Sempre ho avuto voglia: differenze tra le versioni

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| Anno di pubblicazione = XIV secolo
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Versione delle 17:20, 2 apr 2020

Franco Sacchetti

XIV secolo Indice:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu canzoni Letteratura Sempre ho avuto voglia Intestazione 29 ottobre 2016 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Franco Sacchetti


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contro le portature delle donne fiorentine


     Sempre ho avuto voglia,
Veggendo delle donne fiorentine
Le nuove foggie, fare una canzone.
E non dirò che doglia
5Abbiano i cattivelli e che ruine
Per contentar lor falsa oppinïone:
Ma io vo’ dir sol delle lor persone
Che portan portature tanto strane
Fuor d’ogni modo vane.
10E farò il mio principio della cima:
Qual è di tante forme,
Che ciascuna per fare usanza prima
Non posa mai nè dorme,
Con coccoli, con giunchi e catenelle
15Trovando ogn’ora nuove ghirlandelle.
     E son già alte tanto
Che poco è alta più tal che la porta:
Avvisasi ciascuna esser maggiore.
I lor capelli quanto
20Più lunghi hanno, e più se ne conforta
La mente lor; per dimostrarsi fuore
Con elli scapigliati a tutte l’ore.
Imberettate come le mondane
I’ veggio donne vane:
25E quelle che i crin portan suso avvolti
Sul cuccuzol raccolti
Con tanti giri sovra l’alta ciocca,
E tanti umor soverchi
Portano: e quelle che per farlo biondo
30Al sol si stanno quand’egli arde il mondo.
     E vuo’ lasciar frenelli
Contro di tanti versi con ciocchette
E venire alla parte de’ lor visi:
Con lisci e bambagelli
35Gli pingono: e ne mostran tai cosette

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Che a pena le comprendon gli occhi fisi.
Ma che ne avvien di questi loro avvisi?
Che i denti fanno neri e gli occhi rossi,
E di questi soprossi
40Niente si curan: pur che in tal maniera
Si possan dimostrare.
O alchimia maledetta che la vera
Carne fai dibucciare,
Pelando teste o ciglia in modo tale
45Che tormento non è con maggior male!
     Quando si vede il petto
Spinger da un capezzal largo ed aperto
E mostrar le ditelle e vie più giuso;
Non so più bieco effetto,
50Che quale è membro da portar coverto
Quel più discuopra per lo peggior uso.
Tanto di maglie hanno il busto chiuso,
Che di sopra se ’n va una gran parte
Del corpo; e l’altra in parte
55Si gonfia sì che ciascuna par pregna.
Così serrate in mezzo
Appaion: e ancor par che loro avvegna,
Per questo stringer, pezzo;
Che tal si sconcia grossa, e tal si face
60Che sotto porta un piumacciol fallace.
     Brache delle guarnacche
Alcune fanno. Van queste di sopra
Con nascosi piombini a’ piè d’intorno:
Sicchè con tal trabacche
65L’alta pianella e il calcagnin si cuopra.
Dove al suol cade, ne riceve scorno
Il copertoio smisurato e adorno.
E tirano co’ pie sì gran traìno.
Che, se pel re divino
70Così facesser, sante sarìen tosto.
Ma a tanto son venute
Ch’è di cento fiorin dell’una il costo.
E tai si son vedute
Incespicare andando a petto tese,
75Che d’un palchetto par ch’e’ sien discese.

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     Veggio per questo modo
Donne sì grandi della terra uscire
Che fan meravigliar la mente mia.
E dalle madri odo
80Con altre donne per le chiese dire
— Costei è grande; e ancor più grande fia;
Che par che ogni anno ben cresciuta sia. —
E questi i loro paternostri sono,
Dicendo con tal suono
85Che udir li fanno a chi tra lor si aggira,
Con vana volontate.
Chè tanto han bene quanto altri le mira;
Vendendo lor ghignate
A’ ciechi tristi quando voglion moglie;
90Trovando poi qual zoppa e qual con doglie.
     Così d’usanza prove
Si sforzan di far spesso, sè apparando
Di meretrici in consueta veste.
Io veggio cioppe nove
95Già una parte d’esse gir portando
E que’ mantelli di che l’uom si veste.
Dicon che ’l fanno per essere oneste;
E mutan foggie sotto tal coverto.
Chi non mira ben certo,
100Paion scolari in legge od in decreto.
Altre velate vanno
Portando bruno, e sbarran gli occhi a dreto,
Dove appiccati gli hanno
Sovra i crocicchi; in forma che nessuna
105Li chiude, come vuol l’usanza bruna.
     Le vesti più assai
Son ch’elle fanno, che nel mare i pesci,
Perchè altrettante il mondo non ne chiude.
E par che sempre mai
110Fra lor si tagli cucia lievi e cresci
Per far nuov’arte alle lor membra nude.
Facciansi innanzi le provincie crude
Barbare greche, turche sorïane
Saracine indïane,
115Chè a petto a questa ogni maniera è nulla,

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E per non perder ora
Maritansi quand’escon della culla:
Tale usanza si onora.
Chi le contenta, sua ricchezza atterra:
120E chi no ’l fa, sta con lor sempre in guerra.
     I’ farò punto e fine:
Perch’i’ veggio che messa mano in pasta
Mi sono avvolto dentro a un labirinto.
Ho il principio e no ’l fine:
125E voglio raccontar quel che non basta
All’appetito lor così distinto.
Da queste è l’uomo già sommerso e morto,
Bontà de’ tristi c’han sì fatte mogli!
Tra così fatti scogli
130Lo animal razionale è soggiogato.
Però, canzon novella,
In altra ho già de’ giovani parlato;
Trova la tua sorella,
E va’ con lei cantando li tuoi versi;
135Ch’i’ non mi so qual deggia più dolersi.


(Dal vol. I (1819) del Giornale Arcadico, dove questa canzone fu pubblicata di sopra il cod. vat. 3213 che fu di Fulvio Orsini.)