Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. I, 1946 – BEIC 1727075.djvu/303: differenze tra le versioni

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breve è pur troppo a ristorare i lunghi
breve è pur troppo a ristorare i lunghi
sofferti affanni. Il suo silenzio...
sofferti affanni. Il suo silenzio...
Agam.
Agam.+14 Oh quanto
Oh quanto
meno il silenzio mi stupia da prima,
meno il silenzio mi stupia da prima,
ch’ora i composti studiati accenti!
ch’ora i composti studíati accenti!
Oh come mal si avvolge affetto vero
Oh come mal si avvolge affetto vero
fra pompose parole! un tacer havvi,
fra pompose parole! un tacer havvi,
figlio d’amor, che tutto esprime; e dice
figlio d’amor, che tutto esprime; e dice
più che lingua non puote: havvi tai moti
piú che lingua non puote: havvi tai moti
involontarj testimon dell’alma:
involontarj testimon dell’alma:
ma il suo tacere, e il parlar suo, non sono
ma il suo tacere, e il parlar suo, non sono
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fra tanti rischj e memorande angosce
fra tanti rischj e memorande angosce
col sudor compri; s’io per essi ho data,
col sudor compri; s’io per essi ho data,
più sommo bene, del mio cor la pace?
piú sommo bene, del mio cor la pace?
Elet.+ Deh! scaccia un tal pensiero: intera pace
;Elet.
Deh! scaccia un tal pensiero: intera pace
avrai fra noi, per quanto è in me, per quanto
avrai fra noi, per quanto è in me, per quanto
sta nella madre.
sta nella madre.
Agam.+7 Eppur, cosí diversa,
;Agam.
Eppur, così diversa,
da se dissimil tanto, onde s’è fatta?
da se dissimil tanto, onde s’è fatta?
Dillo tu stessa: or dianzi, allor quand’ella
Dillo tu stessa: or dianzi, allor quand’ella
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ponea; vedesti? mentre stava io quasi
ponea; vedesti? mentre stava io quasi
fuor di me stesso, e di abbracciarlo mai,
fuor di me stesso, e di abbracciarlo mai,
mai di baciarlo non potea saziarmi ;
mai di baciarlo non potea saziarmi;
a parte entrar di mia paterna gioja,
a parte entrar di mia paterna gioja,
di’, la vedesti forse? al par che mio,
di’, la vedesti forse? al par che mio,
chi detto avrebbe che suo figlio ei fosse?
chi detto avrebbe che suo figlio ei fosse?
Speme nostra comune, ultimo pegno
Speme nostra comune, ultimo pegno
deH’amor nostro, Oreste. — O ch’io m’inganno,
dell’amor nostro, Oreste. — O ch’io m’inganno,
o di giojoso cor non eran quelli
o di giojoso cor non eran quelli
i segni innascondibili veraci;
i segni innascondibili veraci;
non di tenera madre eran gli affetti ;
non di tenera madre eran gli affetti;
non i trasporti di consorte amante.
non i trasporti di consorte amante.
Elet.+ Alquanto, è ver, da quel di pria diversa
Elet.
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Alquanto, è ver, da quel di pria diversa
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Versione delle 11:22, 15 mag 2020


atto terzo 297
breve è pur troppo a ristorare i lunghi

sofferti affanni. Il suo silenzio...
Agam.   Oh quanto
meno il silenzio mi stupia da prima,
ch’ora i composti studíati accenti!
Oh come mal si avvolge affetto vero
fra pompose parole! un tacer havvi,
figlio d’amor, che tutto esprime; e dice
piú che lingua non puote: havvi tai moti
involontarj testimon dell’alma:
ma il suo tacere, e il parlar suo, non sono
figli d’amor, per certo. Or, che mi giova
la gloria, ond’io vò carco? a che gli allori
fra tanti rischj e memorande angosce
col sudor compri; s’io per essi ho data,
piú sommo bene, del mio cor la pace?
Elet. Deh! scaccia un tal pensiero: intera pace
avrai fra noi, per quanto è in me, per quanto
sta nella madre.
Agam.   Eppur, cosí diversa,
da se dissimil tanto, onde s’è fatta?
Dillo tu stessa: or dianzi, allor quand’ella
colle sue mani infra mie braccia Oreste
ponea; vedesti? mentre stava io quasi
fuor di me stesso, e di abbracciarlo mai,
mai di baciarlo non potea saziarmi;
a parte entrar di mia paterna gioja,
di’, la vedesti forse? al par che mio,
chi detto avrebbe che suo figlio ei fosse?
Speme nostra comune, ultimo pegno
dell’amor nostro, Oreste. — O ch’io m’inganno,
o di giojoso cor non eran quelli
i segni innascondibili veraci;
non di tenera madre eran gli affetti;
non i trasporti di consorte amante.
Elet. Alquanto, è ver, da quel di pria diversa