza e con grande loro dammaggio gli ripinsono fuori de la città, e poi più confinati e ribegli feciono di quella parte, rimanendo Bologna in grande sospetto e in male stato, e mandarono per aiuto a’ Fiorentini, i quali mandarono loro CL di loro cavalieri.

CLIII De’ romori e grandi novità ch’ebbe nella città di Pisa per la setta de’ cittadini.

Nel MCCCXXII, del mese di maggio, la città di Pisa si levò a romore per cagione delle sette ch’erano tra’ cittadini. Messer Corbino de la casa de’ Lanfranchi uccise messer Guido da Caprona de’ maggiori cittadini che vi fosse; e quello de’ Lanfranchi preso a romore di popolo, a·llui e al fratello fu tagliato il capo. E per cagione di ciò non cessò il romore ne la terra, ma più caldamente si raccese, che il conte Nieri de’ Gherardeschi signore delle masnade tedesche co’ grandi de la terra corsono la città, e a furore da’ detti grandi Lanfranchi e Gualandi e Sismondi e Capornesi ch’erano dell’altra setta contra il popolo uccisono tre possenti popolani, e cercando per tutto quegli ch’erano de la setta di Coscetto dal Colle per uccidergli, dicendo che aveano fatto uccidere quello da Caprona, e facieno venire Coscetto dal Colle: il popolo per la detta ingiustizia e micidi isdegnarono contra il conte Nieri e contra i grandi. Il secondo dì s’armarono e corsono la terra, e vollono che giustizia si facesse, onde furono condannati XV de’ maggiori de le dette case per ribelli, e guasti i beni loro: il conte medesimo sarebbe stato corso dal popolo di Pisa, se non che si trovò forte de le masnade; e sì si disse che ne’ micidi detti non avea avuto colpa, ma più il campò che Castruccio con tutto suo isforzo venne per due volte infino in sul Monte San Giuliano. I Pisani temendo de la sua venuta, ch’egli e la sua gente non corressono e rubassono la città, sì gli contradissono la venuta. Istando i Pisani sotto l’arme e in grande sospetto più giorni per le dette divisioni e sette, Coscetto dal Colle popolano, uomo di grande valore e ardire, il quale era stato capo di popolo in Pisa a cacciare Uguiccione da la Faggiuola, e poi a uccidere quegli della casa de’ Lanfranchi, come adietro ha fatta menzione, e allora era fuori di Pisa per ribello, sentendo le dette divisioni in Pisa per certi trattati di suoi amici d’entro, venia in Pisa per mutare stato a la città, e per uccidere e cacciare il conte Nieri e’ suoi seguaci; essendo fuori di Pisa assai presso a la città in una piccola casa d’uno villano per entrare la mattina per tempo in Pisa, un suo compare e confidente il tradì e l’apostò al conte, il quale a grande furore fu menato preso in Pisa, e sanza altro giudicio fatto, il fé tranare, e tranando tagliato a pezzi, e gittato in Arno. E fatto ciò, la terra si racquetò, e feciono grande festa e processione, e mandaro a’ confini più nobili e popolani de la setta del detto Coscetto in diverse e lontane parti del mondo, e ’l detto conte Nieri feciono signore e difensore del popolo di Pisa dì XIII di giugno MCCCXXII; e così in pochi dì il detto conte fu in così varie e diverse fortune.

CLIV Come Castruccio fece uno grande castello in Lucca.

Nel detto anno, del mese di giugno, MCCCXXII Castruccio signore di Lucca spaventato per la morte del conte Federigo da Montefeltro, e per le mutazioni fatte per lo popolo di Pisa contro al conte Nieri, temendo che ’l popolo di Lucca nol corressono a furore, ordinòe nella città uno maraviglioso castello, che quasi la quinta parte de la città da la parte di verso Pisa prese, e murò di fortissimo muro con XXVIIII grandi torri intorno, e puosegli nome l’Agusta, e caccionne fuori tutti gli abitanti, e egli e sua famiglia e sue masnade vi tornò ad abitare; la qual cosa fu tenuta grande novità e magnifico lavorio.

CLV Come il re di Tunisi fu ricacciato de la signoria.

Nel detto anno, del mese di giugno, il re di Tunisi ch’avea raquistata la signoria del mese d’aprile passato, sì come è fatta menzione, fue cacciato de la signoria da l’altro re suo nimico: coll’aiuto di certa parte degli Arabi riprese la signoria.

CLVI Come morì messer Maffeo Visconti capitano di Milano.

Nel detto anno MCCCXXII, a dì XXVIII di giugno, morì messer Maffeo Visconti capitano per lo ’mperio di Milano a la badia di Chiaravalle fuori di Milano, scomunicato da la Chiesa di Roma, e con processo d’eretico e sismatico. Questi fue uno savio signore e tiranno, e molte grandi cose trasse a fine per suo senno e industria, e visse più di LXXXX anni, e infino a l’ultimo fu savio e di grande signoria. Il detto dì che morì, Galeasso suo maggiore figliuolo e capitano di Piagenza corse la città di Milano co le masnade de’ soldati, e fecesi fare quasi per forza capitano di Milano uno anno.

CLVII Come nella Chiesa di Roma nacque grande quistione sopra la povertà di Cristo.

Nel detto anno MCCCXXII grande quistione nacque ne la Chiesa di Roma, onde seguì nuovo errore tra’ Cristiani, per movimento che fece uno grande maestro in divinità de’ frati minori, che predicava in Proenza, che Gesù Cristo fu tutto povero sanza avere nullo propio né in comune, onde molti prelati e frati predicatori, ed eziandio in corte papa Giovanni e’ suoi cardinali contradissono a·cciò, provando che Cristo cogli apostoli ebbe propio in comune, come si mostra per gli Vangeli, che Giuda Scariotto era camerlingo e spenditore de’ beni loro dati per Dio, e ancora così seguiro i discepoli, come si mostra per gli Atti degli appostoli. Per la qual cosa il papa crucciato contro a quegli frati e altri prelati che sosteneano l’altra oppinione, dicendo ch’erano eretici, o elli e gli altri papi passati e cardinali e prelati ch’aveano propietà comune erano eretici; e di ciò diede termine a’ frati, che a questo articolo diliberatamente rispondessono. Per la qual cosa i frati minori feciono capitolo generale a Perugia, nel quale dichiararono e rispuosono al papa ch’eglino ne credeano quella oppinione che la Chiesa di Roma per antico avea consueto, e quello che ne fu dichiarato per papa Niccola terzo. Il papa per questa cagione fece uno dicreto, che l’ordine de’ frati minori non potesse avere nullo comune propio, né’ loro procuratori potessono nullo bene temporale domandare sotto titolo della Chiesa di Roma, né potere esser a nulla esecuzione di testamento, né quello che a·lloro fosse lasciato per favore di Chiesa, né secolare braccio potere domandare. La qual cosa fu tenuta grande novità nella Chiesa di Dio.

CLVIII Come in Firenze s’ordinò una fiera, e altre novitadi.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di giugno, i Fiorentini ordinarono una fiera in Firenze di cavagli e di tutte cose per la festa di san Giovanni di giugno, la quale feciono franca a’ forestieri VIII giorni innanzi a la festa e VIII giorni appresso, la quale si facesse nel Prato d’Ognesanti; ma poco tempo apresso durò, per cagione de le grandi gabelle ch’erano allora in Firenze; e d’altra parte, considerando il vero de la piena arte e mercatantia ch’è in Firenze, ogni dì si può dire vi sia fiera. E a dì VII di luglio vegnente s’apprese il fuoco in sul ponte Vecchio, e arsono tutte le botteghe ch’erano da mezzo il ponte in qua, con molte case di sotto le volte. E infra quattro semmane vegnenti s’appresono l’altre botteghe da l’altro lato, e arsono tutte e casa de’ Mannelli. E in quello tempo uno sottile maestro di Siena per suo artificio fece sonare la gran campana del popolo di Firenze, ch’era stata XVII anni che nullo maestro l’avea saputo farla sonare a distesa, essendo XII uomini, e acconciolla per sì sottile e bello artificio, che due la poteano muovere, e poi mossa, uno solo la sonava a distesa (e pesa più di XVIIm di libbre); onde il detto maestro per suo servigio ebbe dal Comune CCC fiorini d’oro.

CLIX Di guerra che fue in Cicilia e in Calavra.

Nel detto anno MCCCXXII, a l’uscita del mese di giugno e a l’entrata di quello di luglio, il duca di Calavra figliuolo del re Ruberto mandò da Napoli in Cicilia XVIII galee armate in corso sopra i Ciciliani, le quali presono e guastarono l’isola di Lipari, e poi guastarono le tonnare di Palermo, e corseggiaro intorno a l’isola con danno assai di Ciciliani. Partite le dette galee, il re Federigo fece armare in Messina XXVI galee, e con più legni puose cavalieri e genti a piè assai a Reggio in Calavra, e guastollo intorno, e simigliante Niccotera e più altre terre sanza altro aquistare, ma le sopradette galee del duca misono in caccia.

CLX Come messer Ramondo di Cardona capitano per la Chiesa fue sconfitto al ponte a Basignano.

Nel detto anno MCCCXXII, dì VI di luglio, essendo messer Ramondo di Cardona capitano in Lombardia per la Chiesa, de la gente della Chiesa e del re Ruberto, a l’assedio de la rocca di Basignano, e quella molto distretta, ch’egli aveva fatto fare ponti di navi in sul Po, sì che vittuaglia non vi potea entrare, messer Marco Visconti di Milano con suo isforzo di XXIIc di cavalieri e con popolo a piè grandissimo venne al soccorso, e puosesi a oste sopra i borghi di Basignano, e messer Gherardino Spinoli uscito di Genova capitano de la detta oste con grande navilio scese giù per Po, per combattere il ponte e fornire la detta rocca, e messer Marco per terra assaliro a un’ora l’oste di messer Ramondo ch’era fuori de’ borghi, ov’ebbe grandissimi assalti e battaglie, e per più riprese. E volendo rompere il detto ponte sopra al Po mettendo fuoco, e l’altra parte difendendo, grandissimo dammaggio vi ricevettono quegli del capitano di Milano di morti e d’annegati; e avendo perduto in Po, si ritrassono in terra, ov’era cominciata la battaglia per la cavalleria e popolo, la quale durò da mezzo dì a vespro; e per due volte rotti quegli di Milano, e morti più di CCC uomini di cavallo, e di que’ da piè grande quantità; a la fine essendo la forza di messer Marco maggiore che quella di messer Ramondo, il quale non avea che XIIc di cavalieri, e di quegli gli convenia guardare di qua e di là da Po e il ponte sopra Po, la gente sua ch’era dal lato de’ borghi, per soperchio di gente fu ripinta per forza ne’ borghi e sconfitti, ove morirono di sua gente da CL uomini di cavallo, e di que’ da piè assai; e così quegli che maggiore dammaggio ricevettono furono vincitori del campo, e rifornirono la rocca di Basignano, e rimasono all’assedio de la gente de la Chiesa ch’era ritratta ne’ detti borghi.

CLXI Conta di grande guerra tra il re d’Inghilterra e quello di Scozia.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di luglio, il re di Scozia con suo isforzo, sentendo la divisione ch’era in Inghilterra tra ’l re e’ suoi baroni, venne in su l’Inghilterra, e tutte le frontiere de’ suoi confini guastò. Sentendo ciò il re d’Inghilterra, del mese presente d’agosto con tutto suo isforzo andò ad oste in Iscozia per terra, e per mare vi mandò bene CCC cocche e navi armate. Gli Scotti sentendo l’esercito che venia loro adosso, si ritrassono fra la Scozia in foreste e fortezze. Gl’Inghilesi male proveduti di vittuaglia, grandissimo difetto ebbe nell’oste, per la qual cosa moltitudine morirono di fame, e si corruppe l’oste per modo che non poterono durare; e così sanza nullo acquisto fare si tornò il re d’Inghilterra con sua oste adietro del mese di settembre con grande vergogna e dammaggio di XXm uomini morti di fame e d’infermità. E in quello medesimo tempo i Fiamminghi, per discordia ch’aveano cogl’Inghilesi, sì guerreggiarono in mare rubando e corseggiando sopra gl’Inghilesi, i quali in quello anno d’una parte e d’altra e tra·lloro molto furono afflitti.

CLXII Come la città d’Osimo si rubellòe a la Chiesa.

Nel detto anno, del mese d’agosto, messer Lippaccio, ch’era stato signore de la città d’Osimo de la Marca e ribello de la Chiesa, coll’aiuto di quegli de la città di Fermo e d’altri Ghibellini de la Marca in Osimo ritornò e caccionne la gente del marchese, e co l’aiuto de’ Fermani si cominciò grande guerra al marchese, e feciono rubellare Fabbriano.

CLXIII Come i Fiorentini feciono una grande raunata di gente credendosi avere alcuna terra di Castruccio.

Nel detto anno, del mese d’agosto, i Fiorentini subitamente feciono raunata di XXVc di cavalieri tra di loro gente e d’amici, e di XVm uomini d’arme a piè. La cagione nullo sapea, se non certi sagretari: dissesi che doveano avere una terra, overo città, di loro nimici. Per la qual cosa i Pisani e ’l signore di Lucca, e ancora gli Aretini, stettono in grande guardia e gelosia, e più confinati mandarono fuori. A la fine non potendosi compiere il trattato, a dì VIIII d’agosto diedono commiato a tutti i forestieri, e ’l migliore fu; e perché di ciò avemo fatta menzione, ché mai non si scoperse la cagione del sagreto, che di rado suole avenire a’ Fiorentini.

CLXIV Come ambasciadori del dogio d’Osteric feciono fare triegua in Lombardia a danno della Chiesa.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d’agosto, il dogio d’Ostericchi, uno degli eletti re de’ Romani, mandò in Lombardia suoi ambasciadori al legato del papa per discusarsi de la laida partita da Brescia del dogio Arrigo suo fratello, e per fare trattare accordo da la Chiesa a’ figliuoli del capitano di Milano; e giunti loro in Milano, messer Galeasso fece loro grande onore, e con sindachi del detto Comune e di nove altre città di Lombardia, ond’erano signori, brivileggiaro, e si diedono al detto dogio d’Ostericchi, acciò che gli acordasse, o difendesse da la forza della Chiesa. I quali ambasciadori andati a Valenza al legato cardinale, feciono fare triegua da l’oste della Chiesa a quella del signore di Milano infino a calen di ottobre vegnente; e ciò assenti il cardinale per la gente della Chiesa ch’era assediata ne’ borghi di Basignano a grande distretta, i quali n’uscirono sani e salvi, lasciando la terra a guardia de’ detti ambasciadori: e simigliante lasciarono que’ di Milano la rocca di Basignano. E fallite poi le dette triegue, non possendo poi essere accordo, i detti ambasciadori rendero a messer Marco capitano dell’oste di Milano la rocca di Basignano e eziandio i borghi, opponendo che se messer Ramondo rivolesse i borghi, rimettesse ne la terra la sua gente assediata, e nello stato ch’era quando si feciono le triegue; onde il legato e messer Ramondo si tennono traditi e ingannati da’ detti ambasciadori.

CLXV Come i Pisani in certa parte ruppono la pace a’ Fiorentini.

Nel detto anno, del mese d’agosto, i Pisani feciono certe nuove gabelle sopra loro legni e galee che aducessono roba di franchi o portassono, faccendo pagare a la roba, rompendo la libertà de’ Fiorentini, e’ patti de la pace in più guise sotto il detto colore. I Fiorentini vi mandarono ambasciadori, e niente valse, onde si tennono forte gravati da’ Pisani.

CLXVI Come i Fiorentini racquistaro il castello di Caposelvoli.

Nel detto anno, dì VII di settembre MCCCXXII, i Fiorentini riebbono il castello di Caposelvoli di Valdambra, il quale aveano tenuto gli Aretini da la venuta dello ’mperadore: rendési a patti per certi del castello. Quegli della rocca si tennono alquanti dì attendendo soccorso dagli Aretini. I Fiorentini vi cavalcaro popolo e cavalieri; per la qual cosa gli Aretini non ardirono di venire al soccorso, e feciono rendere la rocca.

CLXVII Come il signore di Mantova e quello di Verona vennono a oste a Reggio.

Nel detto anno MCCCXXII, del detto mese di settembre, messer Cane della Scala signore di Verona e messer Passerino signore di Mantova vennono a oste sopra la città di Reggio con MD cavalieri, e quello guastando, si puosono a oste a uno loro castello de’ Reggiani dicendo di venire a Bologna. I Bolognesi temendo mandarono per aiuto a’ Fiorentini, i quali vi mandarono CCC cavalieri. Istando i detti a quello assedio, subitamente si levarono da oste, lasciando di loro arnesi, e con danno d’alquanti di loro gente. La cagione della sùbita partita si disse che fu per tema che ’l detto messer Cane ebbe che ’l dogio di Chiarentana e ’l conte da Gurizia che per comandamento del dogio d’Ostericchi re de’ Romani non venissono sopra Verona e Vincenza, come facceano l’apparecchiamento.

CLXVIII Come ne la città di Parma ebbe battaglia tra’ cittadini.

Nel detto anno MCCCXXII, dì XVIII del mese di settembre, la città di Parma si levòe a romore, e si combatterono insieme i cittadini: dell’una parte era capo Orlando Rosso, dell’altra Gianni Quirico e l’abate di San Zeno, i quali dal detto Orlando e dal popolo di Parma furono sconfitti e presi col loro séguito; ciò si disse che fu perché il detto Gianni Quirico trattava co’ Fiorentini e’ Bolognesi di recare Parma a parte guelfa; ma i più dissono ch’egli trattava di dare la terra a messer Cane e a messer Passerino suoi parenti, e però aveano fatta la detta cavalcata sopra Reggio. Il detto Orlando Rosso rimase signore e rimise in Parma i figliuoli di messer Ghiberto da Coreggia.

CLXIX Come i signori di Ravenna s’uccisono insieme.

Nel detto anno e dì i figliuoli di messer Bernardino da Polenta di Ravenna, con trattato de’ Malatesti signori da Rimine, sì uccisono l’arciprete di Ravenna loro cugino e consorto, ch’era signore de la terra, e di quella rimasono signori.

CLXX Come gli usciti di Genova ebbono Albingano.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di settembre, il re Federigo di Cicilia fece de’ suoi danari armare in Saona XVII galee per guerreggiare la città di Genova e ’l re Ruberto, e quelle galee cogli usciti di Genova e coll’aiuto di Castruccio assediarono Portovenero per mare e per terra; e poi appresso coll’aiuto del marchese dal Finale assediarono la città d’Albingano che teneano quegli di Genova. Per la qual cosa il re Ruberto co’ Genovesi d’entro armarono in Genova XXI galea, e in Proenza XII uscieri con CC cavalieri per levare il detto assedio. E vegnendo i detti uscieri di Proenza, per contrario tempo non poterono porre i cavalieri in terra al Bingano, ma se ne vennero in Genova. L’armata de le XVII galee sì disarmarono e lasciarono l’assedio di Portovenero, ma perciò non lasciarono quello d’Albingane. I Genovesi per altra volta caricarono gli uscieri di loro cavalieri per porre al Bingano, e per contrario tempo non poterono prendere terra. Per la qual cosa la detta terra di Albingano, molto stretta di vittuaglia, e non soccorsa, s’arendé poi agli usciti di Genova e al marchese dal Finale a patti, a dì XIII di dicembre vegnente.

CLXXI Come papa Giovanni fece battere moneta fatta come il fiorino d’oro.

Nel detto tempo e anno papa Giovanni fece fare in Vignone una nuova moneta d’oro fatta del peso e lega e conio del fiorino d’oro di Firenze sanza altra intransegna, se non che da·lato del giglio diceano le lettere il nome del papa Giovanni; per la qual cosa gli fue messa grande riprensione, a fare dissimulare sì fatta moneta come il fiorino di Firenze.

CLXXII Come il re di Francia lasciò la prima moglie, e prese la figliuola che fue d’Arrigo imperadore.

Nel detto anno MCCCXXII e mese di settembre Carlo il giovane re di Francia, lasciata la prima sua moglie figliuola che fu del conte di Borgogna, perché si trovòe in avolterio, prese per moglie la figliuola che fue dello ’mperadore Arrigo e serocchia del re Giovanni di Boemmia. Compensò il papa il detto matrimonio opponendosi per la petizione che la madre della prima moglie, figliuola che fu del conte Artese, aveva tenuto a battesimo il detto re. Questa pruova si disse che fu falsa, e che a la contessa d’Artese il convenne assentire per iscampare la figliuola di morte; e così del detto mese di settembre a Tresi in Campagna sposò la detta seconda moglie vivendo la prima.

CLXXIII Come il re Ruberto volle esser morto a Vignone.

Nel detto anno e mese il re Ruberto essendo co la corte di papa a Vignone, volle essere morto per suoi famigliari, a petizione di messere Ugo di Palizzo di Borgogna, per cagione che il re gli contradisse a moglie la prenzessa della Morea; e dissesi che’ tiranni di Lombardia e di Toscana di parte ghibellina aveano procacciato ciò. Non se ne seppe il vero. I detti famigliari furono presi e distrutti; intra gli altri fue uno Fiorentino.

CLXXIV Come i Fiorentini rifeciono Casaglia, e ripresono le ville e popoli d’Ampinana in Mugello.

Nel detto anno e mese di settembre i Fiorentini feciono rifare il castello di Casaglia sopra l’alpe, il quale avea fatto guastare il conte a Battifolle a Sinibaldo Donati, quand’era in bando al tempo de’ Bianchi, e levarono uno passaggio, che ’l detto conte vi facea ricogliere. E in quello medesimo tempo il detto Comune di Firenze riprese la signoria d’undici popoli di più di M uomini, i quali furono sotto il castello d’Ampinana in Mugello, i quali fedeli erano stati del conte Guido da Raggiuolo, e per suo lascio succedeano a’ figliuoli del conte a Battifolle. Il Comune di Firenze vi cusava ragione, che infino nel MCCLXXXXII essendo a l’assedio de la detta Ampinana, dal conte Manfredi che v’era entro la comperarono IIIM fiorini d’oro, e posseduto alcuno tempo. Per la qual cosa in Firenze venne il conte Simone da Battifolle e ’l conte Ruggieri da Doadola, domandando al Comune che si commettesse a ragione la quistione in giudice comune; non furono uditi, e così si partirono male appagati da’ Fiorentini.

CLXXV Come l’eletto d’Ostericchi fu sconfitto da quello di Baviera.

Nel detto anno MCCCXXII, martedì a dì XXVIIII di settembre, nella duchea di Baviera in Alamagna fue grande assembiamento e battaglia tra il re Federigo d’Ostericchi e il re Lodovico di Baviera, amendue eletti re de’ Romani. La quale battaglia durò dal sole levante insino al tramontare, però che non v’avea pedoni, e combatteano a riprese a modo di torniamenta; e fu sì aspra e sì dura, che più di IIIIm combattitori a cavallo vi furono morti tra dall’una parte e dall’altra, e più di VIm cavalli morti. A la fine la vittoria e la signoria del campo rimase al re Lodovico di Baviera; e ’l sopradetto Federigo re e Arrigo dogio d’Ostericchi suo fratello con molti baroni furono presi in forza del detto re Lodovico; e quasi tutta la gente del re Federigo rimasono tra morti e presi, infra’ quali rimasono più di MM cavalieri ungari che Carlo Umberto re d’Ungaria avea mandati in aiuto al detto re Federigo suo parente. Il duca Lupoldro d’Ostericchi, il quale venia con MD cavalieri a elmo in aiuto al fratello ed era presso già a XV miglia a l’oste, non giunse a tempo a la battaglia, però che quello di Baviera sentendo sua venuta affrettò saviamente la battaglia, e passò la riviera. Il re Federigo, per isdegno di sua potenza e grandezza non curando il nimico né essendo ordinato, per lo modo detto fue sconfitto.

CLXXVI Come il re d’Ungaria venne sopra il re di Rassia.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di settembre, Carlo Umberto re d’Ungaria con più di XXm Ungari a cavallo corse sopra le terre del re di Rassia in Ischiavonia, e venne presso a Giadra a due giornate guastando il paese, per cagione che gli Schiavi no·llo ubbidieno; per la qual cosa si temette per que’ di Schiavonia, e ancora per gli Viniziani, ch’eglino non prendessono infino a le marine. A la fine il detto re di Rassia fece le sue comandamenta, e ancora per la sconfitta di sua gente in Baviera si ritornò adietro in Ungaria. Questo Carlo Umberto fue figliuolo di Carlo Martello, che fu figliuolo di Carlo secondo re di Cicilia e di Puglia; e se ’l padre non fosse in prima morto che ’l detto Carlo secondo, gli succedea il reame, il quale succedette poi al re Ruberto suo secondo fratello; ma però il detto Carlo non ne fu mai contento.

CLXXVII Come gli Ubaldini si diedono a la signoria de’ Fiorentini.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese d’ottobre, i signori Ubaldini per iscandalo che surse tra·lloro, l’una parte e l’altra a gara insieme, eglino e’ loro fedeli si diedono a la signoria del Comune di Firenze, il quale Comune loro promise di trarre d’ogni bando, e fecegli esenti di gravezze per due anni; il quale acquisto fu di più di IIIm distrettuali; ma come per addietro sono usati, poco stettono fedeli de’ Fiorentini per la guerra di Castruccio.

CLXXVIII Come messer Vergiù di Landa rubellò Piagenza a messer Galeasso Visconti di Milano.

Nel detto anno MCCCXXII Obizzo chiamato Vergiù de la casa di Landa di Piagenza, tutto fosse Ghibellino, discacciato di quella città da messer Galeasso Visconti di Milano signore di Piagenza, per cagione di vergogna fatta per lo detto messer Galeasso a la donna del detto Vergiù, e ancora lui battuto, e toltogli Ripalta suo castello, si·ssi rubellò, e andonne al cardinale legato per la Chiesa. Ed essendo messer Galeasso a Milano, il detto Vergiù subitamente con IIIIc cavalieri di quegli della Chiesa venne a Piagenza, e per suoi amici dentro una porta gli fu aperta, e così con questa gente entrò nella città a dì VIIII d’ottobre, e corse la terra, e di quella prese la signoria sanza contasto: fu fatto vicaro per la Chiesa, e fecesi fare cavaliere, e caccionne Azzo figliuolo del detto messer Galeasso che n’era signore, e rimise in Piagenza tutti gli usciti guelfi. Per la qual cagione ebbe appresso in Lombardia grandi commutazioni. E del mese di novembre venne il legato cardinale in Piagenza, e fue ricevuto a grande onore, e poco appresso i Piagentini racquistarono tutte le loro castella, che tenea la gente di messer Galeasso.

CLXXIX Di grande fortuna che fue in mare e in terra.

Nel detto anno MCCCXXII, dì XXVI d’ottobre, fu delle maggiori fortune di vento a greco e tramontana con neve che si ricordasse per niuno che allora vivesse; e fece maggiori pericoli in mare di rompere navi e galee e altri legni in più parti del mondo, spezialmente nel golfo di Vinegia; e simigliante fue in terra, che in più parti divelse grandissimi alberi, e ruppene innumerabile quantità, e molte case fece cadere in Toscana, onde più genti ne moriro.

CLXXX Come gli Scotti sconfissono gl’Inghilesi.

Nel detto anno MCCCXXII, a l’uscita del detto mese d’ottobre, essendo il re d’Inghilterra tornato di Scozia con sua oste con grande vergogna e dammaggio, come adietro fa menzione, e essendo di là da Vervicche a la badia di Rivalse, e i suoi baroni erano dimorati più innanzi a le frontiere della Scozia per contrastare gli Scotti che non passassono, ed erano in numero di Vc cavalieri e IIIm uomini d’arme a piede; gli Scotti gli asaliro, e gl’Inghilesi per tema si ritrassono in su uno monte per essere forti; gli Scotti assediarono il detto monte, e ismontati da cavallo assalirono gl’Inghilesi, e quegli misono in isconfitta, e quasi la maggiore parte furono tra morti e presi; intra’ quali furono presi Gianni di Brettagna, il conte di Riccemonte, il signore di Sugli, e più altri baroni. Il re d’Inghilterra, sentita la detta sconfitta, quasi solo con poca compagnia si fuggì de la detta badia vituperosamente.

CLXXXI Come messer Galeasso Visconti fu cacciato di Milano.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di novembre, dopo la rubellazione che quegli di Piagenza aveano fatta di messer Galeasso Visconti, i nobili e ’l popolo di Milano veggendosi scomunicati e in sentenza della Chiesa per la signoria di messer Maffeo Visconti e de’ figliuoli, sì elessono XII de’ migliori de la città, grandi e popolani, che trattassono accordo dal Comune di Milano al legato cardinale, i quali più volte furono al legato con volontà del capitano di Milano, promettendo di lasciare la signoria, acciò che·lla città di Milano avesse sua pace colla Chiesa. La quale promessa fatta infintamente per messer Galeasso, non volendo assentire all’accordo, si levò a romore la città di Milano a petizione de’ detti XII caporali, volendo che messer Galeasso lasciasse la signoria, come aveano promesso al cardinale; e recaro da·lloro parte grande parte de le masnade de’ Tedeschi per impromesse e danari diedono loro, e per cagione che più tempo messere Galeasso non gli avea pagati, e a·ffurore il popolo e’ cavalieri corsono al palazzo gridando «Pace, pace, e viva la Chiesa!». Messer Galeasso, credendosi riparare co’ soldati italiani e altri che gli erano rimasi, si mise al contasto, e in tre parti nella città ebbe battaglia, e in ciascuna parte ebbe il peggiore con danno di sua gente: veggendo che non potea durare, con poca di sua gente si partì di Milano, e andossene a Lodi a dì VIII di novembre, e de la città di Milano rimasono signori i detti XII, i quali erano messer Luis Visconti consorto di messer Galeasso, messer Giacomino da Postierla, messere Simone Cravelli, messer Francesco da Barbagnano e altri grandi cattani e varvassori, che non sapemmo di tutti il nome. Di questa mutazione di Milano ebbe in Firenze grande allegrezza, e fecesene grande festa e belle giostre, istimando che la guerra di Lombardia avesse fine. Ma se avessono saputo la mutazione futura e contraria che fue assai di presso, e quello danno che ne seguì a’ Fiorentini, come innanzi si potrà vedere, avrebbono non fatta festa, ma il contrario; e però di felicità mondana non si dee l’uomo troppo allegrare, né d’aversità troppo turbare, però ch’ell’è fallace, e con diverse e varie mutazioni.

