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della rivoluzione di roma 511

aggirarsi per la città quasi ti dicessero che se l’oggi era male, il domani si prenunziava peggio. T’incontravi pure con individui di truce aspetto, i cui lineamenti appari van contratti per gioia feroce, e quale vantavasi di aver cooperato, quale di avere incitato gli altri all’azione gloriosa, che parificava la Roma dei papi a quella dei Bruti e degli Scevola. E come gli antichi gloriavansi di avere spento in Cesare il tiranno di Roma, glorificavansi i Bruti moderni di avere spento in Rossi il nemico del popolo romano.

Compresi gli animi da cupo terrore, non già nelle vie e nei pubblici ritrovi disfogavano il loro cordoglio, o manifestavano i lor timori, ma appena, appena fra le domestiche pareti.

Il papa fu colpito come da fulmine al triste annunzio. Deserto il Quirinale, perchè pochi o niuno in tanto scompiglio, o sotto l’impero del timore, furono a tributare al sovrano atti d’ossequio o proteste di sostegno.

Si rivolse allora il Santo Padre al Minghetti, al Montanari, al Pasolini, affinchè vedesser di reggere temporaneamente la cosa pubblica. Cercassero se possibil fosse, di costituire un nuovo ministero. — Essi però non credettero di sobbarcarsi a sostenere tanto peso, e così Roma restò una nave senza timone.

Non reggendo l’animo al duca di Rignano amico intimo del Rossi di sostenere il comando della guardia cittadina, venne esso conferito all’onorato giovane Giuseppe Gallieno; ed il Rignano, temendo anche pe’suoi giorni, sen fuggì da Roma all’istante.1

Si ricorse per notizie e provvedimenti al colonnello Calderari, ma i suoi detti tronchi ed ambigui, il suo procedere incerto, peritante e misterioso, eccitaron gravi sospetti, se pur non vogliasi di complicità, di colpevole o inescusabile inettezza per fermo. Pubblicò il Calderari un opuscolo in difesa del proprio operato.


  1. Vedi Lubiensky, pag. 252.