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ch’io non sarei di voi, perfidi, madre.
Mortalmente mi offendi. E che? del regno Polin.
minor mi tieni? Ah! non è, no, il mio fine
il crear legge ogni mia voglia, il farmi
con finto insano orgoglio ai Numi pari ;
non è il mio fin, benché regnar si appelli.
Se in me virtù nei lieti di non vana
parola eli’era; or, negli avversi, sappi
eh’ io più cara la tengo. Adrasto in Argo
scettro m’offre: se regno io sol volessi,
già regnerei.
- Gioc.
- Più che ottenere il regno,
dunque abbi caro il meritarlo, o figlio.
Spero l’avrai; ma pur, s’ambo c’inganna
il tuo fratei, di chi è l’infamia, dimmi;
di chi la gloria? A mie ragioni, ai preghi,
al pianto mio, deh! cedi; al pianto cedi
della infelice patria tua; vorresti,
pria che in Tebe regnar, distrugger Tebe?
- Polin.
- Tel dissi io già: guerra non vo’; ma giova,
più certa pace ad ottener, la forza.
GlOC. Ami la madre tu?
- Polin.
- Più di me l’amo.
GlOC. Sta la mia vita in te...
SCENA QUINTA
Creonte, Giocasta, Polinice.
- Gioc.
- Creonte, ah! vieni;
compi di vincer questo; all’altro io corro.
Qual cederà di voi? tu; se rammenti,
che da te sol pendon la madre, e Tebe.