CLXXXII Come Moncia fu presa e corsa per quegli di Milano.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di novembre, essendo Galeasso Visconti e’ suoi seguaci cacciati di Milano, quegli della terra di Moncia con séguito d’amici di quegli de la Torre feciono raunanza per venire a Milano. Per gli XII rettori di Milano fu mandato a quegli di Moncia che cessassono la detta raunata, però che voleano riformare prima la città per gli patti ordinati co la Chiesa; e di vero, tutto fosse Galeasso cacciato di Milano, per gli detti XII si reggea la città a parte d’imperio e non di Chiesa. Quelli di Moncia per troppa volontà disubedienti, furono assaliti da le masnade di Milano e dal popolo, e per forza presa la terra e rubata tutta, e cacciarne la detta raunanza con danno di più di CC uomini morti.

CLXXXIII Come certi de la casa de’ Tolomei feciono grande guerra nel contado di Siena.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di dicembre, messer Deo de’ Tolomei co’ suoi seguaci ribelli di Siena, coll’aiuto e trattato del vescovo d’Arezzo e di certi loro amici di Firenze, con danari e impromesse corruppono V conastaboli oltramontani co·lloro masnade in quantità di CC a cavallo, i quali erano al soldo del Comune di Firenze, i quali sanza saputa del detto Comune si partirono da Fucecchio, e andarne in Valdichiane, e congiunti col detto messer Deo e co la gente del vescovo d’Arezzo e con C cavalieri d’Orbivieto, presono il castello d’Asinalunga e quello di Torrita, e corsono per lo contado di Siena guastando e rubando sanza nullo riparo; e facevansi chiamare la Compagna, ed erano bene Vc cavalieri e gente a piè assai sanza ordinato soldo, vivendo di ratto e di ruberia; per la qual cosa in Siena n’ebbe grande paura e gelosia: mandarono per soccorso a’ Fiorentini, i quali vi mandarono CCC cavalieri e M pedoni, e ’l capitano del popolo con grande ambasceria per trattare accordo, il quale da’ Sanesi non fue inteso, temendo che’ Fiorentini in servigio di quegli della casa de’ Tolomei non avessono fatta ismuovere la detta gente; ma feciono più confinati della casa de’ Tolomei e di loro amici, e fortificarsi di soldati assai, e feciono loro capitano di guerra il conte Ruggieri da Doadola de’ conti Guidi. E stando la detta Compagna nel contado di Siena, per gli Sanesi furono contastati di guerra guerriata, non assicurandosi d’aboccarsi a battaglia, sì come a gente disperata; e così stettono tutto il verno. A la fine la detta Compagna per più difetti non possendo durare, si partirono a dì XVI di febbraio MCCCXXII, e sbarattarsi nella Marca e in più parti, e così per buona sostenenza i Sanesi rimasono liberi di quella afflizzione, e sì riconobbono che quella ismossa di gente non fu con volontà del Comune di Firenze, anzi gli sbandirono come traditori i detti soldati.

CLXXXIV Come messer Galeasso Visconti ritornò in Milano.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di dicembre, essendo i XII rettori della città di Milano in istretto trattato col legato cardinale di dargli la signoria della città di Milano, e d’esser ricomunicati da la Chiesa, e la maggior parte de’ detti nobili si voleano dare liberamente; e mandati loro ambasciadori e sindachi a Piagenza al cardinale che venisse in Milano, la parte de’ Visconti ch’era rimasa in Milano, ond’era capo messer Lodovico Visconti, non piacendogli il detto accordo, mandò segretamente a Lodi per Galeasso Visconti e per gli frategli, che venissono col loro isforzo a la terra; e in Milano corruppe le masnade tedesche, i quali erano stati a cacciare Galeasso, che fossono in suo aiuto, e loro promise Xm fiorini d’oro; e ’l detto Galeasso venuto di notte, gli fue data e aperta la porta de’ Sonagli, e per quella entròe in Milano sabato a l’alba del giorno, dì XI di dicembre, e corse la terra. Per la qual cosa quasi tutti i nobili di Milano ch’erano stati contra Galeasso e al trattato della Chiesa, col loro séguito uscirono di Milano, e poi il detto Galeasso si fece fare signore de la terra a grido di popolo, dì XXVIIII di dicembre nel detto anno. E così in corto termine si cambiò la sua fortuna per accrescimento di maggiori mali in Milano e in Lombardia per punizione de’ peccati, come innanzi faremo menzione.

CLXXXV Come Luis d’Universa fu fatto conte di Fiandra.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di gennaio, Luis d’Universa, figliuolo del figliuolo del conte di Fiandra, fu fatto conte di Fiandra con volontà delle buone ville di Fiandra per asseguire i patti della pace; messer Ruberto di Fiandra suo zio, volendo esser conte egli, perché il padre di Luis era prima morto che ’l conte suo avolo, onde piato fu a Parigi dinanzi al re di Francia, e per sentenzia fu renduto per oservazione de’ patti della pace che ’l detto Luis fosse conte, e non messer Ruberto.

CLXXXVI D’uno grande freddo che fue in Italia e carestia.

Nel detto anno MCCCXXII, del mese di novembre e dicembre e gennaio, fue in Italia la maggiore vernata, e di più nevi che fosse grande tempo passato; e in Puglia fu sì grande secco, che più di mesi VIII stette che non vi piovve, per la qual cosa grandissimo struggimento e carestia di tutti i beni fue nel paese; e così seguì quasi in tutta Italia, spezialmente in Pisa e in Lucca e Pistoia, grandissima fame e carestia, onde tutti i poveri di loro contado fuggirono per la fame a Firenze, e in Firenze medesimo fu caro; le II e mezzo staia di grano uno fiorino d’oro.

CLXXXVII Come i Fiorentini mandarono loro gente in Lombardia sopra Milano.

Nel detto anno, in calen di febbraio, a richesta del detto papa Giovanni i Fiorentini mandarono in Lombardia in aiuto del legato e a l’oste della Chiesa CC cavalieri con loro capitani e ambasciadori, e altrettanti ne mandaro i Bolognesi, e’ Parmigiani C, e i Reggiani C, e’ Romagnuoli simigliante, per andare sopra la città di Milano, e per abattere i tiranni e ribegli di santa Chiesa della casa de’ Visconti.

CLXXXVIII Come gli usciti di Genova furono sconfitti e levati dall’assedio di Genova.

Nel detto anno MCCCXXII, dì XVII di febbraio, essendo ancora gli usciti di Genova ad assedio della città ne’ borghi di Prea (come addietro fa menzione, stati all’assedio di Genova presso di V anni tra due volte con piccolo intervallo), quegli della città feciono uscire di notte delle masnade del re Ruberto CL uomini a cavallo e mille a piè per combattere la fortezza del monte di San Bernardo, e saliti al poggio combattero co’ nimici, e sconfissongli, e cacciandogli infino a’ borghi. Quegli della città sentendo la detta rotta uscirono della terra per la porta de le Vacche, e per forza entrarono ne’ borghi; e seguendo la detta caccia e sconfitta racquistarono i detti borghi con tutte le fortezze. E degli usciti furono morti alquanti, ma più presi, e guadagnarono di robe e avere ch’era ne’ detti borghi più di libbre CCm di genovini, però che gli usciti stavano ne’ detti borghi con loro famiglie, e faceano l’arti e mercatantie come ne la città. Quegli che scamparo fuggirono a Saona e a Volteri; per la qual cosa la forza degli usciti molto affiebolìo, e fu tenuto miracolo di Dio, che per piccola rotta perderono quello che per tutta la forza del re Ruberto e del Comune di Genova prima per tanto tempo non si poté acquistare.

CLXXXIX Come il re di Tunisi cacciato ricoverò la signoria.

Nel detto anno e mese il re di Tunisi, che ’l giugno passato era stato cacciato della signoria, come adietro fa menzione, racquistò la signoria e caccionne l’altro. E così mostra che i detti Saracini abbiano piccola stabilità in loro signorie, che tre volte in due anni mutata la detta signoria per due re.

CXC Come la città di Tortona s’arendé a la Chiesa e al re Ruberto.

Nel detto anno MCCCXXII, dì XVIIII di febbraio, messer Ramondo di Cardona con Vc cavalieri e cogli usciti guelfi della città di Tortona in Lombardia, per trattato fatto per lo legato cardinale entrò nella detta città, la quale gli fu data da’ cittadini, e fattone signore; e la signoria e masnade che v’erano per lo capitano di Milano, a pochi dì appresso renduta la città del poggio co la rocca, a patti se n’uscirono salve le persone, e più castella del contado di Pavia si renderono a messer Ramondo.

CXCI Come l’oste di Milano furono sconfitti da quegli della Chiesa in sul fiume d’Adda.

Nel detto anno, del mese di febraio, essendo cavalcata la cavalleria e l’oste della Chiesa da Piagenza in sul contado di Milano ne la contrada de la Graradadda al castello di Cravazzo, il quale si teneva per gli nuovi usciti di Milano, là si trovarono tra soldati della Chiesa e l’amistà di Lombardia e di Toscana più di IIm cavalieri d’arme e popolo assai, ond’era capitano messer Castrone nipote del legato e messer Vergiù di Landa. Messer Marco Visconti con VIIIc cavalieri de le masnade di Milano e popolo assai era venuto in su la riva del fiume d’Adda a la villa di Trinazzo e a Basano per contrastare il passo a la detta oste de la Chiesa. Avenne che venendo, XXV di febbraio MCCCXXII, messer Vergiù di Landa cogli usciti di Milano con Vc cavalieri, dilungandosi alquanto dall’oste su per la riva d’Adda passarono il fiume; messer Marco con sua gente andò contra loro, e assaligli vigorosamente per modo che gli avea quasi sconfitti; e già morto il fratello di messer Vergiù, e messer Simonino Cravelli, e messer Francesco da Garbagnana usciti di Milano e più altri; l’altra oste de la Chiesa ch’era in su la riva, veggendo la detta battaglia per lo capitano e conastaboli e insegna del Comune di Firenze, ch’era messer Filippo Gabbrielli d’Agobbio, e messer Urlimbacca tedesco, prima messi a passare l’Adda e l’altra gente appresso, con grande contasto de’ nimici nel fiume, e alla riva combattendo vittoriosamente passaro, e trovando la gente di messer Marco sparta e travagliata gli misono in isconfitta; ove grande quantità ne rimasono morti e presi, e fuggito il detto messere Marco col rimaso di sua gente a Milano, l’oste della Chiesa presono Trinazzo e più ville e castella; e a dì XXVII di febbraio presono la terra di Moncia presso a Milano VIII miglia, e incontanente più gente cittadini uscirono di Milano a cavallo e a piè, e vennono a la detta oste.

CXCII Come i Padovani si pacificaro insieme co’ loro usciti.

Nel detto anno MCCCXXII e mese di febbraio i Padovani, i quali erano sotto la signoria del dogio di Chiarentana, si pacificaro insieme, e rimisono in Padova tutti i loro usciti; la quale cosa non seppono fare innanzi, quand’erano in migliore e maggiore stato e in loro libera signoria.

CXCIII Come Castruccio racquistò certe castella di Carfagnana che gli erano fatte rubellare per gli Fiorentini.

Nel detto anno, del mese di marzo, Castruccio signore di Lucca fece oste sopra il castello di Lucchio in Carfagnana che gli s’era rubellato, e sopra le terre de la montagna di Pistoia; e quegli abandonati da’ Pistolesi, per tema che Castruccio non rompesse loro le triegue, mandarono a Firenze per aiuto. I Fiorentini per farlo spendere e consumare vi mandarono LXXV cavalieri e CCCC pedoni per la guardia di quelle terre. Castruccio vigorosamente, non guardando a le nevi ch’erano grandi a la detta montagna, assalì in persona le dette terre ch’erano sopra Lucchio con suo séguito di cavalieri a piè. Quegli che v’erano a la guardia abandonaro i passi, e si ridussono a le fortezze, i quali poco apresso s’arrenderono, e salve le persone se n’andarono; e partita la detta gente, il detto castello di Lucchio fortissimo si rendé a patti, dì XVII di marzo. I Fiorentini per lo soccorso del detto castello di Lucchio trattato feciono d’avere il ponte e ’l castello di Cappiano in su la Guisciana: essendo Castruccio a oste in Carfagnana, vi cavalcaro le cavallate e’ soldati di Firenze infino a Empoli, e non vegnendo fornito il tradimento, si ritornarono in Firenze con grande riprensione dell’una impresa e dell’altra.

CXCIV Come pace fu tra l’eletto imperadore di Baviera e quello d’Ostericchi.

Nel detto anno e mese il re Lodovico di Baviera eletto re de’ Romani fece grande parlamento in Alamagna di tutti i suoi baroni, e in quello si fece l’accordo da·llui al duca d’Ostericchi, e trasselo di pregione sotto certi patti e saramento di non chiamarsi re, e di non essergli incontro; ma poco l’attenne.

CXCV Come Allessandra in Lombardia si rendé al legato del papa e al re Ruberto.

Nell’anno MCCCXXIII, a dì II d’aprile, essendo stato trattato da quelli della città d’Allessandra in Lombardia al legato cardinale, si rendero a la signoria de la Chiesa e del re Ruberto; e messer Ramondo di Cardona v’entrò, e prese la signoria con IIIIc cavalieri, e caccionne quegli che v’erano per lo capitano di Milano. E in quegli giorni messer Arrigo di Fiandra, maliscalco che fu dello ’mperadore Arrigo, non possendo riavere la contea di Lodi, che gli avea privileggiato lo ’mperadore, e teneala il capitano di Milano, venne al servigio della Chiesa e del legato, il quale gli confermò per la Chiesa la detta signoria, e privilegiò e fecelo capitano nell’oste di tutti gli oltramontani.

CXCVI Come il dogio di Baviera eletto imperadore mandò al legato in Lombardia che non guerreggiasse le terre dello ’mperio.

Nel detto anno e mese d’aprile Lodovico eletto re de’ Romani a richesta e sommossa de’ Ghibellini di Toscana e di Lombardia, per soccorrere il signore di Milano, mandò tre ambasciadori in Lombardia, Bertoldo conte di Niferi e Bertoldo conte... e uno suo mastro scrivano di sua corte, i quali furono a Piagenza al legato cardinale, a richiederlo e pregarlo che non gravasse il signore né la città di Milano, però ch’erano a lo ’mperio. Il legato rispuose che, quando fosse imperio legittimo, non s’intendea per la Chiesa d’occupargli nulla sua ragione, ma di conservarla e mantenerla; ma che si maravigliava che il loro signore volesse difendere e favorare gli eretici; e domandò loro per iscritto e con suggegli il mandato ch’aveano dal loro signore. Quellino accorgendosi che se per iscritto mostrassono che il loro re favorasse i ribelli della Chiesa, cadea in indegnazione di quella, incontanente negaro che di ciò ch’aveano detto non aveano mandato dal loro signore, e chiesono perdono al legato, e partirsi: e l’uno di loro venne a Lucca e a Pisa, e gli altri andarono a Mantova e Verona con loro ambasciata.

CXCVII Come la città d’Orbino si rubella a la Chiesa.

Nel detto anno e mese d’aprile il popolo d’Orbino si levò a romore, e cacciarono della città la signoria che v’era per lo marchese e per la Chiesa, per soperchi e incarichi che faceano loro.

CXCVIII Come giudice d’Alborea di Sardigna si rubellò da’ Pisani a petizione del re d’Araona.

Nel detto anno e mese d’aprile, faccendo il re d’Araona grande apparecchiamento di navile e di cavalieri per venire a prendere l’isola di Sardigna, la quale gli fu privileggiata per papa Bonifazio VIII, il Comune di Pisa, che de la detta isola teneano grande parte, avendo fatta murare Villa di Chiesa e più altre fortezze, e mandatovi gente a cavallo e a piè al loro soldo, e a soldo di giudice d’Alborea per contastare al detto re d’Araona, avenne che ’l detto giudice, il quale tenea ed era signore d’Arestano e bene del terzo di Sardigna, a di XI d’aprile tradì i Pisani, e si rubellò da·lloro per trattati fatti da·llui al re d’Araona, e fece mettere a morte quanti Pisani e loro soldati che si trovarono in sue terre, e eziandio i Pisani suoi famigliari e soldati. E fatto questo malificio, incontanente mandò suoi ambasciadori al re d’Araona, che venisse per la terra. La cagione del detto rubellamento si disse che fece perché i Pisani il trattavano male, e che quando il detto giudice prese la signoria, i Pisani oppuosono ch’egli era bastardo, e convennesi ricomperare dal Comune di Pisa per avere la signoria Xm fiorini d’oro sanza il privato costo de’ cittadini di Pisa; per la qual cosa poi non fu loro amico di cuore.

CXCIX Come messer Marco Visconti di Milano fu sconfitto da la gente de la Chiesa.

Nel detto anno, martidì a dì XVIIII d’aprile, messer Marco de’ Visconti si partì di Milano con M cavalieri e IIm pedoni, molto buona gente d’arme, per prendere e guastare il ponte da Vaveri e quello da Casciano sopra il fiume d’Adda, acciò che vittuaglia non potesse venire a l’oste de la Chiesa ch’era a Moncia. Sentendo ciò i capitani de la detta oste, messer Arrigo di Fiandra, e messer Gianni de la Torre, e messer Castrone nipote del legato, e messer Vergiù di Landra, e messer Filippo Gabbrielli capitano de’ soldati del Comune di Firenze, co·loro masnade in numero di MCC cavalieri e da IIIm pedoni si partirono da Moncia per contrastare il detto Marco Visconti e sua gente. E scontratisi insieme al luogo detto la Gargazzuola, quasi in sul tramontare del sole, la battaglia fu aspra e dura d’una parte e d’altra, però che in ciascuna parte era la migliore cavalleria de le dette osti; e grande pezzo durò la battaglia, che non si sapea chi avesse il migliore. A la fine Marco Visconti e sua gente furono rotti e sconfitti, e di sua gente a cavallo vi rimasono tra morti e presi intorno IIIIc, e rimasonvi XVII bandiere, sanza quegli da piè in gran quantità; e cavagli vi rimasono morti tra dell’una parte e de l’altra VIIIc e più; di quegli de la Chiesa vi rimasono da XXV a cavallo tra morti e presi, e uno Tedesco conostabole de’ Fiorentini con III altri conostaboli della Chiesa vi rimasono presi ne la lunga caccia; la notte si trovaro partiti da’ suoi infra’ nimici, e furono ritenuti. E così Marco Visconti col rimanente di sua gente si tornò a Milano; ma se non fosse la notte, la detta guerra era finita, ché de la gente di Marco Visconti pochi ne scampavano.

CC Come il conte da Gurizia morì per veleno.

Nel detto anno MCCCXXIII, il dì di calen di maggio, il conte da Gurizia essendo in Trivigi stato a nozze e a festa, subitamente morì: dissesi che messere Cane di Verona il fece avelenare; fue uomo molto valoroso in arme.

CCI Come il conte Novello venne in Firenze per capitano di guerra.

Nel detto anno, a dì XV di maggio, il conte di Montescheggioso e d’Andri, detto il conte Novello, venne da Napoli a Firenze con CC cavalieri al soldo del detto Comune, e per essere capitano di guerra de’ Fiorentini.

CCII Come grande scandalo fu nell’oste della Chiesa a Moncia.

Nel detto anno e mese di maggio grande scandalo e zuffa fue nell’oste della Chiesa ch’era a Moncia tra’ Tedeschi e’ Latini, ove n’ebbe morti più di L uomini di cavallo; e il figliuolo di messere Simonino Crevelli con certi si partì de la detta oste e si tornò in Milano; per le quali novità, e per non avere nell’oste uno sovrano capitano, grande sturbo fu a la detta oste.

CCIII Ancora di grande scandalo che fu in Piagenza tra la gente della Chiesa.

Nel detto anno MCCCXXIII, del mese di maggio, simigliante fue nella città di Piagenza grande scandalo tra’ Guelfi e’ Ghibellini, e ebbevi più micidi fra’ cittadini, essendo la città in arme e a romore; e ciò adivenne per sospetto che messer Vergiù di Landa era andato a parlamentare con messer Cane della Scala e con messer Passerino da Mantova sanza coscienza del cardinale legato; e tornato lui in Piagenza, o ch’avesse intenzione di rimutare stato ne la terra, o si pentesse per animo di parte d’avere data la terra a la Chiesa, o perché gli paresse che’ Guelfi avessono presa troppa signoria, fue il cominciamento del detto scandalo. E temendo il cardinale, mandò ad Ortona per messer Ramondo di Cardona, il quale vi venne con Vc cavalieri, e riformossi la città a parte di Chiesa, e messer Vergiù lasciò la signoria, e ’l cardinale il mandò a corte al papa per ambasciadore, e messer Ramondo mandò nell’oste a Moncia per capitano generale.

CCIV Come i Fiorentini per lettere di papa feciono imposta al chericato.

Nel detto anno e mese di maggio per commessione di lettere di papa Giovanni, tratte per ambasciadori del Comune di Firenze, i Fiorentini impuosono al chericato del vescovado dì Firenze XX fiorini d’oro per aiuto alle mura della città, de’ quali con grande scandalo si ricolsono la metade, e per bisogno del Comune si convertirono in altre spese; e poi per lettere di papa di contramando, per istudio del vescovo e del chericato, non se ne ricolsero più danaio per lo Comune.

CCV Come gli Aretini feciono oste sopra le terre d’Uguiccione da Faggiuola.

Nel detto anno e mese di maggio il Comune d’Arezzo e quello del Borgo a Sansipolcro con CC cavalieri e IIIm pedoni feciono oste sopra le terre d’Uguiccione da Faggiuola, perché s’aveano fatto privileggiare al re de’ Romani il detto borgo e Castiglionaretino e più castella; in quella andata vi ricevettono danno e vergogna. E poi i detti figliuoli d’Uguiccione feciono lega co’ Guelfi di Romagna e co’ conti Guidi guelfi incontro agli Aretini. Nel detto anno, a dì XX di maggio, la notte vegnente scurò la luna, quasi le due parti nel segno del Sagittario.

CCVI Come lunga triegua fu fatta dal re d’Inghilterra e quello di Scozia.

Nel detto anno, a l’uscita di maggio, triegua fu fatta tra·re d’Inghilterra e quello di Scozia per XIII anni, la quale si fece per lo male stato ch’avea il re d’Inghilterra, che per suo male reggimento quasi tutti i baroni del paese l’aveano abandonato; e come il padre Adoardo fu re di grande senno e prodezza e temuto, così questo Adoardo suo figliuolo fu il contradio. Per la qual cosa Ruberto di Bristo cavaliere di scudo fattosi re de li Scotti, però ch’era nato d’una delle figliuole d’Alepandro re di Scozia, co la sua gente a piè più ch’a cavallo lo sconfisse, e prese de l’Inghilterra, e in più modi gli fece danno e vergogna; e per non potere meglio, fece il re d’Inghilterra la detta ontosa triegua.

CCVII Come i Perugini tornarono all’assedio di Spuleto.

Nel detto anno, a l’uscita di maggio, i Perugini per comune tornarono a l’assedio de la città di Spuleto, ove aveano loro battifolli; e tutto intorno assediarono la detta città, sì che nullo vi potea entrare né uscire sanza grande pericolo.

CCVIII Come il capitano de’ soldati friolani, ch’erano co’ Fiorentini, se n’andò a Castruccio.

Nel detto anno MCCCXXIII, avendo i Fiorentini fatta ordine co·lloro amistà e co·lloro isforzo di fare oste sopra Castruccio signore di Lucca, e’ Genovesi d’entro per terra e per mare doveano venire a richesta de’ Fiorentini in Lunigiana sopra quello di Lucca, e con trattato d’avere il castello di Buggiano e altre castella di Valdinievole; il detto Castruccio non pigro scoperse i detti trattati, e XII di Buggiano impiccò, e cercò tradimento con Iacopo da Fontanabuona capitano de’ soldati friolani, ch’erano al soldo de’ Fiorentini, promettendogli molti danari; il quale traditore sanza nulla cagione da la parte de’ Fiorentini, se non che gli era scemato soldo, e partita sua masnada a più bandiere, e colle sue masnade in numero di CC cavalieri, essendo in Fucecchio, e faccendo vista di cavalcare sopra i nimici, a dì VII di giugno se n’andò a Lucca, il quale da Castruccio fu bene ricevuto. Per lo quale tradimento e partita i Fiorentini rimasono molto sconfortati, però ch’era la migliore masnada ch’avessono, e sturbò loro tutta la detta impresa.

CCIX Come Castruccio fece oste a le castella di Valdarno di ponente.

Incontanente il detto Castruccio con sua gente, e co’ detti Friolani, e con aiuto di certe masnade di Pisa, con quantità di VIIIc cavalieri e VIIIm pedoni, a dì XIII del detto giugno passò la Guisciana al ponte a Cappiano, e puosesi a oste a piè di Fucecchio, e quello in parte guastò; e poi fece il simigliante al castello di Santa Croce e quello di Castello Franco; e poi passò l’Arno, e guastò a piè di Montetopoli, e poi tornò in su l’Elsa, e guastò a piè di Samminiato e tornossi a Lucca con grande onore, dì XXIII di giugno. I Fiorentini mandarono per loro amistà, ma però non cavalcarono contra il detto Castruccio, se non che intesono a fare guardare le frontiere; e così quello ch’aveano ordinato di fare a Castruccio, per suo senno e prodezza fece a’ Fiorentini con loro vergogna.

CCX Come Nanfus figliuolo del re d’Araona andò con sua armata in su l’isola di Sardigna.

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì VIII di giugno, Nanfus figliuolo primogenito del re d’Araona con armata di LXX galee, e con più cocche e legni grossi e sottili, in numero di CC vele, e con MD cavalieri e gente a piè grandissima arrivò in Arestano in Sardigna, il quale dal giudice d’Alborea fu ricevuto onorevolemente, e da tutti i Sardi come loro signore; e tutte le terre che teneano i Pisani si rubellaro, e s’arrendero al figliuolo del re d’Araona, salvo Villa di Chiesa, e Castello di Castro, e Terranuova, e Acquafredda, e la Gioiosa Guardia. Il quale si mise l’assedio a Villa di Chiesa e a Castello di Castro; e dimorandovi tutta la detta state e ’l verno, di sua gente e di quella de’ Pisani vi morì in grandissima quantità di più di XIIm uomini; e però non cessò l’assedio. I Pisani, del mese d’ottobre nel detto anno, armarono XXXII galee per levare la detta oste, e andarono infino nel golfo di Calleri; incontanente la gente del re d’Araona n’armarono altrettante, e trassonsi fuori per combattere. I Pisani non si vollono mettere a la battaglia, ma si tornarono in Pisa, e disarmarono co·lloro danno e vergogna.

CCXI Come messer Ramondo di Cardona co la gente de la Chiesa e de la lega di Toscani e Lombardi puose oste a la città di Milano.

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì XI del mese di giugno, messer Ramondo di Cardona, capitano generale dell’oste della Chiesa, con quantità di XXXVIIIc di cavalieri tra soldati della Chiesa e del re Ruberto, colla gente del Comune di Firenze, e di Bologna, e di Parma, e di Reggio, e usciti di Milano, e con più cavalieri tedeschi fuggiti di Milano, e ancora de’ presi in battaglia, a·ccui il legato avea fatti francare e rendere loro l’arme e’ cavagli e dato il soldo, e con gente a piè innumerabile si partì da la terra di Moncia per andare all’assedio de la città di Milano. E giunti a la villa di Sesto presso di Milano, Galeasso e Marco Visconti signori di Milano con loro cavalleria e popolo uscirono di Milano intorno di MM cavalieri, faccendo segno di volere la battaglia. Messer Ramondo, ordinate sue schiere francamente, non rifusando la battaglia, si ristrinse verso la città; quegli di Milano per sospetto de’ cittadini rimasi dentro, o per tema di soperchi nimici, si ritornarono in Milano con danno e vergogna. Messer Ramondo con sua gente pugnando contra loro prese per forza i borghi di porta Nuova, e quello di porta Lenza, e quello di porta Tomasina; e arsi i primi due borghi, in quello di porta Tomasina s’acampò con sua oste, a dì XVIIII di giugno, e quello afforzando, la città molto strinse, e tolse l’acqua di Tesinello, con intendimento di lasciare battifolle da quella parte, e al monistero di Santo Spirito da porta Vercellina che per lui si tenea, e mutare l’oste tra porta Romana e quella di Pavia per chiudere al tutto la città: nel quale oste i Fiorentini il dì di santo Giovanni di giugno feciono correre il palio, onde i Melanesi si recarono a grande disdegno, e poi ne feciono bene vendetta, come innanzi farà menzione.

CCXII Come la città di Milano fue soccorsa, e come l’oste della Chiesa se ne partì.

