Vite di illustri Numismatici Italiani - Ennio Quirino Visconti: differenze tra le versioni

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| Nome e cognome dell'autore = Costantino Luppi
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| Titolo = Vite di illustri Numismatici Italiani<br/><br/>Ennio Quirino Visconti
| Iniziale del titolo = V
| Anno di pubblicazione =1890
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| Lingua originale del testo =
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Costantino Luppi

1890 Indice:Rivista italiana di numismatica 1890.djvu Rivista italiana di numismatica 1890

Vite di illustri Numismatici Italiani

Ennio Quirino Visconti Intestazione 8 ottobre 2012 75% Numismatica

Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1890
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VITE

di


ILLUSTRI NUMISMATICI ITALIANI







Primogenito di Gian Battista Antonio Visconti, Ennio Quirino nacque in Roma ai 30 ottobre 1751. Il padre, uomo coltissimo, Prefetto delle Antichità, accortosi della precoce intelligenza del bambino, quasi presago della sublime altezza cui avrebbe poggiato, non volle affidare ad altri la cura di coltivare i primi germi del di lui ingegno, ma riserbò a sè solo l’educazione del figlio; nè fallirono le sue speranze, e rapidi ne vide i frutti. A diciotto mesi Ennio conosceva già tutte le lettere dell’alfabeto; a due anni distingueva sulle medaglie l’effigie di tutti gl’imperatori romani da Cesare sino a Gallieno; a tre anni e mezzo leggeva correttamente latino e greco. Dotato di prodigiosa memoria, a dieci anni maravigliò i più dotti per le sue cognizioni in geografia, storia, cronologia, numismatica e geometria, e a tredici, in un solenne esame, nella Biblioteca Angelica, seppe risolvere i più astrusi problemi della trigonometria, dell’analisi e del calcolo differenziale. I giornali letterarî e scientifici di quel tempo si occuparono di così raro fenomeno, e colmarono di elogi il precoce scienziato. Uscito da una schiatta illustre per uomini colti ed eruditi, in breve tempo li eclissò tutti colla prevalenza del suo ingegno [p. 562 modifica]e la vastità della sua dottrina. Giovanissimo, e già esperto nelle lingue classiche di Grecia e di Roma, preso dalle bellezze della poesia, sfogò la sua nobile passione traducendo in versi italiani i capolavori dell’antichità, e in occasione d’una visita fatta a Roma da Giuseppe II, offerse il suo omaggio a quell’imperatore in versi italiani, greci e latini. Ma la spiccata tendenza del secolo alle indagini archeologiche, rinvigorita allora più che mai dalle scoperte recenti di Ercolano e Pompei, nonchè dagli scavi della Villa Adriana, avevano suscitato anche tra noi una gara vivissima di ricerche e di nuovi studî per ricostruir colla scorta di quelle scoperte la storia della splendida civiltà greco-latina. Movimento sì grande non potè a meno di comunicarsi anche all’ingegno potente del Visconti, già preparato a quell’impulso da severi studî già fatti, sorretto da memoria prodigiosa e da moltiforme erudizione. Fu quello il tempo, che a papa Clemente XIV, per assecondare tanto ardore di studî e di ricerche, venne il pensiero di fondare in Vaticano altro vasto museo in supplemento al Capitolino, per raccogliere in esso i monumenti più importanti che si andavano mano mano scoprendo, e quelli che da tempo giacevano ignorati nei palazzi e nei conventi di Roma. Il padre di Ennio, nella sua qualità di Prefetto delle Antichità, fu chiamato a sì nobile incarico, e a presiedere alla scelta, agli acquisti e al collocamento dei tesori, che affluivano al nuovo museo. Pio VI, succeduto nel 1775 a Clemente, continuando la magnanima impresa del suo antecessore, ordinò nuovi scavi e nuovi acquisti. Il Visconti mantenuto dal Pontefice alla direzione e all’ordinamento di quell’enorme congerie, sopraffatto dall’immane lavoro, si associò dapprima il figlio secondogenito Aurelio, coll’aiuto del quale potè affrettare il compimento dell’insigne collezione, che col nome di Museo Pio-Clementino, divenne in breve la scuola degli artisti e degli antiquarî di tutto il mondo. Ennio intanto il 7 agosto 1771 consegue il grado di dottore in diritto romano e canonico; il principe Sigismondo Chigi, suo amico ed ammiratore, lo elegge a suo bibliotecario, assegnandogli abitazione e tavola nel proprio [p. 563 modifica]palazzo; e affinchè potesse attendere con maggior agio ai suoi studî, gli concede in aiuto l’abate Carlo Fea con titolo di sottobibliotecario. In questo frattempo, causa le soverchie fatiche dell’ordinamento del nuovo museo, il padre fu colto da malattia giudicata inguaribile. Allora, annuente il Papa, che aveva smesso il pensiero di fare di Ennio un prete e forse un cardinale, chiamò presso di sè il suo primogenito, valendosi del suo potente ingegno e della sua sconfinata erudizione a dare vita all’insigne raccolta. In collaborazione con Ennio potè finalmente nel 1782 dare alla luce il primo volume illustrativo del Museo Pio-Clementino, considerato quale opera classica ed unica nel suo genere. Gian Battista non sopra visse che due anni a tanta gloria; morto nel 1784, Ennio continuò da solo l’illustrazione del Museo, pubblicandone il secondo volume in quell’anno stesso, riscuotendo per sè nuovi elogi, ed estendendo la sua fama oltre i confini della penisola. Il predominio così conquistato da Ennio in ogni ramo della scienza archeologica gli valse la nomina a Conservatore del Museo Capitolino. Sposata nel 1785 la sua diletta Angela Teresa Doria, tranquillo di mente e di cuore, consacrò intera la sua attività agli studî prediletti, producendo opere che segnano un’orma luminosa nell’ardua scienza dell’antichità, fra le quali principalissima la continuazione del Museo Pio-Clementino, pubblicandone ad intervalli gli altri volumi fino al settimo, composto a Parigi ed edito in Roma nel 1807.

