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285 ANNALI D’ITALIA, ANNO LXX 286

costumi e sì grande poltroneria. Restò bensì libera Roma dall’usurpatore Vitellio, ma non già dalle atroci pensioni della guerra civile. Per lungo tempo durarono i saccheggi e gli omicidii. Maltrattato era chiunque fu amico di Vitellio, e sotto questo pretesto si estendeva ad altri la feroce avidità dei vittoriosi e licenziosi soldati: in una parola, tutto era lutto, confusione e lamenti in Roma ed altrove. Ancorchè Domiziano, figlio di Vespasiano, fosse ornato immediatamente col nome di Cesare, pure niun rimedio apportava, intento solo a sfogar le passioni proprie della scapestrata gioventù. Lucio Vitellio, fratello dell’estinto Augusto, venne ad arrendersi colle sue soldatesche, sperando pure miglior trattamento; ma restò anch’egli barbaramente ucciso. Fece lo stesso fine Germanico, piccolo figliuolo del medesimo imperadore. Subito che si potè raunare il senato, furono decretati a Flavio Vespasiano tutti gli onori soliti a godersi dagl’imperadori romani. E bisogno ben grande v’era di un sì fatto imperadore, sì per rimettere in calma la sconcertata Roma ed Italia, come ancora per dar sesto alla Germania e Gallia dove Claudio Civile avea mosso dei gravi torbidi che accenneremo fra poco. Guerra eziandio era nella Giudea, guerra nella Mesia e nel Ponto. Sovrastavano perciò danni e pericoli non pochi alla romana repubblica, se non arrivava a reggerla un Augusto, che per senno e per valore gareggiasse coi migliori.


Anno di Cristo LXX. Indizione XIII.
Clemente papa 4.
Vespasiano imperadore.


Consoli


Flavio Vespasiano Augusto per la seconda volta e Tito Flavio Cesare suo figliuolo.


Ancorchè fossero lontani da Roma Vespasiano Augusto e Tito suo figlio, dichiarato anch’esso Cesare dal senato, pure, per onorare i principii di questo nuovo imperadore, furono amendue promossi [p. 286]al consolato, in cui procederono per tutto giugno. In essa dignità ebbero per successori nelle calende di luglio Marco Licinio Muciano e Publio Valerio Asiatico: e poscia a questi nelle calende di novembre succederono Lucio Annio Basso e Caio Cecina Peto. Dacchè1 nell’anno precedente giunse a Roma Muciano, prese egli il governo, facendo quel che gli parea sotto nome di Vespasiano. V’interveniva anche Domiziano Cesare, figliolo dell’imperadore, per dar colore agli affari; ma quantunque egli prendesse molte risoluzioni per le istigazioni degli amici, pure l’autorità era principalmente presso Muciano, uomo di smoderata ambizione, che s’andava vantando d’aver donato l’imperio a Vespasiano, e di essere come fratello di lui, e facendo perciò alto e basso, come s’egli stesso fosse l’imperadore. Certo la sua prima cura fu quella di metter fine all’insolenza dei soldati, e di ridurre la quiete primiera nella città. Ma un’altra maggiormente n’ebbe per adunar danaro il più che si potea, per rinforzare il pubblico fallito erario, dicendo sempre che la pecunia era il nerbo del Principato; nè rincresceva di tirar sopra di sè l’odiosità delle esazioni, e di risparmiarla a Vespasiano, perchè ne profittava non poco anch’egli per sè stesso. Recavano a lui gelosia Antonio Primo, divenuto in gran credito, per aver egli abbassato Vitellio; ed Arrio Varo, perchè alzato alla potente carica di prefetto del pretorio. Quanto a Primo, il caricò di lodi nel senato, gli mostrò gran confidenza, gli fece sperare il governo della Spagna Taraconense, promosse agli onori varii di lui amici; ma nello stesso tempo mandò lungi da Roma le legioni che aveano dell’amore per lui, e fece restar lui in secco. Andò Primo a trovar Vespasiano, che il ricevè con molte carezze; ma Muciano, con rappresentarlo uomo pericoloso a ragion della sua arditezza, e con rilevar gli abbominevoli disordini da lui

  1. Tacit., Histor., lib. 4. Dio., lib. 66.