Nel detto anno e mese di giugno quegli di Milano, veggendosi a mal punto, si mandarono per soccorso al signore di Verona, e a quello di Mantova, e a l’altre terre ghibelline di Lombardia, e ancora agli ambasciadori del re Lodovico di Baviera ch’erano in Lombardia, mandando a dire, se non dessono loro sùbito aiuto, che renderebbono la città di Milano a la Chiesa. I quali non oservando patti né saramenti fatti al legato, e promesse di non soccorrere i ribegli de la Chiesa, sì vi mandarono i detti ambasciadori con titolo d’imperio con CCCC loro soldati. E giunti in Milano i detti ambasciadori e cavalieri, quello Bertoldo conte di Niferi d’Alamagna si fece fittizziamente vicario d’imperio, e a Galeasso Visconti fece lasciare il titolo de la signoria, e rafforzò lo stato della città; ma per ciò non s’ardiro d’uscire a campo contra l’oste della Chiesa, la quale era molto possente. Apresso, a dì XX di luglio, i detti signori di Mantova e di Verona e’ marchesi da Esti, che allora erano di loro lega contra la Chiesa, mandando ancora in aiuto di quello di Milano Vc cavalieri e M pedoni; e passando il fiume del Po, per trattati fatti, credettono i detti cavalieri torre la città di Parma a petizione de la parte di Gian Quirico; il quale trattato scoperto con danno di loro, non venne loro fatto; e credettono ancora prendere Firenzuola, e con danno di loro si partirono, e andarne a Milano. In quello assedio di Milano trattati avea assai da quegli di Milano a quegli dell’oste della Chiesa, tutti coverti di tradimenti dall’una parte e da l’altra; e credendosi messer Ramondo e gli altri capitani dell’oste della Chiesa, con ispendio di moneta assai e grandi promesse trattando co’ Tedeschi ch’erano nel campo, che facessono co’ Tedeschi ch’erano ne la città, che dessono loro l’entrata de la città, o almeno l’abandonassono e venissono nel campo da la loro parte, avenne tutto il contradio: che X bandiere di Tedeschi ch’erano nell’oste della Chiesa in quantità di Vc a cavallo subitamente si partirono dell’oste e entraro in Milano. Per la qual cagione, e ancora perché grande infermeria si cominciava nell’oste, gli usciti di Milano, isbigottiti e colla paura del tradimento, quasi tutti si partirono dell’oste e si ritrassono a·lloro castella e a la terra di Moncia. Messer Ramondo veggendosi rimaso pur co’ soldati del re e de la Chiesa e degli altri Comuni, in quantità di MMD cavalieri, si ricolse con sua oste, e mise innanzi prima la salmeria e popolo minuto, dando battaglia a la città: colle schiere fatte si partì da Milano e dì XXVIII di luglio, e se n’andò a Moncia sano e salvo, che per sua levata quegli di Milano non ardirono d’uscire loro dietro a battaglia, overo per più savia capitaneria. E così è da notare che i·niuna forza umana si può avere ferma speranza, che in sì piccolo tempo sì possente e vittoriosa oste, com’era quella della Chiesa, per gli sopradetti avenimenti si partì isbarattata dal detto assedio di Milano.

CCXIII Come quegli di Milano assediaro l’oste della Chiesa in Moncia, ma levarsene in isconfitta.

Nel detto anno, dì VIII d’agosto, quegli di Milano uscirono ad oste sopra la terra di Moncia con IIIm cavalieri e popolo grandissimo. In Moncia era messer Ramondo di Cardona coll’oste della Chiesa rimaso con MM uomini di cavallo. Quivi si puosono ad assedio, e dimoraronvi infino al primo dì d’ottobre; e essendo ne la detta oste grandissima infermeria e mortalità, e molta gente di quella oste partita, uscendo fuori la gente a piè de la Chiesa con balestrieri venuti da Genova per assalire il campo, quegli dell’oste sanza riparo di battaglia si partiro a piè e a cavallo, chi meglio e più tosto si poté guarentire; e così rimase il campo e tutti i loro arnesi a la gente della Chiesa. Poca gente vi fu morta e presa, se non degl’infermi, perché l’asalto fu sproveduto e sanza la cavalleria, sì che poca fue la caccia e tardi, che già i Melanesi s’erano ricolti.

CCXIV Come Castruccio venne ad oste a Prato, e come i Fiorentini vi cavalcarono, e le novità che ne furono in Firenze.

Nel detto anno MCCCXXIII Castruccio signore di Lucca prese audacia e baldanza de la cavalcata che poco dinanzi aveva fatta sopra le terre del Valdarno sanza contasto de’ Fiorentini: il dì di calen di luglio subitamente cavalcò in sul contado del castello di Prato, perché i Pratesi non gli voleano dare tributo come i Pistolesi, e puosesi a campo a la villa d’Aiuolo presso a Prato a poco più d’uno miglio con VIcL uomini a cavallo e con IIIIm pedoni, con tutto si credesse in Firenze che fossero presso a due cotanti genti. I Fiorentini incontanente saputa la novella, serrate le botteghe e lasciata ogni arte e mestiere, cavalcarono a Prato popolo e cavalieri isforzatamente; e ciascuna arte vi mandò gente a piede e a cavallo, e molte case di Firenze grandi e popolani vi mandaro masnade a piè a loro spese; e per gli priori si mandò bando che qualunque isbandito guelfo si rassegnasse ne la detta oste sarebbe fuori d’ogni bando; il quale bando non saviamente fatto, ne seguì poi grande pericolo a la città. Avenne poi appresso che il dì seguente si trovarono i Fiorentini in Prato MD cavalieri e ben XXm pedoni, che i IIIIm e più erano isbanditi, molto fiera gente; e ordinarono il seguente dì d’uscire a battaglia contra Castruccio, e spianando le vie il detto Castruccio, la mattina III dì di luglio si levò da campo, e con grande paura de’ Fiorentini, e ancora di tradimento de’ Pistolesi, si partì d’Aiuolo, e colla preda ch’avea fatta in sul contado di Prato passò l’Ombrone, e sanza arresto, e di buono andare di galoppo, si ridusse a Serravalle: e con tutto che Castruccio n’andasse a salvamento per la discordia de’ Fiorentini, fu tenuta la sua venuta folle condotta. Che se i Fiorentini avessono mandata di loro gente, come poteano, tra Serravalle e l’oste di Castruccio, a certo Castruccio e sua gente rimanevano morti e presi; ma a cui Idio vuol male gli toglie il senno. I Fiorentini rimasi in Prato con poca ordine e con difettuoso capitano, e per vizio de’ nobili, che non voleano vincere la guerra in onore e stato di popolo, scisma e discordia nacque ne la detta oste; che il popolo tutto volea seguire dietro a Castruccio, o almeno andare a oste in su quello di Lucca, e’ nobili quasi tutti non voleano, assegnando loro ragioni ch’era il peggio. Ma la cagione era perché parea loro esser gravati degli ordini della giustizia, che non voleano essere tenuti l’uno per lo malificio dell’altro; la qual cosa per lo popolo non s’aconsentia, e per questa cagione più dì stettono in quello errore, e mandarono a Firenze ambasciadori per la diliveragione del cavalcare o tornare l’oste in Firenze. Consigliando sopra ciò in Firenze in sul palazzo del popolo, simigliante errore nacque tra nobili e popolani, e adurando di pigliare partito di consiglio in consiglio, il popolo minuto ch’era di fuori, cominciando da’ pargogli fanciugli, raunandosi in quantità innumerabile di gente, gridando: «Battaglia, battaglia, e muoiano i traditori!», e gittando pietre a le finestre del palazzo, essendo già notte, per tema del detto romore del popolo i signori priori col detto consiglio, quasi per nicessità e per acquetare il popolo minuto a romore, stanziaro che l’oste procedesse. Questo fu a dì VII di luglio. E fatta la detta diliberazione, tornati gli ambasciadori a l’oste a Prato, si partì la detta oste di Prato, dì VIIII di luglio, con mala voglia e infinta per gli nobili, se n’andarono per la via di Carmignano a Fucecchio, e giunti a Fucecchio, sanza niuno buono fare, od onore del Comune di Firenze: ma se in Prato avea errore tra’ nobili e ’l popolo del cavalcare, maggiore fue a Fucecchio di non valicare né entrare in sul contado di Lucca. E sì era cresciuta l’oste e crescea tutto dì, che ’l Comune di Bologna vi mandò CC cavalieri, e ’l Comune di Siena altri CC; e oltre a quegli tutti i nobili de le case di Siena a gara, chi meglio meglio, vennono in quantità di CCL a cavallo molto bella gente, e i Conti e altre terre e amici; onde l’oste era sì possente, se vi fosse stato l’accordo, ch’a l’assedio di Lucca e più innanzi poteano con salvezza andare, che Castruccio s’era ritratto a la guardia di Lucca con grande paura, e poca di sua gente mandati a guardare i passi sopra la Guisciana. Ma sempre ov’è la discordia è il minore podere, tutto sia più gente; e ancora per difetto del non sofficiente duca, il conte Novello, che non era capitano a conducere sì fatto esercito, per necessità convenne tornassono a Firenze sanza nulla fare, con grande onta e vergogna di loro e del Comune di Firenze. E oltre a questo, crescendo peggio al male, che certi nobili scommossono gli sbanditi, che non sarebbono dal Comune tratti di bando, onde a bandiere levate vennono i detti isbanditi innanzi a la città, credendo per forza entrare dentro, la sera, dì XIIII di luglio. Sentendo ciò il popolo a suono di campane s’armò, e trassono a la guardia de la città, del palazzo del popolo; e tutta la notte guardaro francamente, temendo di tradimento dentro ordinato per gli detti certi de’ nobili. Gli sbanditi perduta la speranza, e la mattina vegnente, dì XV di luglio, tornando la cavalleria e l’altra oste, si fuggirono i detti isbanditi, e la città si racquetò con molta riprensione. Avemo seguito per ordine questo processo de’ Fiorentini, perché siamo di Firenze e fummo presenti, e il caso fu nuovo e con più contrari, e per quello seguì apresso, per dare esemplo a’ nostri successori per lo nanzi d’esser più franchi e più interi e di migliore consiglio, vogliendo onore e stato de la repubblica e di loro.

CCXV Come il vescovo d’Arezzo prese il castello di Rondine.

Nel detto anno, a dì XVII di luglio, s’arrendé il castello di Rondine al vescovo d’Arezzo, e gli Aretini che v’erano stati ad assedio più mesi. Stando que’ d’entro a speranza che’ Fiorentini gli soccorressono, nol vollono fare, tra per non potere per le cagioni di su dette, e per non rompere pace agli Aretini.

CCXVI Come Castello Franco si rubellò a’ Bolognesi, e come lo riebbono.

Nel detto anno, a dì XVIIII di luglio, si rubellò per tradimento del signore di Modona Castello Franco de’ Bolognesi, i quali Bolognesi subitamente vi trassono per comune; e per lo sollecito soccorso, e che quegli di Modona non v’erano ancora giunti, racquistarono il castello, e’ traditori strussono.

CCXVII Come X galee de’ Genovesi furono prese da’ Turchi per tradimento.

Nel detto anno e mese di luglio X galee di Genovesi guelfi andarono in corso in Romania rubando amici e nimici, e presono tanta roba che si stimava IIIc milia fiorini d’oro, e feciono compagnia col cerabi di Sinopia, uno grande amiraglio di Turchia; e corseggiato tutto il mare Maggiore, tornati al porto di Sinopia, per quello amiraglio nobilemente ricevuti, e fatta gran festa e conviti per trargli in terra, e dato loro uno ricco desinare, al levare delle tavole gli fece assalire a’ suoi Turchi, e uccidere e prendere, e simigliante le galee e la roba ch’era in porto; e così perderono l’avere male acquistato, e le persone: che de le X galee e di tutta la ciurma non iscamparono che III galee; e rimasorvi XL e più de’ maggiori nobili di Genova, e bene MD altri per lo tradimento del detto Saracino.

CCXVIII Come santo Tommaso d’Aquino fue canonizzato da papa Giovanni.

Nel detto anno MCCCXXIII, all’uscita di luglio, per lo sopradetto papa Giovanni e per gli suoi cardinali apo Vignone, fue canonizzato per santo frate Tommaso d’Aquino dell’ordine di san Domenico, maestro in divinità e in filosofia, e uomo eccellentissimo di tutte scienze, e che più dichiarò le sacre Scritture che uomo che fosse da santo Agostino in qua, il quale vivette al tempo di Carlo primo re di Cicilia. E andando lui a corte di papa al concilio a Leone, si dice che per uno fisiziano del detto re, per veleno gli mise in confetti, il fece morire, credendone piacere al re Carlo, però ch’era del legnaggio de’ signori d’Aquino suoi ribelli, dubitando che per lo suo senno e virtù non fosse fatto cardinale; onde fu grande dammaggio a la chiesa di Dio: morì a la badia di Fossanuova in Campagna, dì... E quando venne alla sua fine, prendendo Corpus Domini, fece questa santa orazione con grande divozione «Ave pretio mee redemptionis, ave viatico mee peregrinationis, ave premio future vite in cui mano commendo anima et spiritum meum»; e passò in Cristo.

CCXIX Di grande novitade ch’ebbe in Firenze per cagione degli sbanditi.

Nel detto anno e tempo, essendo gli sbanditi di Firenze, i quali erano stati nell’oste a Prato e a Fucecchio, in isperanza d’esser ribanditi per la promessa loro fatta e per lo bando mandato per gli priori, non si trovò via per gli forti ordini che potessono essere ribanditi. Per la qual cosa VIII di loro caporali, ch’erano in Firenze a sicurtà per sollecitare d’essere ribanditi, veggendo che la loro speranza era fallita, sì ordinaro congiurazione e tradimento ne la città col favore di certi nobili de le case, ond’erano di quegli isbanditi; e la notte di santo Lorenzo, dì X d’agosto MCCCXXIII, vennero a le porte de la città da più parti, in quantità di LX a cavallo e più di MD a piè, con iscuri assai per tagliare la porta che vae verso Fiesole. Sentendosi la sera a tardi loro venuta, non per certo, ma per alcuno indizio, la città fue ad arme e in grande tremore, dubitandosi il popolo non tanto degli sbanditi di fuori, che piccolo podere era il loro a la potenza della città, quanto di tradimento dentro si facesse per gli grandi. Per la qual cosa la città si guardò la notte con grande sollecitudine, e per la buona guardia nullo s’ardì a scoprire dentro di tradimento. Gli sbanditi ch’erano di fuori, veggendo la grande guardia e luminare sopra le mura, e che nullo rispondea loro dentro, si partirono in più parti, e così per la grazia di Dio e di messere santo Lorenzo iscampò la città di Firenze di grande pericolo e rivoluzione; che di vero si trovò che doveano correre la città e ardere in più parti, e rubare e fare micidi in assai buoni uomini, e abbattere l’uficio de’ signori priori e gli ordini della giustizia, che sono contra i nobili, e tutto il pacefico stato della città sovertere; e cominciato per gli sbanditi il male, quasi tutti i nobili doveano essere co·lloro per disfare il popolo. E così si trovò; ma perché l’opera era grave a pulire, tanti n’erano colpevoli, si rimase di fare giustizia per non peggiorare stato, ché·ll’una setta e parte del popolo, i quali non reggeano la città, voleano pur che giustizia si facesse, perché si volgesse stato nella città. Quegli che reggieno, perché scandalo non crescesse onde nascesse mutazione ne la città, sì la passarono il più temperatamente che poteano. E essendo a la fine opposto per la fama del popolo per gli più caporali di nobili, ch’avessono aconsentito a la detta congiura, a messer Amerigo Donati, e a messer Tegghia Frescobaldi, e a messer Lotteringo Gherardini, ma non si trovò nullo ch’acusasse; ma nel consiglio de’ priori e del popolo per dicreto convenne ciascuno in polizze scrivesse chi gli parea fosse colpevole: trovossi per gli più i tre cavalieri nomati; che fu nuova legge e modo. I quali tre cavalieri dinunziati per lo modo e sorte che detto avemo, essendo richesti per messer Manno de la Branca d’Agobbio, allora podestà, a sicurtà privata di loro persone, compariro e confessarono che sentirono il trattato ma non vi si legaro; ma perché nol palesarono a’ priori, furono condannati ciascuno in libbre MM, e a confini per VI mesi fuori della città e contado XL miglia. Per molti si lodò di passarla per questo mezzo per non crescere scandalo ne la città; e per molti si biasimò, che giustizia non si fece de’ detti e di molti nobili che si diceva che v’aveano colpa a la detta congiurazione. E per questa novità, e per fortificare il popolo, a dì XXVII d’agosto MCCCXXIII sì diedono LVI pennoni della ’nsegna de le compagnie, III per gonfalone e tali IIII, e così a quegli de la setta che non reggeano come a quegli che reggeano, mischiatamente; e tutti i popolani a sesto a sesto si congregarono insieme, e promisono d’essere a una concordia a la difensione del popolo; per la qual cagione poi nacque mutazione in Firenze, e si criò nuovo stato, come innanzi farà menzione.

CCXX Come Castruccio guastò le castella di Valdarno di sotto.

Nel detto anno, a dì XXIIII d’agosto, essendo per quegli del castello di Montetopoli fatta preda e danno a quegli del castello di Marti, Castruccio signore di Lucca a richiesta de’ Pisani mandò CCC cavalieri, e fece guastare le vigne di Montetopoli e ciò che v’era scampato, ch’egli non avea guasto quando vi fu a oste; e simigliante feciono a Castello Franco e a quello di Santa Croce sanza niuno contasto o soccorso de le masnade de’ Fiorentini, ch’erano in maggiore quantità di cavalieri in Valdarno, onde fu grande vergogna a’ Fiorentini. E tutto ciò avenia per le divisioni de la città.

CCXXI Come quegli di Bruggia in Fiandra presono e arsono il porto delle Schiuse.

Nel detto anno e mese d’agosto, essendo quistione tra ’l conte di Fiandra e quegli di Bruggia col conte di Namurro suo zio, il quale tenea la villa e ’l porto delle Schiuse, e quella terra era molto cresciuta e multiplicata per lo buono porto, il detto conte di Fiandra, ciò fu il giovane Luis, con quegli di Bruggia andarono ad oste sopra le dette Schiuse, e per forza l’acquistaro, e uccisono e presono gente assai; e ’l conte di Namurro fu preso; e poi rubarono e arsono la detta villa e porto, che v’aveva più di MD abitanti sanza i forestieri navicanti.

CCXXII D’uno vento pestilenzioso che fu in Italia e in Francia.

Nel detto anno MCCCXXIII, a l’uscita d’agosto e a l’entrar di settembre, fu uno vento a favognano, per lo quale amalorono di freddo con alquanti dì con febbre e dolore di testa la maggiore parte degli uomini e de le femmine in Firenze: e questa pestilenza fu generale per tutte le città d’Italia, ma poca gente ne morì; ma in Francia ne morirono assai.

CCXXIII Come quegli di Bergamo furono sconfitti dalla gente de la Chiesa.

Nel detto anno e mese di settembre gente di Bergamo in buona quantità a cavallo e a piè, vegnendo in servigio di que’ di Milano a l’oste e assedio ch’era a Moncia, per la gente de la Chiesa furono scontrati e sconfitti, e rimasonne tra morti e presi D e più.

CCXXIV Come i mercatanti viniziani sconfissono gl’Inghilesi in mare.

Nel detto anno e mese di settembre, essendo partite VII galee de’ Viniziani di Fiandra cariche di mercatantia, XXXIIII cocche d’Inghilesi l’assaliro per rubare, le quali galee francamente difendendosi, quelle cocche sconfissono, e presonne X, e uccisonvi molti Inghilesi.

CCXXV Come i Fiorentini perderono il castello della Trappola co·lloro vergogna.

Nel detto anno e mese di settembre il castello della Trappola in Valdarno, il quale teneano i Pazzi, si diede a’ Fiorentini: mandovisi per lo Comune di Firenze gente e guernimento; e stando a sicurtà con mala guardia quegli che v’erano entro, i Pazzi e Ubertini, per tradimento fu loro data l’entrata del castello, e quanti Guelfi vi trovarono in su le letta gli uccisono, in numero più di XL gagliardi fanti di Castello Franco. Sentendo ciò i Fiorentini, vi mandarono CC cavalieri e pedoni assai. Quegli ch’erano nella Trappola per tema se ne partiro, e rubarono il castello e misonvi fuoco, e ridussonsi nel castello di Lanciolina. La gente de’ Fiorentini seguendogli, gli assediarono nel detto castello per più giorni; poi i Pazzi e Ubertini con gli Aretini isforzatamente con più di CC cavalieri e popolo assai venieno al soccorso; per la qual cosa la gente de’ Fiorentini sanza attendere se ne partirono dall’asedio, e con grande vergogna se ne tornarono a Firenze.

CCXXVI Come il vescovo d’Arezzo ebbe la Città di Castello per tradimento.

Nel detto anno, a dì II d’ottobre, signoreggiando la Città di Castello messer Branca Guelfucci a guisa di tiranno, e i più de’ migliori Guelfi cacciati della terra, certi di quegli che v’erano rimasi popolani sì feciono trattato col vescovo d’Arezzo per cacciare messer Branca, il quale vi mandò CCC uomini a cavallo con Tarlatino suo fratello. E’ detti traditori gli diedono la notte una de le porte, e come gli Aretini furono dentro, co’ figliuoli di Tano da Castello degli Ubaldini e più altri Ghibellini, corsono la terra, e per forza ne cacciarono il detto messer Branca, ed eziandio tutti quegli Guelfi che aveano loro data la terra, e ben IIIIc altri Guelfi caporali, e in tutto si riformò a parte ghibellina. Per la qual cosa i Perugini, e Agobbini, e Orbitani, e Sanesi, e Bolognesi, e conti Guidi guelfi mandarono ciascuno a Firenze loro ambasceria, e in Firenze fermarono taglia di M cavalieri, e capitano il marchese da Valiana per guerreggiare la Città di Castello e ’l vescovo d’Arezzo. E fermarono compagnia di IIIm cavalieri per tre anni a richesta del capitano della taglia, che ’l terzo e più ne toccò a’ Fiorentini. Piuvicossi la detta compagnia in Firenze in Santo Giovanni a dì XXI di marzo MCCCXXIII.

CCXXVII Come il papa scomunicò Lodovico di Baviera eletto imperadore.

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì VIII d’ottobre, papa Giovanni sopradetto apo Vignone in Proenza, in piuvico concestoro diede sentenzia di scomunicazione contra Lodovico dogio di Baviera, il quale si dicie re de’ Romani, però ch’avea mandato aiuto di sua gente a Galeasso Visconti e frategli, che teneano la città di Milano e più altre città di Lombardia contra la Chiesa, opponendogli che non gli era licito d’usare l’uficio dello imperio infino che non fosse approvato degno e confermato per la Chiesa, dandogli termine tre mesi, ch’egli dovesse avere rinunziata la sua elezione dello imperio, e personalmente venuto a scusarsi di ciò, ch’avea favoreggiati gli eretici e sismatici e ribegli di santa Chiesa: e privò tutti i cherici che al detto Lodovico dessono consiglio, aiuto o favore, se disubbidisse. Il quale Lodovico com’ebbe il detto processo, con savio consiglio appellò al detto papa o suo successore e al concilio generale, quando egli fosse a la sedia di San Piero a Roma; e mandò a corte grande ambasceria di prelati e d’altri signori scusandosi al papa, e faccendo promettere di non essere contra la Chiesa; gli fu prolungato termine tre altri mesi, e secondo che aoperasse, così si procederebbe contra lui.

CCXXVIII D’una grande tempesta che fu nel mare Maggiore.

Nel detto anno e mese d’ottobre fu sì grande tempesta nel mare Maggiore di là da Gostantinopoli, che ben cento legni grossi vi periro; onde fue grande danno a’ mercatanti di Vinegia e di Genova e di Pisa e ancora de’ Greci, che molto avere e mercatantia e gente vi si perdero.

CCXXIX Di novità che furono in Firenze per cagione degli ufici e de le sette.

Nel detto anno, a l’uscita d’ottobre, i priori e gonfaloniere che allora erano a la signoria di Firenze, e erano de’ maggiori popolani de la città, presono balìa di fare priori per lo tempo avenire, e feciongli per XLII mesi avenire, e mischiarono de la gente che non avea retta la terra dal tempo del conte a Battifolle allora, due in tre per uficio di priorato, per mostrare di raccomunare la terra per la novità degli sbanditi ch’era stata l’agosto dinanzi, e’ detti eletti priori misono i bossoli ordinati di trargli di due in due mesi; onde poi nacque novità innanzi che finisse l’anno, come innanzi farà menzione.

CCXXX Come Castruccio volle pigliare Pisa per tradimento.

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì XXIIII d’ottobre, si scoperse in Pisa uno tradimento ch’avea ordinato Castruccio signore di Lucca con messer Betto Malepa de’ Lanfranchi e con IIII conastaboli tedeschi, di fare uccidere il conte Nieri e ’l figliuolo e più altri che reggeano la città, e correre la terra, e dare la signoria a Castruccio; per la qual cosa fu tagliata la testa al detto messer Betto, e presi i detti conostaboli e cacciata la loro gente; e d’allora innanzi il conte con quegli che reggeano in Pisa si palesarono nimici di Castruccio, e feciono dicreto che chi l’uccidesse avesse dal Comune di Pisa Xm fiorini d’oro, e tratto d’ogni bando. Questo tradimento scoperse uno de’ Guidi e Bonifazio de’ Cerchi rubegli di Firenze, che dimoravano in Lucca e in Pisa; e guadagnarne danari da’ Pisani.

CCXXXI Come la gente de la Chiesa ebbono danno a Carrara in Lombardia.

Nel detto anno e mese d’ottobre, essendo nella villa di Carrara nel contado di Milano CCC cavalieri di quegli della Chiesa, messere Marco con Vc cavalieri di Milano subitamente assalì la detta villa; quella poco forte e male fornita, abbandonata da’ soldati de la Chiesa, presono e rubarono e arsono con alcuno danno de’ loro nimici, partendosi la gente della Chiesa in isconfitta. E poi nel detto anno, a dì XII di novembre, il detto messer Marco con MD cavalieri venne all’assedio, a la rocca e ponte di Basciano in su il fiume d’Adda, il quale era molto bene fornito e di vittuaglia e di gente per la Chiesa. Non avendo soccorso da messer Ramondo e da la sua gente ch’erano a Gargazzuola, vilmente s’arrendero, e chi dice per moneta; che n’era capitano uno oltramontano. E tornato messer Marco in Milano, dissensione nacque tra la sua gente dagli Alamanni di sopra a quegli di sotto, cioè di Valdireno, per invidia che quegli di Soavia erano più di presso al signore, e meglio pagati; e ben Vc a cavalio se ne partirono, e parte se n’andarono in Alamagna, e parte vennono nell’oste de la Chiesa sotto la bandiera di messer Arrigo di Fiandra. Di questo è fatta menzione per la poca fede de’ Tedeschi.

CCXXXII Come il popolo minuto di Fiandra si rubellarono contra i nobili e distrussongli.

Nel detto anno e mese di novembre il popolo minuto del Franco di Bruggia in Fiandra, cioè i paesani d’intorno a Bruggia, si rubellarono contra i nobili de la contrada, e feciono uno capitano il quale appellavano il Conticino, e a furore corsono il paese, e arsono e guastarono tutti i manieri e fortezze di nobili, e molti ne presono e incarceraro. E la cagione fu perché i nobili gli gravavano troppo de la taglia ch’aveano a pagare per la pace al re di Francia; e crebbe tanto la detta congiura, che contaminarono tutto il paese di Fiandra, e non ubbidieno al conte di Fiandra loro signore; e a la fine, a dì XXI di febbraio vegnente, entrarono in Bruggia per forza coll’aiuto del popolo minuto di Bruggia, e corsono la terra, e uccisono a·ffurore molti grandi borgesi, e mutarono lo stato e signoria de la terra a·lloro volontà.

CCXXXIII Come Castruccio prese Fucecchio, e incontanente ne fu cacciato in isconfitta.

Nel detto anno MCCCXXIII, a dì XVIIII di dicembre, Castruccio signore di Lucca subitamente con suo isforzo si partì da Lucca, e la notte vegnente venne intorno a Fucecchio per prendere la terra; e per alcuno di quegli d’entro di piccolo essere fue ismurata una piccola postierla, la quale era in luogo solitaro presso a la rocca, e per quella entraro molti di sua gente di Castruccio, che non furono sentiti, perché piovea diversamente, e Castruccio in persona v’entrò con più di CL uomini a cavallo e Vc a piè. E combattendo la notte la terra e’ presene una parte, e prese la rocca che v’aveano cominciata a fare i Fiorentini, salvo la torre; e credendosi avere vinta la terra, e già n’avea scritto a Lucca, quegli di Fucecchio feciono la notte cenni di fuoco per soccorso a le castella vicine, ov’era la guernigione de’ soldati de’ Fiorentini; per gli quali cenni soccorso vi venne de le masnade fiorentine, ch’erano a Santa Croce, e a Castello Franco, e a Samminiato, e vegnente il giorno, vigorosamente combattero con Castruccio e sua gente, il quale era abarrato a le bocche de le vie d’in su la piazza, e per forza gli sconfissono e cacciarono de la terra; e ’l detto Castruccio fu fedito nel volto, e a grande pena scampò, e più vi rimasono morti e presi in quantità di CL uomini tra a cavallo e a piede, e quasi tutti i loro cavagli ch’aveano condotti dentro vi rimasono, perché si fuggirono a piè; e se fossono stati seguiti, era finita la guerra castruccina a’ Fiorentini. Grande allegrezza n’ebbe in Firenze, però che al cominciamento aveano la terra per perduta, e più bandiere di Castruccio e de’ suoi conastaboli co’ cavagli presi ne vennono a Firenze.

CCXXXIV D’uno grande miracolo ch’aparve in Proenza.

Nel detto anno MCCCXXIII, il giorno de la Befania, apparve in Proenza in una terra c’ha nome Alesta uno spirito d’uno uomo di quella terra, il quale di poco era morto, e con sentore quando venia scortamente parlando, dicendo grandi cose e maravigliose dell’altra vita e delle pene di purgatorio; e ’l priore de’ frati predicatori, uomo di santa vita, con più de’ suoi frati e con più di C buoni uomini della terra il venne a disaminare e scongiurare, recando seco privatamente Corpus Domini, per tema non fosse spirito maligno e fittizio, il quale incontanente conobbe, e confessò quello esser vero Iddio, dicendo al priore: «Tu hai teco il salvatore del mondo»; e per la virtù di Cristo scongiurandolo, più secrete cose disse, e come per l’aiuto e meriti del detto priore e suoi frati tosto avrebbe requia eternale.