Il Visconti non si lasciò mai sfuggire l’occasione di esaminare e di descrivere i monumenti d’ogni sorta che si venivano di continuo scoprendo. Nel 1785 colla sua profonda dottrina illustra il vetusto Monumento degli Scipioni pubblicato con aggiunte del Piranesi; nel 1787 i Monumenti scritti del Museo Jenkins; nel 1788 le Osservazioni su due mosaici antichi istoriati della Collezione del Cav. d’Azara; inserisce poco dopo nella Raccolta del Guattoni lettere e descrizioni sopra varie antichità, e nel Museum Worstlianum di Londra le Dissertazioni sopra un bassorilievo rappresentante Giove e Minerva che ricevono gli omaggi da una folla di Ateniesi; nel 1793 le Osservazioni sopra un antico [p. 564 modifica]cammeo rappresentante Giove Egioco; e la Lettera sopra un’antica argenteria nuovamente scoperta in Roma; nel 1794 le Iscrizioni greche Triopee, ora Borghesiane, con versioni, e le Pitture di un antico vaso fittile trovato nella Magna Grecia ed appartenente a S. A. il signor Principe Stanislao Poniatowski; e nel 1797 i Monumenti Gabini della Villa Pinciana. Evidentemente dalla surriferita nota si chiarisce quanto grande fosse l’operosità del Visconti per tanti e sì svariati lavori, e quanto meravigliosa fosse la versatilità del suo ingegno nel passare per sì differenti argomenti, trattati sempre con inesauribile erudizione.

In mezzo però a sì grande fervore di studî si erano maturati in Europa grandi avvenimenti, la rivoluzione in Francia, 1789, e l’invasione dei repubblicani francesi in Italia, 1796.