CCXXXV Come il vescovo d’Arezzo ebbe e prese la rocca di Caprese.

Nel detto anno, a dì VII di gennaio, il vescovo d’Arezzo ebbe la rocca di Caprese del conte da Romena, a la quale era stato ad assedio più di tre mesi; e per lo detto conte e per gli Fiorentini tardi fu soccorsa, onde al detto vescovo crebbe podere di più di Vc fedeli di Valdicapresi, ch’erano tutti Guelfi.

CCXXXVI Come gli usciti di Piagenza furono sconfitti da la gente della Chiesa.

Nel detto anno, dì X di gennaio, messer Manfredi di Landa uscito di Piagenza, che tenea Castello Aquaro, con CC cavalieri e gente a·ppiè venne verso il borgo a San Donnino per levare preda e mercatantia ch’andava a Piagenza: sentendosi in Piagenza, IIIIc cavalieri di quegli del legato cavalcarono contra loro, e tra Firenzuola e San Donnino gli sconfissono; e gran parte ne furono presi e menati in Piagenza.

CCXXXVII Come i Pisani furono sconfitti in Sardigna da lo ’nfante d’Araona.

Nel detto anno MCCCXXIII, a l’uscita di gennaio, i Pisani feciono una armata di LII tra galee e uscieri, con Vc cavalieri tra Tedeschi e Italiani, e con IIm balestrieri pisani, ond’era capitano messer Manfredi figliuolo del conte Nieri naturale, e si partirono di Pisa a dì XXV di gennaio per andare in Sardigna per soccorrere Villa di Chiesa ch’era assediata da don Anfus figliuolo del re d’Araona, il quale era in su la Sardigna per conquistarla, come adietro è fatta menzione. E per contradio tempo soggiornò la detta armata al porto di Lungone in Elba infino a dì XIII di febbraio, e in Sardigna arivarono a dì XXV di febbraio a capo di terra nel golfo di Caseri, e trovarono che Villa di Chiesa s’era renduta al detto don Anfus a dì VII di febbraio, il quale v’era stato ad assedio VIII mesi, e venuto era con sua oste ad assediare Castello di Castro. I Pisani scesi in terra co·lloro oste andando verso Castello, e la gente di Castello venieno per congiugnersi co·lloro, e dì XXVIIII di febbraio s’afrontarono a battaglia col detto don Anfus, e combattendo aspramente, a la fine la gente de’ Pisani furono sconfitti e morto il loro capitano e degli altri, e morirne assai de’ Tedeschi a cavallo: la maggiore parte de’ Pisani che poco ressono a la battaglia si fuggirono in Castello di Castro. E dopo la detta sconfitta e perdita le galee di don Anfus, ch’erano nel porto di Castello incatenate per contradiare il porto e la scesa a’ Pisani, si scatenaro e vennono contra l’armata de’ Pisani. Quegli incontanente si misono a la fugga, e lasciarono tutti i loro legni grossi carichi di vittuaglia e d’arnese d’oste, i quali furono presi da le galee di Raonesi. E ciò fatto, il detto don Anfus puose l’assedio per terra e per mare a Castello di Castro. Per questa sconfitta e perdita di Villa di Chiesa fu grande abassamento de’ Pisani, che più di CCm fiorini d’oro costava già loro la detta guerra, onde rimasono in male stato e in grande discordia dentro per le sette che v’erano nella città, e con grande sospetto di Castruccio ch’era loro contradio, e allegato col re di Raona.

CCXXXVIII Come i Fiorentini mandarono in Francia per cavalieri.

Nel detto anno, del mese di gennaio, i Fiorentini mandarono in Francia ambasciadori per Vc cavalieri franceschi, che venissono al soldo del detto Comune.

CCXXXIX Come messer Ramondo di Cardona fue sconfitto da quegli di Melano, e preso.

Nel detto anno, a dì XXVIIII di febbraio, messer Ramondo di Cardona capitano dell’oste della Chiesa in Lombardia si partì da Moncia con M cavalieri e con gente a piè assai, e venne e prese il castello e ’l ponte di Vavri in sul fiume d’Adda. Galeasso e Marco Visconti incontanente vi cavalcarono da Milano con XIIc di cavalieri tedeschi e popolo assai a piè, e misonsi a l’assedio del detto castello di Vavri. Messer Ramondo non essendo fornito di vittuaglia uscì fuori al campo co la sua gente, e affrontossi a battaglia con quegli di Milano, la quale fu aspra e forte. A la fine per soperchio di gente il detto messer Ramondo co l’oste della Chiesa furono sconfitti, e preso il detto messer Ramondo e più altri conastaboli, intra’ quali due di quegli che v’erano per lo Comune di Firenze vi rimasono, e menati presi in Melano; messer Simonino di messer Guidetto della Torre, uomo di gran valore, anegò nel fiume d’Adda, e più altra buona gente vi rimasono presi e morti; e messer Arrigo di Fiandra vi fu preso, ma riscattossi da’ Tedeschi che l’aveano, e co·lloro insieme e con gli altri ch’erano scampati de la battaglia ne venne in Moncia. E poi il detto messer Ramondo essendo preso in Milano co le guardie, del mese di novembre scampò e venne a Moncia.

CCXL Come il vicaro del re Ruberto fu cacciato da’ Pistolesi.

Nel detto anno MCCCXXIII, dì III di marzo, tornando a Pistoia per patti il vicaro del re Ruberto, che n’era stato cacciato, con XXX a cavallo de la masnada del conte Novello, per gli Pistolesi fu assalito e sconfitto sotto a Tizzano, e fattagli grande vergogna; e ciò fu opera di messer Filippo Tedici, che volea per tirannia signoreggiare la terra.

CCXLI Come i Tarteri di Gazzeria corsono Grecia.

Nel detto anno, del mese di febbraio, il Tartero de la Gazzeria e Rusia, ch’aveva nome... con esercito di CCCm d’uomini a cavallo vennono in Grecia infino a Gostantinopoli e più qua più giornate, consumando e guastando ciò che innanzi si trovaro; e dimorarvi infino a l’aprile vegnente con grande consumazione e distruzione de’ Greci d’avere e di persone, che più di CLm di persone, tra’ morti, e’ ne menarono in servaggio. A la fine per difetto di vittuaglia per loro e di loro bestiame furono costretti a dipartirsi, e tornarono in loro paese. Per questo avenimento ancora si mostra il fragello di Dio a coloro che non sono suoi amici, che gli fa perseguitare a’ peggiori di loro. E non si maravigli chi leggerà di tanta quantità di gente a cavallo; però che ciascuno Tartero vae a cavallo; e’ loro cavagli sono piccoli e sanza ferri e con brettine sanza freno, e la loro pastura è d’erbaggio e di strame sanza biada; e’ detti Tartari vivono di pesce e carne mal cotta, con poco pane, e di latte di loro bestiame, che ne’ loro eserciti menano grandissima moltitudine; e sempre stanno a campo, e poco in cittadi e in castelli o ville abitano, se non sono gli artefici.

CCXLII Come papa Giovanni ancora fece processi contro l’eletto di Baviera.

Nel detto anno, a dì XXII del mese di marzo, papa Giovanni XXII apo Vignone fece e piuvicò nuovi processi contra Lodovico dogio di Baviera eletto re de’ Romani, per cagione de l’aiuto dato a’ Visconti di Milano contra la Chiesa, e scomunicollo se personalmente non venisse a la sua misericordia infra tre mesi apresso, e ordinò perdono di croce, perdonando colpa e pena chi andasse o mandasse per tempo d’uno anno al servigio della Chiesa in Lombardia contra i Visconti signori che teneano Milano.

CCXLIII Come l’oste di Milano si partì dall’assedio di Moncia co·lloro danno.

Nell’anno MCCCXXIIII, a dì XXVIII del mese di marzo, essendo il signore di Milano Galeasso Visconti a oste a Moncia, e per più giorni data battaglia a la terra, quegli ch’erano per la Chiesa in Moncia, ond’era capitano messer Arrigo di Fiandra, uscirono fuori a combattere le torri e altri ingegni de’ nimici, e quegli per forza di battaglia arsono e presono con gran danno di quegli dell’oste. Per la qual cosa tutta l’oste si ritrasse da l’assedio de la terra per ispazio d’uno miglio e più, lasciando il campo con gran danno di loro; poi apresso a due dì si partirono e ritornarono in Milano. E intra l’altre cagioni, però che ’l capitano della detta oste, che v’era per lo eletto di su detto re de’ Romani, per lettere del suo signore per non fare contra la Chiesa si partì, e tornossi con sue genti in Alamagna.

CCXLIV Come i Perugini coll’aiuto de’ Toscani ebbono la città di Spuleto.

Nel detto anno, a dì VIIII d’aprile, essendo la città di Spuleto assediata per gli Perugini e per lo duca di Spuleto che v’era per la Chiesa, per II anni e più, e aveavi intorno XIIII battifolli, per tale modo l’aveano afflitta e distretta di vittuaglia, che s’arenderono liberamente a la Chiesa e al Comune di Perugia sanza nullo patto, salve le persone; e i primi per patti che entrarono nella città, acciò che non si corresse né guastasse, furono i cavalieri ch’erano nella detta oste del Comune di Firenze e di quello di Siena, ch’erano CCL, i quali guarentirono la terra; poi v’entrarono i Perugini sanza nullo malificio fare; e riformarono la terra a·lloro signoria in parte guelfa, e sì come terra loro distrettuale, e come loro suditi.

CCXLV Di certi ordini fatti in Firenze contra gli ornamenti delle donne, e di trarre di bando li sbanditi.

Nel detto anno MCCCXXIIII, del mese d’aprile, albitri furono fatti in Firenze, i quali feciono molti capitoli e forti ordini contra i disordinati ornamenti de le donne di Firenze. Feciono dicreto ch’ogni isbandito potesse uscire di bando pagando certa piccola cosa al Comune, e rimanendo in bando al suo nimico, salvo i rubelli, e quegli che furono condannati per la venuta ch’aveano fatta a le porte l’agosto dinanzi per essere ribanditi. Non fu per gli più lodato il dicreto, però che la città non era in bisogno né iscadimento, ch’e’ bisognasse ribandire i malfattori. Ma fecesi per la promessa fatta loro nell’oste a Prato, come dinanzi si fece menzione.

CCXLVI Come il papa scomunicò il vescovo d’Arezzo.

Nel detto anno, dì XII d’aprile, papa Giovanni apo Vignone in piuvico concestoro scomunicò e privò il vescovo d’Arezzo, ch’era di quegli della casa da Pietramala d’Arezzo, a condizione, se infra due mesi non avesse fatta ristituire la Città di Castello nel primo stato a parte di Chiesa e guelfa, e lasciata la signoria temporale d’Arezzo, e venuto personalmente in sua presenza fra tre mesi; la qual cosa non attenne, e rimase in contumacia della Chiesa.

CCXLVII Come il conte Novello prese Carmignano.

Nel detto anno, a dì XXI d’aprile, il conte Novello capitano di guerra de’ Fiorentini co la sua gente e usciti di Pistoia guelfi subitamente prese Carmignano, salvo la rocca, sanza saputa de’ Fiorentini, per vendetta dell’onta che que’ che teneano Pistoia feciono al vicario del re e a la sua gente, e non si volea partire se non avesse la rocca. Per questa cagione Castruccio signore di Lucca a richesta dell’abate da Pacciano che tenea Pistoia venne a Serravalle con Vc cavalieri; e faccendo segni di volere rendere Pistoia a Castruccio, i Fiorentini feciono partire il conte da Carmignano per tema e gelosia di Pistoia, e perché il conte avea fatta la ’mpresa sanza loro saputa.

CCXLVIII Come il re di Francia venne in Proenza per procacciare d’esser l’imperadore.

Nel detto anno e mese d’aprile Carlo re di Francia venne in tolosana con la reina sua moglie, figliuola che fu d’Arrigo imperadore, e col re Giovanni di Boemmia suo cognato, con più baroni e signori; e per gli più si credette che venisse al papa a Vignone per farsi eleggere imperadore. Tornossi adietro in Francia, e tornando, la detta reina morì sopra partorire, ella e la creatura; e per gli più si disse ch’avenne perch’egli l’avea tolta per moglie vivendo la sua prima, onde è fatta menzione.

CCXLIX Come il re Ruberto si partì di corte di papa e andonne a Napoli.

Nel detto anno e mese il re Ruberto si partì da corte di papa e di Proenza con LVI tra galee e uscieri e CCC cavalieri, e arrivò in Genova dì XXII d’aprile, e in Genova dimorò più giorni; e per gli Genovesi gli fu fatto grande onore, e cresciuta la signoria di Genova per VI anni, oltre al primo termine gli s’erano dati. Poi rassettata la terra a sua signoria, si partì di Genova del mese di maggio, e puose a Porto Pisano, e fece uno cavaliere di casa i Bardi di Firenze, e da’ Pisani ebbe grandi presenti e onore, e poi si tornò a Napoli co la moglie del duca suo figliuolo, la quale era figliuola di messer Carlo di Valos di Francia; a grande onore la sposò a Napoli.

CCL Come gente di Milano furono sconfitti da messer Arrigo di Fiandra.

Nel detto anno, a dì XXVIII d’aprile, essendo partito di Milano messer Vercellino Visconti con CCC cavalieri e Vc pedoni, e presa la villa di Decimo, e quella intendea d’aforzare, acciò che vittuaglia non entrasse in Moncia, messere Arrigo di Fiandra si partì di Moncia con Vc cavalieri, e subitamente sorprese la detta gente di Milano e sconfisse, e pochi ne camparono, che non fossono morti o presi.

CCLI Come i Pisani furono sconfitti un’altra volta in Sardigna.

Nel detto anno, a l’entrante di maggio, i Pisani ch’erano in Castello di Castro, con tutta loro cavalieria e Tedeschi, uscirono un’altra volta fuori a battaglia con don Anfus figliuolo de·re d’Araona, i quali furono sconfitti, e tra morti e presi più di IIIc cavalieri; il rimanente si fuggirono in Castello; e pochi dì apresso il rimanente delle galee e tutto il navile de’ Pisani si partirono di Sardigna e tornarono a Pisa per tema di XXV galee sottili che ’l re di Raona avea mandate in Sardigna in aiuto a don Anfus suo figliuolo, onde i Pisani rimasono in Sardigna disperati d’ogni salute. Nel detto anno, a dì VIIII di maggio, scurò la luna in gran parte in sulla sera nel segno dello Scarpione.

CCLII Come gente di Castruccio ricevettono danno a Castello Franco.

Nel detto anno, a dì XXII di maggio, vegnendo la gente di Castruccio signore di Lucca a Castello Franco in quantità di CL a cavallo, i soldati de’ Fiorentini intorno di CXX a cavallo uscirono di Castello Franco, e vigorosamente s’affrontarono insieme; e durò la battaglia per più di tre ore, che poco avea vantaggio dall’uno all’altro. A la fine sopravenne da Fucecchio in soccorso de’ soldati di Firenze de la gente del conte Novello intorno di C cavalieri. Per la qual cosa i soldati di Lucca si misono in rotta, e rimasonne morti X a cavallo. De la gente del conte trascorsono tra’ nemici Porcelletto d’Arli e uno suo compagno, e tanto andarono innanzi, che furono presi da’ nemici.

CCLIII Come i Fiorentini mandarono aiuto a’ Perugini sopra la Città di Castello.

Nel detto anno, a dì XXVIII di maggio, i Fiorentini mandarono a Perugia per fare guerra a la Città di Castello la parte loro de la taglia, che furono CCCXL cavalieri soldati, onde fu capitano messer Amerigo de’ Donati; e simigliante feciono i Sanesi, e’ Bolognesi, e l’altre città che tennono a la taglia, che furono M cavalieri.

CCLIV Come il conte Novello si tornò a Napoli.

Nel detto anno, in calen di giugno, il conte Novello, ch’era al soldo de’ Fiorentini con CC cavalieri, si tornò con sua gente a Napoli, e poco onore e meno ventura di guerra ebbe in uno anno che dimorò al servigio de’ Fiorentini e capitano di guerra.

CCLV Come il duca d’Ostericchi e quello di Chiarentana passarono in Lombardia contra messere Cane.

Nel detto anno, a l’entrante di giugno, il duca di Chiarentana e il duca Otto d’Ostericchi con molti altri baroni, e con più di VIm cavalieri con più di XIIm cavalli e con arcieri ungari vennono ne la Marca di Trevigi e a Padova per fare guerra a messer Cane della Scala signore di Verona, per cagione che tenea Vincenza e molte castella de’ Padovani; e’ Padovani s’erano dati al dogio di Chiarentana. Ed erano tanta gente e sì disordinata, che distruggeano amici e nimici, e per gl’Italiani erano chiamati barbanicchi. Messer Cane prima con grande paura del detto esercito e poi con gran senno si ritenne a le fortezze, e tenne trattati co’ detti Tedeschi menandoli più tempo in isperanza di fare i loro comandamenti, per modo ch’a·lloro fallì vittuaglia, e cominciò mortalità in loro oste; per la qual cosa feciono triegua con messer Cane, e per moneta che diede a’ consiglieri de’ detti signori, infino a la seguente Pasqua di Risoresso, e tornarsi in loro paese con peggioramento dello stato de’ Padovani e’ Trevigiani, e assaltamento del detto messer Cane.

CCLVI De la grandezza e edificazione de la città di Firenze a le nuove cerchia e mura.

Nel detto anno MCCCXXIIII si stanziarono per lo Comune di Firenze e si cominciarono i barbacani a le mura nuove de la città di Firenze, a fargli a costa a le dette mura e al di fuori de’ fossi; e simigliante s’ordinò che in ogni CC braccia di muro avesse e si facesse una torre alta XL braccia e larga braccia XIIII per fortezza e bellezza della detta città. E acciò che sempre sia memoria de la grandezza de la detta città, e ad altre genti che non fossono stati di Firenze che vedessono questa cronica, sì faremo menzione ordinatamente dell’edificazione de le dette mura, e la misura come furono diligentemente misurate ad istanzia di noi autore, essendo per lo Comune uficiale sopra le mura. Prima in su la fronte di levante di costa al fiume d’Arno da la parte di settantrione, ove sono le V sestora de la città, si ha una torre alta LX braccia fondata sopra una pila di ponte ordinato a ivi edificare, il quale si dee chiamare il ponte Reale. Di presso a quella torre a LXXXX braccia si ha una porta con una torre alta LX braccia, che si chiama porta Reale, e chi la chiama porta di Santo Francesco, perch’è dietro a la chiesa de’ frati minori. Da la detta porta Reale a CCCCXLII braccia, una torre in mezzo, si ha poi un’altra grossa torre alta simigliantemente LX braccia e larga braccia XXII con una porta che si chiama porta Guelfa. Da la detta porta conseguendo la detta frontiera e linea di muro a CCCLXXXIIII braccia, un’altra torre in mezzo, e poi si ha una torre di simile altezza con una porta chiamata de la Croce overo di Santo Ambruogio, porta mastra, onde si vae in Casentino. Da la detta porta conseguendo la detta frontiera di levante, si hae VIcXXX braccia, infra le quali hae tre torri infino a una grossa torre con cinque faccie alta LX braccia, sanza porta; ivi fa il muro gombito, overo angolo, e si mostra verso tramontana, e da quella torre chiamata la Guardia del Massaio a la porta detta Fiesolana, e chi la chiama da Pinti, che si guarda in verso Fiesole, con una simigliante torre alta LX braccia, si ha di misura braccia VIIIIcXXV, e cinque torri. E da la detta porta e torre Fiesolana a un’altra torre e porta detta per nome di Servi Sante Marie, per uno munistero de’ frati così chiamati, si ha braccia VIc, con una torre in mezzo. Da la detta porta e torre de’ Servi conseguendo la linea del muro infino a la mastra porta e torre dal ponte a San Gallo, da la quale esce la strada da Bologna, e di Lombardia, e quella di Romagna, si ha braccia VIIIcXLII e IIII torri in mezzo. E da la detta porta fa gombito, overo angolo, a le dette mura, mostrandosi al segno di maestro; e da la detta porta di San Gallo a quella si dice di Faenza, per uno munistero di donne ch’è di fuori che si chiamano di Faenza, si ha braccia MVIIIcXLVIII, e nove torri; e ivi fa gombito il muro e discende al ponente. E da la detta porta e torre di Faenza infino a quella che vae in Polverosa si ha braccia CCCXX, e una torre in mezzo. E da la detta porta di Polverosa infino a la porta mastra del Prato d’Ognesanti, ond’esce la strada che vae a Prato e a Pistoia e a Lucca, si ha braccia MLXX, e V torri in mezzo. E da la detta porta e torre del Prato infino a una torre ch’è in su la gora d’Arno ha braccia CCLXXV, e una torre in mezzo. E de la detta torre infino a la riva d’Arno, la quale gira l’isola de la gora al fiume, che si chiama la Sardigna, ordinata di chiudere di mura, ha braccia da CCCLXX. E così troviamo che ’l detto spazio de le cinque sestora de la città di Firenze, a le nuove cerchia di mura, sono co la testa di Sardigna VIImVIIc braccia, sanza la larghezza dell’Arno ch’è da braccia Vc da la Sardigna a Verzaia: e havi VIIII porte con torri di LX braccia alte, molto magne, e ciascuna con antiporto, che le IIII sono mastre e le V postierle; e havi in tutto torri XLV con quelle de le porte, murata la frontiera di Sardigna. E da la torre de la Sardigna su per la riva d’Arno infino a la torre Reale, dove cominciammo di verso levante, si ha braccia IIIImVc, ch’è miglio uno e mezzo. Avemo diterminata la città di qua dal fiume d’Arno; diremo apresso del sesto d’Oltrarno, che per sé è di grandezza e potenza come un’altra buona cittade, e seguiremo il primo trattato. E trovammo che da la torre de la Sardigna, ch’è in su la riva d’Arno da la parte di ponente, infino da l’altra riva d’Arno da la contrada detta Verzaia, l’ampiezza del fiume d’Arno si è braccia CCCL. Bene nonn-è la detta torre de la Sardigna apunto a lo ’ncontro a la torre de le mura d’Oltrarno, ch’è fondata in sul fiume d’Arno, però che la lunghezza del sesto d’Oltrarno, il qual è murato, nonn-è tanto quanto quello de le cinque sestora, anzi è più adietro da... braccia; ma la ritondità de la città e circuito pigliamo solamente a la latitudine del fiume d’Arno, come avemo detto di sopra, braccia CCCL.

CCLVII Ancora de l’edificazione delle mura d’Oltrarno.

Nel detto anno si cominciò il muro in su la riva d’Arno da la coscia del ponte a la Carraia Oltrarno andando insino a Verzaia, ove si fece una torre fondata in sul fiume (la detta torre fece rovinare poi il fiume d’Arno per uno diluvio) ove fa capo il muro che chiude il sesto d’Oltrarno; e da quella torre a la porta da Verzaia, overo detta di San Friano, la quale strada vae a Pisa, si ha braccia di muro CCL, e una torre in mezzo. E da la detta porta andando al diritto verso mezzogiorno infino a una torre a V facce, ove fa canto, overo angulo, il detto muro, si ha braccia VIc, torri V, compitando la detta porta e la detta torre coll’altre. E da la detta torre si volge il muro verso il segno di scilocco assai bistorto e male ordinato, e con più gomiti; e ciò si prese per fretta, e fondossi in su’ fossi sanza adirizzarsi, e havi di misura infino a la porta Romana, overo detta di San Piero Gattolino, braccia MCCL, e torri VIIII. E per me’ la via dinanzi a la chiesa di Camaldoli si ha una postierla con torre; e quella porta Romana è molto magna, e alta braccia..., ed è in su la strada che vae a Siena e a Roma. E da la detta porta andando al diritto, quasi verso levante verso la villa di Bogole, salendo al poggio infino a una torre a cinque facce, che fa canto a le mura, hae braccia MVc, e torri X. E da la detta torre andando le mura su per Bogole infino a la vecchia torre e porta di San Giorgio al poggio che vae in Arcetri si ha braccia CCCC, e torri... Poi da la detta porta di San Giorgio seguono le mura vecchie fatte al tempo de’ Ghibellini, scendendo verso levante a la postierla che vae a Samminiato, si ha braccia M, e torri... E poi seguono le mura di sopra del borgo di San Niccolò infino a lo ’ncontro de la torre Reale di qua da l’Arno, ove dee essere una ricca porta, le quali mura sono di spazio di braccia da VIIcL, con... torri, quando fieno compiute, da la porta di Samminiato a quella di fuori dal borgo di Sa·Niccolò; sì che la parte d’Oltrarno si ha tre porte mastre e tre postierle e... torri; e poi la larghezza del fiume d’Arno dal detto luogo a lo ’ncontro de la torre fondata sopra la pila del ponte Reale di qua da l’Arno si ha braccia CCCXL: e in questo spazio è stanziato uno ponte. Sicché raccogliendo le dette misure, sono in somma braccia... che sono da V miglia. E tanto gira la cittade dentro, cioè le mura sanza i fossi e le vie di fuori; che braccia XXXV sono larghi i fossi di qua da Arno, e XXX que’ di là da Arno, e la via di fuori braccia XVI, e altrettanto quella dentro, e le mura di qua da l’Arno grosse braccia III e mezzo, sanza i barbacani, e alte braccia XX co’ merli, e quelle d’Oltrarno furono grosse pur braccia III, sanza i barbacani; ma agiunsevi per amenda gli arconcelli al corridoio di sopra. E così gira la nostra città di Firenze migliaia XIIII, e CCL braccia; che le IIIm braccia a la nostra misura fanno uno miglio. Puossi ragionare giri cinque miglia al di fuori; ma rimase dentro assai del voto di casamenti con più orti e giardini. La larghezza e croce de la detta città facemmo misurare, e trovammo che da la porta a la Croce, overo di Santo Ambruogio, ch’è da levante, infino a la porta del Prato d’Ognesanti in sul Mugnone, ch’è dal ponente, andando per la via diritta onde si corre il palio, hae braccia IIIImCCCL; e da la porta di San Gallo in sul Mugnone, ch’è di verso tramontana, infino a la porta Romana di San Piero Gattolino Oltrarno, ch’è dal mezzogiorno, si ha braccia Vm; e da la sopradetta porta a la Croce a Gorgo infino a mezzo Mercato Vecchio, si ha da braccia MMCC; e dal detto mercato infino a la porta del Prato d’Ognesanti si ha quasi altrettanto; e da la porta di San Gallo infino in Mercato Vecchio hae braccia MMCC, e da la porta Romana di San Piero Gattolino in Mercato Vecchio si ha da braccia MMVIIIc; sicché mostra che ’l punto della croce e del centro del giro della cittade si ha in su la Calimala, quasi ov’è oggi la casa de’ consoli dell’arte de la lana, ch’è tra Calimala e la piazza e loggia d’Orto Sammichele. La detta città di Firenze hae sopra il fiume d’Arno IIIl ponti di pietra: quello si chiama Rubaconte, e il ponte Vecchio, e quello di Santa Trinita, e quello da la Carraia, sanza quello ordinato di fare a la fronte di levante detto Reale. E nella detta città si hae da C chiese, tra cattedrali, e badie, e monisteri, e altre cappelle, dentro a le dette mura; e a l’uscita quasi d’ogni porta n’hae una chiesa, o monistero, o spedale. Lasceremo omai del sito de la cittade di Firenze, ch’assai n’avemo detto, e torneremo a nostra materia.

CCLVIII Come gente de la Chiesa furono sconfitti da quegli di Milano.

Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì VIII di giugno, partendosi de la terra di Moncia in Lombardia messer Passerino de la Torre uscito di Milano, con VIc cavalieri di quegli della Chiesa, per andare a..., da messer Marco Visconti colla gente di Milano fue assalito e sconfitto, e rimasonne ben CC a cavallo, tra morti e presi, di quegli de la Chiesa.

CCLIX Come i Pisani feciono pace co lo ’nfante d’Araona in Sardigna.

Nel detto anno, a dì XVIII di giugno, essendo la gente de’ Pisani strettamente assediati in Castello di Castro in Sardigna da don Anfus figliuolo del re d’Araona, come adietro fa menzione, non possendo più durare, avute due sconfitte, e per difetto di vittuaglia, s’arrenderono, e pace feciono per lo Comune di Pisa col detto don Anfus in questo modo: che riconoscieno il detto re d’Araona per signore e re dell’isola di Sardigna, e promisogli che ciò che’ Pisani singulari e il Comune avessono posessione in Sardigna, di tenerle da·llui e fargline omaggio, e Castello di Castro riconoscere da·llui, dandogline l’anno libbre MM di genovini d’omaggio, rimanendo la terra a’ Pisani; ma ciò attenne loro poco apresso, ch’al tutto volle la signoria di Castello. E essendo a l’assedio il detto don Anfus di Castello di Castro, avea fatta una terra murata e acasata in su la riva del porto di Calleri a piè di Castello di Castro, e popolata di Raonesi e Catalani, a la quale puose nome Aragonetta, e chi Bonaria. E per tanto lasciò loro la terra di Castello però che nulla persona vi poteva entrare sanza la volontà di quegli de la terra di Raonetta di sul porto. E altri dissoro che come i Pisani erano a misagio dentro a castello, così e più erano di fuori i Catalani per pestilenzia d’infermità e di mortalità, e però ne prese ogni patto che ne poté avere. Ma con tutto il danno che ’l detto don Anfus vi sostenesse di perdita di sua gente, che per corruzzione d’aria vi morirono XVm e più Catalani, egli per forza d’arme e con grande senno e provedenza vinse e conquise la detta isola di Sardigna sopra i Pisani in uno anno; onde tutti gl’Italiani si maravigliarono come ciò potea essere. Partissi di Sardigna il detto don Anfus a dì XVI di luglio con LVI tra galee e uscieri, e tornossi in Catalogna, lasciando fornite le fortezze dell’isola, per cagione che...

CCLX Come il legato ebbe Castello Aquaro.

Nel detto anno, a dì VIII di luglio, Castello Aquaro del contado di Piagenza, forte e nobile castello, s’arrendé al legato cardinale e al Comune di Piagenza per difetto di vittuaglia, e non avea soccorso. Ebbene messer Manfredi di Landa, il quale il tenea, Vm fiorini d’oro dal legato; eravi stata l’oste de la Chiesa e del Comune di Piagenza più tempo all’assedio.

CCLXI Come messer Filippo Tedici di Pistoia tolse la terra a l’abate da Pacciano suo zio.

Nel detto anno, a dì XXIII di luglio, messer Filippo de’ Tedici di Pistoia levò a romore la città di Pistoia, e tolse la signoria a l’abate da Pacciano suo zio, e fecesi chiamare signore per uno anno. I Fiorentini mandandovi i loro cavalieri, non gli lasciò entrare dentro a la terra, ma incontanente riformata la terra a sua guisa, sì rifermò triegua con Castruccio signore di Lucca, dandogli l’anno IIIm fiorini d’oro di trebuto; e questa mutazione della signoria di Pistoia per molti si disse che fu di tacito consenso dell’abate da Pacciano, perché messer Filippo potesse meglio fornire i suoi conceputi tradimenti, come innanzi si farà menzione.

CCLXII Come il re di Francia tolse per moglie la cugina.

Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì V di luglio, Carlo il giovane re di Francia sposò e tolse per moglie la figliuola che fu di messer Luis di Francia, fratello di padre, ma non di madre, che fu del re Filippo suo padre, e sua cugina carnale, per dispensazione di papa Giovanni; la qual cosa per tutti i Cristiani fu tenuta sconcia e laida cosa, e ancora vivendo la sua prima moglie.

CCLXIII Come si cominciò guerra in Guascogna tra ’l re di Francia e quello d’Inghilterra.

Nel detto tempo il detto Carlo re di Francia cominciò guerra in Guascogna contra il re d’Inghilterra, per cagione che la gente del re di Francia avendo cominciata una bastita, overo una nuova terra, in su i confini de la Guascogna infra le terre de la giuridizione del re d’Inghilterra, quegli del paese col balio del re d’Inghilterra presono la detta bastita, e disfeciono e guastarono, e ’l balio e gli sergenti che v’erano per lo re di Francia impiccarono in sul detto luogo; per la quale cosa il re di Francia isdegnato vi mandò messer Carlo di Valos suo zio con più di IIIm cavalieri franceschi a fare guerra, e per bisogno di danari peggiorò la sua buona moneta d’argento XIIII e più per C, e fece medaglie e bianche d’argento a guisa del re Filippo suo padre, e fece prendere e ricomperare tutti gl’Italiani che prestavano in suo reame, e fargli finare per moneta.

CCLXIV Come papa Giovanni scomunicò Lodovico di Baviera eletto re de’ Romani.

Nel detto anno, a dì XIII di luglio, papa Giovanni apo Vignone in Proenza diede ultima sentenzia contra Lodovico dogio di Baviera eletto re de’ Romani, dispognendolo d’ogni benificio di lezione d’imperio, sì come ribello di santa Chiesa, e fautore e sostenitore degli eretici di Milano in Lombardia, e di mastro Gian di Gandone, e di mastro Marsilio di Padova, grandi maestri in natura e astrolagi, ma di certo eretici in più casi; e comandò che innanzi calen di ottobre prossimo fosse venuto il detto Lodovico personalmente dinanzi da·llui a misericordia, e a·ffare penitenzia del misfatto, o dal termine innanzi procederà contra lui e’ suoi beni, sì come scismatico e eretico.

CCLXV Come i Malatesti da Rimine furono sconfitti a Orbino.

Nel detto anno, a dì XI d’agosto, essendo i signori Malatesti da Rimine posti ad oste ad Orbino, e fatti loro VI cavalieri a grande onore, e con loro isforzo e del Comune da Rimine posti ad oste ad Orbino, e pognendo una fortezza e battifolle in su uno poggetto chiamato Cavallino presso a Orbino, i Ghibellini de la Marca co lo sforzo del vescovo d’Arezzo e di que’ de la Città di Castello subitamente vi cavalcarono con più di VIIIc cavalieri e popolo assai, e per forza presono la detta fortezza ancora non compiuta, e non si prendeano guardia, e sconfissongli e misono in rotta; e rimasonne di quegli da Rimine tra morti e presi più di VIIc, i più pedoni.

CCLXVI Come i Ghibellini di Romagna vollono pigliare Cesena.

Nel detto anno, a dì XVI d’agosto, i Ghibellini di Romagna, coll’aiuto di parte de la detta gente che levarono il battifolle ad Orbino, per tradimento entrarono in Cesena. A la fine, combattendo, da quegli de la terra ne furono per forza cacciati con grande danno di quegli che v’erano entrati.

CCLXVII Come il re di Francia si credette essere eletto imperadore.

Nel detto anno MCCCXXIIII, essendo il re Carlo re di Francia stato in grande speranza e trattato col papa e con più baroni de la Magna d’essere eletto re de’ Romani per le dissensioni de’ due eletti re d’Alamagna, e co la detta speranza parlamento avea ordinato a Bari sovr’Alba in Borgogna a le confini de lo ’mperio, ove dovea essere il re di Buemme suo cognato, e gran parte de’ elettori dello ’mperio, e più altri signori e prelati d’Alamagna, al detto Bari andò con molta di sua baronia, e al giorno nomato del detto parlamento del mese di luglio, al quale parlamento nullo de’ detti baroni né prelati vi venne, se non il dogio Lupoldro d’Osteric. Per la qual cosa il re si tornò in Francia molto aontato, e con poco onore de la detta impresa, veggendo la difalta che gli aveano fatta i baroni de la Magna.

CCLXVIII Come messer Carlo di Valos acquistò parte di Guascogna.

Nel detto anno, del mese d’agosto e di settembre, messer Carlo di Valos, ch’era ito coll’oste del re di Francia in Guascogna, più terre de la Guascogna di sotto ebbe a’ suoi comandamenti, e la città di Regola ebbe a patti, e fece triegua co la gente del re d’Inghilterra sotto trattato d’accordo, e tornossi in Francia del mese d’ottobre.

CCLXIX Come i Pistolesi feciono triegua con Castruccio contra volere de’ Fiorentini.

Nel detto anno, a dì XXXI d’agosto, Castruccio signore di Lucca venne con suo isforzo di cavalieri e pedoni nel piano di Pistoia presso a la città, e poi si puose a campo a piè de le montagne, e cominciò a fare riporre il castello di Brandelli, e puosegli nome Bello Isguardo, perché del luogo si vede non solamente Pistoia, ma Firenze e tutto il piano di Firenze. I Pistolesi mandarono per soccorso a’ Fiorentini, i quali vi cavalcarono, popolo e cavalieri; e essendo a Prato, mandando innanzi di loro gente per entrare in Pistoia. Messer Filippo, che n’era signore, non si fidò che nullo Fiorentino entrasse nella terra, ma voleva che andassono di fuori contro a Castruccio. Per la qual cosa i Fiorentini isdegnati si tornarono in Firenze sanza andare più innanzi; e’ Pistolesi rifermarono la triegua con Castruccio a la sua volontà, e con loro vergogna e crescimento di tributo. Per lo detto isdegno i Fiorentini cercarono uno trattato co l’abate da Pacciano e con uno loro conastabole guascone ch’era in Pistoia a la guardia della terra, e dovea dare a’ Fiorentini una delle porte; ma tutto ciò era inganno e tradimento. I Fiorentini, a dì XXII di settembre, di notte vi feciono cavalcare di loro soldati, e come furono a le porte di Pistoia, il detto conastabole avendo rivelato il trattato al signore di Pistoia, la terra fue in arme, e fu preso il detto abate dal nipote; e ambasciadori che v’avea del Comune di Firenze, e tutti i Fiorentini che dentro v’erano, furono a gran periglio. Riposossi il romore, e que’ ch’aveano cavalcato si tornarono a Firenze molto scornati.

CCLXX Come il signore di Milano riprese Moncia.

Nel detto anno e mese di settembre Galeasso Visconti signore di Milano con sua gente andò ad oste sopra la terra di Moncia, la quale si tenea per la Chiesa, ed eravi dentro per capitano messer Vergiù di Landa con CCC cavalieri e M pedoni, strignendo la detta terra per modo che sanza grande scorta e periglio non si potea fornire. A la fine per difalta di vivanda s’arendéo a quegli di Milano a patti, se non avessono soccorso dal legato cardinale infra X dì. Il quale cardinale non avendo forza di fargli soccorrere, si renderono, salve le persone e l’avere: a dì X di dicembre nel detto anno, con gran vergogna della Chiesa e del detto legato, lasciarono Moncia a que’ di Milano.

CCLXXI Come si mutò stato di reggimento in Firenze.

Nel detto anno MCCCXXIIII, del mese di settembre, certi caporali grandi e popolani che reggeano la città di Firenze (parea che tra·lloro medesimi avea certi di quegli che nel reggimento volessono più che parte, ciò erano detti Serraglini, ch’erano i Bordoni, e altri loro seguaci) vennono in divisione; e la maggiore parte di loro che si teneano migliori popolani, acostandosi con quegli che non aveano retto per adietro né essuti di loro setta, che n’avea alquanti tra priori; e i loro XII consiglieri, che allora erano a la signoria della città, copertamente e con ordine fatta feciono pendere balìa a’ detti priori e’ dodici consiglieri, a correggere e a riformare a·lloro volontà la lezione de’ priorati fatti l’anno dinanzi, e quelle lezioni trovando assai bene fatte, no·lle mutarono, ma arrosono gente nuova per VI priorati, e mischiarsi insieme con gli altri, e mettendovi dell’altra setta che non avea retto, sotto colore di raccomunare la città, e dare parte a’ buoni uomini. E conseguendo il detto processo, il seguente priorato, del mese di novembre seguente, feciono lezione per XLII mesi di tutti gli ufici che doveano venire, sì de’ gonfalonieri de le compagnie, e simigliante de’ dodici consiglieri segreti de’ priori, e de’ condottieri de le masnade di soldati, a trargli a le lezioni, come venieno, di sei in sei mesi, e mischiarono assai presso ch’ebbene di ciascuna setta, e misorgli in bossoli. E simigliante corressono le lezioni de le capitudini dell’arti, pognamo non facessono di loro più ch’una elezione. E così si rinovellò nuovo stato in Firenze, sanza niuna novità o pericolo di città, mischiatamente della setta ch’avea retta la città dal tempo del conte a Battifolle infino allora, e di quella gente che non avea retto, rimagnendo quegli ch’aveano retto in assai buona parte de la signoria. Avemo di questa mutazione fatta menzione per assempro a quegli che sono a venire, e perché nullo viva in isperanza che le cose comuni e signorie, spezialmente in Firenze, abbiano fermo stato, ma sempre siamo in mutazioni; ché faccendo ragione, la detta setta che si criò al tempo del detto conte a Battifolle, non compié di durare VIII anni interi, vincendo ancora de le loro opere assai il meglio.

CCLXXII Come il Comune di Firenze acquistòe il castello di Lanciolina.

Nel detto anno, in calen d’ottobre, s’arendé al Comune di Firenze il castello di Lanciolina in Valdarno per cagione che guerreggiando il contado di Valdarno Aghinolfo figliuolo di Bettino Grosso degli Ubertini, con sua masnada che dimorava in Lanciolina fue sconfitto e preso da quegli di Castello Franco e di loro; e per riavere il detto Aghinolfo renderono il detto castello, e donarne ogni ragione al Comune di Firenze, il quale avea avuto per retaggio de la madre dal conte Allessandro da Romena suo zio.

CCLXXIII Come in Mugello si fece una terra.

Nel detto anno e mese d’ottobre si cominciò per lo Comune di Firenze a fare una terra nuova in Mugello presso ove fu Ampinana e le terre che s’erano racquistate per lo detto Comune da’ Conti, e puosesi nome Vico.

CCLXXIV Dell’appello che l’eletto di Baviera fece contro al papa.

Nel detto anno, del mese d’ottobre, Lodovico di Baviera eletto re de’ Romani, per cagione del processo e scomunica e privazione che papa Giovanni avea fatta contro a·llui, sì fece in Alamagna uno grande parlamento, nel quale si discusò del processo che ’l papa avea fatto contra lui, come gli facea torto, e appellò a le dette sentenzie al concilio generale a Roma, opponendo contra il detto papa XXXVI capitoli, come non era degno papa; e ’l detto appello mandò del mese di novembre a la corte a Vignone; onde il detto papa e tutta la Chiesa ebbe grande turbazione.

CCLXXV Come i marchesi da Esti tolsono Argenta a la Chiesa.

Nel detto anno, a dì XXXI d’ottobre, i marchesi da Esti, che teneano Ferrara, tolsono per tradimento la terra d’Argenta in Romagna a la Chiesa di Roma, sanza fare danno o micidio niuno ne la terra.

CCLXXVI De la venuta de’ cavalieri franceschi in Firenze.

Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì XX di novembre, giunsono in Firenze Vc cavalieri franceschi, i quali il Comune di Firenze avea fatti soldare in Francia, e furono molto bella gente e nobili, tutti gentili uomini, intra’ quali avea più di LX cavalieri di corredo. I capitani e conostaboli furono il siri di Basentino, il siri di Ciavigni, il siri d’Ipria, il siri di Giaconte, messer Miles d’Alzurro, messer Guiglielmo di Noren messer Gian di Curri, messer Uttaso d’Ombrieres, Raolino Lanieri, messer Prezzivalle di..., Rinaldo di Fontana, Raolino di Rocciaforte, e vennono per Lombardia armati e con bandiere levate. E messer Passerino signore di Mantova, che tenea la città di Modona per parte d’imperio, a richesta de’ Fiorentini e Bolognesi largì il passo per lo contado di Modona presso a la città, pagando certa gabella per cavallo; con tutto che per forza d’arme fossono passati, sì erano ridottati.

CCLXXVII Come il legato cardinale credette avere la città di Lodi, e furono sconfitti.

Nel detto anno, a dì VIII di dicembre, sentendo il legato cardinale che la terra di Moncia non si potea tenere, cercò trattato con certi de la città di Lodi che gli dovessono tradire la terra, e doveanne avere VIIIm fiorini d’oro: fece cavalcare da Piagenza cavalieri e gente a piè assai, e fu per gli traditori rotto del muro de la terra, e entrarono dentro parte de la gente della Chiesa. Sentiti da quegli de la città, per forza gli ruppono e sconfissono con grande danno di quegli che v’erano entrati, e vergogna de la Chiesa.

CCLXXVIII Come il papa scomunicò chi facesse contrafare i fiorini d’oro.

Nel detto anno e mese di dicembre papa Giovanni fece grandi processi e scomunica contra chiunque facesse battere o battesse fiorini d’oro contrafatti e falsi a la forma di que’ di Firenze, però che per molti signori erano fatti falsificare, com’era il marchese di Monferrato e Spinoli di Genova. Ma il papa per sue scomuniche corresse altrui, ma in questa parte non corresse sé medesimo, ché fece fare i fiorini a la lega e conio di quegli di Firenze, e non v’avea altra differenza, se non che dal lato de la ’mpronta di santo Giovanni diceano le lettere: «papa Giovanni», e per intrasegna, di costa al santo Giovanni una mitra papale, e dal lato del giglio diceano le lettere: «sancto Petro et Pauli».

CCLXXIX Come Carmignano si rendé al Comune di Firenze.

Nel detto anno, a dì XIII di gennaio, i terrazzani del castello di Carmignano, conoscendo che messer Filippo Tedici che tenea Pistoia tirannescamente e a progiudicio di parte guelfa, si renderono di loro buona volontade a perpetuo al Comune di Firenze il castello e la rocca e la corte, sì come distrettuali e contadini di Firenze: e furono fatti franchi VII anni, e che a·lloro guisa chiamassono loro podestà di Firenze che fosse popolano ne’ detti VII anni.

CCLXXX Come il re Ruberto volle essere morto i·Napoli.

Nel detto anno, del mese di gennaio, sentendo il re Federigo che tenea Cicilia che ’l re Ruberto e ’l duca suo figliuolo faceano a Napoli grande apparecchiamento per fare armata per andare in Cicilia, ordinò con assessini catalani e toscani che in Napoli dovessono uccidere il re Ruberto e ’l duca, e mettere fuoco a la Terzana ov’era il navilio; il quale tradimento scoperto, gli assessini presi e giudicati ad aspra morte.

CCLXXXI Come il prenze de la Morea passò in Romania.

Nel detto anno MCCCXXIIII, del mese di gennaio, messer Gianni fratello del re Ruberto, prenze de la Morea, si partì da Brandizio, con XXV galee armate e altri legni per andare in Romania a racquistare il principato de la Morea; e arrivando a l’isola di Cefalonia e del Giacinto, trovò che ’l conte di Cefalonia era stato morto per uno suo fratello, e avea rubellata l’isola. Il prenze per forza d’arme combatté co’ ribelli, e sconfissegli e preseli, e le dette isole recò a sua signoria, disertando i detti ribelli; e poi passò a Chiarenza, e fuvi ricevuto come signore a grande onore.

CCLXXXII Come quegli della terra di Bruggia si rubellarono al conte di Fiandra.

Nel detto anno, del mese di gennaio, quegli de la terra di Bruggia in Fiandra con quegli del Franco d’intorno, per cagione de le sette ch’avea il popolo minuto co’ grandi borgesi, si rubellarono al conte Luis di Fiandra; per la qual cosa tutti i mercatanti si partirono di Bruggia, e que’ di Bruggia faccendo guerra assediarono ne la terra d’Andiborgo la gente del conte, e per buono tempo molestando il paese. A la fine quegli di Guanto e d’Ipro feciono accordo tra quegli di Bruggia e ’l conte per moneta, a grande vergogna del conte e de’ nobili.

CCLXXXIII Come in Firenze ebbe mutazione per cagione de le sette.

Nel detto anno, del mese di gennaio, essendo per setta accusato Bernardo Bordoni e altri suoi compagni a l’esecutore della giustizia ch’avessono fatta baratteria a l’oficio della condotta di soldati, i suoi compagni comparirono e scusarsi; ma il detto Bernardo essendo a Carmignano per ambasciadore del Comune, il detto esecutore volendolo condannare, e parte dell’uficio de’ priori il contastavano che l’aveano mandato in pruova a Carmignano, e Chele Bordoni suo fratello col favore e famiglia de’ priori comparì a la condannagione, protestando a l’esecutore; zuffa e romore si cominciò tra la famiglia de’ priori e quella de l’esecutore, onde tutta la città quasi romì. A la fine l’esecutore il condannò in libbre MM, e che non avesse mai uficio; e forse non sanza giusta cagione. E prese il detto Chele e più altri loro seguaci, e condannogli grossamente, e mandogli a’ confini a torto, sanza altra ragione, con tutto ne fossono degni; non per questa cagione, ma per la loro soperchia arroganza, ch’erano i più prosuntuosi popolani di Firenze, e aveano guidata la terra assai tempo. Ma per abbattere loro e la loro setta, ch’erano chiamati Serraglini, fu loro fatto più che per giustizia. E per cagione di ciò uno che allora era de’ priori loro amico e vicino, che gli aveva favorati, uscito del priorato, fu condannato da l’esecutore per contumacia sotto inquisizione di baratteria in libbre MVc a torto e sanza ragione, in abassamento e disinore dell’uficio del priorato. E tutto fu per cagione de le sette, però che ’l detto esecutore favoreggiava coloro ch’erano tornati in istato in Comune. Per la qual cosa l’uficio del detto esecutore, ch’avea nome Pietro Landolfo da Roma, montò in tanta audacia e tracotanza, che l’uficio de’ priori avea per niente; e tanto crebbe, ch’avrebbe guasta la città a modo d’uno bargello; e già l’avea follemente cominciata, se non che poi raveduti i buoni popolani che guidavano la città che l’opera andava male, vi misono freno, e feciono dicreto che’ priori potessono privare dell’uficio, podestà, e capitano, e esecutore, che non si portassono bene; per la qual cosa il detto esecutore si ritenne del suo folle intendimento. Di ciò avemo fatta menzione non tanto per lo piccolo fatto de’ Bordoni, quanto per la mutazione che ne seguì, e per le sette di Firenze, e per assempro per l’avenire; però che per la cagione di questa novità al tutto fue atterrata quella setta de’ Serraglini, e non fu piccola mutazione tra’ popolani di Firenze.

CCLXXXIV Di mutazione mossa nella città di Siena.

Nel detto anno MCCCXXIIII, a dì XVIII di febbraio, in Siena risurse la congiura de’ giudici e de’ beccari e altri popolani contra l’uficio de’ nove che governavano la città, per rivolgere lo stato de la terra; la quale giura scoperta, ne furono presi alquanti e dicapitati, e molti condannati e fatti ribelli.

CCLXXXV Come Castruccio prese la Sambuca, e’ Pistolesi s’accordarono co’ Fiorentini.

Nel detto anno, a dì XXV di febbraio, Castruccio signore di Lucca cavalcò la montagna di Pistoia, e più tenute prese; e poi andando al castello de la Sambuca, gli si rendéo, lo quale era fortissimo castello. Ma per gli più si disse che fu opera simulata per lo signore di Pistoia, per quello che ne seguì apresso. Rotta la detta triegua per Castruccio a’ Pistolesi, mandarono a Firenze, e feciono accordo co’ Fiorentini, e promisono d’essere a la guerra co’ Fiorentini contra Castruccio, rimanendo messer Filippo Tedici signore in Pistoia con più altri patti, promettendo i Fiorentini di rendere loro Carmignano, e di fare che ’l papa promoverebbe il vescovo di Pistoia in altro benificio, ch’era contrario di messere Filippo; e vollono a la guardia di Pistoia C cavalieri soldati di quegli di Firenze con capitano, cui quegli di Pistoia seppono eleggere. E tutto ciò che seppono domandare a’ Fiorentini ebbono, salvo che domandava moneta il detto messer Filippo, e era opera simulata; però che grossamente gli fu proferta per gli Fiorentini, lasciando la signoria, e no·lla vollono e’ poi dare. I soldati de’ Fiorentini entrarono in Pistoia il dì di Risoresso, a dì VII d’aprile, onde i Fiorentini tenendosi poi al sicuro di Pistoia, si trovarono ingannati, però che tutto fu opera di tradimento del detto messer Filippo Tedici, come innanzi farà menzione.

CCLXXXVI Come la taglia de’ cavalieri ch’erano a Castello cavalcarono sopra gli Aretini. Nel detto anno, a dì XXVIII di febbraio, il capitano de la taglia ch’era sopra la Città di Castello, il qual era messer Ferrante de’ Malatesti d’Arimino, con tutta sua gente cavalcò sopra Castiglione Aretino, che per tradimento gli si dovea rendere; il quale tradimento scoperto, e perduta la speranza, levarono gran preda, e feciono gran danno e arsione intorno, e per lo contado di Cortona, perché i Cortonesi erano scesi contra loro.

CCLXXXVII Come si trassono de’ grandi certe schiatte di Firenze.

Nel detto anno, a l’entrare di quaresima, si feciono in Firenze albitri sopra gli ordini, e statuti correggere e fare di nuovo. Intra l’altre cose che feciono si trassono del numero de’ grandi e potenti X casati menimi e ’mpotenti di Firenze, e XXV schiatte de’ nobili di contado, e recargli a popolo. Per certi fu lodato; ma per molti biasimato, però che delle schiatte di popolani possenti e oltraggiosi erano degni di mettere tra’ grandi per bene di popolo.

CCLXXXVIII Come Azzo Visconti di Milano prese il borgo San Donnino.

Nel detto anno, a dì XV di marzo, essendo i Parmigiani e’ Piagentini ad assedio ad uno castello che si chiamava Castiglione, s’arrendéo loro a patti. E in quello stante Azzo figliuolo di Galeasso signore di Milano passò il fiume di Po con MD cavalieri per soccorrere il detto castello, ma non venne a tempo; ma in quello trattò d’avere il borgo a San Donnino, quale a dì XVIII di marzo gli s’arendéo, e iv’entro si dimorò co la maggiore parte di sua gente, faccendo grande guerra a’ Piagentini, e a la gente de la Chiesa, e a’ Parmigiani.

CCLXXXIX Come Castruccio volle fare uccidere il conte Nieri di Pisa.

Nel detto anno MCCCXXIIII, dì XX di marzo, Castruccio signore di Lucca mandò suoi assessini in Pisa per fare uccidere il conte Nieri e più altri maggiorenti che reggeano la città, perché non si voleano tenere a sua lega; i quali presi, furono distrutti: onde crebbe maggiormente la mala volontà da·llui a quegli che reggeano Pisa.

CCXC Come nuova moneta picciola si fece in Firenze.

Nell’anno MCCCXXV, in calen di aprile, si fece in Firenze nuova moneta picciola de la lega e peso dell’altra, mutando il conio con san Giovanni più lungo, e ’l giglio mezzo a la francesca, sanza fioretti, però che l’altra era molto falsificata. Ma molti indovinarono che non dovea bene avenire a la città, avendo levati i fioretti dentro a’ gigli, come sempre erano stati.

CCXCI Di miracolosa neve che venne in Toscana.

Nel detto anno, a dì XI d’aprile, in tutta Toscana cadde una grande neve molto piena, e durò per più di quattro ore; non si prese nella città, ma di fuori per tutto; e credettesi ch’avesse guaste tutte le frutta e tutte le vigne, e non fece quasi danno niuno.

CCXCII Come Castruccio ordinò tradimento in Firenze.

Nel detto anno MCCCXXV, del mese d’aprile, Castruccio signore di Lucca, sentendo che’ Fiorentini s’apparecchiavano di fargli guerra, fece cercare tradimento in Firenze, e in Pistoia, e in Prato per rompere l’ordine de’ Fiorentini. In Firenze per uno suo famigliare, ch’era congiunto di Tommaso di Lippaccio di messer Lambertuccio Frescobaldi, il quale Tommaso cercò di corrompere le masnade francesche con uno messer Cristiano monaco, il quale il papa avea dato a’ Franceschi per loro penitenziere, e ch’egli assolvesse colpa e pena. Questi con uno cavaliere de la bandiera di messer Guiglielmo di Nore seguirono il trattato; e prometteano il detto messer Guiglielmo e messer Miles d’Alzurro conastaboli, e degli altri, tornare da Castruccio. Il quale trattato si scoperse: e ancora che ’l detto Tommaso dovea rubellare al Comune di Firenze Capraia e Montelupo. Furono presi il detto monaco e ’l detto cavaliere: Tommaso si fuggì. E ritrovato il tradimento, al detto cavaliere fu tagliato il capo, e ’l detto monaco in perpetuale carcere, e Tommaso condannato come traditore, e disfatti i ben’ suoi; e messer Guiglielmo di Nore si scusò ch’era malato, e disse che non sentì il trattato, ma veramente ne fue colpevole, come innanzi si scoprì. Il trattato di Prato era per messer Vita Pugliesi cavaliere della terra. Scopersesi, e furonne dicapitati, ed elli e’ suoi cacciarono di Prato. A quello di Pistoia diede compimento, come innanzi farà menzione.

CCXCIII Come alcuno accordo fu tra gli eletti de la Magna.

Nel detto anno e mese d’aprile il dogio di Baviera eletto re de’ Romani trattato fece di pace con Federigo dogio d’Osterlicche simigliante eletto, il quale avea in sua pregione, e co’ suoi fratelli sotto certi patti, faccendogli rinunziare a la sua lezione dello ’mperio, salvo che ’l duca Lupoldro suo fratello non volle aconsentire al detto accordo, ma s’alegò colla Chiesa e col re di Francia, e facea gran guerra al detto eletto di Baviera; e però non si compié allora il detto trattato, ma poi per certo modo, come diremo innanzi nel... capitolo.

CCXCIV Come Castruccio signore di Lucca ebbe la città di Pistoia.

Nel detto anno, domenica mattina anzi il giorno, dì V di maggio MCCCXXV, messer Filippo de’ Tedici che tenea Pistoia diede compimento al suo tradimento, che mise in Pistoia Castruccio signore di Lucca con tutta sua gente, e corse la terra; e’ soldati che v’erano a la guardia per gli Fiorentini, e altri Guelfi della terra che si levarono a la difensione de la terra, furono presi e morti, e tolto loro l’arme e’ cavalli. Sentendosi la novella in Firenze, non però al certo, ch’al tutto fosse perduta la terra, faccendosi per lo Comune e popolo una grande festa, che la mattina aveano fatto cavaliere uno Pietro Landolfi da Roma esecutore degli ordini della giustizia del popolo, e Urlimbacca conastabole tedesco, per loro meriti, e essendo i priori co’ detti cavalieri novelli e tutte signorie, e buona parte de la migliore gente di Firenze, a tavola a mangiare nella chiesa di San Piero Scheraggio, ove si faceva la corte, s’abbatterono le tavole, e ogni gente fu a l’arme, e cavalcossi infino a Prato, credendo che parte de la terra si tenesse, per aiutarla ricoverare. Sentendo il vero, come al tutto per lo detto tradimento era perduta, si tornarono in Firenze con gran dolore e tema. Di questo tradimento ebbe il detto messer Filippo da Castruccio Xm fiorini d’oro, e la figliuola del detto Castruccio per moglie; e incontanente Castruccio vi fece cominciare a murare uno grande castello dentro a la città da la porta Lucchese in sul prato di Pistoia. E intanto di questa perdita di Pistoia s’ebbono a riprendere i Fiorentini, che più volte avrebbono avuta la signoria de la terra dal detto messer Filippo, dandogli la detta somma di moneta, o meno; ma per certi trattatori fiorentini, o volendolo ingannare, o della detta moneta per loro propietà guadagnare, non si compié il trattato; ma trattando più volte cercarono via, e feciono fare cavalcate infino a Pistoia per torre la terra, onde il detto messer Filippo con disperato tradimento si condusse a darla a Castruccio; la qual cosa fu cominciamento di molti mali e pericoli che ne seguirono a’ Fiorentini e a parte guelfa in Toscana. E il dì medesimo apparve in aria due cerchietti congiunti così: (, di due colori, quasi a modo d’arco, apparenti molto, e duraro assai; onde si disse per molti che non era sanza grande significazione di future novitadi.