Nell’ottobre dell’anno 1797 il Berthier coi Francesi entra anche in Roma, vi instituisce tosto un governo provvisorio, e inaugura la Repubblica, chiamandovi a reggere il Ministero degli intemi il nostro Visconti, ed eleggendolo poco di poi uno dei cinque del Consolato, 1798. Per tal modo il sommo archeologo trovossi ingolfato senza volerlo nel mare torbido della politica e della guerra, a cui l’indole sua mite, ed il suo genio lo rendevano affatto inetto. Pertanto non corrispondendo alle speranze dei più esaltati, abbeverato di amarezze, fu privato dopo breve tempo di quelle cariche, onde ritornò con gioia a’ suoi studî. Ma non doveva lungamente godere di quella tranquillità, perchè impadronitisi i napoletani dell’eterna città, il Visconti, temendone le ire per aver servito, sebbene nolente, il governo francese, abbandona la patria, ricoverandosi colla famiglia in Perugia. Quel suo primo esilio durò solo ventisei giorni, perocchè ripresa Roma dai francesi con Championnet, il Visconti rivide la sua città nativa, ma dovette ben presto rifare i passi dell’esilio al nuovo sopraggiungere dei napoletani, al novembre del 1799, e questa volta si trovò separato dai figli e dalla moglie che teneramente amava. Dopo molte avventure potè finalmente rifugiarsi in Francia, dalla quale non si allontanò più mai. Appena toccato il suolo francese, una lettera di quel

[p. 567 modifica]Governo, 18 dicembre, lo ascrive tosto tra gli Amministratori del Museo che stavasi formando al Louvre colle spoglie di tutta Europa, e specialmente d’Italia, ed ebbe il titolo di Sorvegliante, poi di Professore di archeologia, finalmente la carica di Conservatore delle antichità, 1803, e Membro dell’Istituto, 1804. Tutti i Francesi più colti si rallegrarono dell’esaltazione del Visconti a quel posto, pensando essere Ennio Quirino una delle più belle conquiste fatte dalla Francia in Italia. In questo suo nuovo stato tranquillo riprende con nuova lena i suoi studî interrotti. Compone il Catalogo di quel vasto Museo da lui presieduto, descrivendo brevemente, ma colla sua usata dottrina la più splendida collezione che sia mai esistita al mondo; illustra lo Zodiaco di Tentira, scoperto recentemente dai Francesi in Egitto e dopo un gran numero di scritti minori e d’occasione, per ordine di Napoleone nel 1804 pon mano alla grande opera dell’Iconografia greca e romana, ossia alla collezione dei ritratti autentici di tutti i regnanti e dei personaggi illustri dell’antichità. L’Iconografia greca apparve nel 1806 in tre volumi, ed è e sarà nei secoli futuri il monumento più bello della sua gloria. La fama del Visconti aveva toccato il suo apogeo; la sua autorità in fatto di archeologia giudicata quasi inappellabile, talchè gli Inglesi ebbero ricorso alla sua dottrina e chiamarono in Londra Ennio Quirino per giudicare del valore delle insigni scolture tolte al Partenone nel 1817 da Lord Elgin e da questo trasportate in Inghilterra. Il Visconti, giudicatele opera in gran parte dello scalpello di Fidia, loro attribuì un prezzo altissimo, dicono 35 mila ghinee. Ritornato il Visconti in Francia, descrisse quei monumenti in una Memoria sopra alcune opere di scoltura del Partenone e di alcuni edificî dell’Acropoli d’Atene. Ma la vita del sommo archeologo, logorata da tante fatiche, volgeva al suo termine. Fin dal 1816 si manifestarono i sintomi della malattia che lo doveva rapire a’ suoi ammiratori, per addurlo al tempio dell’immortalità; un’affezione morbosa alla vescica, cui la scienza non potè rimediare, dopo lunghe sofferenze, lo spense il 7 febbraio 1818, nella non tarda età di 67 anni. Poco prima di morire aveva [p. 568 modifica]pubblicato il primo volume dell’Iconografia romana che doveva degnamente far seguito alla greca. L’annunzio della sua morte commosse tutto il mondo civile, e ai suoi funerali non solo l’Italia, ma la Grecia, la Germania, la Svezia, la Danimarca, l’Inghilterra, la Spagna, il Portogallo, vi vollero essere rappresentate per mezzo de’ loro scienziati e de’ personaggi più illustri. “Nel cimitero del Padre Lachaise gli venne eretta una tomba ornata del suo busto; mentre in Roma ed in Bologna si celebrava la sua memoria ed i giornali facevano a gara nello spargere fiori sulla sua tomba.”1 — Di tutte le opere dell’ingegno fecondissimo di Ennio Quirino, quelle che interessano più da vicino, e in sommo grado gli studî nostri sono le due ultime citate, cioè l’Iconografia greca e l’Iconografia romana; in ispecie la prima, perchè compiuta, e più ardua, comprendente la storia illustrata colle monete dei Re di Sicilia, di Macedonia, dell’Epiro, di Sparta, di Tracia, d’Illiria, del Ponto e del Bosforo Cimmerio, di Bitinia, di Pergamo, dell’Asia minore, di Cappadocia, d’Armenia, e della Siria; dei principi della Cilicia, di Commagene e della Giudea; de’ re Parti e dei re Persiani della dinastia dei Sassanidi, dei re della Battriana, di Caracene e Babilonia, e infine dei Tolomei d’Egitto. A questo immenso lavoro, che inchiude la storia di tutto il mondo greco antico, antepose anche i ritratti che si riscontrano sulle antiche medaglie e pietre incise dei più illustri poeti, legislatori, filosofi, e delle donne celebri, che resero famosa, sopra ogni altra, quell’età. Storia questa non mai tentata in così vasto complesso da nessun altro prima di lui, con tanta competenza, con sì profonda erudizione, e con sì splendida illustrazione. Talchè per questa e per le altre molteplici sue opere, accennate più sopra, un biografo francese non esitò a conchiudere: Winkelmann, il sommo archeologo prussiano ha fatto amare la scienza delle antichità; l’italiano Visconti ne ha splendidamente illustrato tutto quanto il dominio.