CCXCV Come messer Ramondo di Cardona venne in Firenze per capitano di guerra.

Nel detto anno, il seguente dì che si perdé Pistoia, dì VI di maggio, in su la terza giunse in Firenze subitamente messer Ramondo di Cardona eletto capitano di guerra per gli Fiorentini, che venia da corte per mare per la via da Talamone, onde i Fiorentini si riconfortarono molto; e il dì medesimo in sul vespro giurò l’uficio in su la piazza di San Giovanni, con grande trionfo e parlamento. E incontanente i Fiorentini cavalcarono e puosono assedio al castello d’Artimino, ch’era de’ Pistolesi, e di poco tempo rimurato e afforzato per gli Pistolesi.

CCXCVI Come il duca di Calavra con grande armata andò sopra la Cicilia.

Nel detto anno, a dì VIII di maggio MCCCXXV, Carlo duca di Calavra e figliuolo primogenito del re Ruberto, apparecchiata una grande armata di CXX galee e uscieri, e legni di carico in grande quantità, con MMD cavalieri e popolo grandissimo, si partì di Napoli per andare in Cicilia; ma per contrario tempo dimorò a l’isola d’Ischia infino a XXII dì di maggio; poi fatta vela arrivò a Palermo il dì de la Pentecosta, dì XXVI di maggio, e puose assedio a la detta città di Palermo, e dièvi più battaglie di dì e di notte, e faccendo minare de le mura, ma niente v’aquistò altro che di guastarla intorno, e dimoròvi a l’assedio infino a dì XVIII di giugno. Poi partita l’oste, al terzo dì rovinarono delle mura di Palermo più di CCC braccia da la parte ov’era stata l’oste. Nota a che pericolosa fortuna furono i Palermitani, e come fu corta la felicità del duca. E partito il duca, fece la via per terra da Coriglione con sua oste, e ’l navilio per mare, guastando Trapali e tutto il paese d’intorno, e tutta Valle di Mazzara, e poi Seragosa e Cattania, e poi a dì VII d’agosto si puose a Messina da la contrada detta Taurnabianca, infino presso a la città a II miglia, guastando tutto sanza riparo o contasto nullo. E a dì XX d’agosto si partì dell’isola sano e salvo con tutta sua oste e navilio, e arrivò in Calavra; e a dì... di... tornò in Napoli.

CCXCVII Di segno ch’apparve in aria.

Nel detto anno, dì XXI di maggio, dopo il suono de le tre venne uno grandissimo tremuoto in Firenze, ma durò poco, e la sera vegnente, XXII di maggio, uno grandissimo raggio di vapore di fuoco si vide volare sopra la città, e chi sentì e vide i detti segni dubitò di futuro pericolo e novità.

CCXCVIII Come i Fiorentini ebbono il castello d’Artimino.

Nel detto anno, dì XXII di maggio, s’arrendé il castello d’Artimino a l’oste de’ Fiorentini, salve le persone, vegnendo quegli che v’erano dentro presi a Firenze, che furono CCVII tra terrazzani e Pistolesi: ma poi furono lasciati, e fecionsi abattere le mura e le fortezze, e recossene la campana del Comune d’Artimino.

CCXCIX Come la gente del marchese de la Marca fu sconfitta a Osimo.

Nel detto anno MCCCXXV, a dì XXX maggio, essendo l’oste del marchese de la Marca intorno di Vc cavalieri e popolo grande d’intorno e guastando la città d’Osimo, quegli di Fermo e di Fabbriano venuti chiusamente la notte dinanzi in Osimo, e l’oste de la Chiesa essendo sparti al guasto, assaliti da quegli d’Osimo, furono sconfitti; onde vi rimasono di quegli della Chiesa più di CC a cavallo, e più di M a piè tra morti e presi.

CCC L’apparecchiamento dell’oste de’ Fiorentini.

Nel detto anno, a dì VIII di giugno, i Fiorentini ordinaro di fare oste sopra Pistoia e contra Castruccio signore di Lucca: diedono loro insegne d’oste, e puosolle a San Piero a Monticelli. Castruccio sentendo ciò, non istando ozioso, a dì XI di giugno uscì di Pistoia, e venne in sul castellare del Montale, e quello con istudio fece riporre e afforzare. I Fiorentini sentendo ciò, mercolidì mattina, a dì XII di giugno, feciono cavalcare messer Ramondo di Cardona capitano di guerra con tutti i soldati a Prato, e il giuovidì vegnente cavalcarono tutte le cavallate di Firenze, e ogni gente, popolo e cavalieri, e sonando le campane del Comune: intra l’altre sonava una campana che fu già del castello del Montale recata per gli Fiorentini quando l’aquistarono; cominciando a sonare si ruppe, onde per molti si dubitò di segno di mala fortuna. Ma perché cresce materia di grandi cose da’ Fiorentini a Castruccio, lasceremo ogn’altra ricordanza d’altre novità di diversi paesi infino che sia tempo e luogo, per seguire ordinatamente quelle de’ Fiorentini. E prima faremo menzione dell’ordine dell’oste, che mai per lo Comune di Firenze per sé propio no·lla fece maggiore, sanza aiuto d’amistà; che della città v’andarono IIIIc cavalieri di cavallate de’ migliori della città, grandi e popolani, che co·lloro compagni furono più di Vc uomini a cavallo d’arme ben montati, che più di C erano a grandissimi destrieri. Soldati avea, e vi furono XVc che bene VIc erano Franceschi, con più grandi signori e gentili uomini, e CC Tedeschi molto buona gente e isprovata, e CCXXX n’avea messer Ramondo di Cardona capitano dell’oste tra·llui e ’l suo maliscalco, ch’avea nome messer Bornio di Borgogna, che i cento erano Borgognoni e gli altri Catalani. E oltre a’ detti soldati n’avea da CCCCL tra Franceschi, e Guasconi, e Fiamminghi, e Provenzali, e Italiani, iscelti di tutte le masnade vecchie, pochi per bandiera. Gente a piè furono tra contadini e cittadini più di XVm bene armati; ed ebbono i Fiorentini in loro oste VIIIc e più trabacche e padiglioni e tende di panno lino; e andavano con una campana in sul carro, al suono de la quale si mutava l’oste e s’armava; e non era nullo dì, che non costasse a’ Fiorentini IIIm fiorini d’oro e più. E aveva nella detta oste, tra cittadini e signori forestieri, più di CCC grandissimi destrieri di valuta da CL fiorini d’oro in su, tutti a briglie, e tra ogni cavallo, ronzino e somieri, più di VIm, sanza quegli dell’amistadi che vennono poi.

CCCI Come l’oste de’ Fiorentini andò a Pistoia, e come presono il passo della Guisciana.

Nel detto anno MCCCXXV, lunidì, dì XVII di giugno, così nobile oste e così fornita, agiuntivi CC cavalieri di Siena, si partirono di Prato, e puosonsi ad Agliana a campo in su quello di Pistoia, guastandogli intorno da le più parti, abattendo molte fortezze e con gran prede, e mutandosi per sei campi, e il dì di san Giovanni feciono correre palio di sciamito velluto presso a la porta di Pistoia. Castruccio essendo dentro a la terra di Pistoia con VIIc cavalieri e popolo grandissimo, non s’ardì a uscire fuori a nullo avisamento, ma intendea pure a la guardia della terra. Poi a dì IIII di luglio si puose l’oste a Tizzano, e a quello messer Ramondo fece rizzare dificii e cominciare a cavare da più parti, faccendo vista di volere il castello; e così stando, a dì VIIII di luglio messer Ramondo e ’l suo consiglio de’ capitani dell’oste feciono la notte dinanzi cavalcare il suo maliscalco con Vc cavalieri de’ migliori dell’oste a Fucecchio; e acciò che Castruccio non si prendesse guardia, la notte medesima fece un’altra cavalcata presso a Pistoia, guastando. Giunti i detti cavalieri a Fucecchio cogli usciti di Lucca, ch’erano da CL a cavallo e a piè assai, e dell’altre castella di Valdarno gente assai, ond’erano capitani messer Attaviano Brunelleschi e messer Bandino de’ Rossi di Firenze, apparecchiato uno ponte di legname, la notte vegnente di furto per loro fu posto in su la Guisciana al passo di Rosaiuolo, e chiavato; e passati i detti cavalieri e popolo assai di là, anzi che quegli di Cappiano e di Montefalcone se n’accorgessono. E poi quel dì medesimo, dì X di luglio, messer Ramondo con tutta l’oste subitamente si partiro dall’assedio di Tizzano e valicarono il poggio del monte di sotto, e la sera medesima furono acampati cogli altri cavalieri prima andati di là da Guisciana intorno al castello di Cappiano, che fue uno bello e proveduto e sùbito acquisto di guerra, che mai per forza né per altro modo quel passo non s’era potuto acquistare per gli Fiorentini. Castruccio ciò sentendo, e appena credendolo, come stordito si partì di Pistoia con tutti i Pistolesi, lasciando la terra fornita di sua gente, e venne in Valdinievole, e si puose in su Vivinaia con sua oste; e mandò per soccorso a Lucca e a Pisa e a tutti i suoi amici, il quale ebbe dal vescovo d’Arezzo CCC cavalieri, e de la Marca e di Romagna CC, e di Maremma da’ conti a Santa Fiore e altri baroncelli ghibellini da CL; sì che si trovò da XVc di cavalieri e popolo grandissimo, e in su Vivinaia e Montechiaro, e i·lluogo detto il Cerruglio s’afforzò, e ripuose Porcari, e fece fare uno fosso dal poggio al padule, e steccare e guardare con molta sollecitudine di dì e di notte. Ma da’ Pisani nullo aiuto ebbe, perché il conte Nieri e quegli che reggeano la terra si teneano suoi nimici, per quello ch’egli avea operato contra loro.

CCCII Come i Fiorentini ebbono Cappiano e ’l ponte, e poi Montefalcone.

I Fiorentini essendo ad oste a Cappiano, a dì XIII di luglio s’arrenderono a·lloro le torri e ’l ponte da Cappiano, ch’era molto forte; e a dì XVIIII di luglio s’arrendé Cappiano, salve le persone, per tema di cave e di difici. E a dì XXI di luglio si puose l’oste a Montefalcone, e a dì XXVIIII di luglio s’arrendé a patti, salve le persone. Essendo i Fiorentini in vittoria, tutti gli amici mandarono soccorso: i Sanesi oltre a CC primi cavalieri mandarono altri CC cavalieri e VIc balestrieri, e C cavalieri delle case cittadini di Siena, e C soldati; Perugia tra due volte CCLX cavalieri; Bologna CC cavalieri; Camerino L cavalieri; Agobbio L cavalieri; Grosseto XXX cavalieri; Montepulciano XL cavalieri; il conte Asartiano da Chiusi XV cavalieri; Colle XL cavalieri; San Gimignano XL cavalieri; Sammmiato XL cavalieri; Volterra XXX cavalieri; Faenza e Imola C cavalieri tra due mandate; quegli da Logliano XV cavalieri e gente a piè; i conti a Battifolle XX cavalieri e Vc pedoni; e gli usciti di Lucca erano più di C cavalieri; e gli usciti di Pistoia da XXV; sì che l’oste de’ Fiorentini crebbe in più di IIIm cavalieri. Si ritrovarono a dì IIII d’agosto, che si puosono ad assedio ad Altopascio, il quale era molto forte di mura e torri e fossi e steccati. Bene avenne a l’oste de’ Fiorentini pestilenzia, che per lo dimoro ch’aveano fatto in su la Guisciana molti n’amalarono e molti ne morirono, pure de’ più cari cittadini di Firenze e altri forestieri assai, onde l’oste affiebolì molto. Stando l’oste ad Altopascio, Castruccio fece cercare e rinnovare il trattato e tradimento nell’oste de’ Fiorentini con due conastaboli franceschi, ciò fu messer Miles d’Alzurro e messer Guiglielmo di Noren d’Artese poveri cavalieri, il quale tradimento si scoperse essendo malato il detto messer Miles, e vegnendo a morte; e fu preso per messer Ramondo il detto messere Guiglielmo, ma per tema degli altri Franceschi non fu giustiziato, ma datoli commiato: faccendo vista d’andare a Napoli al re, da Montepulciano per Maremma si tornò da la parte di Castruccio, e poi fece molto di male a’ Fiorentini. E essendo ancora l’oste ad Altopascio, Castruccio fece cavalcare da Pistoia CC de’ suoi cavalieri e pedoni in sul contado di Prato, e in su quello di Firenze infino a Lecole a dì X d’agosto, ardendo e guastando sanza niuno contasto, levando grande preda. E poi a dì XXIII d’agosto fece fare un’altra cavalcata in su Carmignano di CL cavalieri e M pedoni, credendo prendere la terra e fare levare l’oste d’Altopascio; e già entrati nella villa, alquanti Fiorentini con quegli di Campi e di Gangalandi e’ Guelfi di Carmignano vi cavalcarono, e co’ cavalieri bolognesi ch’erano in Firenze, e sconfissongli, e bene CCCCL ne furono morti e presi assai, onde l’oste di Castruccio molto isbigottìo.

CCCIII Come il castello d’Altopascio si rendé a’ Fiorentini.

Sentendo quegli di Altopascio la rotta da Carmignano, e essendo da·lloro assai malati, e vegnendo tra·lloro a riotta dentro, sì s’arenderono a’ Fiorentini a dì XXV d’agosto MCCCXXV, salve le persone, che v’aveva dentro Vc fanti, e fornito per due anni. Preso Altopascio, nell’oste de’ Fiorentini e ancora in Firenze ebbe contasto o d’andare più innanzi o di tornare all’assedio a Santa Maria a Monte, e in questo bistentaro, e ristettono ad Altopascio, poi che·ll’ebbono, infino a dì VIIII di settembre, con grande spendio e scemamento dell’oste de’ Fiorentini, sì per molti infermi che v’avea, e a’ più era rincresciuto l’osteggiare sì lungamente, e d’altra parte per la baratteria che messer Ramondo facea al suo maliscalco, di dare parola per danari a chi si volea partire dell’oste, onde molto scemò l’oste de’ Fiorentini; e ’l detto messer Ramondo non v’avea la metà di sua gente: di questi difetti accorgendosi i savi, e di Firenze ch’erano nell’oste capitani, com’era impossibile di passare in verso Lucca per le fortezze e ripari di Castruccio, consigliavano che ’l porsi a Santa Maria a Monte, e l’afforzare il campo, e avicendare i cittadini e’ forestieri; e di fermo era il migliore, e sanza guari indugio s’avea il castello per difetto d’infermità che v’era stata dentro. Altri cittadini grandi e popolani che menavano messer Ramondo e l’oste a·lloro guisa (ciò fu etc.; per loro prosunzione e vanagloria) si fermarono s’andasse infino a Lucca anzi che l’oste tornasse in Firenze e così si prese partito del peggiore; e il detto dì VIIII di settembre si partì d’Altopascio, e per arrota al primo fallo si puosono a la badia a Pozzevere in sul pantano di Sesto, che si poteano porre a la piaggia tra Vivinaia e Porcari, e avevano rotte l’osti de’ nimici, e conquiso Castruccio; ma a cui Idio vuole male gli toglie il senno. E con questo crebbe giusta cagione, che messere Ramondo con quegli caporali fiorentini che ’l guidavano per modo di setta si credea essere signore di Firenze, e non volendo porre l’oste a Santa Maria a Monte, né cavalcare e porre l’oste come potea in sul poggio, per quistioni ch’avea mosse a’ Fiorentini di volere balìa così nella città, tornato lui, come nell’oste, condusse sé e l’oste de’ Fiorentini a pericolo e gran vergogna e dammaggio, come appresso faremo menzione.

CCCIV Come i Fiorentini furono sconfitti ad Altopascio da Castruccio.

Castruccio d’altra parte, con tutto che l’oste de’ Fiorentini fosse affiebolita, egli medesimo e la sua oste era mancata molto, sì per infermità, e sì per lunga dura, e che gli fallia lo spendio, che apena si potea rimedire; tuttavia come franco duca ritenea la sua oste con molto affanno in isperanza, tegnendo guerniti e afforzati tutti i poggi da Vivinaia, e Montechiaro, e Cerruglio, e Porcari, poi infino al pantano di Sesto, acciò che l’oste de’ Fiorentini non potesse a valicare a Lucca. Ma dottandosi ancora che per sé non potesse durare, e ancora conoscendo che l’oste de’ Fiorentini era condotta in luogo dov’egli avea l’avantaggio del combattere, s’avesse aiuto di più gente, sì mandò al capitano di Milano messer Galeasso che gli mandasse il figliuolo Azzo con gente ch’era nel borgo a San Donnino, e mandogli Xm fiorini d’oro, promettendogli più moneta. Il quale Azzo con comandamento del padre s’apparecchiò di venire con VIIIc cavalieri, e per difalta del legato e dell’oste della Chiesa, ch’erano a oste a San Donnino, che gli lasciarono partire, e ebbe danari il maliscalco del legato, si partì co la detta gente per venire a Lucca, e messer Passerino signore di Mantova e di Modana gline mandò CC cavalieri, sì che sùbito soccorso e aiuto ebbe da M cavalieri tedeschi e oltramontani.

CCCV Di quello medesimo.

Essendo l’oste a Pozzevero, messere Ramondo volendo amendare il fallo che si fece di dovere porre l’oste in su la piaggia tra Montechiaro e Porcari, radoppiò il fallo sopra fallo, che mandandovi il suo maliscalco e messer Urlimbacca tedesco, forse con C cavalieri cogli spianatori, per fare spianare, a dì XI di settembre, di lungi a l’oste più d’uno miglio, Castruccio ch’era al disopra del poggio ordinatamente mandò gente in più schiere per partite, a cominciare a’ detti guardatori degli spianatori badalucco, ed egli poi con tutta sua gente e schiere fatte si calò giù a la valle. Cominciato il badalucco si cominciò a ’ngrossare, che dell’oste de’ Fiorentini vi trassono di volontà sanza ordine più di CC cavalieri, tra Franceschi, e Tedeschi, e Fiorentini, de’ migliori dell’oste, e simigliante di quegli di Castruccio, e fu la più bella e ritenuta battaglietta che fosse anche in Toscana, che durò per ispazio di parecchie ore, e più di quattro volte fu rotta l’una parte e l’altra, rannodandosi e tornando a la battaglia a modo di torniamento; e la gente de’ Fiorentini, ch’erano pochi più di IIIc a cavallo, sostennero e ripinsono quegli di Castruccio, ch’erano più di VIc; e aveasi la sera la vittoria per gli Fiorentini, se messer Ramondo avesse mandata più gente in aiuto a’ suoi, o colle schiere grosse fosse mosso contra nemici; ma condussele in capo del piano, che v’avea uno fosso con piccolo spazio di spianato, per modo che bene commodamente le schiere fatte non poteano sanza spartirsi valicare, e con periglio. Castruccio che per l’avantaggio del poggio vedea tutto pinse colla sua schiera contra i Fiorentini, e fu sostenuto e ripinto gran pezzo, e scavallato in persona, e fedito egli e più de’ suoi per virtù de’ buoni cavalieri ch’erano da l’altra parte; ma a la fine tra per lo soperchio di gente, e perché s’anottava, que’ de’ Fiorentini si ritrassono alle schiere loro, ma sì vi rimasono di loro da XL cavalieri tra morti e presi pure de’ migliori, intra’ quali fu messere Urlimbacca cavaliere tedesco preso con XII di sua bandiera, e messer Francesco Brunelleschi cavaliere novello, e Giovanni di messer Rosso della Tosa, e di Franceschi, e molti fediti nel volto. E simigliante di quegli di Castruccio ne furono morti assai, ma non però presi, però che Castruccio al fine soprastette i·lluogo ove fu la battaglia; ma più di C cavagli de’ suoi voti tornarono nel campo de’ Fiorentini, però che tennono al fuggire tutti al piano. E la sera ritratti l’una oste e l’altra, infino a notte stettono schierati ciascuno trombando appetto l’uno dell’altro per sostenere l’onore del campo; ma la notte dipartì, e ciascuno tornò a le sue logge. Ma di certo dal giorno innanzi que’ dell’oste de’ Fiorentini non furono coraggiosi né avolontati di combattere, com’erano prima, per difalta di quella mala condotta, e per lo danno che ricevettono; e Castruccio, come quegli che non dormia, avendo presa baldanza di quella cotanta vittoria ch’avea avuta, e attendendo suo soccorso e aiuto di Lombardia, e conoscendo il male sito ove i Fiorentini erano acampati, con sagace inganno fece tenere i·falsi trattati messer Ramondo e ’l suo consiglio con più di quelle castella di Valdinievole, per fargli indugiare che non si partissono e levassono il campo, come tutto dì erano infestati sì da Firenze e da’ savi dell’oste, che conosceano il male luogo ov’erano acampati; e tra che fu tempo piovoso, e lo ’nganno de’ trattati, gli venne fatto suo intendimento.

CCCVI Di quella materia medesima.

Come que’ dell’oste de’ Fiorentini sentirono che Azzo Visconti con sua gente era venuto di Lombardia in aiuto a Castruccio, ch’erano VIIIc cavalieri tedeschi, e quegli di messer Passerino, domenica mattina dì XXII di settembre si levarono da campo da la badia a Pozzevero schierati e ordinati, e puosonsi ad Altopascio dal lato di qua, che agiatamente potea venirne l’oste di qua da Guisciana, o almeno si fossono posti in su Gallena, erano signori del combattere a·lloro volontà; ristettono ad Altopascio per fornirlo. Castruccio, che non ne stava ozioso, veggendo l’oste de’ Fiorentini levata per tema e paura, la domenica medesima venne in Lucca per sollecitare Azzo che cavalcasse con sua gente, e a tutte le belle donne di Lucca co la moglie insieme il fece pregare: egli per riposarsi, e che volea la moneta che gli fu promessa, non si volea partire di Lucca, onde Castruccio con grande fatica l’accivì, tra di danari e di promesse di mercatanti, di VIm fiorini d’oro, e promisegli di cavalcare lunidì mattina. Castruccio lasciò la donna sua coll’altre donne che ’l sollecitassono, ed egli la domenica a notte ritornò in sua oste, che gran paura avea che l’oste de’ Fiorentini si partissono sanza battaglia, veggendo suo vantaggio. I·lunidì mattina l’oste de’ Fiorentini si levò e misonsi in ischiere, ed erano rimasi intorno di IIm cavalieri e non più, per gli malati e partiti dell’oste, e gente a piè da VIIIm, e tutti ad agio si poteano partire e venire a Gallena; ma per aroganza si misono a roteare colle schiere loro verso l’oste di Castruccio, trombando e drappellando richeggendo di battaglia. Castruccio incontanente con sua oste armato, ch’era con MCCCC cavalieri, cominciò a scendere il poggio e tenere a badalucco i Fiorentini, tanto che Azzo con sua gente venisse, e così gli venne fatto, che in su l’ora di terza Azzo giunse colla sua gente; e incontanente che fu venuto si calarono di Vivinaia al piano a la battaglia, i quali furono da XXIIIc di cavalieri in tutto que’ dell’oste di Castruccio; ma il popolo suo lasciò al poggio, che pochi ne scesono al piano a la battaglia. L’oste de’ Fiorentini molto bene ordinata in ischiere s’afrontò coll’oste di Castruccio, e una piccola schiera de’ Franceschi e de’ Fiorentini e d’altri intorno di CL a cavallo, ch’erano al dinanzi a la schiera de’ feditori, fedirono vigorosamente, e trapassarono le schiere d’Azzo. Gli altri feditori ch’erano ordinati, ch’erano da VIIc, ond’era guidatore messer Bornio maliscalco di messer Ramondo, veggendo cominciata la battaglia, non resse, ma incontanente volse la sua bandiera. Gli altri dell’oste veggendo volgere le ’nsegne de’ feditori, isbigottiti, incominciarono a temere, e parte a fuggire: che se messer Ramondo colla schiera grossa avesse ancora pinto dietro a’ primi feditori, avea vinta la battaglia, ma istando fermo, e la gente per la mala vista del maliscalco cominciando a fuggire, prima furono da’ nimici assaliti che dessono colpo, ma parvono storditi e amaliati; ma il popolo a piè cominciaro a sostenere francamente, ma la cavalleria non resse quasi niente, e così in poca d’ora che durò l’assalto furono rotti e sconfitti: e ciò fu i·lunidì in su la nona, a dì XXIII di settembre MCCCXXV.

La quale sconfitta di certo si disse, che ’l detto Bornio maliscalco per tradimento ordinato si mise prima a fuggire che a·ffedire; e ciò si trovò, ch’egli era stato cavaliere per mano di messer Galeasso Visconti padre del detto Azzo, e stato lungamente a’ suoi soldi; e come tornò in Firenze, mai non si lasciò trovare, anzi si partì di nascoso. Il dammaggio de’ morti a l’afrontata prima fu piccolo, per lo poco reggere che fece l’oste de’ Fiorentini, ma poi a la fugga ne furono morti e presi assai, però che Castruccio mandò incontanente di sua gente a prendere il ponte a Cappiano, il quale sanza assalto per que’ v’erano dentro in su le torri, fue abbandonato; onde i Fiorentini e loro amistà che fuggieno ricevettono maggiore danno di morti e di pregioni, che non feciono ne la battaglia. Rimasonne morti in tutto da... tra a cavallo, che furono pochi, e a piè, che non furono XXV de le cavallate di Firenze: morti e presi ne furono in tutto intorno di... intra quali fue messer Ramondo di Cardona capitano dell’oste, e ’l figliuolo, e più baroni franceschi, che alquanto ressono la battaglia; ebbevi da XL de’ migliori di Firenze grandi e popolani a cavallo, e da L oltramontani buona gente e di rinnomo, la maggior parte cavalieri, e da XX uomini di rinnomo d’altre terre di Toscana. Tutti gli altri scamparono, chi per una via e chi per altra; ma il campo e la salmeria di tende e arnesi quasi tutti si perdero; e pochi dì appresso s’arrendé il castello di Cappiano e quello di Montefalcone; e poi a dì VI d’ottobre s’arrendé Altopascio, e andarne pregioni a Lucca, ch’erano più di Vc; ed era fornito per più tempo e fortissimo. E così in poca d’ora si mutò la fallace fortuna a’ Fiorentini, che in prima con falso viso di filicità gli avea lusingati in tanta pompa e vittoria. Ma di certo fu giudicio di Dio per soperchi peccati d’abattere tanta superbia potenza, e così nobile cavalleria e valente popolo, come furono a la prima i Fiorentini ne la detta oste, per più vili di loro e scomunicati; e così nonn-è d’avere speranza in forza umana altro che nel piacere e volontà di Dio e la sua disposizione. Lasceremo al presente alquanto de le sequele e aversità che per la detta sconfitta avennono a’ Fiorentini, perché n’è di necessità per trattare dell’altre novità state infra ’l detto tempo per l’universo mondo in più parti, e raccontate quelle, torneremo a nostra materia, in seguire delle storie e fatti de’ Fiorentini, ch’assai ne cresce materia di dire.

CCCVII Come a Cortona fu ristituito il vescovado.

Nel detto anno MCCCXXV, del mese di giugno, papa Giovanni con suo concestoro rendé il vescovado suo a la città di Cortona, che lungamente era vacato, perch’aveano morto il loro vescovo anticamente, e sottomiselo al vescovado d’Arezzo: e ciò fatto per affiebolire la grandezza del vescovo d’Arezzo, che bene il terzo di suo vescovado gli scemò, e fecene vescovo uno degli Ubertini. Per la qual cosa il vescovo d’Arezzo fece in Arezzo abattere le case degli Ubertini, e Montuozi loro castello, onde gli Ubertini rubellarono al vescovo Laterino, e di loro vennono a Firenze per allegarsi co’ Fiorentini; ma come fu la sconfitta, s’accordarono col vescovo, e renderono Laterino.

CCCVIII Come il legato del papa fece fare oste al borgo a San Donnino.

Nel detto anno, a l’uscita di giugno, il legato del papa ch’era in Lombardia coll’oste della Chiesa e aiuto de’ Piagentini e Parmigiani, vennono ad oste sopra il borgo a San Donnino con MMD cavalieri e popolo assai, il quale s’era rubellato, ed eravi dentro Azzo Visconti con grande cavalleria di ribegli di santa Chiesa, e distrinselo sì, che poco v’aveano a mangiare. La lega de’ ribelli, cioè messer Cane della Scala signore di Verona, e messer Passerino signore di Mantova e di Modana, e’ marchesi d’Esti da Ferrara, si raunarono a Modana bene MD cavalieri per soccorrere e fornire quegli del borgo a San Donnino, e grande navilio con vittuaglia e con gazzarre armate misono su per lo fiume di Po, le quali scontrandosi col navilio della Chiesa, da·lloro furono sconfitti e presi. Veggendo la lega de’ Ghibellini di Lombardia che non poteano fornire il borgo a San Donnino per quel modo, si puosono ad assedio a Sassuolo, uno forte castello del contado di Modana, ed ebbello a patti, e Fiorano un altro castello di que’ signori da Sassuolo, e avuti i detti castelli si dipartì di Modona la detta raunata, e ciascuno si tornò a casa. Ver è che parte n’andarono per la via di Chermona, e entrarono nel borgo a San Donnino con vittuaglia, però che·ll’assedio dell’oste della Chiesa e de’ Parmigiani era molto dilungata dal borgo, e però si francò il borgo, e Azzo de’ Visconti e sua gente per serbarsi a soccorrere Castruccio e isconfiggere l’oste de’ Fiorentini, come ne’ passati capitoli avemo stesamente fatta menzione.

CCCIX Come il re d’Araona ricominciò guerra a’ Pisani.

Nel detto anno e mese di giugno il re d’Araona mandò in Sardigna XII galee armate con IIIc cavalieri, e trovarono nel golfo di Calleri due cocche de’ Pisani cariche di vittuaglia, ch’andavano per fornire Castello di Castro; quelle presono, e uccisono tutti i Pisani, onde ricominciarono la guerra a’ Pisani: per la qual cosa tutti i Catalani mercatanti e altri che furono trovati in Pisa, furono presi con tutta loro mercatantia e roba.

CCCX Come il conte di Fiandra fue sconfitto e preso a Coltrai da quegli di Bruggia.

Nel detto anno MCCCXXV, a dì XII di giugno, essendo il giovane Luis conte di Fiandra a Ipro, ne fece cacciare tutti i caporali de’ tesserandoli e folloni, e popolo minuto, perché gli erano incontro con quegli di Bruggia; e poi andòe a Coltrai con più di CL gentili uomini a cavallo, e là facea raunata e s’afforzava per fare guerra a que’ di Bruggia, che gli s’erano ribellati; e per volere fare prendere certi caporali di Bruggia ch’erano venuti a Coltrai per fargli impiccare, fuggiti in una casa nel borgo di verso Bruggia, la gente del conte vi misono fuoco, e arse tutto il detto borgo, e eziandio passò il fiume de la Liscia, e arse la metà e più della terra. Per la qual cosa que’ di Coltrai, veggendosi così arsi e guasta la terra, si raunarono armati con certi che v’erano di Bruggia, e combatterono in su la piazza col conte e con sua gente, e sconfissongli, e presono il conte, e fediro e uccisonne più di XL nobili uomini, intra’ quali morti fu il siri di Ruella e quello di Terramonda, figliuolo di messer Guiglielmo de la casa di Fiandra, e il conte di Namurro fedito a morte. E venuti que’ di Bruggia a Coltrai, ne menaro il conte preso a Bruggia, e a mezzo il cammino in sua presenza tagliarono la testa a XXVII suoi famigliari gentili uomini, ch’erano presi co·llui, che fu una grande crudeltà per vili genti e fedeli fare al loro signore; e menato il conte in pregione, sì feciono rubellare il popolo minuto d’Ipro, e cacciarne i grandi borgesi che teneano col conte. Quegli de la villa di Guanto per soccorrere il loro signore lo conte, del mese d’agosto vegnente, andando ad oste contra quegli di Bruggia, i quali da quegli di Bruggia sconfitti furono, e morti e presi assai; e tornati in Guanto que’ che scamparono, il popolo minuto, tesserandoli e folloni, vollono uccidere tutti i grandi borgesi di Guanto a richiesta di quegli di Bruggia, onde in Guanto tra·lloro ebbe battaglia; ma i gran borgesi e la parte del conte si trovarono più forti, onde il popolo minuto furono sconfitti, e molti morti e presi, e giustiziati di villana morte.

CCCXI De’ fatti di Firenze.

Nel detto anno, a dì XXVII di luglio, s’apprese fuoco in Firenze in Parione di costa a la chiesa di Santa Trinita, e arsonvi XIIII case, e morirvi V persone. Il dì di calen di agosto del detto anno si pubblicò in Firenze il processo e scomunica fatta per papa Giovanni contra Castruccio, siccome rubello e persecutore della Chiesa, e fautore d’eretici per più articoli contro a fede.

CCCXII Come il conte di Savoia fue sconfitto dal Dalfino di Vienna.

Nel detto anno, a dì VII d’agosto, fue grande battaglia in viennese tra il Dalfino di Vienna e ’l conte di Savoia apresso del castello di..., che la gente del conte v’era ad assedio con... cavalieri e popolo assai, e... fue con cavalieri...; e dopo la gran battaglia il conte di Savoia fue sconfitto, e furonne morti assai, e preso il conte d’Alzurro, e ’l fratello del duca di Borgogna, e ’l siri di Belgiù, e più di CL tra cavalierie e sergenti gentili uomini ch’erano col conte di Savoia.

CCCXIII Come il conte Alberto da Mangone fue morto, e suo contado rimase a’ Fiorentini.

Nel detto anno, a dì XVIIII del mese d’agosto, il conte Alberto da Mangone fu morto a ghiado per tradigione in sua camera per Ispinello bastardo suo nipote e per uno di quegli di Coldaia a petizione degli Ubaldini e di messer Benuccio Salimbeni di Siena, che tenea Vernia e avea per moglie la figliuola che fu del conte Nerone, perché gli faceva guerra del detto retaggio. Per la qual cosa il castello di Mangone e la corte fue per lo detto Spinello renduto al Comune di Firenze, e ebbene per lasciare la rocca XVIIc di fiorini d’oro dal Comune, con tutto che di ragione succedea al Comune di Firenze e Mangone e Vernia, per testamento fatto per lo conte Allessandro padre d’Alberto e Nerone, e poi ratificato per lo detto Alberto e Nerone, che se rimanessono sanza reda di figliuoli maschi legittimi, ne fosse reda il Comune di Firenze. E ancora il Comune di Firenze v’avea su ragione per censi vacati, i quali doveano per patti di molti tempi adietro. Nel detto anno, a dì XXVIII d’agosto, CC cavalieri di quegli ch’erano nel borgo a San Donnino, andando per foraggio, furono sconfitti al ponte a Lensa da quegli di Parma.

CCCXIV Come il Monte a San Savino fu distrutto.

Nel detto anno, del mese di settembre, poi che fu la sconfitta de’ Fiorentini, quegli del Monte a San Savino si renderono al vescovo d’Arezzo, il quale fece abattere le mura a la detta terra, perch’erano molto Guelfi, e aveano mandato aiuto di loro gente a l’oste de’ Fiorentini. E poi a dì XI di maggio vegnente vi cavalcò il vescovo con sua gente, e trasse del castello tutti gli abitanti, e arse e fece disfare tutta la terra, che non vi rimase pietra sopra pietra; e sì v’avea più di M abitanti, che tutti gli disperse qua e là, acciò che mai non potessono rifare la terra.

CCCXV Come si compié pace tra lo re di Francia e d’Inghilterra per la guerra di Guascogna. Nel detto anno, del mese di settembre, Adoardo figliuolo del re d’Inghilterra venne in Francia, e per trattato della reina d’Inghilterra sua madre e serocchia del re di Francia si compié la pace dal re di Francia a quello d’Inghilterra de la guerra cominciata in Guascogna, e ’l detto figliuolo del re d’Inghilterra ne fece omaggio al re di Francia in persona del padre re d’Inghilterra, e lasciò al re di Francia le terre che messer Carlo di Valos avea conquistate in Guascogna, e rimase in Francia co la madre, e non vollono tornare in Inghilterra, però che ’l re d’Inghilterra si reggea male, e contro a·lloro volere si guidava per messer Ugo il Dispensiere.

CCCXVI Come i due eletti d’Alamagna feciono accordo insieme, e Federigo d’Osteric fu tratto di pregione.

Nel detto anno, del mese d’ottobre a l’uscita, il duca di Baviera eletto re de’ Romani diliberò di sua pregione Federigo duca d’Osteric, perch’era altressì eletto re de’ Romani, e fece pace co·llui, e promisegli di rinunziare sua lezione, e di dargli le sue boci. Poi furono a parlamento a l’ottava anzi Natale, e non furono in accordo, però che Lupoldro fratello del duca d’Osteric non volea che ’l suo fratello rinunziasse. E poi furono a un altro parlamento, e furono inn-accordo, che quello di Baviera dovesse passare in Italia, e ’l duca Lupoldro d’Osteric co·llui e per suo generale vicario, e quello d’Osteric rimanere re ne la Magna; e di questo si promisono con lettere e suggegli. Gli elettori dello ’mperio a petizione del papa e del re di Francia contradissono, opponendo che·ll’uno e l’altro avea perduta la lezione, perché a·lloro non era licito di ragione che l’uno potesse dare a l’altro boce sanza fare per gli elettori nuova lezione. In questo mezzo il duca Lupoldro d’Osteric, il quale trattava co·re Ruberto, e con quello di Francia, e ancora co’ Fiorentini, e quello accordo dissimulava per essere egli signore in Italia, sì si morì a dì XXVII di febbraio MCCCXXV, e dissesi che fue avelenato; per la qual morte tutto quello esordio e accordo rimase sospeso e anullato.

CCCXVII Come Castruccio con sua oste venne in sul contado di Firenze presso a la città, ardendo e guastando.

Nel detto anno, tornando a nostra materia lasciata adietro de’ fatti di Castruccio e de’ Fiorentini, come Castruccio ebbe la vittoria della battaglia, mandati i pregioni e le spoglie del campo a Lucca, non tornò a Lucca in persona, ma posto l’assedio ad Altopascio, sì fece disfare le torri e ’l ponte a Cappiano, e poi il castello di Cappiano e di Montefalcone, per non avere in quella parte a guardare, e se ne venne a Pistoia per guerreggiare i Fiorentini, e per dilungare la tornata sua in Lucca, perché non v’avea da sodisfare i suoi cavalieri soldati di loro paghe passate d’assai, e de le doppie per la vittoria, e per nutricargli sopra le prede de’ Fiorentini. E a dì XXVII di settembre fece uscire ad oste a Carmignano messer Filippo Tedici co’ Pistolesi, e incontanente fue abbandonato da coloro che v’erano per gli Fiorentini, salvo la rocca. Poi a dì XXVIIII di settembre Castruccio con tutta sua oste venne a Lecore in sul contado di Firenze, e il dì seguente puose il suo campo in su i colli di Signa. I cavalieri e’ pedoni de’ Fiorentini ch’erano in Signa, faccendola afforzare, veduta l’oste di Castruccio abandonarono la terra, e furono sì vili, che non ardirono a tagliare il ponte sopra l’Arno. Poi il dì di calen di ottobre Castruccio puose suo campo a San Moro, ardendo e rubando Campi, Brozzi, e Quaracchi, e tutte le villate d’intorno; e a dì II d’ottobre venne in Peretola, e la sua gente scorrendo infino presso a le mura di Firenze, e là dimorò per III dì, faccendo guastare per fuoco e ruberia dal fiume d’Arno infino a le montagne, e infino a piè di Careggi in su Rifredi, ch’era il più bello paese di villate, e ’l meglio acasato e giardinato, e più nobilemente, per diletto de’ cittadini, che altrettanta terra che fosse al mondo. E poi il dì di san Francesco, dì IIII d’ottobre, fece in dispetto e vergogna de’ Fiorentini correre III pali[i] da le nostre mosse infino a Peretola, l’uno a gente a cavallo, e l’altro a piede, e l’altro a femmine meretrici; e non fue ardito uomo d’uscire della città di Firenze; ma i Fiorentini molto inviliti, e storditi di paura e sospetto che dentro a la città non avesse tradimento, con tutto avessono cavalieri assai e gente a piè innumerabile, si tennono dentro in arme di dì e di notte con grande affanno e sollecitudine a guardare la città e le mura e le porte; e sgombravasi tutto il contado, recando dentro così bene que’ da San Salvi e da Ripole e di quelle contrade, come de le villate ch’erano verso i nimici.

CCCXVIII Della materia medesima.

Poi il sabato mattina, dì V d’ottobre, si levò da Peretola, e arse tutta la villa e quello d’intorno, e presono e arsono il castello di Capalle e quello di Calenzano sanza riparo niuno, che que’ che v’erano dentro gli abandonaro. Ancora i Fiorentini dentro pareano per paura amaliati; e ritornatosi Castruccio con sua oste la sera in Signa, la domenica apresso, dì VI d’ottobre, fece correre e ardere, sì come avea fatto di qua, di là da Arno Gangalandi, e Sa·Martino la Palma, e ’l castello de’ Pulci, e tutto il piano di Settimo. E poi il martidì, dì VIII d’ottobre, venne con tutta sua oste infino a Grieve, e’ suoi scorridori infino a San Piero a Monticelli, e salirono in Marignolla infino a Colombaia, rubando e levando grandi prede sanza contasto niuno; che’ Fiorentini temeano molto da quella parte, perché i borghi di San Piero Gattolino e quello di San Friano, e d’intorno al Carmino e a Camaldoli non erano murati; ma rimettendo i fossi e faccendo steccati con C bertesche, in XV dì lavorando di dì e di notte con grande sospetto e paura. In somma l’assedio e guasto che lo ’mperadore Arrigo avea fatto a la città di Firenze fu quasi niente a comparazione di questo, consumando ciò ch’era da le porte in fuori da quelle parti, con levando ogni dì grandissime prede di gente e di bestiame e di loro arnesi. E così feciono infino a Torri in Valdipesa, e infino a Giogoli, e poi infino a Montelupo, e arsono il borgo, e così quello di Puntormo, e la villa di Quarantola, e più altre villate. E poi, a dì XI d’ottobre, s’arendé la rocca di Carmignano, e poi il castello degli Strozzi, ch’era ivi presso molto forte e bene fornito, chiamato Torrebecchi; e andò poi con sua oste scorrendo intorno a Prato.

CCCXIX Come Castruccio con Azzo di Milano ritornò co·lloro oste a la città di Firenze.

Come Azzo Visconti di Milano, ch’era a Lucca con sua gente, fue pagato di XXVm di fiorini d’oro che Castruccio gli aveva promessi per la vittoria e per la sua parte de’ pregioni e preda, i quali danari il Comune di Lucca improntarono a usura dagli usciti di Genova che dimoravano in Pisa, sì ne venne il detto Azzo con sua gente a Signa, e per fare la vendetta de’ Fiorentini del palio che feciono correre a le porte di Milano coll’oste di messer Ramondo, come dicemmo adietro. E a dì XXVI d’ottobre con Castruccio insieme, con bene IIm cavalieri, vennono infino a Rifredi, e di qua in su una isola d’Arno, che si vedea apertamente di Firenze, fece correre uno palio di sciamito; e poi la sera si ricolsono a Signa. Ma se prima s’ebbe paura e dotta in Firenze, a questa ritornata s’ebbe maggiore, per paura non avessono trattato di tradimento dentro per gli amici e parenti de’ cittadini presi a la sconfitta, il quale mai non si sentì di vero; ma certamente d’acordo assai per riavere i pregioni, ma non furono uditi né intesi, ma tenuti a sospetto dagli altri cittadini; ma i buoni uomini di Firenze, così i Guelfi e così i Ghibellini ch’erano in Firenze, erano favorevoli e solleciti a la guardia della città, e a l’entrate continuamente di dì e di notte per tema della città. E poi il seguente dì Azzo se n’andò con sua gente a Lucca e poi a Modana in Lombardia. Il contado di Firenze in verso il ponente ove Castruccio guastò e corse rimase tutto diserto, e le genti scampate rifuggiti in Firenze per gli disagi ricevuti v’adussono infermità e mortalità grande, la quale s’apiccò a’ cittadini; e tutto quello anno ebbe ne la città grande mortalità di gente sì fatta, che s’ordinò che banditore non andasse per morti, acciò che la gente inferma non isbigottisse di tanti morti; e così per le peccata de’ Fiorentini seguì la pestilenzia a la disaventurata fortuna ch’egli aveano ricevuta.

CCCXX Dello stato di Firenze medesimo.

I Fiorentini essendo in tanta afflizzione di guerra e così isprovati dal tiranno Castruccio loro nimico, mandarono per soccorso al re Ruberto a Napoli e a’ vicini e agli amici, ma da nullo n’ebbono sùbito aiuto, se non da’ Samminiatesi LXXX cavalieri e da’ Colligiani XXV e C fanti. E feciono, per paura che non valicasse Castruccio da l’altra parte de la città, afforzare la rocca di Fiesole, però che n’avea minacciati i Fiorentini, e avea grande volontà di riporre Fiesole per assediare meglio la città; e avrebbelo fatto, se’ signori Ubaldini l’avessono seguito, come aveano promesso. E ancora per paura di Castruccio i Fiorentini feciono afforzare la badia di Samminiato a Monte, e in ciascuno luogo misono gente e guernigione; e ancora per tema che gli sbanditi non facessono raunata né rubellazione dentro a la città o di fuori d’alcuno castello feciono ordine e dicreto che ciascuno potesse uscire di bando chente e per che misfatto si fosse, pagando al Comune certa piccola gabella, salvo quegli delle case escettati per Ghibellini o Bianchi rubelli. E feciono capitano di guerra messer Oddo da Perugia, ch’era venuto per lo suo Comune capitano, e messer Guasta da Radicofani a la guardia de la città. E così come gente ismarrita e sconfitta si sostentaro, intendendo solamente a la guardia della città, ogni onori abandonando.

CCCXXI Come il conte Ugo da Battifolle ritolse certo contado a’ Fiorentini in Mugello.

Nel detto anno, in calen di ottobre, essendo ancora i Fiorentini in tanto affanno e pericolo, il conte Ugo figliuolo del conte Guido da Battifolle riprese per suoi cinque popoli e villate di sotto ad Ampinana in Mugello, i quali s’erano renduti più tempo addietro al Comune di Firenze, e succedeano al Comune di ragione per compera fatta quando s’ebbe Ampinana, secondo che si diceva. Onde il popolo di Firenze forte si tennero gravati dal conte Ugo, e maggiormente perch’era stato il padre e egli amico, e faccendo sì fatta novità veggendo i Fiorentini in tanta aversità: con tutto che il detto conte dicea ch’erano suoi per retaggio e di ragione, opponendo che la vendita che fece il conte Manfredi quando vendé Ampinana fu solamente per lasciare il castello di fatto a Fiorentini, e voleala commettere di ragione in giudice comune, ma per lo modo sconcio non s’acettò per gli Fiorentini. Ma ragione o non ragione ch’avesse il conte, fue condannato per l’esecutore degli ordinamenti de la giustizia, a l’uscita del mese di dicembre del detto anno, in libbre XXXm, a condizione se non avesse ristituiti i detti popoli ne lo stato primo infra X dì; la qual cosa perciò non fece, e rimase in bando e in contumace del Comune di Firenze, con tutto che fosse sostenuta sua parte in Firenze per suoi amici e parenti grandi e popolani. Ma poi a la venuta del duca in Firenze il conte Ugo il venne a servire in persona con XX cavalieri e CC pedoni per III mesi; per la qual cosa il duca il fece cancellare di bando, ma i più de’ Fiorentini ne furono crucciosi.

CCCXXII Come Castruccio venne a oste a Prato.

Nel detto anno, a dì XVIIII d’ottobre, Castruccio con sua oste venne intorno a Prato, istandovi a campo per VIIII dì, guastandolo intorno intorno, e poi per pioggia non potéo per la via diritta tornare a Signa; ma a dì XXVIII d’ottobre si tornò in Pistoia, e poi l’altro dì ritornò in Signa; e a dì XXX d’ottobre fece ancora da due parti correre sua gente infino a Rifredi, e di là da Arno infino a Grieve; e simigliante fece a dì III di novembre, faccendo ardere infino a Giogoli. E poi a dì V di novembre cavalcò con sua oste, forse con VIIc cavalieri e MD pedoni, in Valle di Marina; e albergòvi una notte, faccendo grandissimo guasto. I Fiorentini sentendo com’era entrato in forte passo, e che i Mugellesi erano raunati a la Croce a Combiata per ripararlo che non passasse in Mugello, sì vi cavalcarono CC cavalieri e IIm pedoni per richiudergli il passo dinanzi di là da la pieve a Calenzano; e fatto l’avrebbono per lo stretto e forte luogo, se non che per ispie infino di Firenze gli fu fatto assapere; onde si ricolse e uscì del passo, anzi che la gente de’ Fiorentini vi giugnesse, e andonne a Signa a salvamento, e con gran preda, e con CXXX pregioni; e a più dispetto de’ Fiorentini fece battere moneta picciola in Signa co la ’mpronta dello ’mperadore Otto, e chiamarsi i castruccini.

CCCXXIII Come Castruccio tornò in Lucca con grande trionfo per la sua vittoria.

Nel detto anno Castruccio guasto e arso sì fattamente il contado di Firenze e quello di Prato per lo modo che detto è di sopra, avendo tra più volte avuti più pregioni, e maggiore preda che non ebbe alla sconfitta, e quasi inestimabile, lasciata guernita Signa degli usciti di Firenze e di CCC cavalieri, e rimandati al vescovo d’Arezzo CCC suoi cavalieri ch’avea avuti continui a la detta guerra, ricchi delle prede de’ Fiorentini, a dì X di novembre si tornò in Lucca per fare la festa di Sammartino con grande trionfo e gloria, vegnendoli incontro grande processione, e tutti quegli della città, uomini e donne, sì come a uno re; e per più dispregio de’ Fiorentini si fece andare innanzi il carro colla campana che’ Fiorentini aveano nell’oste, coperto i buoi dell’arme di Firenze, faccendo sonare la campana, e dietro al carro i migliori pregioni di Firenze, e messer Ramondo con torchietti accesi in mano ad offerere a sa·Martino. E poi a tutti diede desinare, che furono da cinquanta de’ maggiorenti, e le ’nsegne reali del Comune di Firenze a ritroso in su il detto carro: e poi gli fece rimettere in pregione, gravandoli d’incomportabili taglie, faccendo loro fare tormenti e grandi misagi sanza niuna umanità; e alquanti de’ più ricchi per fuggire i tormenti si ricomperarono grande somma di moneta. E di certo Castruccio trasse de’ nostri pregioni e de’ Franceschi e forestieri presso a Cm fiorini d’oro, onde fornì la guerra.

CCCXXIV Come i Fiorentini essendo in male stato si providono di moneta e di gente.

Nel detto anno e mese, intrante novembre, i Fiorentini, veggendosi in grandi spese e in così pericolosa guerra, non si disperarono, ma francamente s’argomentarono a·lloro difensione, e ordinarono e feciono nuove gabelle, che montarono LXXm fiorini d’oro l’anno, oltre a quelle che prima aveano, che montavano CLXXXm fiorini d’oro, per fornire la detta guerra castruccina; e mandarono per cavalieri in Alamagna e a Padova, e feciono riporre e afforzare il poggio di Combiata e quello di Montebuono, acciò che Castruccio non potesse valicare in Mugello né in Valle di Grieve; e mandarono CC cavalieri in aiuto a’ Bolognesi, onde furono capitani messer Amerigo Donati e messer Biagio Tornaquinci; ch’allora fu uno grande fatto a’ Fiorentini, essendo col nimico tiranno a l’uscio, a mandare soccorso a l’amico. Lasceremo al presente del male stato de’ Fiorentini, e diremo delle aversità che ne’ detti tempi avennero a’ Bolognesi per la forza de’ tiranni di Lombardia.

CCCXXV Come i Bolognesi furono sconfitti da messer Passerino signore di Mantova e di Modana.

Nel detto anno, del mese di luglio, i Bolognesi feciono oste per contastare la raunata di messer Passerino signore di Mantova e di Modana e degli altri tiranni di Lombardia ch’erano nel contado di Modana, acciò che non potessono mandare aiuto a Castruccio né al borgo a San Donnino; ma più per tema che non entrassono nel loro contado; e però non mandarono aiuto a l’oste de’ Fiorentini che CC cavalieri. E sentita loro partita, la raunata di Modana sì valicarono la Scoltenna, e intorno a Modana feciono danno assai per più cavalcate, e tornarsi in Bologna. Ma come i Fiorentini furono sconfitti ivi a pochi dì, cioè a dì XXX di settembre, ribelli di Bologna di casa Galluzzi e’ figliuoli di Romeo de’ Peppoli, colla forza di messer Passerino rubellarono a’ Bolognesi il castello di Monteveglio a la montagna. I Bolognesi vi cavalcaro, popolo e cavalieri, e puosonvi l’assedio, e richiesono tutti i loro amici di Toscana e di Romagna, e rifeciono il fosso che si chiama la Mucia, di qua dalla Scoltenna, che tiene dal monte al pantano, per loro sicurtade, ed erano l’oste de’ Bolognesi bene XXIIc di cavalieri co le loro cavallate, e bene XXXm pedoni, che per comune v’erano quegli della città. Messer Passerino fece sua raunata, che vi venne la gente di messer Cane da Verona con VIc cavalieri, e’ marchesi d’Esti con IIIIc, sì ch’avea bene XVIIIc di cavalieri, ed erano a campo di là dal fosso e da la Scoltenna, badaluccandosi spesso per fornire il castello e passare il fosso, e’ Bolognesi si teneano francamente. A l’uscita d’ottobre Azzo Visconti che se n’andava a Milano con sua gente si dimorò in servigio di messer Passerino, e ancora Castruccio gli mandò CC cavalieri, sì che con XXVIIIc di cavalieri furono i tiranni di Lombardia, quasi i più Tedeschi. I Bolognesi veggendosi così stretti, e da l’assedio del castello non si voleano partire, ancora mandarono per aiuto. I Fiorentini non guardando al loro grande bisogno mandarono loro CC cavalieri, e mandarono pregando per ambasciadori che si ritraessono e non si mettessono a battaglia: fecionsene beffe, rimprocciando i Fiorentini di loro viltade. Poi a dì III di novembre quegli di messer Passerino valicarono la Scoltenna, e in parte ruppono il fosso, e valicarne di loro; ma per forza dal popolo di Bologna furono ripinti, e non poterono fornire il castello.

CCCXXVI Di quello medesimo.

Veggendo messer Passerino e gli altri capitani che non poteano passare la raunata, feciono vista di partire l’oste, e gran parte tornarono a Modana; poi feciono vista di porre assedio al ponte a Santo Ambruogio. I Bolognesi lasciarono a la rotta del fosso i Romagnuoli e’ Fiorentini, ch’erano da cavalieri, e vennono parte di loro cavalieri verso il ponte. Messer Passerino e sua gente avendogli spartiti, cavalcarono astivamente di là da la Scoltenna verso il castello, e’ Bolognesi da la loro parte seguendo; ma prima di Bolognesi giunsono i loro nimici ov’era stata la rottura del fosso e più fiebole; e’ Romagnuoli e’ Fiorentini che v’erano a guardia mandando a la cavalleria di Bologna per aiuto, lentamente vi vennono. La gente di messer Passerino per forza valicarono il passo, e cominciarono la battaglia. I Bolognesi veggendo l’assalto poco ressono, ma incontanente si misono a la fugga, e que’ cotanti che ressono, che furono i Romagnuoli e’ cavalieri de’ Fiorentini e usciti di Modana, furono malmenati, che più di CCCL a cavallo e più di MD a piè vi rimasono tra presi e morti. I Bolognesi piccolo danno v’ebbono a comparazione de la loro grande oste, che’ cavalieri si fuggirono verso Bologna, e il popolo a le montagne e a’ loro castelli; ma da XXVII de’ buoni de la terra e la loro podestà vi rimasono presi, e messer Malatestino e quattro de’ migliori usciti di Modana capitani. E questa sconfitta fu a piè di Monteveglio venerdì dopo nona, dì XV di novembre.

CCCXXVII Come messer Passerino signore di Mantova e di Modana venne a oste a la città di Bologna.

I Bolognesi tornarono in Bologna con grande vergogna e con grande danno, e messer Passerino con gli altri Lombardi valicarono il fosso de la Muccia, e tutti vennono ad oste sopra Bologna, e puosonsi al borgo a Panicale in sul fiume del Reno, e tolsono l’acqua a le loro mulina, vegnendo infino a le porte di Bologna, e salirono in su Santa Maria a Monte di sopra a uno miglio a la città. Il popolo di Bologna a furia voleano uscire fuori, ma da·loro capitano furono ritenuti, acciò che non compiessono la loro infortuna d’essere afatto isconfitti, e perdessono la terra; ma si misono a la difensione della città, e più assalti ebbono a la città da’ Lombardi; e se non fosse l’aiuto de’ forestieri si perdea la terra. A la fine vi feciono correre III pali, uno messer Passerino, e uno Azzo, e uno i marchesi. E sentendo che la gente della Chiesa, da MD cavalieri, erano venuti verso Reggio, si levarono da oste dì XXIIII di novembre, e tornarono in Modana; ma prima ebbono il castello di... E così mostra che·lle infortunate pianete di Saturno e di Marte ci attenessono la ’mpromessa delle loro congiunzioni istate in questo anno di tante battaglie e pericoli in questo nostro paese e altrove, come per noi è fatta e farà menzione.

CCCXXVIII Come Castruccio fece trattare falsa pace co’ parenti fiorentini de’ suoi pregioni.

Nel detto anno MCCCXXV, dì VII di novembre, i Fiorentini furono in grande sospetto dentro tra·lloro, temendo l’uno dell’altro di tradigione, e spezialmente di certi grandi e popolani possenti, i quali aveano loro figliuoli e fratelli in pregione a Lucca: sì feciono uno dicreto sotto grande pena, che nullo cittadino ch’avesse pregione a Lucca potesse essere castellano di nullo castello, o vicaro di lega o di gente, o richesto a nullo consiglio di Comune; però che sotto colore di pace, a petizione e mossa de’ pregioni, teneano trattati con Castruccio contra il volere delli altri cittadini; e non fu sanza gran pericolo, se non che per gli savi cittadini fue riparato.

CCCXXIX Dell’assedio e perdita di Montemurlo.