[p. 569 modifica] Ennio Quirino, oltre le opere stampate, ne lasciò parecchie manoscritte ed inedite, che furono acquistate dalla Biblioteca nazionale e dall’Istituto di Francia; fra queste una Dissertazione sopra una medaglia di Thermusa moglie di Fraate IV re de’ Parti, scritta nel dicembre del 1817. — Dall’epoca della morte del Visconti, i suoi discendenti, eredi di tanta gloria, si fissarono definitivamente in Parigi, sostenendo degnamente con opere egregie e la coltura d’ogni bell’arte, la fortuna e l’onore del suo nome immortale.




Questi cenni biografici furono tolti dai seguenti libri:

Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII e de’ contemporanei compilata da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata per cura del prof, Emilio de Tipaldo. Volume sesto, pag. 493-507. — Emeric David nella Biographie universelle (Michand) ancienne et moderne. Paris, tome XLIII, pag. 626-635. — Giuseppe Maffei, Storia della letteratura italiana. Vol. II, pag. 367-381. — Dizionario universale storico-mitologico-geografico compilato da una società di uomini di lettere per cura del Dottore Angelo Fava. Torino, 1856. Parte III, pag. 2395. — Giovanni Labus, Notizie intorno la vita di Ennio Quirino Visconti. Milano, 1818. (In fronte al primo volume del Museo Pio-Clementino). — Zannoni, Elogio. (Nell’Antologia di Firenze, 1822, n. 18). — Batelli e Fanfani, Serie di vite e ritratti de’ famosi personaggi degli ultimi tempi. Milano, 1815, pag. 26. — Cantù Cesare, Storia di cento anni. Firenze, 1855, vol. II, pag. 556.



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