Nel detto tempo, a dì XVIII di novembre, ancora la gente di Castruccio vennono scorrendo e guastando infino a Giogoli sanza nullo riparo, per ispaventare i Fiorentini; e a dì XXIIII di novembre Castruccio ritornò a Signa con suo isforzo; e a dì XXVII di novembre si puose all’assedio al castello di Montemurlo, e fecevi intorno più battifolli, e il dì seguente ebbe per patti la fortezza degli Strozzi che si chiamava Chiavello, e fecela abattere e tagliare dal piè, e l’altro dì ebbe per forza la torre a Palugiano ch’era de’ Pazzi, e morirvi più di XXX uomini, e fecela disfare. E stando all’assedio di Montemurlo lo steccò tutto intorno, e con più difici vi gittava, e fece cavare il castello da la parte de la rocca, e fece cadere molto de le mura. Dentro v’erano per castellani Giovanni di messer Tedici degli Adimari e Neri di messer Pazzino de’ Pazzi con CL buoni fanti di masnade; il castello era molto fornito di vittuaglia, ma male fornito d’arme e di gente a sì grande circuito e a tanto affanno di battaglie e di difici e di cave; e più volte mandarono per soccorso a Firenze, almeno che fossono forniti di gente che dentro gli atasse a la guardia. Queglino che·ll’aveano affare, ch’erano all’uficio della condotta de’ soldati, per negrigenzia, overo per miseria di spendio, s’indugiarono tanto a fornirlo che quando vollono non ebbono il podere, né altro soccorso non si fece per gli Fiorentini; e si potea fare, che più volte Castruccio non v’avea IIIc cavalieri, e per le grandi nevi e freddure molto straccata la sua gente; ma la viltà e la disaventura era tanta de’ Fiorentini, e con esso la discordia, che no·ll’ardirono a·ssoccorrere quando si potea. Quegli del castello veggendosi abandonati da’ Fiorentini, avendogli per più volte richesti di soccorso, e veggendo per le cave cadere le mura, e per gli molti difici fragellati, sì cercarono loro patti con Castruccio, e renderono il castello a dì VIII di gennaio MCCCXXV, salve per persone, con ciò che ne potessono trarre, e salvi i terrazzani che vi volessono dimorare; con tutto che malvagiamente trattò i terrazzani, che quasi tutti gli sperse, e recolla a gente di masnade a la guardia, rafforzando il castello molto di rocca e girone di mura e di torri, e murò di fuori la fronte: la quale perdita fu grande vergogna e sbigottimento a’ Fiorentini, e fece aspra guerra al contado di Firenze e a quello di Prato.

CCCXXX Di gente che mandò ’l re Ruberto a’ Fiorentini.

Nel detto anno, il dì di calen di dicembre, giunsono in Firenze CCC cavalieri che·cci mandò il re Ruberto di Puglia, la metà a nostro soldo. Furono cattiva gente, e niente di bene ci adoperaro. Che se a la loro venuta fossono stati valorosi, coll’altro aiuto de’ Fiorentini e loro masnade poteano di leggere levare l’assedio da Montemurlo, ma o per loro viltà, o per comandamento del re, conoscendo la infortuna de’ Fiorentini, non vollono fare una cavalcata, ma istarsi in Firenze a la guardia della terra.

CCCXXXI Della sconfitta che’ Pisani ebbono in mare in Sardigna dal re d’Araona, e come feciono pace.

Nel detto anno MCCCXXV, in calen di dicembre, si partirono di Porto Pisano XXXIII galee, le quali i Pisani aveano armate per soccorrere e fornire Castello di Castro in Sardigna, ed erano gran parte degli usciti di Genova al loro soldo, e amiraglio messer Guasparre d’Oria; e a dì XXVIIII di dicembre si combatterono coll’armata del re d’Araona nel golfo di Calleri, ch’erano XXXI galea, e XL barche imborbottate, e VII cocche. A la fine de la dura battaglia l’armata de’ Pisani furono sconfitti, e prese de le loro VIII galee, e molta gente morta e presa. I Pisani avendo perduta ogni speranza di potere soccorrere Castello di Castro, cercarono accordo col re d’Araona, e mandargli loro ambasciadori in su una galea con lettere e messi di nostro signore lo papa. A la fine la pace si compié, che’ Pisani renderono a·re di Raona Castello di Castro e ogni fortezza ch’aveano in Sardigna, e egli gli quetò della rendita del tempo che l’aveano tenuta, poi ch’egli ne fu eletto signore, e l’uno a l’altro renderono i pregioni, e piuvicossi in Pisa la detta pace a dì X di giugno MCCCXXVI.

CCCXXXII Come la gente di Castruccio ch’erano in Signa corsono infino a la città di Firenze.

Nel detto anno MCCCXXV, a dì X di dicembre, le masnade di Castruccio ch’erano in Signa, intorno di CC cavalieri, corsono infino a San Piero a Monticelli, e venienne infino a le porte di Firenze: uscì una masnada di Fiamminghi a combattere con loro; e se per lo capitano della guerra fossono seguiti, aveanne la vittoria; ma per lo soperchio di gente furono rotti e malmenati da quegli di Castruccio. In Firenze si levò il romore, e sonarono le campane, e popolo e cavalieri furono in arme e uscirono fuori, e corsono infino a Settimo sanza ordine niuna. I nimici per lo soperchio si ritrassono a Signa sanza danno niuno; e la gente de’ Fiorentini, ch’erano più di VIIIc cavalieri e popolo innumerabile, si tornarono la sera di notte in Firenze. La tratta fu gagliarda e di volontà, ma male ordinata, e per gli savi di guerra fu forte biasimata; che se Castruccio fosse stato in aguato pur con Vc cavalieri, avea sconfitti i Fiorentini, e presa combattendo la città.

CCCXXXIII Come i Fiorentini stanziarono di dare la signoria de la città e contado al duca di Calavra figliuolo del re Ruberto.

Nel detto anno, a dì XXIIII di dicembre, i Fiorentini veggendosi così affritti dal tiranno e in male stato, e con questo male ordinati e peggio in concordia, per cagione de le parti e sette tra’ cittadini, e vivendo in paura grande di tradimento, temendo di coloro ch’aveano i loro figliuoli e frategli pregioni in Lucca, i quali erano possenti e grandi in Comune, e la forza del nimico era ogni dì a le porte per lo battifolle di Montemurlo e di Signa; i popolani guelfi, che reggeano la città col consiglio di gran parte de’ grandi e possenti, non veggendo altro iscampo per la città di Firenze, sì elessono e ordinarono signore di Firenze e del contado Carlo duca di Calavra, primogenito del re Ruberto re di Gerusalem e di Cicilia, per tempo e termine di X anni, avendo la signoria e aministrazione de la città per suoi vicari, osservando nostre leggi e statuti, ed egli dimorando in persona a fornire la guerra, tenendo fermi M cavalieri, il meno, oltramontani; dovea avere CCm di fiorini d’oro l’anno, pagandosi di mese in mese sopra le gabelle, e avendo uno mese di venuta e uno di ritorno; e fornita la guerra, per vittoria o per onorata pace, potea lasciare uno di sua casa o altro grande barone in suo luogo con IIIIc cavalieri oltramontani, e avere Cm fiorini d’oro l’anno. In questa forma con più altri articoli gli si mandò la lezione a Napoli per solenni ambasciadori; il quale duca, col consiglio del re Ruberto suo padre e de’ suoi zii e d’altri de’ suoi baroni, accettò la detta signoria a dì XIII gennaio; e saputa l’acettagione in Firenze n’ebbe grande allegrezza, sperando per la sua venuta essere vendicati e diliberi da la forza del tiranno Castruccio, e messi in buono stato. E partissi di Napoli per venire a·fFirenze a dì XXXI di maggio MCCCXXVI.

CCCXXXIV Come quegli di Bruggia in Fiandra furono sconfitti, e trassono il loro conte di pregione.

Nel detto anno MCCCXXV, all’uscita del mese di novembre, parte della gente di Bruggia in Fiandra avendosi rubellati dal loro signore, come addietro è fatta menzione, guerreggiando il paese furono sconfitti tra Bruggia e Guanto dal conte di Namurro e da quegli di Guanto, e morti più di VIc. E poi a pochi giorni quegli del Franco di Bruggia furono sconfitti dal detto conte e da quegli di Guanto, e rimasorne morti più di VIIIc; per le quali sconfitte e abassamento che fu fatto di loro, fu trattato accordo, e quegli di Bruggia trassono di pregione Luis il giovane loro conte e loro signore.

CCCXXXV Come lo ’nfante figliuolo del re d’Araona tolse le decime del papa.

Nel detto anno, del mese d’ottobre, Anfus detto infante d’Araona tolse a’ collettori del papa che tornavano di Spagna tutti i danari ricolti di decime e di sovenzioni; e dissesi che furono CCm di fiorini d’oro la valuta; onde il papa si crucciò forte. Il re d’Araona mandò a corte suoi ambasciadori, dicendo come la detta moneta volea in presto per la guerra di Sardigna, e volea darne pegno più castella a la Chiesa, e accordossene col papa. Del mese di novembre presente VI galee del re d’Araona ch’andavano in Sardigna si combatterono con VII di Genovesi, e quelle de’ Catalani furono sconfitte, e presane l’una, con grande danno di loro gente.

CCCXXXVI Come i Fiorentini feciono loro capitano di guerra messere Piero di Narsi.

Nel detto anno MCCCXXV, in calen di gennaio, i Fiorentini feciono loro capitano di guerra messer Piero di Narsi cavaliere banderese della contea di Bari de·Loreno, il quale tornando d’oltremare dal Sipolcro, il settembre dinanzi per sua prodezza e valore volle essere a la battaglia, ove i Fiorentini furono sconfitti, ed egli vi fu preso, e ’l figliuolo morto, e di sua gente assai; e tornato lui di pregione per sua redenzione, fu eletto capitano; e presa lui la signoria, con molta prodezza e sollecitudine si resse, tenendo Castruccio assai corto de la guerra, e per suo senno fece trattato con certi conastaboli di suo paese ch’erano con Castruccio di fare uccidere Castruccio e di rubellargli Signa e Carmignano, e tornare da la parte de’ Fiorentini con più di CC cavalieri. Iscoperto per Castruccio il detto trattato, a dì XX di gennaio fece tagliare la testa a III conastaboli, due Borgognoni e uno Inghilese, e VI Tedeschi, che teneano mano al tradimento, per la qual cosa molto si turbarono i soldati e masnade di Castruccio; e diede commiato a tutti i Franceschi e Borgognoni ch’avea, intra gli altri a messere Guiglielmo di Noren ch’avea traditi i FiorentIni, ed era di quella giura, onde molto si scompigliaro le masnade di Castruccio.

CCCXXXVII Come per gli Ghibellini de la Marca fu presa la Roccacontrada.

Nel detto anno, a dì XII di gennaio, quegli di Fabbriano con gente ghibellina de la Marca e masnade d’Arezzo presono per tradimento con forza il castello della Roccacontrada, e uccisonvi molti di quegli che teneano la parte della Chiesa, pur de’ maggiori de la terra, uomini e donne e fanciugli.

CCCXXXVIII Come Castruccio arse San Casciano e venne infino a Peretola, e poi arse e abandonò Signa.

Nel detto anno, a dì XXX di gennaio, messer Piero di Narsi capitano di guerra in Firenze cavalcò a Signa con IIIIc cavalieri subitamente, e tornò la sera; poi per gelosia di perdere la fortezza vi venne Castruccio in persona a dì III di febbraio, e menonne presi VII conastaboli tra a cavallo e a piè. E per questa cagione de la cavalcata di messer Piero, e per dispetto di ciò, avendo i Fiorentini per niente, Castruccio tornò in Signa con VIIc cavalieri e IIm pedoni a dì XVIIII di febbraio, e cavalcò a Torri in Valdipesa, e guastò e arse tutta la villa levando gran preda; e poi a dì XXII di febbraio fece un’altra cavalcata infino a San Casciano, e arse il borgo e tutta la contrada, e la sera tornò in Signa. Il capitano de’ Fiorentini co’ cavalieri ch’avea cavalcò il dì in sul poggio di Campaio; ma se fossono iti a la Lastra per lo piano, e preso il passo, Castruccio e sua gente erano sconfitti: si tornarono straccati e male in ordine per l’affanno e lungo cammino ch’aveano fatto il giorno.

CCCXXXIX Di quello medesimo.

E poi, a dì XXV di febbraio, Castruccio per fare più onta a’ Fiorentini venne con VIIIc cavalieri e IIIm pedoni infino a Peretola, e incontanente si tornò in Signa, ma per ciò di Firenze non uscì uomo a la difesa. E poi, a dì XXVIII di febbraio, ricolta sua gente fece ardere Signa e tagliare il ponte sopra l’Arno, e abbandonò la terra, e ridussesi a Carmignano, e quello fece crescere e afforzare, e riducere a la guardia de’ rubelli di Firenze e di Signa e di tutta la contrada. La cagione perch’abandonò Signa si disse perché gli era di gran costo a mantenerla, e di grande rischio, quando i Fiorentini fossono stati valorosi, essendo così di presso a la città, e sentendo come il duca s’aparecchiava di mandare gente a·fFirenze, temendo che la gente che tenea in Signa non fosse soppresa. Ma bene ebbe tanto ardire Castruccio e tanto gran cuore, che istando in Signa cercò con grandi maestri se si potesse alzare con mura il corso del fiume d’Arno a lo stretto della pietra Golfolina per fare allagare i Fiorentini, ma trovarono i maestri che ’l calo d’Arno da Firenze infino là giù era CL braccia, e però lasciò di fare la ’mpresa.

CCCXL Come i Bolognesi feciono pace con messer Passerino.

Nel detto anno, in calen di febbraio, i Bolognesi feciono pace con messer Passerino signore di Mantova e di Modana, e per patti riebbono tutti i loro castelli e fortezze e Monteveglio, perché furono sconfitti, e tutti i loro pregioni: e per sicurtà della pace diedono XL stadichi, giovani garzoni figliuoli di buoni uomini di Bologna.

CCCXLI Come certe masnade d’Arezzo furono sconfitte da quelle de’ Perugini.

Nel detto anno, a dì XVII di febbraio, CCC soldati del vescovo d’Arezzo ch’erano a la Città di Castello, andando a guastare il castello de la Fratta, si scontrarono colle masnade de’ Perugini, e combattersi insieme aspramente; e se non fosse ch’era presso a notte grande dammaggio si faceano insieme. A la fine quegli d’Arezzo n’ebbono il peggiore.

CCCXLII Come la gente de la Chiesa, capitano messer Vergiù di Landa, cominciaro guerra a Modana.

Nel detto anno, a dì X di marzo, messer Vergiù di Landa venne sopra Modana con VIIIc cavalieri di quegli della Chiesa, e ripuose Sassuolo; e poi del mese di maggio prese Castelvecchio, e più castelletta e villaggi de’ Modanesi. E’ Fiorentini vi mandarono in aiuto della Chiesa CC cavalieri; e con questa gente e co’ figliuoli di messere Ghiberto da Coreggia messer Vergiù vinse per forza, a dì XV di giugno MCCCXXVI, l’isola di Sezzana ch’era steccata e guernita di bertesche, e avevavi CC cavalieri e IIIm pedoni a guardia per lo signore di Mantova, i quali furono sconfitti, e presa la fortezza del ponte a Borgoforte di qua da Po, iscorrendo il mantovano con grande danno de’ ribelli della Chiesa. E poi a dì II di luglio presono per forza gli antiporti e’ borghi di Modana, ch’erano affossati e steccati; e’ cavalieri de’ Fiorentini furono de’ primai ch’entrarono a l’antiporta, e poco fallì che non ebbono la città; e stettono tutto luglio a l’assedio di Modana tenendola molto stretta. A l’uscita di luglio messer Passerino colla lega de’ Ghibellini di Lombardia per tema di perdere Modana si partirono dall’assedio d’uno castello de’ marchesi Cavalcabò in chermonese, e feciono al Po ponte di navi. Messer Vergiù e sua gente sentendo il soperchio de’ nimici misono fuoco ne’ borghi di Modana e se ne partiro, e tornarono a Reggio, e guastarla intorno.

CCCXLIII Come ’l vescovo d’Arezzo fece disfare Laterino.

Nell’anno MCCCXXVI, del mese di marzo, il vescovo d’Arezzo fece disfare il castello di Laterino, che non vi rimase pietra sopra pietra, e eziandio fece tagliare il poggio in croce, acciò che mai non vi si potesse su fare fortezza; e tutti gli abitanti fece andare in diverse parti, ch’erano bene Vc famiglie; e ciò fece per dispetto degli Ubertini, e acciò che nol potessono rubellare, perché sentì che alcuno di loro venne a Firenze per trattare di dare il detto Laterino a’ Fiorentini e allegarsi co·lloro, però che ’l vescovo gli avea cacciati d’Arezzo, perch’egli cercavano in corte col papa che ’l proposto d’Arezzo, ch’era degli Ubertini, avesse il vescovado d’Arezzo.

CCCXLIV Come i Ghibellini della Marca corsono la città di Fermo, e ruppono la pace ordinata colla Chiesa.

Nel detto anno, a dì XXVI di marzo, essendo trattato accordo da quegli della città di Fermo colla Chiesa, e quegli della terra faccendone festa e ballando per la città uomini e donne, quegli d’Osimo con certi caporali ghibellini de la Marca, non piaccendo loro l’accordo, entrarono nella città e corsonla, e uccisonne de’ caporali che voleano l’accordo, e nel palagio del Comune misono fuoco, essendovi il consiglio per lo detto accordo compiere; e molta buona gente vi morì, e furono arsi e magagnati.

CCCXLV Come Castruccio con sua gente cavalcò in Creti e infino a Empoli.

Nel detto anno Castruccio, avendo di poco avuta la castellina di Creti, che uno de’ Frescobaldi che·ll’avea in guardia per moneta la rendé, sì si distese poi Castruccio e sua gente per lo Creti, e diede battaglia a Vinci e a·cCerreto e a Vitolino, e passò Arno infino a Empoli. E poi a dì V d’aprile ebbe il castelletto di Petroio sopra Empoli, e quello guernì: e co la castellina gran danno faceano alla strada e a tutto il paese. Ma poi a dì XXV di giugno abandonò Petroio e disfecelo, per tema della venuta del duca d’Atene e gente del re Ruberto.

CCCXLVI Come il vescovo d’Arezzo fu privato dello spirituale per lo papa, e come fu eletto legato per venire in Toscana.

Nel detto anno, a dì XVII d’aprile, papa Giovanni in concestoro di tutti i cardinali apo Vignone dispuose il vescovo d’Arezzo de’ Tarlati dello spirituale del vescovado, e concedettelo in guardia al proposto della chiesa d’Arezzo, ch’era degli Ubertini; ma per ciò non lasciò, e non ubbidette a’ mandati del papa. E in quello concestoro elesse il papa per legato in Toscana e terra di Roma, per richesta e petizione de’ Fiorentini e del re Ruberto, messer Gianni Guatani degli Orsini dal Monte cardinale, e fecelo paciaro in Toscana, acciò che mettesse consiglio e pace nelle discordie di Toscana, dandogli grande autoritade di procedere spiritualmente a chi fosse disubbidiente a la Chiesa.

CCCXLVII Come si ricominciò guerra in Romagna.

Nel detto anno MCCCXXVI, del mese d’aprile, si cominciò guerra in Romagna tra Forlì e Faenza, e rubellossi per gli Ghibellini il castello di Lucchio. Quegli di Faenza e’ Guelfi l’assediaro, e’ Ghibellini di Romagna e di Lombardia vi vennono a fornirlo con gran forza; e di Firenze e di Toscana v’andò gente in servigio de’ Guelfi. A la fine per accordo s’arrendé a’ signori di Faenza.

CCCXLVIII Come Castruccio cavalcò in su quello di Prato, e fece fare una fortezza al ponte Agliana.

Nel detto anno, del mese d’aprile, Castruccio avendo molto molestati i Pratesi, e sostenea uno battifolle fatto in Valdibisenzo chiamato Serravallino, e un altro presso a l’Ombrone verso Carmignano, sì ne puose un altro a ponte Agliana tra Prato e Pistoia per guerreggiare i Pratesi, e perché i Pistolesi potessono lavorare le loro terre: le quali fortezze furono tutte abandonate e disfatte alla venuta del duca d’Attene luogotenente del duca di Calavra.

CCCXLIX Come Azzo Visconti fece guerra a’ Bresciani, e tolse loro più castella.

Nel detto tempo, del mese di marzo e d’aprile, Azzo Visconti co le masnade di Milano fece gran guerra a’ Bresciani, e tolse loro più castella e fortezze.

CCCL Come messer Piero di Narsi capitano de’ Fiorentini fu isconfitto da la gente di Castruccio, e poi mozzo il capo.

Nel detto tempo, a dì XIIII di maggio, messer Piero di Narsi capitano di guerra de’ Fiorentini per fare alcuna valentia innanzi che la gente del duca venisse, si cercò uno trattato con certi conastaboli borgognoni e di suo paese ch’erano con Castruccio, d’avere il castello di Carmignano; e segretamente, sanza sentirlo niuno Fiorentino, si raunò di tutte le masnade CC de’ migliori cavalieri e con gente a piè da Vc, e subitamente si partì di Prato, e passò l’Ombrone scorrendo la contrada; il quale da’ detti conastaboli fu tradito, ch’eglino colla gente di Castruccio aveano messo inn-aguato in due luogora IIIIc cavalieri e popolo assai, e uscirono adosso al detto messer Piero e sua gente, il quale co’ primi combattendo vigorosamente, e ruppegli; ma poi sopravegnendo l’altro aguato, fu rotto e sconfitto e preso, egli e messer Ame di Guberto e messer Utasso, conostaboli franceschi, e bene XI cavalieri di corredo, e XL scudieri franceschi e gente a piè assai; onde in Firenze n’ebbe gran dolore, con tutto se n’avesse colpa per la sua troppa sicurtà e non volere consiglio. Avuta questa vittoria Castruccio, venne in Pistoia e fece tagliare la testa al detto messere Piero, opponendogli come gli avea giurato, quando si ricomperò di sua pregione, di non essergli incontro; ma non fu vero, che messer Piero era leale cavaliere e pro’, e di lui fu gran dammaggio; ma fecelo morire Castruccio per crescere più l’onta de’ Fiorentini, e per ispaurire i Franceschi loro soldati.

CCCLI Come il duca d’Atene venne in Firenze vicaro del duca di Calavra.

Nel detto anno MCCCXXVI, a dì XVII di maggio, giunse in Firenze il duca d’Atene e conte di Brenna con IIIIc cavalieri, per vicario del duca di Calavra, e tutte le signorie fece giurare sotto la signoria del duca di Calavra e sua; e cassò tutte lezioni fatte de’ priori per lo innanzi, e’ primi priori a mezzo giugno fece a sua volontà. Il detto signore mandò il re Ruberto innanzi, perché il granduca indugiava più sua venuta, per cagione dell’armata ch’aparecchiava per mandare in Cicilia; e i detti cavalieri vennono a mezzo soldo del re, e l’altro mezzo del Comune di Firenze. E quello tanto tempo che ’l detto duca d’Atene tenne la signoria, ciò fu infino a la venuta del duca di Calavra figliuolo del re, la seppe reggere saviamente e fu signore savio e di gentile aspetto, e menò seco la moglie figliuola del prenze di Taranto e nipote del re Ruberto: albergò a casa de’ Mozzi Oltrarno; e a dì XXII di maggio fece piuvicare in Firenze lettere papali, come la Chiesa avea fatto il re Ruberto vicario d’imperio in Italia vacante imperio.

CCCLII Come l’armata del re Ruberto andò in Cicilia, e poi come tornò in Maremma e nella riviera di Genova.

Nel detto tempo, a dì XXII di maggio, si partì di Napoli l’armata del re Ruberto, la quale furono LXXXX tra galee e uscieri e più altri legni passaggeri con M cavalieri; de la quale armata fu ammiraglio e capitano il conte Novello conte d’Andri e di Montescheggioso de la casa del Balzo; e a dì XIII di giugno arrivarono in Cicilia ne la contrada di Patti, e guastarono infino a Palermo, e poi nel piano di Melazzo; e poi si ricolsono a galee, e valicarono per lo Fare, e guastarono intorno a Cattana e Agosta e Seragosa, e tornaro infino a le mura di Messina; e poi si ricolsono in galee, e rivalicarono per lo Fare sanza contasto niuno, e ripuosonsi ancora nel piano di Melazzo. Allora il figliuolo di don Federigo, che si chiamava il re Imperio, vi cavalcò con VIIc cavalieri; ma il conte s’era già ricolto con suo stuolo a galee, sì che non v’ebbe battaglia, ma grandissimo danno e guasto feciono all’isola di Cicilia. Poi, a dì XIIII di luglio, tornati all’isola di Ponzo, e rinfrescati di vittuaglia, si partirono, e com’era ordinato di venire nella riviera di Genova e in Lunigiana, la detta armata per guerreggiare gli usciti di Genova e Castruccio da quella parte, e ’l duca verso Firenze; e partendosi, arrivarono in Maremma, e a dì XX di luglio scesono in terra, e presono per forza il castello di Magliano, e quello di Colecchio, e più altre villate de’ conti da Santa Fiore, levando grandi prede con grande danno de’ detti conti. Poi si partirono di Maremma, e lasciarono guernito Magliano di C cavalieri per guerreggiare i detti conti; si partirono e arrivarono a Portoveneri, e là s’accozzarono coll’oste de’ Genovesi per racquistare le terre della riviera e fare guerra a Castruccio, ma poco v’aprodaro di racquistare fortezza niuna, se non che arsono per forza combattendo i borghi di Lievanto e poi quegli di Lerice; e bistentando nel golfo della Spezia, non s’ardirono di scendere in Lunigiana, però che Castruccio v’era guernito di molti cavalieri e pedoni, e ’l duca di Calavra non era ancora uscito ad oste sopra quello di Lucca, com’era fatta l’ordine; sì che stando e operando invano, a l’uscita di settembre si dipartì la detta armata, e’ Genovesi tornarono in Genova, e’ Provenzali in Proenza, e l’altre a Napoli; ma il conte Novello scese in Maremma, e con C cavalieri venne al duca di Calavra ch’era in Firenze.

CCCLIII Come il legato del papa arrivò in Toscana e venne in Firenze.

Nel detto anno MCCCXXVI messere Gianni degli Orsini cardinale e legato per la Chiesa arrivò a Pisa in su V galee de’ Pisani a dì XXIII di giugno, e da’ Pisani gli fu fatto grande onore, con tutto che in grande guardia e gelosia erano, sentendo in Firenze il duca d’Atene. E in quegli giorni IIIIc cavalieri provenzali, gentili uomini, vennono per mare in su X galee di Proenza a Talamone per venire in Firenze. Istando il legato in Pisa, Castruccio gli mandò lettere, dicendo in tinore che con tutto che·lla fortuna l’avesse fatto ridere s’acconciava di volere pace co’ Fiorentini; ma furono parole vane e infinte, a quello che seguì poi. Dimorato il legato in Pisa alquanti giorni, si venne in Firenze a dì XXX di giugno, e da’ Fiorentini fu ricevuto onorevolemente quasi come papa, e fattogli dono di M fiorini d’oro in una coppa. Albergò a Santa Croce al luogo de’ frati minori, e a dì IIII di luglio piuvicò la sua legazione, e com’era legato e paciaro in Toscana, e nel Ducato, e nella Marca d’Ancona, e in Campagna e terra di Roma, e nell’isola di Sardigna, faccendo per sue lettere amonizione a tutte le città e signori di sua legazione che ’l dovessono ubbidire e dare aiuto e favore.

CCCLIV Come IIIc cavalieri di quegli del signore di Milano furono sconfitti a Tortona.

Nel detto tempo, a dì XXVIIII di giugno, IIIc cavalieri di quegli di Galeasso signore di Milano con popolo assai uscirono di Pavia, e vennono per guastare Tortona; e guastando la contrada, e sparti d’intorno di Tortona, uscirono CL cavalieri di quegli del re Ruberto e della Chiesa, e tutti quegli della terra per comune, e sconfissongli con danno di loro, e assai morti e presi.

CCCLV Come Tano da Iegi sconfisse gente de’ Ghibellini de la Marca, e come in Rimine fu fatto uno grande tradimento.

Nel detto tempo, all’entrante di luglio, gente di Fabbriano e altri Ghibellini de la Marca, intorno di CCCL cavalieri e popolo assai, essendo cavalcati per prendere o guastare il castello di Murro, Tano signore d’Iegi coll’aiuto de’ Malatesti di Rimine vennono al soccorso di Murro subitamente, e trovando sparti e sproveduti gl’inimici, gli misono in isconfitta con grande danno di loro. Essendo messer Malatesta con sua gente al detto Murro, messer Lamberto, figliuolo di Gianniciotto suo cugino, per signoreggiare Rimine sì ordinò uno laido tradimento, sì come pare costume di Romagnuoli; che fece invitare messer Ferrantino e ’l suo figliuolo suoi consorti, e a tavola mangiando co·llui gli fece assalire con arme, e prendere e ritenere, e quale di loro famiglia si mise a la difensione di loro signori fu morto e tagliato; e poi ciò fatto, corse la terra faccendosene signore. Sentendo ciò messer Malatesta ch’era a Murro, subitamente cavalcò con sua gente e con sua amistà a la città di Rimine, e là giugnendo fece tagliare una porta coll’aiuto de’ suoi amici d’entro, e corse la terra, e riscosse i pregioni suoi cugini. Il traditore messer Lamberto veggendo la forza di messer Malatesta non si mise a difensione, ma fuggendo a gran pena scampò nel castello di Santangiolo in loro contrada.

CCCLVI Come il duca venne in Siena, ed ebbe la signoria V anni.

Nel detto anno, a dì X di luglio, il duca di Calavra con sua baronia e cavalieri entrò nella città di Siena, e da’ Sanesi fu ricevuto onorevolemente. Trovò la terra molto partita per la guerra ch’era intra’ Tolomei e’ Salimbeni, che quasi tutti i cittadini chi tenea coll’uno e chi coll’altro; e’ Fiorentini temendo per quella discordia che la terra non si guastasse, e parte guelfa non prendesse altra volta per la detta discordia, sì mandarono per loro ambasciadori pregando il duca che per Dio non si partisse della terra infino che non gli avesse acconci insieme, e avesse la signoria della città; e ’l duca così fece, che tra le due case Tolomei e Salimbeni fece fare triegua con sofficiente sicurtà V anni, e fecevi molti cavalieri novelli, e dimorovvi infino a dì XXVIII di luglio; e in questa dimoranza tanto s’adoperò tra per paura e per amore, come sono le parti nella città divise, gli fu data la signoria di Siena per V anni sotto certo modo e ordine, e per questa stanza del duca in Siena, volle da’ Fiorentini oltre a’ patti XVIm fiorini d’oro, onde i Fiorentini si tennono male appagati.